Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Monica Francesca Veronese
Con questo racconto ha vinto il quarto premio al concorso
Il Club dei Poeti 2004, sezione narrativa

Liquidambar
 
Spesso, al lavoro, passo davanti alla grande finestra del mio ufficio che illumina la stanza di una luce calda e paglierina. A volte mi soffermo distrattamente scartabellando le mie carte, altre, magari durante una pausa mentre sorseggio un caffè, rimango a guardare incantato attraverso i vetri. Il mio sguardo, inevitabilmente si posa sul grande Liquidambar che troneggia nel giardino di una villetta dall'altra parte della strada. Adoro quest'albero! Il mutare della sua chioma, il fruscio delle sue fronde al vento, la bruma invernale che decora i suoi rami, tutto di lui mi accompagna quotidianamente, ed è come se un pezzetto di giardino fosse anche nel mio ufficio; il suo aspetto mi condiziona l'umore dell'intera giornata. Un giorno, pochi mesi fa, in autunno, appena rientrato dalla pausa pranzo, la mia attenzione fu catturata dalle foglie fiammanti e ocra a cinque punte del Liquidambar: racchiudevano pezzetti di cielo come cristalli, il sole ancora caldo vi filtrava attraverso e una leggera brezza le faceva danzare. Subito mi venne in mente una sinfonia di Cajkovskij che amo molto. Ad un tratto il mio sguardo scese più in basso: seduta su una panchina, all'ombra del Liquidambar c'era una giovane donna. A vederla da quella distanza, avrebbe potuto avere circa venticinque anni. Era bionda, con i capelli raccolti; la pelle era diafana, quasi opalescente. I suoi lineamenti erano minuti e teneva il bavero del soprabito fino al mento. Leggeva un libro. Questo mi incuriosì: da accanito lettore, tutto ciò che ha a che fare con i libri o chi legge libri mi attira moltissimo. Inoltre, ultimamente, non mi capita spesso di vedere ragazze che, sedute seraficamente su una panchina al parco, leggono un libro! Ogni tanto interrompeva la lettura e guardava assorta il palazzo di fronte. Il telefono squillò e gli impegni mi richiamarono alle sudate carte. Il giorno dopo la rividi. Era sempre lì. Leggeva il libro. Non aspettai un minuto di più: dissi al mio collega che mi sarei assentato un attimo e che mi avrebbe potuto contattare al cellulare, infilai la giacca e scesi. Mi avvicinai lentamente, camminavo con le mani in tasca e, più per darmi un'aria disinvolta che per voglia, mi accesi una sigaretta: era tempo orami che non sentivo più l'esigenza di fumare. Non si accorse di me o forse fece finta di non vedermi. Continuava a leggere il suo libro, elegantemente rilegato con una copertina in pelle rossa e i caratteri in oro; lo teneva posato sulle ginocchia accavallate: notai che aveva mani piccole e affusolate e mi ricordarono le esili foglie geometriche del Liquidambar. A tratti distoglieva lo sguardo dalle pagine e guardava il caseggiato di fronte di un colore marrone smorto, ma signorile nell'aspetto. Ebbi l'impressione che guardasse una finestra in particolare. Non capivo cosa l'interessasse di più se leggere o continuare ad osservare il palazzo. Riuscii a scorgere il titolo: era una raccolta di poesie di Pablo Neruda; Ebbi un tuffo al cuore. Da sempre sono grande estimatore di quel poeta e cercai anch'io, tempo fa, quell'edizione, ma senza successo. Spinto da quella scoperta, feci per avvicinarmi a lei, quando nervosamente guardò l'orologio e in tutta fretta se ne andò. Mi sedetti allora al suo posto, sconsolato, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e anch'io, non so perché, guardai quel palazzo. Il giorno dopo, alla stessa ora era nuovamente lì, sempre con lo stesso soprabito e sempre con lo stesso libro, seduta nello stesso posto. Imprecai con me stesso per non potere scendere da lei; troppi erano gli impegni per quella giornata e una sottile malinconia, guardando la chioma dorata del Liquidambar, mi pervase sommessamente. Per circa dieci giorni, a causa della mia professione, dovetti assentarmi dal mio paese e dal mio ufficio. Quando ritornai ad osservare il paesaggio davanti alla mia finestra, il Liquidambar era splendido: mai visto un concerto di simili gamme cromatiche!! Foglie arancioni, rosse rubino e cremisi, si stagliavano nel cielo ceruleo. Lei non c'era. Innervosito, guardavo con insistenza il grande orologio appeso alla parete: si avvicinava l'ora dell'"appuntamento": ma lei non c'era!
E così il giorno dopo e quello dopo ancora! Non riuscivo a distogliere il pensiero da lei, forse perché volevo saperne di più, forse perché ormai faceva parte del paesaggio, insieme al mio albero... Non so... Spesse volte, passando accanto alla finestra, mi rimproveravo per il fatto di non essere riuscito a rivolgerle la parola, a scambiare due chiacchiere, a chiederle il nome.
Un giorno volli aspettarla seduto sulla panchina. L'aria pungente di fine autunno si faceva sentire e mi pentii di non avere indossato il giaccone più pesante. Il cielo era plumbeo e preannunciava pioggia. Le foglie del mio Liquidambar erano oramai quasi tutte cadute; le più impavide resistevano ancora sui rami, ormai spogli. Osservavo impaziente la strada, gli alberi... Ma niente. Lei non arrivava. Il vento alzava le foglie e la polvere dai marciapiedi. Mi accorsi poi di un inusuale trambusto all'ingresso del caseggiato marrone. Mi avvicinai incuriosito e trovai il portiere del palazzo che, concitato, stava parlando con altre persone. Sentii qualcuno dire che "li hanno portati in ospedale"; afferrai da altri che "avremmo potuto saltare in aria tutti" e che "i due vecchietti sono morti". Quando il portiere si liberò dai suoi interlocutori, confuso, gli rivolsi alcune domande, senza nascondere una certa apprensione. MI rispose che la coppia di anziani del secondo piano era morta per aver respirato il gas del fornello. Poi, un signore alto, emaciato, un agente in borghese (capii dopo) lo chiamò. Io rimasi lì vicino alla siepe di bosso, infreddolito, vicino all'entrata. Era come se fossi inchiodato al pavimento e mi ostinavo a carpire qualche frase detta qua e là dai vicini di casa dei defunti. Non so quanto tempo passò, ma ormai il cielo era già buio e il pomeriggio inoltrato quando vidi scendere dalle scale il portinaio: era pallido in volto e, trafelato:
- Sembra che i coniugi non siano morti accidentalmente: mancano alcuni oggetti di valore e i soldi della pensione che ormai da un po' di tempo tenevano a casa! Sono trent'anni che lavoro qui come portinaio e so che non avevano né parenti, né amici. Erano persone riservate, ma a modo, educate! -
Nel tramestio generale poi arrivò di nuovo l'agente in borghese che, rivolto ad un appuntato:
- Lo avevano tra le mani - e così dicendo, gli mostrò, avvolto in un sacchetto di plastica trasparente un libro: aveva una copertina rossa di pelle, con i caratteri in oro. Lo riconobbi. Rimasi impietrito: un brivido percorse la mia schiena. Senza salutare, attonito, a fatica mi allontanai dal sinistro ingresso, ormai illuminato da una fredda luce al neon. Feci la strada per ritornare in ufficio, ma i miei passi erano quelli di un automa. Distrattamente, mi accorsi di uno spazzino che terminava il suo turno mentre raccoglieva le ultime foglie di Liquidambar dalla strada. Ne raccolsi una dal bidone: era secca, avvizzita, marrone, dello stesso marrone spento di quel palazzo, un marrone quasi nero, nero di morte.

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Premio Il Club dei Poeti 2004

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 Ins. 17-08-2004