- IL
CERCHIO D'ORO
Quell'anno suo padre aveva deciso di portarlo con
sé in montagna. Aveva scelto come meta la cima
più alta, quella che sovrastava nella sua
imponenza tutte le altre. Si levava alta nel cielo da
qualsiasi angolatura la si volesse rimirare,
costringendo anche gli sguardi più frettolosi a
riconoscere nel rigore delle sue linee una
scenografica regalità. Si ergeva come un nume
indecifrabile, capace di terrificare con le sue bufere
quanto di blandire con il più suadente degli
inviti. Costituiva una presenza incombente per
vastissimo raggio, ben oltre i ridotti confini di
quella vallata in cui lui era nato e in cui viveva,
ultimo erede di una progenie di montanari che
all'ombra di quella montagna avevano condotto la loro
modesta esistenza.
- Questa
esistenza, per quanto ne sapeva, non aveva mai
deragliato da binari di dignità, si trattasse
del lavoro della terra o del pascolo come della caccia
o del contrabbando. In epoche più recenti si
erano aggiunte attività non meno avventurose,
come quella di portatore e guida alpina o come lo sci
di fondo che aveva trovato nella conformazione del
terreno un ambiente particolarmente
favorevole.
- In
quella valle si nasceva per così dire con gli
sci ai piedi. Con gli sci, d'inverno, i ragazzi
raggiungevano la scuola, con gli sci salivano alla
chiesa per la messa domenicale, scatenandosi poi in
fantastiche scivolate che si trasformavano
regolarmente in gare di abilità e
spericolatezza. Quanto a lui, doveva ammettere di non
aver mai amato quelle esibizioni. Fin da quando era
riuscito a reggersi in piedi sul suo primo paio di sci
(due attrezzi indegni di tanto nome che suo fratello
gli aveva ceduto), fin da quel giorno gli era venuto
naturale considerarli come un mezzo più adatto
a lunghe percorrenze orizzontali. Sicché,
quando era giunto il momento di affrontare le prime
modeste competizioni organizzate in ambito scolastico,
non si era tirato indietro.
- Per
lui la neve costituiva l'elemento qualitativamente
misterioso che arricchiva il paesaggio invernale di
una connotazione fiabesca. La prima nevicata della
stagione costituiva sempre un evento che accendeva nel
suo cuore, sin dai primi fiocchi, il senso di
un'attesa, un languore sconosciuto e al tempo
pungente, pervasivo come una deriva che trascina verso
le soglie della felicità. Aveva sgranato i suoi
occhi stupefatti davanti alla prima nevicata e, per
tanti o pochi anni che fossero passati, non si era mai
stancato di quella lucente meraviglia che ogni volta
riproponeva la sua magia. Nella rincorsa delle
stagioni, nel grande gioco della natura che di
continuo si rinnovava, il ritorno della neve
rappresentava ogni volta uno stacco perentorio.
Perché, mentre fiocco su fiocco si andava
addensando sulle realtà minute e familiari,
quelle che circondano e confortano la vita di tutti i
giorni, nello stesso momento chiudeva la porta alle
realtà che stavano oltre, sbarrava l'accesso
verso gli alti pascoli, verso le brughiere e le
sassaie, verso quel mondo di muschi e di rocce in cui
era racchiuso il richiamo all'evasione e
all'avventura.
- Quell'evasione
e quell'avventura agivano sulla sua immaginazione in
un modo indistinto, ma non per questo meno
irresistibile. Sicché, quando suo padre, che ai
tempi della sua gioventù non aveva disdegnato
lo sci di fondo e di mestiere faceva l'albergatore e
la guida alpina, gli aveva proposto di portarlo con
sé, l'emozione era stata fortissima. Anche se
sul momento non poteva certo rendersene conto,
quell'invito avrebbe condizionato in modo decisivo il
suo futuro. Quell'immersione al di là dei
confini abituali avrebbe costituito un vero e proprio
snodo esistenziale, un punto di non ritorno, una sorta
di iniziazione. Avrebbe giustificato a posteriori
quell'ondata insieme di paura e di orgoglio che lo
aveva in quel momento assalito, paura di non essere
all'altezza, orgoglio per una chiamata che aveva il
sapore di un'investitura.
Avevano risalito una valle incuneata tra ripide
pendici dominate sin dai primi chilometri da quella
montagna simbolo che fino allora si era limitato ad
ammirare di lontano. Lasciata la macchina all'ultimo
parcheggio, si erano avviati lungo il sentiero che
avrebbe dovuto condurli al rifugio prima di
notte.
- C'era
voluta una bella ora di cammino per attraversare la
larga fascia boscosa e raggiungere il limite delle
terre alte. Quasi all'improvviso si erano ritrovati
sull'orlo di una conca verde di stupefacente bellezza
che incastonava un minuscolo specchio d'acqua. Un'aria
sottile sollevava in controluce un pulviscolo dorato.
Un rado sipario di giovani arbusti e di massi erratici
sfrangiava la trama delle luci e delle ombre. Il
contrasto tra la dolcezza del primo piano e l'asprezza
del fondale non avrebbe potuto essere più
drammatico. Una muraglia ferrigna, spaccata per il
lungo da un vertiginoso canalone di ghiaccio e neve,
si alzava verso il cielo a sbarrare la visuale senza
il conforto di una superficie amica, di una linea che
non fosse di esasperata verticalità. Come
scaturita dalla spinta di un'esplosione primordiale,
modellata a furia da una mano gigantesca. Una distesa
caotica di massi segnava una sorta di limite, quasi a
marcare uno stacco tra i due mondi e un divieto a
spingersi oltre, là dove soltanto la nuda
potenza della natura aveva diritto di
esprimersi.
- Eppure
in quella verticalità, in quella potenza,
doveva essere racchiuso un segreto se suo padre per
primo ne era così attratto e non finiva di
magnificare quella parete e quel canalone con
l'appassionata vivacità di chi non si limita
all'emozione estetica, ma lascia intendere
un'attrazione più profonda, un coinvolgimento,
un desiderio di possesso così radicati da
costituire una vera e propria ragione di vita. Che si
trattasse per lui, in quel momento, di una sorta di
rivelazione lo avrebbe pienamente compreso soltanto
quando avrebbe rivisto con occhi adulti quell'angelo
di intatta bellezza, quando avrebbe risalito quel
canalone e accarezzato quella parete, quando l'ansia
del neofita avrebbe ceduto il passo alla matura
consapevolezza di una capacità conquistata sul
campo.
- Si
sentiva affascinato da un ambiente che si esprimeva
per mezzo di linee, colori e strutture assolutamente
essenziali, che prescindevano del tutto dalla presenza
dell'uomo. Era colpito da quella che avvertiva come
una concentrazione di silenzio per lui inusuale. Nella
vita di tutti i giorni il silenzio poteva essere
considerato come un'interruzione del rumore, una pausa
tra eventi sonori caratterizzati da origini diverse e
spesso tra loro confluenti, insomma come un'assenza.
In questo mondo in cui era per la prima volta
penetrato il silenzio era un'altra cosa, costituiva
una presenza, aveva la qualità di una
predominanza attiva e in qualche modo ammonitrice, nel
senso che gli sarebbe parso fuori luogo per non dire
sacrilego levare alta la voce, quasi a disturbare
potenze misteriose e forse ostili.
- Non
era il mondo degli incanti domestici che
accompagnavano le sue giornate, il mondo delle piante,
degli animali, dei suoni noti, delle presenze facili,
dell'ordinata successione di avvenimenti prevedibili o
comunque decifrabili. Questo era un mondo duro e
incorrotto, sfuggito al fluire della storia, ancorato
a una sua intrinseca capacità di
autoconservazione, dove se si incontrava un animale si
trattava di un essere selvatico impossibile da
addomesticare, dove la vita vegetale poteva esprimersi
soltanto in una disperata capacità di
sopravvivenza che costringeva le piante a
miniaturizzarsi, le radici ad abbarbicarsi negli
anfratti più scoscesi, dove gli accumuli di
qualunque tipo potevano da un momento all'altro
sgretolarsi in frane rovinose, dove soltanto la
compattezza minerale di una montagna altissima poteva
garantire una prospettiva di durata misurabile sul
metro delle ere geologiche.
- Il
sentiero aveva ripreso a snodarsi lungo vaste pietraie
macchiate qua e là da lembi di neve. La fatica
cominciava a incrinare la sua baldanza, appesantiva il
passo, accelerava il respiro, ingigantiva il miraggio
del cibo e del riposo. Non fosse stato per il timore
di deluderlo, avrebbe volentieri pregato suo padre di
fermarsi per qualche istante. Ma lo vedeva procedere
implacabile con quei lunghi passi da montanaro che
sembravano guidati da un meccanismo esterno, lo stesso
forse che alimentava la rincorsa delle nuvole o
l'alitare di un'aria sempre più fresca e
pungente. Di quel meccanismo, in quel preciso momento,
anche lui era prigioniero. Chiedersi se avrebbe potuto
svincolarsi era come chiedere di essere altrove,
immaginarsi nel confortevole riparo della sua casa
davanti a una zuppa fumante. Aveva la sensazione di
essersi imbarcato in un'avventura più
impegnativa di quanto avesse potuto prevedere,
un'avventura che lasciava intendere un costo di
partecipazione molto alto.
- Per
lontano che il rifugio potesse trovarsi, non restava
che continuare nella sua direzione. Nel frattempo il
crepuscolo aveva cominciato a prendere possesso dello
spazio, ingoiando le terre basse in un'ombra opaca e
trasformando in alabastro il ghiaccio del canalone
quasi a concentrare in quella lucentezza il rimpianto
per la propria caducità. Attraverso lo spazio
racchiuso tra la montagna e le balze franose da poco
superate correva ora un fremito nascosto, un sospiro
lieve come una promessa. Aveva continuato senza
lamentarsi, lasciandosi catturare da quella
suggestione, lasciando che fosse lei ad alleggerirgli
la fatica e a fargli finalmente raggiungere il
rifugio.
Per anni aveva giocato dentro di sé con
l'immagine di questo rifugio, inventandosi di volta in
volta una rappresentazione diversa a seconda
dell'umore o dell'occasione, ma senza mai prescindere
dalla centralità della sua funzione che era di
garantire uno spazio umano, circoscritto e minuscolo
quanto si vuole, capace di marcare una presenza e di
offrire un riparo e una base per la salita alla
montagna. La realtà aveva sostanzialmente
rispettato le attese dell'immaginazione, le aveva anzi
arricchite di dettagli minuti e preziosi. Era rimasto
conquistato dal gioco che un paio di candele guidava
attorno alla tavola, strappando per brevi attimi le
ombre alla loro inconsistenza e rivestendo le
apparenze di un fascino misterioso. Figure discrete si
muovevano in quella racchiusa domesticità come
seguendo un preciso rituale di gesti e di voci. Come
se ognuno si adeguasse, di concerto con gli altri, a
un unico e ben identificato codice di comportamento.
Come se tanta misura e discrezione fossero in qualche
modo comandate dalla natura stessa del
luogo.
- Era
scesa la notte, con l'immediatezza che soltanto
conoscono i luoghi disabitati, i grandi spazi, le
latitudini estreme. Attraverso la finestrella del
dormitorio l'occhio si perdeva in un'insondabile
profondità dalla quale sola emergeva la scura
fiancata di quella montagna che non aveva cessato un
istante di condizionare i suoi pensieri e le sue
emozioni.
Si era ritrovato in fila con altri alpinisti diretti
tutti alla stessa meta. Un vago chiarore filtrava
dalle profondità dell'orizzonte e permetteva a
fatica di distinguere le asperità di un terreno
disseminato di enormi macigni che sembravano
costituire nella loro indocile presenza una sorta di
monito contro facili entusiasmi. Quasi subito infatti
aveva dovuto affrontare una barra rocciosa a gradoni
sconnessi che richiedevano molta attenzione, non
foss'altro per un residuo di umidità che li
impregnava e per un'esposizione che cresceva di passo
in passo senza concedere alla vista alcun conforto che
non fosse quello della vicinanza con altri esseri
umani come lui impegnati in confusi esercizi di
equilibrio.
- Evidentemente
suo padre doveva aver messo in conto una sua
adattabilità montanara che era invece tutta da
dimostrare. Non gli restava pertanto che fare buon
viso e afferrarsi a quanto di solido gli capitava
sotto mano come all'unica risorsa amica disponibile.
Gli sembrava di cogliere nell'ostilità
dell'ambiente una minaccia, come se la sua presenza
costituisse un'intrusione, come se la montagna verso
la quale aveva orientato i suoi passi e i suoi
pensieri volesse respingerlo. A meno che non si
trattasse di un passaggio iniziatico, un modo di
mettere alla prova la sua resistenza morale prima di
aprirgli il varco verso il successo.
- Man
mano che riusciva a trascinare alle soglie della
coscienza il vischioso groviglio delle sue emozioni,
in una con il sole che aveva trionfalmente preso
possesso anche degli anfratti più riposti, una
sorta di riconquistata fiducia imprimeva ai suoi
movimenti un'agilità e una sicurezza nuove.
Senza ulteriori indugi aveva raggiunto suo padre
sull'aerea forcella da cui si apriva la vista e il
passaggio verso la loro montagna. Una grande conca
rinserrata tra pareti di roccia di severa evidenza si
chiudeva in alto a modellare un pendio nevoso che
indicava il percorso naturale di salita. Oltre questo
pendio la montagna si raddrizzava in un balzo unico e
gigantesco che, dalla posizione da cui poteva
osservarlo, si presentava articolato e come sconvolto
in una successione di piccoli canali e risalti
rocciosi che la luce del sole metteva in impietosa
evidenza.
- Suo
padre aveva deciso una sosta insolitamente lunga per
dargli tempo di riflettere e di riposare. Forse aveva
voluto che il suo consenso a proseguire scaturisse da
una scelta veramente libera. Questo consenso doveva
averglielo letto negli occhi se a un certo punto, con
la brusca vivacità che lo caratterizzava, si
era levato in piedi e aveva iniziato a scalciare
vigorosamente nella neve per segnare la traccia. A lui
sembrava che quella neve in piena estate costituisse
una curiosa contraddizione. Aveva sempre pensato che
la neve, come obbedendo a un destino ciclico, si
autogenerasse ogni volta dal chiuso grigiore dell'aria
per avviarsi a una progressiva dissoluzione. La sua
persistenza quassù indicava invece una
qualità non effimera, una sorta di
perennità in cui rintracciare, più
ancora che nella pietra, una vera e propria cifra
identificativa del mondo alpino.
- Quella
neve al centro di un anfiteatro roccioso costituiva
una gradevole sorpresa, inseriva un elemento domestico
in un ambiente di severa indifferenza. Mentre cercava
goffamente di puntellare il suo equilibrio per non
scivolare, sentiva che il grumo di inquietudine che lo
aveva sino allora accompagnato accennava a
sciogliersi, a trasformarsi in un'emozione che gli
procurava un vago stordimento.
- Era
giunto al limite superiore del nevaio, dove la traccia
si esauriva contro un risalto roccioso piuttosto
articolato. Senza indugi suo padre aveva cominciato a
risalirlo con le movenze eleganti di chi si sente
signore in casa propria. Vista di quì, la
fiancata della montagna sembrava aver ulteriormente
ingigantito la propria estensione in una sfida
all'immensità dello spazio. L'occhio si perdeva
in una rincorsa obbligata senza vie di fuga laterali
che potessero attenuare la severità
dell'impatto. Con una differenza, che si era dissolta
ogni traccia di ostilità per lasciare il posto
alla pura espressione del rigore e
dell'essenzialità di una natura per certi versi
ancora primordiale. Mai come in questa occasione aveva
avvertito la propria presenza come un elemento del
tutto accessorio.
- Eppure
non poteva impedire che un moto di orgoglio
cominciasse a vibrare da qualche parte dentro di lui.
Anche se la sua posizione su quella montagna non era
molto dissimile da quella di una pulce sulla groppa di
un elefante, intuiva di possedere, in esclusiva con
gli altri suoi simili come lui impegnati nella salita,
un privilegio: quello della mobilità e della
libera scelta. Il suo orgoglio, insomma, aveva una
spiegazione precisa, anche se per capirne le
motivazioni avrebbe dovuto consumare un buon numero di
anni e di esperienze.
- Era
così assorbito nell'esercizio dell'arrampicata,
così attento a sfruttare al meglio le
opportunità offerte dalla struttura rocciosa,
da non avvertire affatto il peso della fatica. E
sì che erano ormai passate alcune ore da quando
aveva lasciato il rifugio. Il contatto con la roccia,
il gioco delle mani su quella superficie modellata
dall'erosione naturale, gli procurava con il passare
dei minuti una sorta di ebbrezza che quasi gli faceva
dimenticare la realtà.
- Suo
padre si limitava a poche occhiate, di tanto in tanto,
come fosse consapevole di quel tumulto interiore che
sicuramente gli ricordava antiche esperienze
personali. Si era liberata tra di loro una forma di
simbiosi che aveva dovuto attendere fino a oggi, fino
a questo momento e a questo posto, per esprimersi. Era
come se suo padre avesse voluto trasferire a lui, in
una sorta di misteriosa trasmigrazione, un messaggio
tenuto sino allora nascosto. Come se una reciproca
complicità li tenesse avvinti in una ideale
cordata.
- Mai
avrebbe immaginato che quella salita tanto sognata e
temuta potesse rivelarsi, alla resa dei conti,
così entusiasmante. Quell'ebbrezza che rendeva
lievi i gesti e i pensieri lo disancorava per
così dire da se stesso e lo proiettava nel
vortice di un compiacimento cui non era estranea una
punta di narcisismo. Che non gli facesse difetto
l'autostima, quella stessa che negli anni gli sarebbe
venuta più volte in soccorso, poteva per il
momento sfuggire alla sua acerba capacità
critica. La viveva, quel giorno, come una carica
esuberante, come una sensazione di
invincibilità abbastanza infantile ma
straordinariamente confortante. Vivo e vitale,
impossibilitato a immaginare le implicazioni che
quell'avventura avrebbe proiettato sul suo futuro, non
poteva che abbandonarsi all'esaltazione che si andava
liberando dentro di lui. Quell'esperienza lo stava
segnando nel profondo, innescava una dinamica di
pensieri e di emozioni dalla forte carica
condizionante. Costituiva una di quelle esperienze che
concorrono a dare un senso all'esistenza.
- Senza
neppure rendersene conto aveva progressivamente
accelerato i movimenti. Guardava alla cima di questa
montagna come a un traguardo, come a una conclusione
per forza vittoriosa, insomma come al risultato di una
competizione. Che tale l'aveva sentita e vissuta,
anche se non gli era chiaro chi o che cosa
rappresentasse l'avversario. Non suo padre, isolato
semmai in un compito arbitrale implicitamente
giudicante, non gli altri alpinisti, relegati in un
ruolo di comparse, non la montagna, che avrebbe potuto
fermarlo e non l'aveva fatto, che si era rivelata
onestamente neutrale. Rimaneva lui stesso, o meglio
quella parte di sé, quella specie di alter ego
con cui era solito confrontarsi. Si trattava di un se
stesso a lui uguale e al tempo contrapposto, un suo
doppio impietosamente critico e pignolo che non glie
ne perdonava nessuna, che trovava sempre a ridire
sulle sue azioni e che al tempo stesso lo spronava
verso le più ambiziose delle prospettive. Era
lui l'avversario-amico con cui aveva gareggiato in
tutte queste ore, in questa estenuante altalena di
sconforti e di esaltazioni in cui si erano varie volte
scambiati i ruoli per incoraggiarsi a vicenda.
L'eccezionalità dell'ambiente d'alta quota
aveva soltanto aggiunto un di più di
merito.
- Stranamente
in quel momento il suo doppio sembrava volersi
astenere dall'abituale ruolo, quasi a concedergli il
privilegio di assaporare per intero il frutto della
vittoria. Non gli era parso vero di raggiungere la
sommità della montagna in un silenzio interiore
che risultava perfettamente sintonizzato con quello
dell'ambiente esterno. Si era prefigurato una
conclusione capace di riassumere in un momento unico
ed esaltante la trafila di difficoltà e di
fatica appena superate, si ritrovava invece
immobilizzato in un inatteso vuoto della mente e del
cuore, qualcosa di simile a uno stato di non coscienza
e di non senso assolutamente raro e privilegiato. In
tal caso, era certamente molto bello e indicava una
misura molto raffinata di sensibilità il fatto
che suo padre rimandasse a più tardi i gesti e
le parole dell'elogio e dell'affetto e manovrasse con
discrezione perché nessun altro dei presenti
giungesse in mal punto a infrangere
l'incantesimo.
- In
quel vuoto, come aspirato da una forza irresistibile,
dapprima lentamente come attraverso una fessura, poi a
precipizio come se una paratia avesse ceduto di colpo,
si stava riversando la piena di una nuova
consapevolezza. La consapevolezza, captata a livello
puramente emozionale ma non per questo meno acuta, di
essere in qualche modo integrato con la
totalità del cosmo, partecipe di un comune
destino.
- Molte
cose avrebbe più tardi compreso, ma nessuna
delle sue esperienze avrebbe ripetuto una simile
pienezza e intensità. Richiamata dall'arco
incandescente del cielo, questa consapevolezza
scendeva diretta a trafiggere la sua intimità.
Gli sembrava di cogliere nel cerchio d'oro
dell'orizzonte un messaggio di accettazione, come
avesse superato una prova decisiva e non ci fosse
più bisogno di conferme.
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