- L'uomo
grasso
-
- Oreg viveva solo.
Pagava l'affitto di un piccolo monolocale al terzo
piano di un vecchio palazzo, nel quartiere popolare di
Sharp Rock. una zona non troppo movimentata e tutto
sommato abbastanza tranquilla.
- All'incrocio tra
St. Agostin Street e la via principale c'era il
negozietto di frutta e verdura di Ben. Non erano molti
i clienti che vi si rifornivano, ma non mancavano mai
quei pochi e fedeli abitudinari come la signorina con
tacchi a spillo e immancabili occhiali da sole che
passava regolarmente ogni mattina, non dopo le 8. Era
magrissima. Oreg non conosceva Ben, né la magra
ragazza della mattina, né tantomeno gli altri
pochi clienti, ma da sempre osservava dalla finestra
del bagno il Ben's Store e i suoi avventori. Allo
stesso modo le mattine si metteva alla finestra del
cucinino e guardava la vecchia scuola: alle otto i
bambini entravano, alle 10.15 uscivano per la
ricreazione, alle 13 tornavano alle loro
case.
- Poi c'era la
finestrella della camera da letto, che dava su un
vicolo cieco: una via stretta e buia, chiusa tra due
alti e vecchi palazzi. Qui di giorno i barboni si
aggiravano tra i bidoni dell'immondizia alla ricerca
di chissà quali tesori. Di notte solo i grossi
gatti randagi animavano il luogo con i loro miagolii e
le loro zuffe.
- Erano, quelle
finestrelle, gli unici punti di contatto tra Oreg e il
mondo esterno. Dal bagno l'incrocio delle due strade
con il negozio di Ben; dalla cucina la scuola; dalla
camera da letto il vicolo cieco.
- Oreg era un uomo
solitario e riservato, e piuttosto grasso. Diciamo
pure molto grasso. Non amava la compagnia della gente
e l'unica persona con la quale scambiava qualche
forzata parola era, per una volta al mese, il
fattorino della spesa.
- Da sempre quel
ragazzo (ma era poi sempre lo stesso?) saliva ogni
mattina al terzo piano e lasciava fuori dalla porta
dell'appartamento di Oreg un sacchetto di carta. Nel
sacchetto c'erano sempre 4 pagnottelle di pane, una
vaschetta d'alluminio con qualche unto prodotto di
rosticceria, un contenitore con dell'insalata russa,
un tubetto di maionese, lattine o bottigliette di
bibite varie, confezioni di caramelle.
- In questo modo Oreg
aveva ogni giorno il suo pranzo e la sua cena. Solo
l'ultimo giorno del mese il ragazzo bussava alla
porta, Oreg apriva con il denaro già pronto in
mano e, ritirato il conto consegnava, al giovane la
somma dovuta. L'istinto di chiudere la porta
all'istante era sempre forte, ma ogni volta il ragazzo
attaccava con le solite domande: chiedeva a Oreg se il
servizio continuava ad essere di suo gradimento, cosa
avrebbe dovuto portare la volta successiva, se andava
bene che passasse come sempre alla fine del mese per
il pagamento e formalità di questo
genere.
- In pochi istanti,
con risposte secche e precise, Oreg lo liquidava e,
rinchiusa la porta, se ne tornava alla sua lorda
poltrona nel mezzo di quella stanza di cinque metri
quadri che fungeva da soggiorno, tra lattine vuote e
piatti di plastica che per giorni avevano colato olio
ora rappreso sul pavimento.
- Amava le persone,
Oreg, ma le amava a distanza: adorava osservarle dal
suo nascondiglio, ma non ne sopportava la vicinanza.
Per questo le sue giornate trascorrevano tra una
finestra e l'altra, tra i barboni del vicolo cieco, i
bambini della scuola e i clienti del Ben's Store. Oreg
scrutava ogni persona con la medesima intensità
e con immutata dedizione, senza privilegiare o
preferire nessuno in particolare. Per tutti aveva
pronta una storia, un nome, spesso anche un
destino.
- Prendiamo Claude,
ad esempio. Era uno dei tanti straccioni che si
aggiravano nel vicolo cieco, e Oreg aveva stabilito
che quello era il suo nome. Aveva poi deciso che
Claude era nato in una qualche grande città
della Francia, all'interno di una famiglia importante
e molto agiata. In seguito al fallimento di un amore,
efficacemente ostacolato proprio dalla sua famiglia,
Claude era diventato pazzo ed era fuggito di casa.
Eccolo quindi lì, dopo chissà quante e
quali peripezie, a frugare e dormire tra i bidoni,
sotto la finestra della camera da letto di Oreg, da
dove lui l'aveva osservato per mesi, forse anni. Ne
aveva inventato il passato e aveva fantasticamente
concluso che un giorno la morte l'avrebbe sicuramente
colto proprio in quel vicolo che ora gli faceva da
casa.
- Una mattina gli
operatori della nettezza urbana avevano trovato il
corpo del pover'uomo, ormai senza vita (infarto?),
riverso tra lattine di birra e bucce di patata. Oreg
non aveva visto l'ambulanza che portava via il
cadavere, e neppure aveva letto i giornali del giorno
dopo. La prima pagina riportava a caratteri cubitali
la notizia del ritrovamento, dopo anni dalla
misteriosa scomparsa, del corpo purtroppo esanime di
Claude-Frederique Girard, figlio di un noto
industriale francese.
- E la magrissima
signorina che tutte le mattine faceva un po' di spesa
al Ben's Store? Si chiamava veramente Lavinia, proprio
come Oreg l'aveva battezzata. Poi, come lui aveva
deciso, lavorava in qualità di commessa in un
piccolo negozio di libri. Qui un datore di lavoro
burbero e sfruttatore, coadiuvato da un paio di
colleghe che sembravano i cloni delle sorellastre di
cenerentola, la costringeva alle più misere
fatiche e umiliazioni. E Lavinia resisteva, non avendo
il coraggio di ribellarsi e di imporre le sue giuste
ragioni. Oreg la vedeva così: debole e incapace
di difendersi, e proprio in questo modo la povera
ragazza viveva.
- E di storie come
queste ce n'erano state e continuavano ad essercene a
bizzeffe. Oreg osservava le persone, attribuiva loro
nomi e generalità, poi per ognuno ideava storie
e vicissitudini di tutti i tipi. Oreg si limitava a
questo, e non sapeva che ogni storia e ogni nome
inventati da lui per puro diletto e passatempo,
corrispondevano poi sempre a
verità.
- Da un po' di tempo
(qualche settimana? qualche mese?), c'era un nuovo
personaggio nelle storie di Oreg. Dalla finestra della
vecchia cucina, le mattine osservava la scuola . tra
le frotte di scolari che andavano e venivano, soli o
accompagnati, aveva notato una bambina. Minuta,
capelli neri sempre legati con un fiocco giallo.
Dolores. Viveva in una casetta di periferia, la
piccola Dolores. Un'abitazione modesta, ma in fin dei
conti di tutto rispetto. Il papà impiegato alle
poste, la mamma sarta, il fratello maggiore
apprendista meccanico nell'officina dello zio. Un
quadretto felice. Una famiglia serena.
- Così
fantasticava Oreg, e ogni giorno scrutava il gruppo
compatto di bambini che attraversavano il cortile
della scuola, fino a che non scorgeva quel nastro
giallo, quella bambina timida e piccina.
- Poi
l'illuminazione. ... la famigliola felice... Doveva
succedere qualcosa.
- Il fattorino era
passato da poco. Oreg aveva raccolto il sacchetto
delle vivande lasciato dal ragazzo fuori della porta
e, seduto nella sua sozza poltrona, sgranocchiava
coscette fritte di pollo e pensava a Dolores. Ecco, la
scuola era finita e la piccola tornava verso casa,
ma... incontrava qualcuno? ... Sì, bussava a
quella porta..; No: perché avrebbe dovuto
farlo? ... Una porta socchiusa, piuttosto:
curiosità di bambina. E dietro quella porta
qualcosa, qualcuno di terribile... e la
fine.
- Oreg fantasticava
sempre, nella sua solitudine. Guardava la gente,
inventava delle storie, e non sapeva che queste
diventavano realtà. Ancora non lo sapeva.
- Lo sbattere della
finestra lo destò dai suoi pensieri. Una
corrente d'aria: la porta non si era chiusa bene.
Davanti a lui una bambina: capelli neri e un fiocco
giallo in testa.
|