- Fenditure
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Nina ha due bambini e qualche nodo in fondo al cuore.
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La sera torna verso casa sillabando in silenzio. Un
lieve mormorio sulle labbra ed un rumore di fondo nei
pensieri.
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A guardarla sotto le luci della strada, sembrerebbe
che quell'ombra oscilli estranea al ritmo dei suoi
passi affrettati. Ma uno sguardo più accorto
noterebbe quel leggero agitarsi delle mani, che
disegnano lo spazio come farfalle alla vigilia di un
temporale.
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Distinguerebbe, fra lo scompiglio dei capelli, le
attese mutilate e l'ostinazione del
naufrago.
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Nina traccia il diagramma della sua giornata e di
quella appresso. Spera nel riparo di un sogno durante
la notte e nelle piccole mani dei suoi
bambini.
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Nina corre. A volte incespicando sui tacchi, altre
sulle superfici sismiche della vita.
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Mentre corre raccoglie le forze e le immagini
migliori.
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Sorride pensando alle sue mani grandi che la sollevano
dal selciato dissestato della piazza del palio durante
un viaggio lontano. A lui che guardava con tenerezza
le sue mille fantasie. E le distrazioni quotidiane.
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Ripensa a lui che, dopo un po', esigeva l'onore della
vittoria persino dentro le mura domestiche. A lui che
aveva cominciato ad usarla come specchio o come
termine perdente di paragone.
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A lui che se n'è andato via insieme alle vesti
rosse di un fantasma di carne e di febbri ritrovate.
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Nina rovista nel mosaico in frantumi della sua vita.
Ormai conosce la tessera mancante.
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La tessera mancante era già lì, sul
divano che da mesi, ogni sera, ospitava i suoi sonni
improvvisi. Lì, dove lei lo vedeva crollare
sotto un ingorgo di stanchezza &endash; pensava - e di
fatica quotidiana. Gli si sedeva accanto, sul tappeto,
e in silenzio lo guardava dormire. Con un gesto della
mano chiedeva ai bambini di non fare rumore.
Papà ha bisogno di riposare. Guardava quella
pelle bruna che avrebbe voluto ancora sfiorare,
esplorare come un viaggiatore, come un visionario, col
tocco appena accennato delle labbra, con la
curiosità primordiale delle dita.
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Certo non è possibile scrutare
nell'inviolabilità dei sogni che non ci
appartengono. Ma immaginarsi ancora dietro il sipario
di quelle ciglia chiuse sì. Magari ogni
tanto.
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Bisognava poi mettere a letto i bambini. Il tempo per
fantasticare sfumava in dissolvenza.
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Da mesi, ogni sera.
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E poi il bucato. Ogni indumento steso come bandiera
del quotidiano. E poi la colazione e il pranzo del
giorno dopo. Per nutrirli quei suoi tre ometti. Lui
perché non si sentisse trascurato, i bimbi
perché crescessero e gli somigliassero, come
piccoli eredi di un profilo amato.
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E poi di corsa, tutti a dormire, ciascuno nel suo
letto. Tranne papà. Anche lei, con un po' di
pazienza, da sola come su una spiaggia d'inverno. E il
mattino dopo, in piedi, infreddolita da un'altra notte
disabitata, ancora pronta ad inseguire il ritmo di un
nuovo giorno. Accompagnare i bambini a scuola. Andare
a lavorare. Le porte dell'Accademia aperte, per fare
spazio ai giovani allievi. A loro bisogna suscitare
uno sguardo altro, che affiori per accorgersi dei visi
o degli oggetti come fosse la prima volta. Che veda di
più fra il chiaro-scuro dei tratti.
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Ogni giorno a tentare, senza darlo a vedere, di
conciliare la fretta con quello sguardo. Di
mistificare, sapendo che i pensieri corrono senza
sosta.
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Anche lui corre, al mattino presto col suo bisturi
traccia sul ventre dei suoi pazienti il segno della
salvezza.
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Lui lo sa. Quando torna a casa le ricorda delle sue
glorie e delle responsabilità. Le ricorda dei
suoi impegni senza costrutto, trascorsi tra i colori a
spennellare fantasie che non mettono al riparo dal
dolore.
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Anche quando è più di quel che potremmo
sopportare. Sotto la lama impazzita del suo bisturi,
lanciata diritta sulla sua esistenza. Traiettoria
troppo infallibile per essere improvvisa.
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La tessera mancante.
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L'auto di Nina si ferma in mezzo al traffico. L'ora di
punta, all'uscita da scuola. Il bambino accanto. Le
mani abbarbicate al volante, strette per non
precipitare, smunte per il sangue che non può
scorrere dentro la morsa. Gli occhi spalancati sulla
trasparenza del parabrezza, troppo nitido per
nascondere la verità. Nina fissa i contorni a
sorpresa del suo dolore. E, fuori, lì davanti a
lei, naturali come la luce, assumono la linea snella
di una giovane donna. I capelli biondi frastornati dal
vento, le dita di lui fra le ciocche quasi sfiorassero
un nido di pettirossi, l'altra mano a tenerle la vita,
gli occhi con l'espressione dei sogni, la linea del
sorriso come una curva di felicità. Lei muove
passi leggeri accanto a lui, quasi di danza. Gli offre
le perle del suo sorriso come un calice da
bere.
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Nina precipita immobile dentro al perimetro di quella
tessera mancante.
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Il bambino le siede accanto, con un'espressione di
supplica negli occhi. Mamma, sei bellissima, le dice
prendendole la mano.
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Nina non può più fermarsi. Non adesso,
non ancora. Il passato non vuole abbandonarla e le
scaglia addosso i colpi incontenibili della
memoria.
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Nina corre verso casa con una piega amara sulle labbra
ed un moto di stupore fra le dita.
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Corre scansando le buche del lastricato, apertesi in
un istante a tradimento.
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A volte cade. E una nebulosa di corpi opachi le si
chiude sul capo.
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Altre ci prova. Salta la sorpresa di un crepaccio
sognando un'altra vita.
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Nina corre senza segni sulla pelle. Ed una ruga sul
cuore.
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