- «Una
tazzina di caffè»
La donna si svegliò di soprassalto, fradicia di
sudore e col cuore che le batteva in gola, senza alcun
motivo apparente. Doveva aver avuto un incubo,
pensò, anche se non ricordava nulla, e si volse
a guardare il marito, per controllare se il suo brusco
sobbalzo lo avesse svegliato; ma lui dormiva ancora il
sonno profondo del giusto, volgendole le spalle. Non
si mosse neppure quando lei, ormai sveglia del tutto,
si alzò piano piano e, infilatasi la vestaglia,
andò ciabattando in cucina a prepararsi il
caffè.
- La prima cosa che
fece, come di consueto, fu guardare l'orologio
elettrico appeso a una parete: erano appena le sei di
una domenica d'estate. Dal sentiero sterrato su cui si
affacciava la cucina (l'unica strada asfaltata
dell'isola univa l'abitato al porto ed era lunga
appena un chilometro) non proveniva alcun rumore: a
quell'ora le poche persone rimaste in paese, per lo
più vecchi come lei e suo marito, preferivano
rimanere a letto, anche se il sole si era già
alzato sull'orizzonte, e i turisti che avevano preso
in affitto le case rimaste vuote dormivano ancora
della grossa, proprio come suo marito. Avanzò
cautamente sul pavimento sconnesso di graniglia, su
cui si stagliavano nitide le strette fasce parallele
di luce che filtravano dalle persiane accostate; le
spalancò, lasciandosi investire dall'aria
frizzante e dal profumo salmastro del
mare.
- Rivolse solo uno
sguardo distratto al lembo d'isola incorniciato dalla
finestra, che l'accoglieva immutato ogni mattina da
giorni innumerabili come le stelle di notte: i campi
quadrettati da muretti di roccia nera, che scendevano
verso gli scogli in morbide onde senza un albero a
fare ombra (c'erano solo i cespugli ispidi dei fichi
d'India a bordare i sentieri) e poi acqua, acqua fino
all'orizzonte. C'era gente che veniva di lontano per
farci prolungate immersioni, ma lei non ci aveva mai
infilato neppure un piede da quando era giunta
sull'isola sposa novella. E dopo che s'era preso i
suoi primi due figli, l'aveva odiato con tutta se
stessa quel mare di lapislazzulo, che l'assediava
insaziabile da ogni lato, impedendole di dimenticare:
a vederlo adesso, liscio come una tavola, appena
increspato da riccioli spumosi lungo la riva, non si
poteva immaginare la furia di assassino che sapeva
raggiungere. Era giunta a sperare che una delle tante
tormente che costellavano l'inverno sommergesse
l'isola coi suoi flutti, liberandola da quell'assedio
senza fine.
- Si lavò le
mani nell'acquaio, passandosele ancora bagnate sul
viso, per dissolvere gli ultimi brandelli di
sonno.
- Aveva dormito
poco, disturbata dalle strida agghiaccianti dei
gabbiani (li chiamavano "diomedee", un nome che aveva
a che fare con un eroe antico, le avevano detto), che
trafiggevano il cuore delle notti d'estate. Non le
succedeva più da molto tempo: in tanti anni ci
aveva fatto l'abitudine; ma questa volta le avevano
impedito di chiudere occhio per ore: parevano urla di
bambini sgozzati.
- Tirò fuori
dal frigorifero il contenitore metallico del
caffè, un caffè di marca, l'unico lusso
che si concedesse, ma in polvere, perché, da
quando l'artrosi le aveva divorato le mani, aveva
dovuto rinunciare a macinarselo da sola, ripulì
la macchinetta (lo faceva sempre all'ultimo momento,
perché il metallo rimanesse impregnato
dell'aroma), ne riempì d'acqua la metà
inferiore fino alla valvola di sicurezza e
adagiò con cura il caffè nel
contenitore, in modo da riempirlo uniformemente, senza
però pressarvelo; quindi avvitò la parte
superiore, mise la macchinetta sul fornello piccolo e
accese il fuoco, regolando la fiamma al minimo. Ogni
mattina compiva quell'operazione con la
solennità di un rito, quasi il giorno non
potesse avere inizio prima che l'avesse portata a
termine con i gesti appropriati.
- Mentre il
caffè passava, uscì dalla porta che dava
sull'orto e raccolse in una cesta i panni tesi ad
asciugare la sera precedente, per evitare che il sole
li scolorisse. Sull'isola le notti erano fredde anche
in piena estate, ma il vento svolgeva egregiamente la
bisogna. Quando tornò in cucina, la moka
cominciava appena a borbottare: ormai era in grado di
calcolare con esattezza il tempo necessario
perché il nero nettare schiumoso filtrasse al
punto giusto; evitava sempre di lasciar passare
l'ultima acqua, ormai appena torbida.
- Spense il fuoco
con un gesto automatico e, inalando con voluttà
il profumo che aveva invaso la cucina, riempì
la tazzina, che aveva preparato sul ripiano di marmo.
Stava per portarla alle labbra (non avrebbe mai
commesso l'eresia di guastare con lo zucchero l'aroma
del caffè), quando un rumore inaspettato, una
specie di raschio, le fece capire di non essere
più sola nella stanza: suo marito era seduto al
tavolo con indosso la canottiera e i pantaloni del
pigiama che gli ricadevano in larghe pieghe attorno al
corpo scheletrito color del tabacco, nella posa
consueta a spalle curve e testa bassa. Mentre si
chiedeva com'era possibile che non lo avesse udito
entrare, fu presa da una sorda irritazione. «Mi
spiace di averti svegliato» disse con una rudezza
che smentiva le sue stesse parole: in realtà
aveva pregustato il piacere di passare un'oretta in
beata solitudine «Vuoi che faccia il caffè
anche per te?».
- L'uomo si
schiarì ancora la voce, ma si limitò a
fare un cenno di diniego. «Perché non
torni a letto?» chiese lei speranzosa
«È ancora presto». «No»
disse il vecchio con voce così esile, che la
moglie dovette allungare il collo per udirlo
«Devo parlarti».
- Parlare? Che era
questa novità? Non parlava quasi mai, neppure
quando c'erano cose da dire. La donna aggrottò
le sopracciglia. Che gli era preso, al vecchio, stava
forse rimbambendo? Gli sedette davanti e
cominciò a sorbire il caffè a piccoli
sorsi nervosi, quasi con stizza, perché non
riusciva a gustarlo con la necessaria concentrazione:
era riuscito a sciuparle anche quel piccolo piacere e
gliene erano rimasti ormai così
pochi...
- «Non è
un granché la vita che abbiamo fatto in questi
ultimi anni, non è vero?» si decise a dire
l'uomo dopo una lunga pausa, quasi le avesse letto nel
pensiero «Da quando i figli se ne sono
andati...».
- Ne avevano avuti
cinque, di figli. I primi due erano morti che erano
ancora bambini: il più piccolo aveva avuto un
malore in acqua e il più grande aveva cercato
invano di salvarlo; erano affogati insieme e quando li
avevano ritrovati avevano fatto fatica a scioglierli
da quell'ultimo abbraccio. Ne avevano avuti altri due
subito dopo, un maschio e una femmina, che avevano
trovato lavoro sul continente e tornavano sull'isola
con i nipoti solo in agosto per le ferie. I soldi che
mandavano a casa regolarmente erano serviti a far
studiare il più piccolo, nato quando i fratelli
erano già così grandi, che avrebbe
potuto passare per figlio loro; ora faceva
l'Università su al nord, in una grande
città fredda, piena di nebbia e di traffico.
Non sarebbe venuto quest'estate: andava per tre mesi
in Inghilterra a studiare la lingua, aveva scritto;
forse si sarebbe fatto vivo a Natale. I figli... tanti
sacrifici per crescerli e poi non vedono l'ora di
andarsene, come uccelli migratori.
- «...del
resto, che ci restavano a fare su questo sputo
d'isola, che a malapena dà di che mangiare a
noi?» proseguì il vecchio con un riso
chioccio «Da che siamo rimasti soli, dicevo, non
ti sono stato vicino come avrei voluto. Anche quando
passavo le giornate sul peschereccio, trascorrevamo
insieme solo poche ore; partivo che dormivate ancora
tutti, ma almeno non ti lasciavo sola durante il
giorno: mi consolava, mentre gettavo le reti, sapere
che a sera ti avrei trovata a casa ad aspettarmi con i
ragazzi. E quando sono diventato troppo vecchio per
uscire a pesca, mi ero ormai abituato al silenzio cui
condanna il mare».
- La donna
lasciò cadere la tazzina sul tavolo con tanta
forza, che per poco non la spaccò. Fissò
il marito con sospetto: forse il giorno prima era
rimasto troppo al sole, quel sole violento e
inesorabile di fine luglio che ti strappa la pelle dal
corpo e ti brucia anche la volontà, e gli si
era fuso il cervello. Lavorava per ore nell'orto che
era riuscito a strappare con cieca ostinazione alla
cronica mancanza di acqua dolce nell'isola (quella
potabile, che portavano regolarmente con una cisterna
dalla terraferma, non doveva essere sprecata e le
giornate di pioggia si contavano sulle dita di una
mano), giustamente orgoglioso dei suoi ortaggi, molto
più polposi e saporiti di quelli che vendevano
nello spaccio del paese. La vecchia non riusciva a
pensare nulla da dire, ma il marito non si aspettava
che lo facesse: sollevò il viso e le
restituì uno sguardo insolito, quasi
affettuoso, con quei suoi occhi acquosi, affogati
nella fitta rete delle rughe che gli solcavano il
volto come ferite.
- «Sei stata
una brava moglie in tutti questi... quanti sono
stati?... cinquantadue anni. Ricordi quando sono
venuto a chiedere la tua mano?» lo ricordava
eccome, imbalsamato nel vestito comprato per
l'occasione, i capelli lucidi di brillantina e i baffi
tirati a cera «Non riuscivo a spiccicare una
parola per la paura che mi avresti respinto. Non l'hai
fatto, ma la paura non mi è passata neanche
dopo. Mi chiedevo cosa ci trovassi in uno come me: eri
così bella che potevi sperare di meglio...
magari di trovare uno del continente coi soldi; ma non
ti sei mai lamentata. Io però ho sempre pensato
che mi avresti lasciato, se non ci fossero stati i
figli».
- Ora la donna non
sarebbe riuscita a parlare neppure se l'avesse voluto,
sgomenta com'era. Che gli aveva preso al vecchio?,
continuava a chiedersi, dove voleva andare a parare?
Con un gesto automatico, tanto per fare qualcosa, si
chiuse i lembi della vestaglia sulle gambe risecchite,
seguendo distrattamente le linee bluastre che vi si
ramificavano come le venature delle foglie. E pensare
che quando era giovane quelle gambe avevano fatto
girare la testa a tanti uomini!
- «I figli...
so bene quanto li hai amati. Te li tenevi stretti come
una lupa che difende i suoi cuccioli, ma non sei
riuscita a conservarteli. Quando i primi due morirono,
pensai che saresti morta anche tu».
- Il vecchio vide
gli occhi della moglie spalancarsi prima e poi
riempirsi di lacrime e udì chiaramente il
singulto che le strozzò la gola, ma
proseguì senza badarci: nessuno sarebbe
riuscito a fermarlo prima che avesse detto ciò
che doveva dirle.
- «Quelli che
sono venuti dopo ti hanno salvato prima dalla pazzia e
poi dalla solitudine. Ma li hai cresciuti nell'ombra
dei due morticini e non potevano fare altro che
scappare, per non morire anche loro. Avrei voluto
fartelo capire, ma li consideravi cosa tua e non
avresti mai accettato la mia ingerenza. Eppure li ho
amati anch'io, anche se non sono mai riuscito a
dirglielo. Come non l'ho mai detto a te. Ed è
proprio questo che dovevo fare: dirti quanto ti ho
voluto bene. Sì, ti ho voluto un bene forse
troppo schivo... magari avresti preferito che fossi
più espansivo. Ma te ne ho voluto davvero
tanto, anche se non ho mai trovato i gesti e le parole
per esprimerlo».
- La donna non resse
più. Prima che il pianto che si sentiva salire
in gola le uscisse dagli occhi, si alzò
così bruscamente da far cadere la sedia e corse
verso la camera da letto. Si sbatté la porta
alle spalle, per impedire al marito di seguirla, e
cercò con rabbia il fazzoletto nella tasca
della vestaglia. Che gli era preso al vecchio?
Perché aveva voluto rimestare nella palude dei
ricordi, che lei aveva così accuratamente
sepolti in un angolo remoto del cuore? E poi tutte
quelle sciocchezze sul bene che le voleva... che senso
avevano?
- Fu allora che lo
vide. L'uomo giaceva nella sua metà del letto
nella stessa identica posizione in cui l'aveva
lasciato quando si era alzata per andare a farsi il
caffè, perfettamente immobile, troppo
immobile... Si cacciò il fazzoletto in bocca
per non urlare e si lasciò cadere in ginocchio
accanto a lui, dando libero sfogo al
pianto.
Anna Rastrelli
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