- CREPUSCOLO
- L'Eremita
staccò le mani grinzose che teneva congiunte e
smise l'impercettibile movimento delle labbra con cui
accompagnava la preghiera. Alzò il capo verso
l'entrata della grotta da cui era giunto il rumore, il
quale aveva interrotto il silenzio, che riempiva
l'intera vallata, ancora illuminata dalla luce del
tramonto proveniente da dietro le spoglie pareti
rocciose della montagna innanzi all'eremo. Il vecchio
frate vide allora un giovane che si appoggiava alla
roccia e lo guardava, tenendo accanto a sé un
fucile: era poco più di un ragazzo, ma il volto
arso dal sole e stracciato dai graffi dei rovi, il
corpo spossato coperto di poveri vestiti madidi di
sudore e sangue, parevano sopportare il peso
dell'eternità. L'Eremita non aveva ancora
distinto se egli fosse un essere reale o creato dalla
sua mente ingannata dalla solitudine, che il giovane
crollò a terra. Il vecchio si alzò e
corse verso il ferito che non emetteva un gemito,
stava con gli occhi spalancati, velati di lacrime e
fissava la montagna davanti a sé, quasi che
volesse in quell'attimo abbracciarne con lo sguardo
tutta la maestosità degli imponenti strapiombi
come mura titaniche, la bellezza dei folti boschi
uniformi, la delicatezza dei bianchi villaggi dei
pastori posti in lontananza sui fianchi azzurri
intorno ai campanili a punta, da cui riecheggiavano i
rintocchi del vespro. L'Eremita baciò il tao di
legno che portava al collo e si chinò sul
giovane: il respiro affannoso indicava che non era
morto, ma aveva un fianco lacerato dal fuoco e dal
piombo di una fucilata, e doveva aver camminato molto
perché il sangue gli ricopriva l'intero corpo.
"Confessami" disse senza staccare lo sguardo dai
crinali cerulei "Confessami perché non voglio
morire come sono vissuto, come una pecora dispersa dal
gregge che in quei boschi viene braccata e sgozzata
dai lupi." Il frate avrebbe voluto dire che da anni
egli non poteva più confessare, che era
scappato dal mondo intero rifugiandosi lassù
anche per questo, ma capì che il giovane non
poteva sentirlo: era la sua anima a parlare, e con lo
sguardo perso su quelle rocce solitarie non vedeva
altro che l'immensità della montagna e la sua
pace. "Sono un diavolo. Da bambino sentivo raccontare
dai vecchi delle storie: dicevano di aver visto i
diavoli per le strade solitarie, nottetempo, per
carpire le anime dei dannati. Non era vero, i diavoli
sono solo uomini come me: io lo sono diventato
perché ho tolto la vita a degli innocenti come
se fossero degli animali. E mentre lo facevo non
vedevo più nulla, se non quel rosso intenso,
tanta era la rabbia che mi accecava. I molti anni
passati non avevano cancellato l'odio e la rabbia. Ho
versato altro sangue perché avevo visto
scorrere quello di mio padre. Perciò ho ucciso:
per lavare con il sangue dell'assassino il suo sangue
che, da allora, ho rivisto tutte le notti, sia che
dormissi nel meriggio sotto la calura estiva, che
infuoca le rocce ed inaridisce i pascoli, sia che mi
rannicchiassi innanzi al fuoco nelle lunghe notti
dell'inverno quando la montagna si ricopre di neve ed
il silenzio avvolge ogni cosa. Ma nemmeno uccidere
è servito a dimenticare. Anche adesso rivedo
mio padre davanti a me. Lo vedo mentre lo conducono
per le strade del paese, ammanettato, coperto di
sputi, circondato dai soldati, ferito ed insultato
dalla stessa folla che pochi giorni prima lo aveva
aiutato ad assaltare i palazzi dei galantuomini.
Nessuno lo seguiva più ora, adesso che il Conte
era tornato con i soldati. Nessuno più lo
seguiva se non io, chiamandolo ogni volta che qualcuno
prendeva a sassate anche me, lui allora si voltava e
mi urlava di andare via. Ma io non lo feci: lo
accompagnai fino alla piazza, che si apre sotto a quel
campanile, che da qui pare solo un ciottolo più
grosso degli altri, laggiù sul fianco a
mezzogiorno della montagna. Accanto a quel campanile
c'è il palazzo del Conte, ed egli stava sul suo
balcone con un ragazzino biondo in braccio, al quale
indicava le ali di pietra della grande statua di San
Michele Arcangelo, che si innalza al centro della
piazza. Proprio su una di quelle ali un soldato
legò la corda a cui impiccarono mio padre. Ho
due ricordi precisi di quel momento: la bellezza di
questa montagna vista da laggiù ed il volto
sofferente di un Lucifero di pietra. Quando vidi
scalciare i suoi piedi nel vuoto corsi verso di lui ed
allora un soldato mi tirò un calcio nello
stomaco: prima di crollare a terra, alzai lo sguardo
proprio verso la montagna illuminata come adesso dalla
luce del tramonto che rende nette e distinte tutte le
chiome degli alberi dei boschi, e pensai "Su quelle
cime, in quella pace, tutto questo male non esiste." E
mentre ero a terra, immobilizzato dal dolore, ai piedi
della statua dell'Arcangelo, guardavo il viso di
Lucifero innanzi a me: per sfuggirti devo andare via,
mi dicevo, lontano da questa gente e da questo odio.
Quella stessa notte partii dal mio paese e non vi sono
più tornato. Da allora sono trascorsi tanti
inverni tutti uguali, quando solo i lupi si aggirano
lungo le pendici e tra i boschi e si deve dormire con
il fucile in mano per difendere le greggi
perché la fame non li fa temere nulla, e tanti
estati sono passate: allora le piante ed i pascoli
germogliano di nuovo, e la sofferenza della stagione
fredda si dimentica presto, perché la bellezza
è tale che ci si chiede come non si può
credere a Dio davanti allo splendore di siffatti
colori che, con il profumo del fieno appena falciato,
il tepore del vento che spira leggero da meridione, ed
il canto ininterrotto degli uccelli che salutano
l'alba di un nuovo giorno, riempiono l'anima di una
gioia immensa. E quella pace che cercavo l'avevo
trovata. Mi bastava aver spinto le pecore su uno dei
pascoli più remoti e solitari, e lasciare che
brucassero placidamente, per stendermi poi all'ombra
di una di quelle querce antiche quanto la stessa
montagna, a guadare il cielo, senza una nuvola,
immenso quanto il mare, che si vede da quassù,
perchè in quel momento in me la rabbia e l'odio
svanissero come la neve che al calore del sole della
primavera lascia il posto all'erba. Avevo creduto che,
come una malattia, quel mio dolore la montagna
l'avesse sanato. Due settimane fa ho scoperto che non
era così. Non s'udiva nulla se non lo strofinio
del panno di cotone con cui lucidavo le canne di
questa doppietta, un suono ritmico che riecheggiava
per una stretta valle che si apre lontano da ogni
sentiero, quando il vento, cambiando direzione, mi
fece percepire un chiacchiericcio, proveniente da
oltre un folto gruppo di olmi, dietro ai quali sapevo
che si apriva una larga distesa dall'erba bassa e
soffice. Per non lasciare che si logorasse a terra, mi
caricai il fucile in spalla, e mi arrampicai su delle
rocce bianche e taglianti, fino a quando non vidi
oltre la boscaglia, senza essere scorto. Erano tre
uomini elegantemente vestiti: due anziani, che
fumavano la pipa mentre discorrevano, ed un giovane
biondo. Con loro vi erano anche due donne, una bella
ragazza dalla carnagione candida, che teneva per mano
il giovane, ed una serva che disponeva e serviva le
pietanze sulla tovaglia stesa sul prato. Incuriosito
scivolai lentamente giù dalle rocce e mi
incamminai in silenzio tra i tronchi fino a quando non
distinsi chiaramente le loro parole. Erano felici: si
parlava di un fidanzamento, del giovane biondo con la
ragazza dalla pelle candida, e di un nuovo Re che era
giunto, presso la cui Corte era conosciuto uno dei due
uomini anziani, padre della bella ragazza. Proprio
l'uomo conosciuto a Corte si rivolse all'altro vecchio
che fumava con lui la pipa chiamandolo con quel nome
che tutti al paese conoscevamo anche se nessuno di noi
miserabili lo usava, per noi lui era solo il Conte.
Allora tutto davanti ai miei occhi cambiò.
Erano giunti fin lassù per stapparmi anche la
pace e la tranquillità della mia montagna, dopo
che mi avevano preso tutto con la vita di mio padre:
loro ridevano colmi di allegria, mentre io era stato
costretto a fuggire dal mondo intero per placare la
mia sofferenza. Non li era bastato ricacciarmi tra
questi boschi, rendermi senza una famiglia, senza una
compagnia, come una di quelle rocce che sporgono dai
crinali, solitarie per l'eternità, erano
addirittura arrivati davanti a me per mostrarmi che la
loro vita era piena di gioia, mentre io anche se fossi
stato sbranato dalle bestie, non avrei avuto il pianto
di anima viva. Mi accorsi di averli uccisi tutti solo
perché, finito il riecheggio dei colpi, era
ritornato il silenzio nella valle. Rimanevo unicamente
io, che tremavo con il fucile ancora fumante tra le
mani, e quei corpi immobili: i due giovani non avevano
avuto nemmeno il tempo di sciogliere le loro mani
intrecciate. E' dal momento che li ho visti che sto
fuggendo. La montagna si è riempita di
militari, a piedi ed a cavallo, che hanno marciato
giorno e notte, rimuovendo ogni sasso, battendo anche
i rovi, fino a quando ieri, mentre provavo a calmare,
con un sorso d'acqua da un ruscello, la mia gola
riarsa per la fuga, ho sentito la fucilata che mi ha
colpito e che finalmente sta ponendo termine alla mia
disperazione. Perciò sono venuto da te: prega
per me, non sono malvagio, come non è malvagio
il lupo che sbrana: esso è spinto solo dalla
fame, non dalla cattiveria, il dolore e la rabbia mi
hanno accecato ed ho commesso il male, ma il male non
è in me." L'Eremita sussurrò "La gloria
di Dio penetra in te, come la luce del sole che sta
adesso attraversando i crinali della montagna davanti
a noi. Il male non è nella tua anima, come non
è in nessuna parte del creato: ora pensa solo a
quando eri felice nel momento in cui ti stendevi
sull'erba, nel silenzio, ad osservare
l'immensità del cielo sopra di te, pensa a quel
momento di pace assoluta in cui la montagna ti
stringeva nel suo abbraccio calmo come quello di una
madre. Ecco, lascia che tua anima si perda in quel
mare che si distingue all'orizzonte, svuota la tua
mente dal dolore, rammentando una cosa sola: tutte le
vicende degli uomini, i loro amori, i loro odi, le
loro stesse vite sono nulla innanzi
all'eternità ed all'infinita bellezza di questa
visione innanzi a te". Il respiro affannoso del
giovane era lentamente andato a cessare. L'Eremita
tracciò in aria il segno della croce e
sfiorandogli il volto con la mano gli chiuse le
palpebre.
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