Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Luca Mulazzani
Con questo racconto ha vinto il ottavo premio del concorso Concorso Letterario Marguerite Yourcenar 2000 sezione narrativa
 
Opera 4° classificata al concorso Città di Melegnano sez. narrativa
 
Tre
 
Tsong-Khapa era fuggito dal Tibet alla fine degli anni Cinquanta, la sua missione consisteva nel portare la parola e gli insegnamenti del Buddha alle barbare popolazioni occidentali. Dopo qualche mese passato in India decise dunque di partire per l'America. Si può intuire che i primi tempi non furono affatto facili, tutto era talmente diverso dalle oniriche terre d'oriente. Gli Stati Uniti erano un paese relativamente giovane, esuberante, pieno di meraviglie e contraddizioni: Tsong-Khapa dovette confrontarsi con nuovi ed inaspettati avversari, con la tecnologia, le tradizioni locali, le recenti teorie scientifiche e le antiche religioni. Sappiamo che la costa pacifica degli Stati Uniti è sempre stata recettiva alle nuove idee e ai cambiamenti ma in quegli anni, se si escludono i personaggi più atipici, ben pochi potevano dire con esattezza cosa fosse il Buddismo.
Inoltre Tsong-Khapa doveva vedersela con problemi più concreti: doveva per esempio guadagnarsi da vivere e doveva imparare una lingua a lui completamente estranea. Forte era la nostalgia di casa... le montagne, i templi sontuosi... ma Tsong-Khapa era giovane e volenteroso, credeva nella sua missione e pian piano riuscì a farsi strada nelle ambiziose città della California.
Fondò la prima comunità a Santa Barbara, poi, grazie anche all'aiuto di altri monaci arrivati dal Tibet, pose i suoi semi a San Francisco, San Diego, Los Angeles... e ogni volta pensava: "In città come queste le radici cristiane devono essere molto profonde, speriamo di trovare un po' di terra vergine per far crescere piante di mango". Ma Tson-Khapa non cercava lo scontro, anzi, gradiva confrontarsi con gli esponenti delle altre dottrine, parlava con preti, rabbini, seguaci dell'Islam, ed era gioioso ogni qualvolta scopriva un aspetto comune fra il Buddismo ed un'altra religione. Non disprezzava neppure le sette più bizzarre che in quei tempi cominciavano a sorgere e che spesso si presentavano come portatrici della spiritualità orientale: in certe occasioni non poteva però trattenere un compassionevole sorriso, e allo stesso modo reagiva quando qualche anziana signora dichiarava che non vi erano differenze fra gli insegnamenti del Buddha e quelle discutibili sette.
Passarono gli anni e in Tsong-Khapa cominciò a maturare l'idea che la sua missione sulla costa occidentale fosse conclusa. Molti altri monaci erano arrivati e molti Americani erano stati istruiti per diffondere a loro volta gli antichi insegnamenti. Era tempo di muoversi, affrontare nuove sfide: il mondo era pieno di inciviltà. Lasciò le onde del Pacifico e attraversò le montagne: prima tappa Las Vegas... anche la città della perdizione aveva i suoi angoli da coltivare. Poi via, sempre più a oriente; la terra dei vecchi cowboy, il Texas... ve lo potete immaginare un texano con il cappello, gli stivali di pelle e la tonaca rossa?
New Orleans, con i suoi misteri, il carnevale e il Vudù; la Virginia, i neri, il kkk. Infine New York: si dice che quando le stravaganti idee della California arrivano a New York allora sono pronte anche per l'Europa. Ma quanti decenni erano passati? Tsong-Khapa non era più un giovincello e quando sbarcò a Palos la sua fama lo aveva preceduto. In Spagna e Francia trovò moltissimi fratelli che già avevano compiuto il loro apostolato e la sua presenza veniva ora richiesta in tutte le comunità, tutti desideravano ascoltare questo anziano monaco, i suoi insegnamenti, ma anche le sue esperienze di vita. Come gli sembrava lontano ormai quell'autunno quando per la prima volta sbarcò in occidente, senza conoscere una lingua e senza sapere cosa fosse un televisore.
Al sorgere del terzo millennio attraversò le Alpi per venire in Italia. Era incuriosito: Roma, la capitale del Cristianesimo...
 
Si trovava in una comunità toscana quando sopraggiunse un gruppetto di giovani desiderosi di conoscere ed accedere al Buddismo. Alcuni lo facevano solo per moda, per distrarsi con qualcosa di diverso e apparentemente misterioso, altri erano lì senza sapere neanche loro esattamente perché. Fra tutti comunque vi era anche chi si presentava con intenzioni più serie e sincere, in particolare tre amici che restarono a lungo a parlare con Tsong-Khapa. Il vecchio monaco rimase favorevolmente colpito dalle parole e dal pensiero dei tre giovani. Volle conoscere molte cose di loro, come vivevano, cosa facevano: cosa li avesse spinti a cercare nel Buddismo la risposta alle loro esigenze.
Tutti dissero che erano stanchi di una vita ipocrita e piena di false soddisfazioni. Dissero che l'occidente si era incamminato su una via grigia, egoista, dove era più importante apparire che essere, la facciata piuttosto che il contenuto. Oramai si era perso il reale senso della vita, si cullavano folli ambiziosi e si dimenticava la reale natura umana, fragile, limitata... Anche i tre amici si sentivano risucchiati da questa spirale, ne venivano giorno dopo giorno catturati ed ingannati: bisognava reagire prima che fosse troppo tardi? Sentivano che c'era ancora la possibilità di tornare indietro e desideravano salvarsi prima dell'inevitabile corruzione.
"Un giorno - raccontò il primo - una mattina di qualche mese fa, stavo seguendo una lezione di fisica. Ero arrivato in fretta e furia, tutto sudato, perché l'aula si trovava in un edificio lontano dal resto del complesso universitario. Comunque ero puntuale: si parlava di relatività... Il professore spiegava austero e sicuro, con voce ferma, i suoi occhi trafiggevano i nostri umili sguardi, la sua mano scriveva decisa, ogni lettera era verità, ogni numero indiscutibile dimostrazione. Mi trovavo tutto impegnato a prendere appunti quando qualcuno bussò alla porta. Ci fu un lungo istante di silenzio, il professore, interrotto nel momento culminante del suo esercizio, rimase in silenzio storcendo la bocca. Poi aprì. Entrò un anziano signore, e intendo veramente anziano, vecchio, apparentemente squallido ed insignificante. "Questi fisici sono così - pensai - a vederli sembrano persone comunissime, finché non si decidono a palare ispirano solo indifferenza". Tutti noi immaginavamo infatti che quel misero vecchietto fosse un grande luminare, un collega del nostro professore venuto da un'altra università, o forse il suo stesso maestro. Aspettavamo ansiosi che si degnasse di presentarsi e comunicare il motivo della visita. Fremevamo. Il nostro professore lo guardava in silenzio, con volto imperscrutabile, non sembrava affatto riconoscerlo e questo aumentava ulteriormente la tensione nell'aula.
Infine l'anziano signore si decise a parlare; eccolo: "Scusate... sapete dirmi... non è qui che si pagano le multe?".
Bastò un istante, la sua voce emozionata, per trasformare il silenzio in un brusio soffocato: non riuscivamo a trattenere risatine e commenti sarcastici, qualcuno era già con le lacrime agli occhi. Quel vecchio non poteva capire, il professore si girò dall'altra parte senza degnarlo di uno sguardo. "Che scena patetica" pensai, lo guardavamo e ridevamo. Alla fine un mio compagno, impietosito (o forse infastidito), decise di farla finita e gli spiegò che la caserma dei vigili era l'edificio accanto".
"Mi trovavo in un ristorante con degli amici - cominciò il secondo giovane - festeggiavamo un compleanno se ricordo bene. La tavolata ovviamente era più che allegra, si mangiava e si beveva a ritmi vorticosi, si scherzava, si facevano discorsi un po' spinti. Io però me ne stavo abbastanza in disparte, non che disdegnassi la compagnia... a due tavoli di distanza sedevano tre ragazze, un paio le conoscevo di vista, erano del posto, ma la terza era un volto nuovo: un volto bellissimo fra l'altro, angelico; non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Fui così indiscreto che alla fine lei se ne accorse, mi guardò e distolse lo sguardo imbarazzata. Anch'io per un attimo abbassai gli occhi, per pudore, subito però ricominciai a guardarla, non di continuo, ogni tanto, per vedere come si comportava. Di tanto in tanto anche lei mi sbirciava ma quando i nostri occhi finivano per incrociarsi era sempre la prima a schernirsi. Sorrideva, poi tornava a studiarmi. Era davvero bellissima, non sto esagerando per rendere più appassionante la storia, un volto perfetto, di quelli che fanno innamorare al primo colpo; e poi come sorrideva! Con una dolcezza e una spontaneità struggenti. Avrei voluti alzarmi e andare da lei: ma cosa potevo dirle? Io non sono mai stato bravo in questo genere di approcci, sono timido, non ho mai idea di come iniziare.
Passarono i minuti e le portate. Infine anche i miei amici si accorsero del mio turbamento. Cercarono invano di scuotermi, scrollarmi di dosso quell'appiccicosa apatia. In un attimo compresero qual era la causa del male: guardarono il tavolo dove sedevano le tre ragazze ed esplosero in una serie di commenti e sarcastici sproloqui. Ma non era cattiveria: tentavano di incoraggiarmi, di suggerire strategie vincenti, parole adatte. Io apprezzavo, ringraziavo, però non era sufficiente. Ogni idea sembrava folle, non riuscivo a staccarmi da quella sedia.
Intanto lei continuava a sbirciarmi, notò il nostro trambusto, il suo tenero sorriso era rivolto alla mia timidezza. Ah, che dolce... che dolce. Gli amici dissero che dovevo bere più vino, ancora di più. Accettai con favore quel consiglio, dovevo uscire dal mio guscio con ogni mezzo, lecito o meno, dovevo risvegliare in me qualche istinto assopito. Non potevo perdere quell'occasione, non me lo sarei mai perdonato: la ragazza dei miei sogni era lì, disponibile, dipendeva solo da me. Un altro bicchiere. Decisi che le avrei parlato intercettandola sulla porta prima che uscisse dal locale; ero fermamente convinto di quella risoluzione, niente e nessuno avrebbero potuto impedirmelo, non sapevo ancora quali parole avrei usato, ma era un problema secondario, l'istinto o forse l'alcol mi avrebbero messo in bocca le sillabe adatte. Fu un'attesa snervante, anche perché le ragazze rallentarono palesemente le ultime fasi della cena, aspettando fino all'ultimo, così immaginai, una mia mossa. "Muovetevi, dai, via - ripetevo fra me - l'appuntamento è sulla porta, non al tavolo, possibile che non l'abbiate ancora capito". Fremevo, morivo ogni minuti di più... anche i miei amici sembrarono sconvolti dalla mia eccitazione frenetica.
Infine il momento arrivò, era inevitabile... ero pronto. Le due amiche si alzarono, si avvicinarono a lei... cosa stavano facendo? La aiutarono... sul nostro tavolo cadde un silenzio soffocante, mi accorsi che non respiravo più... Dio perché? In me non vi fu altro pensiero, né vita. Quella splendida ragazza passò davanti ai miei occhi su una sedia a rotelle, ci guardammo un'ultima volta, ma fui io ad abbassare o sguardo per primo: non dissi niente, non vidi niente, era morto. Lei sorrise amaramente.
"La mia storia mi vede meno coinvolto personalmente - cominciò il terzo amico - ma questo è solo un caso, mi fossi trovato nella situazione di quella folla avrei reagito allo stesso modo. Ero di fretta, dovevo andare a lavorare e con tutta probabilità sarei arrivato in ritardo. Camminavo spedito per la via quando all'angolo notai un grappolo di gente riunita, piuttosto rumorosa ed agitata: se ne stavano tutti vicini in direzione del muro dove erano affisse alcune pubblicità e locandine. Incuriosito tentai di infilarmi tra la gente, ma il passaggio fu meno facile di quanto avevo supposto e mi ritrovai ad ondeggiare in un mare di domande, commenti e confutazioni, fino alla nausea...
"Cosa succede?". Chiede la signora cicciona appena arrivata con me. "Quando e perché?". Gli fa eco un altro. "È incomprensibile". Commenta un terzo. "Ma chi era?". Domanda con insistenza il secondo.
"La signora Berruti".
"No, la signora Chinaglia".
"Mio Dio! Che tragedia!".
"E perché mai?".
"Non lo so, lei sa qualcosa?".
"Pare avesse rubato al suo datore di lavoro, era commessa al negozio di scarpe".
"Che sciocchezza, quella è la signora Berruti".
"Già, la signora Chinaglia ha tradito il marito".
"Con un uomo più giovane di lei sembra".
"Che scandalo, che tragedia!".
"E pensare che il marito è un uomo così buono!".
"Ma aveva dei figli?".
"No per fortuna".
"Io credo fosse incinta dell'amante".
"Ne è sicura?".
"Lo diceva prima qualcuno".
"Allora le vite sono due... che tragedia".
"Ma che? A me dispiace solo per il marito".
"Lei è qui da molto".
"Sicuro, da due ore, non mi sono perso nulla".
"Cos'è l'ultima cosa che ha detto?".
"Ha urlato".
"Sì, ma prima?".
"Ha fatto un volo impressionante, dal settimo piano, sembrava non venire più giù, i vestiti gonfi, i capelli... questa scena me la ricorderò per tutta a vita... è atterrata di schiena, è anche rimbalzata... Dio, guarda che scempio".
"Possibile che non abbia detto niente prima di buttarsi? Dicono sempre qualcosa".
"Che schifo di vita!".
Tsong-Khapa rimase sorpreso da queste testimonianze profonde e dolenti, quasi sconcertato. Disse che anche il Buddha, prima dell'illuminazione, era passato attraverso rivelazioni simili. Solo la traumatica scoperta della nostra fragilità può condurre alla comprensione e alla liberazione, è un cammino lungo e difficoltoso che ci vede sempre soli, molte sono le trappole, gli inganni, le false promesse, molti cadono, sedotti dalle vie larghe e facili. Ma c'è speranza, l'uomo può capire, questa è la missione di Tsong-Khapa.
 
I tre amici si congedarono dall'anziano monaco e ripartirono per Lucca... In macchina si guardarono lungamente negli occhi, poi uno sorrise, era impossibile resistere ancora: bastarono pochi secondi e tutti scoppiarono in una volgare risata, irrefrenabile. Qualcuno cercò di parlare ma subito il riso gli riempiva la bocca. Così fino a sera...
"Com'è che hai concluso? Che schifo ti vita!".
"Bellissima!".
"Altroché Nirvana! Speriamo la reincarnazione esista davvero: potessi viverne tre di vite come questa!".
 
 
p.s. Tsong-Khapa è stata la terza reincarnazione di un grande monaco vissuto fra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo, riformatore del Buddismo tibetano, fondatore della Chiesa gialla e del monastero di Galdhan. A lui si deve il dogma della reincarnazione dei santi e dei bodhisattva.
 
Concorso Marguerite Yourcenar 2000 a sez. narrativa  
 
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agg. 3 novembre 2000