Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Rita Ricucci
Con questo racconto ha vinto il nono premio al concorso
Fonopoli - Parole in movimento 2003, sezione narrativa

IL BUIO
 
"Vedova, non vedente cerca lettrice ore pomeridiane. No perditempo. Referenze obbligatorie. Tel. 0331/7788787".
Telefonai immediatamente e fissammo per il giorno successivo alle tre del pomeriggio.
Angela aveva più o meno quarantacinque anni. Il suo lineare carré nero lucido contornava un perfetto ovale di pelle bianca, al quale apparteneva un naso così sottile da sembrare in miniatura e due labbra altrettanto snelle da non lasciare spazio alle tracce di un eventuale rossetto.
Lenti scure e spesse invece coprivano la vista dei suoi occhi. Una montatura in osso ramato la facevano sembrare una diva degli anni cinquanta.
Era seduta davanti a me su una enorme poltrona Frau, in pelle rossa. Giocava con le gambe magre, scoperte da una gonna elegante beige, accavallandole una sull'altra ad ogni sua domanda.
Un vezzo più che un movimento nervoso. L'abitudine ad essere seduta per ore intere, mi lasciò pensare.
Mi fece accomodare sul divano e mi parlò di lei.
Era stata sposata con Maurizio, professore di matematica nello stesso istituto dove si era diplomata. Più vecchio di lei di venti anni, due anni prima un infarto lo aveva stroncato nel sonno.
"Mi svegliai accanto al freddo di mio marito. Capii subito che non l'avrei più rivisto..."
Lo aveva immaginato castano e con gli occhi scuri per
oltre quindicianni di unione. A lei bastava. Il suo handicap non la intimidiva e neppure la limitava. Aveva fatto la stenografa in un noto studio di avvocati ma adesso non se la sentiva di avere a che fare con un accompagnatore piuttosto che con un cane per non vedenti. Aveva preferito ritirarsi con dignità e cercare di godersi ogni cosa della quale si poteva gioire senza vedere.
Ascoltava. Sentiva. Il suono della parola.
Le parole della sua collaboratrice domestica, Anna, che tre volte a settimana occupava dalle prime ore del mattino fino al pranzo. Aveva cominciato lei, infatti, leggendo il quotidiano a tavola un giorno in cui una giovane donna venne uccisa davanti ad un noto ospedale di Milano, dal suo ex fidanzato, guardia giurata.
Lasciava tre figli di un matrimonio precedente e una pozza di sangue intorno al suo corpo.
"Dicono che fosse troppo appariscente, che se l'è cercata, perché aveva proprio l'aspetto di una puttana..." aggiunse Anna, con le scuse alla volgarità accennata.
Angela la licenziò quattro giorni dopo. Quando Anna uscì dalla porta, non trattenne la sua rabbia urlandole quanto era pazza una povera donna cieca e sola in una casa così grande.
Restai immobile tutto il tempo seduta su di una sedia in legno rovere dai braccioli molto larghi che permettevano una comodità inusuale.
"Vuole bere qualcosa signorina Giulia?"
"No, la ringrazio."
 
Come potevo sentire il suo sguardo su di me!
"Maurizio aveva una voce calda e profonda. Io lo chiamavo baritono...
Non ho sentito il suo ultimo alito di vita."
Poi trattenne le carni delle sue labbra all'interno della bocca fino a corrucciare il mento in una espressione contratta.
Mi chiesi in che modo i suoi occhi potessero piangere.
Con un gesto irreversibile si tolse gli occhiali.
Due perle di ghiaccio mi guardarono.
Non so dire quanto tempo passò.
Dalla finestra aperta alle spalle di Angela, improvvisamente l'abbaiare di un cane smosse la tensione tra noi.
Mi accorsi di aver mosso le labbra come a dirle qualcosa, ma non ne uscì nessun suono comprensibile.
"È sempre meglio conoscersi, prima di esserne delusi, non è vero, signorina Giulia?"
Mi piegai in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia e congiunsi le mani.
"Non ho referenze signorina Piscopo. Io... ho pensato di provare, anche se è la prima volta... io..."
"Proveremo certo. Proveremo insieme."
I suoi occhi di perla stavano respirando l'emozione di un nuovo suono, la mia voce silenziosa stabilì un patto tra noi.
Con autorità si rimise gli occhiali.
E accavallò la gamba sinistra sulla destra.
"Dal lunedì al giovedì dalle re alle cinque, se per lei va bene." Aggiunse che potevo scegliere qualsiasi tipo di testo: "Sono sicura potrà essere di mio gradimento".
Cominciai con racconti brevi di H. e di C.
Capitò che durante la lettura Angela mi interrompesse:
"Un attimo prego..."
In quell'attimo non osavo alzare lo sguardo dalla pagina tra le mie mani.
Col tempo, imparai a sentire in quali punti desiderava io mi fermassi.
Poi aspettavo che accavallasse la gamba di turno e riprendevo la lettura.
Imparai ad accavallare le gambe allo stesso modo.
Alternai, dopo mesi, su sua richiesta ai racconti, alcuni testi teatrali.
"Avrei potuto fare l'attrice, vero Giulia?" e rideva.
Quando rideva era felice.
Sentivo la vita appartenerle più di ogni altra cosa.
E la curiosità.
La sensibilità.
La fiducia.
La sicurezza.
La mia vita inorridiva alla mia sofferenza muta e segreta.
"Oggi le ho portato una nuova collana di racconti, editi da una casa editrice di solo donne che pubblica solo scritti di donne. Se non le spiace..."
"Certo che no, Giulia. Comincia pure."
Avvertii la fretta nelle sue parole. La velocità del suo pensiero.
Per la prima volta sentii il suo affetto per me.
"Gli aveva intimato di non farlo. Di non rivestirsi e di non andare via. Lui freneticamente indossò pantaloni e camicia e con un insulti greve si chiuse alle spalle la porta.
Lei camminò dalla camera alla cucina. E di nuovo in camera.
Annusò le lenzuola, i cuscini del suo letto.
Si lasciò scivolare a terra.
Un sibilo continuo e monotono uscì dalla sua bocca.
Si schiacciò le mani contro il ventre e raccolse le gambe in posizione fetale. Poi prese a battere la testa contro la ceramica bianca del pavimento.
Il tam-tam risuonava nella stanza deserta. Ma lei non smetteva.
I suoi incisivi si spezzarono dalla forza con la quale li teneva uno contro l'altro.
Gli occhi sbarrati e ciechi.
Avvertì il silenzio che stava per sopraggiungere dall'umido sotto la sua guancia.
Il liquido penetrò l'orbita e ricadde fluido dallo zigomo alle labbra.
Ora tutto era silenzio.
Si abbandonò al pavimento con la stessa morbidezza di quando si addormentava sulla sabbia sotto il sole cocente. In attesa che lui arrivasse a svegliarla con il sapore delle acque di mare sulla pelle.
Fu il suo ultimo sorriso."
Angela.
Accavalla la gamba destra sulla sinistra.
Respira forte.
Trattiene le labbra in bocca.
Si toglie gli occhiali da diva anni cinquanta.
I suoi occhi di perla sulle mie mani.
"Dovresti smetterla di mangiarti le unghie, Giulia."
Non le avevo mai detto quanto ci somigliassimo.
Adesso lo sapeva anche lei.

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 Ins. 17-01-2004