Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Davide Roccetti
Con questo racconto ha vinto il sesto premio ex aequo del concorso Marguerite Yourcenar 2003, sezione narrativa

LA COSCIENZA DEI TRONCHI NODOSI
 
Solo quando ci guarderemo indietro e riusciremo a sorridere senza amarezza potremo dormire il sonno giusto.
Andrea ne era convinto ormai da anni ma l'aver trovato le parole che definivano il suo stato gli dava una certa soddisfazione.
Amava le parole, ci si perdeva per costruire le sue convinzioni, altre non riusciva a crearsene, quelle che l'avrebbero fatto vivere sul serio, le boe cui aggrapparsi per non affogare. Così, anche constatare di aver pensato la parola definire l'aveva perso, definire, rendere definitivo, il suo stato allora era definitivo, senza oltre, senza spazio al di là. Ancora si convinse che l'unica via era tenersi stretta la disperazione come unica speranza, e rise dell'ossimoro, almeno rise.
Il momento in cui Andrea rideva era di tanti anni fa, lo sappiamo, ma solo adesso ne possiamo parlare, c'è un momento giusto, così giusto da essere necessario, per dire, non solo parlare, dire, soltanto adesso possiamo raccontare quel pomeriggio che Andrea rise, di lacrime non aveva più.
Il venti maggio del 1979 Andrea uscì di casa subito dopo il pranzo, sicuro, e bello. La pelle calda di tutte le primavere, l'anima calda dell'amore, già non ricordava le notti della paura, le notti del dolore, già dimenticava la tristezza, se mai si dimentica, no, non per sempre.
Andrea andava da Alessandra, è bello, si diceva, il pomeriggio di maggio, è bello, si diceva, il sangue buono che scorre adesso nel cuore cervello spirito o chissà altro, niente parole, oggi.
Si incontrarono alla fine del sentiero che tagliava i campi dalla strada al lago. Gli ulivi non erano tristi quel pomeriggio di maggio, solo pensosi, e Andrea , adesso possiamo dirlo, adesso è il momento, Andrea avrebbe dovuto chiedersi perché, magari chiederlo a loro, parli ad un ulivo e ti risponde chi hai dentro, sicuro. Avrebbe dovuto, peccato che la vita sia fatta di indicativi, il condizionale è di altre realtà.
Si volle, da più parti, tutti i casi e tutte le fortune decisero, si volle l'odore di un pomeriggio di maggio perso nella campagna per distrarre Andrea. Si scelse, da più parti, i buoni e i cattivi decisero, il sole arancione, il cielo, proprio come deve essere, celeste, la collina doveva stingere la terra scura nel verde del lago, senza dire del canneto, che canta coi suoi pennacchi mossi dal vento del venti maggio 1979.
Alessandra era già là, sdraiata, ma lei sembrava un po' sospesa, non siamo tutti uguali, le parole sono meno dei nostri pensieri, lei era sospesa, ecco, sulla breve lingua d'erba tra il grano e le canne, era suo quel verde, lo diceva sempre, quasi preoccupata.
Non sorrideva, Andrea già piangeva, perché lei non sorrideva, il sangue era denso adesso, non sapeva scorrere, mani e piedi freddi, freddo nei pensieri.
Adesso possiamo dirlo, possiamo raccontare la pena. Adesso è il momento necessario, di parlare del dolore che vinse, dei sogni malati che decisero che quella sarebbe stata la vita di Andrea.
Alessandra parlava, se mai fosse veramente lei, che voce era quella, cos'era quella serietà, non così avevano promesso, non così l'aspettava tutti i giorni.
Alessandra parlava, di cosa, non capiva.
Pochi minuti e Andrea aveva già smesso di ascoltarla. Si sentiva spettatore di un altro se stesso che rifletteva, si osservava e gli arrivavano le parole di Alessandra, senza distoglierlo.
Si immaginò su una poltrona a teatro, sulla scena, ancora lui, recitava la sua parte, non sapeva dare spessore, dicevano voci critiche esterne, ma lui sapeva che spessore c'era in quel sogno di vita, lui che pensava di saper essere solo naturale, sì, naturale, come se fosse naturale allontanarsi così dalla vita che credeva giusta per sé.
Alessandra parlava, di cosa, non capiva, e Andrea si incamminò. No, non se ne andò, non sapeva lasciare Alessandra sola sull'erba, ma sapeva nascondersi, se non ai suoi occhi, alla vista di occhi d'anima, quelli che vedono i desideri, i desideri di Alessandra ora non sapevano e Andrea si incamminò lungo la sua strada, quella del suo sangue, la sola che gli permettesse di sperare in una salvezza.
Lungo la strada incontrò presto Urbani.
Tipico, Urbani. Non gli riuscì di trovare altre parole per descriverlo.
Era un pescatore, doveva essere un po' basso, tarchiato, era un pescatore, doveva essere abbronzato, non poteva non avere la pelle provata dal sole e dal sale, sono poche le vocali per continuare il gioco, sono pochi i minuti per rimediare al danno di un silenzio, pochi gli anni per fuggire.
Urbani era un simbolo. Ci perdoni l'uomo, diamo sempre un senso ad un uomo e dimentichiamo che l'unico significato è quello di essere, il resto è arbitrio, decisione di chi guarda, di chi scrive, cosa pensa l'uomo che guardiamo, cosa pensava Urbani che sorrideva come sa sorridere un pescatore, che sorrideva come solo un bambino sa vedere un sorriso, cosa pensava, chi scrive e guarda non può saperlo, ma adesso possiamo parlarne, adesso è il momento di raccontare il maggio di Andrea, no, non era francese, ma le disgrazie ci furono, adesso possiamo dirlo. Simbolo di un periodo della sua vita, di molte delle radici della sua vita, Urbani lo incontrò per strada, gli sorrideva come aveva fatto sempre, e nella luce buona dei suoi occhi si abbandonò per un attimo al calore di quegli anni.
Era di mattina presto, forse luglio; quelle mattine in cui una voce non ci sveglia, ci porta solo in un altro sogno; quelle mattine in cui il futuro prossimo, di più, imminente, è l'unica vita che conosciamo e la pienezza di questa coscienza basta ad aver fede.
Dieci anni, il mare, quello stesso mare che sempre aveva guardato ma nel quale non era ancora entrato; la barca, le nasse, gli oggetti che lo avevano riempito in ore, giorni di curiosità, timidezza di sapere e amore.
Oggetti che erano, in quel momento, da usare, senza perché, senza domande.
Non trovava immagini nette di quella mattina; solo le suggestioni di una atmosfera sopravvivono al tempo, viziate.
Ma la strada era lunga, si rialzò. Già stanco.
Alessandra parlava. Parlava sempre, sempre, quando anche il mai è troppo, e lei sempre.
Anche il sole se ne vergognava e cominciò a scivolare via, facile dire che stesse tramontando, no, il venti maggio del 1979 il sole ebbe paura e scivolò via.
Quando il giallo scurisce e si fonde nel nero delle ombre lunghe, quando si gira lo sguardo e ci si accorge che l'acqua del lago è fredda, si riconosce l'acqua fredda, quando cerchiamo un corpo per scaldarci, non per sudare ancora, è ora, di lasciare, di fuggire, di tacere, l'ultima parola è quella che vale, stiamo attenti all'ultima, non c'è ritorno, è ora di andare a casa, la cena è pronta, sarebbe meglio rimandare, sarebbe meglio inventare un finale tutto nostro, sarebbe meglio, ma non c'è mai un condizionale a disposizione, quelli stanno in altri mondi, in questo si vive di indicativi, Andrea non fuggì, Alessandra continuò a parlare. Adesso possiamo dirlo, adesso; ci vogliono anni per dire che il sole fugge.
Si sistemò meglio sull'erba, come si fa ad essere tragici se si sta scomodi, tragico, chissà mai perché gli venne in mente, stava solo passeggiando, Alessandra parlava, Andrea si era perso.
Salutato da poco Urbani, in fondo era morto, appunto, si potrebbe dire, i morti ce li abbiamo dentro, ma gli riuscì di salutarlo, quando si accorse di non riconoscere la strada.
Da più parti si volle, decisero il caso e la disperazione, tutti i venti portarono Andrea, ché il pensiero è Andrea, nel sogno.
Ancora una volta smarrì la strada del ragionamento, del ricordo, almeno, il ricordo a volte non è invenzione pura, è stato vero, un tempo, è credibile, a volte; ma smarrì anche quello, solo Urbani aveva resistito, ma non c'era più, ora, ancora più morto, la biologia non conta nella vita, i fantasmi si ripresentarono, forti, Andrea sentì freddo, si strinse a se stesso, le ombre non erano più lunghe, non ne avevano bisogno, c'era una sola ombra, e da quella si arrampicava la voce di Alessandra, Alessandra parlava, da un'ora ormai parlava, Andrea si scosse, un attimo, ma insomma, sognò, cosa sta dicendo da un'ora.
Stava appunto pensando di interromperla, voleva capire, adesso possiamo dirlo, siamo testimoni che Andrea voleva capire. Ma da più parti, gli ottoni di Mesecina e le lacrime decisero, da più parti si volle il ritorno della musica per perderlo ancora.
Prima che la musica gli rubasse il respiro riuscì a cogliere qualche parola, stanchezza, appiattimento, libertà. Peccato che fosse già buio, peccato che l'unica luce fosse quella, sdegnosa, di mezza luna, tutta sarebbe stata troppo bella. Sarebbero bastate due ore, due ore prima avrebbe potuto guardare Alessandra che si lasciava sfuggire quelle parole, se mai fosse veramente lei, che voce era quella, cos'era quella serietà, non così avevano promesso, non così l'aspettava tutti i giorni. Due ore prima, con la luce, forse avrebbe potuto rispondere.
Ma era buio ormai, la voce gli arrivava da luoghi che non conosceva, gli ulivi nascosti non potevano aiutarlo, non poteva riprendere fiato nell'acqua verde, non distingueva i pennacchi; le parole che lo colpirono le sentiva appartenenti al buio, come rispondere al nero della campagna di maggio, come rispondere ai suoni di un canneto già invecchiato, la biologia non conta nella vita, nascita e morte sono solo di chi scrive, di chi guarda, di Andrea che nel buio sentiva Alessandra parlare di una nuova vita, senza di lui, chissà chi decise, chissà chi ci si agita dentro per farci dire addio, a noi stessi, in fondo, chissà a che disgrazie andremo incontro, e disgrazie ci furono.
I rovi, le more ancora verdi, si mossero, rumorosi. O forse no, il rumore fu lieve ma gli uomini sono sempre pronti a tremare, un'emozione ci fa sentire vivi, quando non ne siamo capaci ce la inventiamo, si vive aggrappati ai condizionali, e ai rumori di una notte sbagliata, saremmo dovuti fuggire prima, quando le ombre erano corte, e la cena calda, le nonne sanno quando deve essere pronta la cena, le nonne sanno tutto, siamo noi che non conosciamo le nonne, siamo noi distratti, siamo noi, vittime delle vocali, distrutti.
I rovi si mossero, rumorosi, ormai ci crediamo, Alessandra ebbe un fremito, è il freddo, disse, Andrea sorrise che già piangeva, adesso possiamo dirlo, adesso è il momento di raccontare di quella volta che Andrea sorrise, con tutta l'amarezza dei ricordi, e abbracciò Alessandra, rigida, abbracciò Andrea, morto, e diede un'ultima occhiata al di là del buio, sulla strada su cui si era perduto poco prima, e abbracciò Urbani.
Sapeva di sale, e di sole, sapeva di mare, sorrideva come solo lui sapeva, e Andrea sentì la ferita di tutte le assenze, sentì la pena di tutte le parole non dette, sentì l'amore struggente e lacerante per le anime incontrate che gli scivolavano tra le dita.
Non avendo altro abbracciò Urbani, e lo strinse forte per paura di perderlo, Urbani, l'uomo, non il simbolo.
Il venti maggio del 1979 la campagna entrò negli occhi di Andrea, la biologia, che pure, l'abbiamo detto, non conta, si prese la sua rivincita. Adesso possiamo dirlo. Ci vuole un pomeriggio, tardo pomeriggio, possibilmente di ottobre, proprio come adesso, ci vogliono foglie rosse, il sangue deve pure poter uscire, si stanca di scavarci dentro, foglie per farlo riposare, foglie rosse. Ci vuole, allora, un pomeriggio di ottobre, ci vogliono anni per svezzare il ricordo. Adesso la memoria è libera, siamo noi figli della memoria, come figlie nostre sono le nonne, che sanno tutto, se solo sapessero come parlarci, prima, prima che la cena si freddi, non quando sono morte.
Sono passati ventiquattro anni.
I bambini nati allora hanno avuto il tempo di stancarsi, gli sposi di allora hanno avuto il tempo di ferirsi, i vecchi di dimenticarsi, i cani di morire.
Oggi è il quattordici di ottobre, abbiamo controllato il colore delle foglie, abbiamo controllato con cura l'intensità della penombra, sì, è tardo pomeriggio. E' giusto, allora, adesso è il momento. E Dio oggi non si arrabbierà. Oggi no, oggi nessun dio si offenderà se racconteremo l'intimità di un'anima. Se possiamo addormentarci all'ombra di un ulivo per respirare la coscienza di tronchi sofferenti, se possiamo mangiare l'arancione dei cachi per pulirci la bocca dagli incubi della terra nera e grassa, allora possiamo anche raccontare la morte, o almeno una morte, dell'anima di Andrea, non la rubiamo a Dio, ce ne prenderemo cura per un po', tanto alla fine chissà dove andrà, alla fine non pensiamoci ora, un qualche dio ci avvertirà del momento, magari bisognerà anche ringraziarlo.
Alessandra restava ferma, si lasciava abbracciare e anche se voleva solo che Andrea se ne andasse non riusciva a staccarlo, il corpo non rispondeva, il corpo sa decidere, c'è il sangue nel corpo, chissà che non sia proprio il corpo l'anima.
Ci fu un momento, un solo lunghissimo momento in cui la campagna, Andrea questo vide, tutta la campagna divenne la sua vita. Tutto quello che lo circondava, quanto è grande la campagna a maggio, quanto è forte la campagna nella notte del venti maggio millenovecentosettantanove, tutta la vita che gli respirava attorno, respiro da nonna che dorme, divenne la sua vita.
E Andrea ebbe la sventura di rivedere tutta la sua vita.
Un attimo dopo dovette decidere. Poco tempo, il respiro cominciava a svanire, poco tempo già morente per scegliere tra la realtà e la pazzia.
Seppe scegliere la realtà, o forse la pazzia lo spaventò, e abbandonò l'abbraccio.
Alessandra ebbe un brivido di nuovo, è il freddo disse, ma noi sappiamo che tremò per scrollarsi di dosso il sollievo macchiato di stupore e nostalgia.
Si guardarono a lungo, e non aveva più senso. Adesso, con un po' di vergogna, possiamo dirlo. Gli occhi, è vero, si incrociavano ma non trovavano più le anime. Non è vero che la biologia non conta, abbiamo mentito, l'abbiamo fatto tante volte, la biologia è forte, si guardavano solo per una propensione dei nervi, non si vedevano, in una notte di maggio se non guardi il cuore di qualcuno non vedi nulla, Andrea e Alessandra non c'erano più l'uno all'altra.
Andrea si alzò faticosamente, addosso tutta la stanchezza della strada di sogni che aveva percorso, la stanchezza della voce che gli entrava dentro senza senso, la fatica di parlare con Urbani. In quel momento, niente è più inopportuno della memoria, peggio se confusa, gli venne in mente la malattia di Urbani.
Venire in mente, ancora si distrasse con le parole, è vero, non siamo noi che ricordiamo, è il passato che viene, il passato che ha vita propria, il passato di cui ognuno di noi è figliol prodigo, il passato che si addormenta tra le rughe delle nonne, ma dorme con un occhio solo.
La malattia di Urbani era stata solo una notizia, una notizia inutile, Urbani era già morto, chissà se ha ringraziato. Ma Andrea era piccolo, aveva sognato troppi pochi anni per vedere le immagini che sentiva raccontarsi, non vide più Urbani.
Ora però non vedeva Alessandra e immaginò la malattia. Immaginò il pescatore a letto, il cancro al cervello, dicevamo che la biologia non conta, abbiamo mentito, l'abbiamo fatto tante volte. Vide il sorrise dell'uomo che si spegneva, no, non può andare così, vide l'uomo che si spegneva, il sorriso non poteva morire, il sorriso resta, il sorriso che fa vedere i denti, il sorriso morde per sempre.
Andrea rifiutò la seduzione della pazzia, Andrea scelse la lucidità, la realtà.
Adesso possiamo dirlo. Adesso siamo liberi, possiamo raccontare di quando, da più parti si volle, forse gli ulivi, o i cachi, decisero che Andrea scegliesse la lucidità.
Accarezzò la bocca di Alessandra, aperta, paura e meraviglia fanno aprire la bocca e chiudono la gola, illudono e imprigionano le parole, e chi dice che la biologia non conta, accarezzò gli occhi di Alessandra, occhi costretti a chiudersi, occhi d'anima che s'arrende perché ha già vinto.
Poi la lucidità si annebbiò di curiosità, di che colore sarà l'anima che vola via, rossa di disperazione, blu di incoscienza, verde di fedele speranza?
Chissà se Alessandra ringrazierà, quale dio ringrazierà per averla avvertita del momento.
Curiosità di bambino, imbarazzante, o da piccolo uomo disgraziato. E disgrazie ci furono.
Avrebbe dovuto chiedersi Andrea perché gli ulivi fossero pensosi. Avrebbe dovuto mangiare l'oliva acerba e correre via, a sputare l'anima amara di chi non è ancora pronto per noi, a sputare il destino di sventura. Gli andò incontro invece, non lo riconobbe mascherato da pennacchio di canna, corse da Alessandra, non seppe più parlare e, finalmente, scelse la realtà, inorridito dalla violenza della follia, scelse la lucidità.
Nella sua realtà sapeva che Alessandra stava male, aveva assorbito il suo dolore, e sapeva come salvarla dalla malattia. Non c'era altro rimedio, nella sua realtà, non c'era soluzione diversa, nella sua lucidità, che uccidere il dolore.
E' un peccato, questo pensò, adesso possiamo dirlo, ventiquattro anni ci hanno resi liberi, a volte ci hanno ucciso, ma la biologia non conta, perdonateci ancora. E' un peccato che il dolore sia lo spirito del corpo, è un vero peccato che non si possa uccidere la disperazione e salvare il corpo, questo pensò.
Scostò le mani dagli occhi di Alessandra e le fece scivolare sul collo. Sorrise, anche, ed era il sorriso del dio che avverte del momento. Chissà se Alessandra ha ringraziato.
Oggi è il quattordici ottobre; abbiamo raccontato il pomeriggio che Andrea rise, ché di lacrime non ne aveva più.
Chissà poi perché l'abbiamo fatto, a cosa serve oggi il funerale di un'anima morta ventiquattr'anni fa, a cosa serve a chi scrive, e a chi legge, sapere che Andrea scelse la lucidità.
Forse l'abbiamo fatto per Andrea, che oggi è tornato a guardare i pennacchi, è tornato a cercare Urbani nel verde di uno stagno; per spiegargli che le nonne sanno tutto, e la cena calda è amore.
Forse l'abbiamo fatto perché Andrea ha perso la ragione, ora, e la cerca tra le crepe della nostra corteccia.
Forse l'abbiamo fatto per ricordargli che si sarebbe dovuto chiedere perché eravamo pensosi quel pomeriggio del venti maggio 1979.
 

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Ins. 21-10-2003