Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Roberto Musso
Con questo racconto si è classificato terzo al concorso Marguerite Yourcenar 2001 sez. narrativa
Libera
 
Emi sapeva volare. Sotto di lei scorrevano i paesaggi del mondo, ed erano pianure e deserti, città e laghi, monti altissimi e fiumi che seguiva fino al mare... amava il mare. Planava tra le onde ad osservare i giochi dei delfini, seguiva la brezza fino a quando una corrente ascensionale la riportava verso il sole, in gara con i gabbiani, su, su, fin dove cominciava a scorgere la curvatura della terra, più in alto di qualsiasi uccello, finché l'aria troppo rada le ghiacciava i polmoni: allora si lanciava in picchiata, col vento che le chiudeva gli occhi ed il respiro, giù, sempre più giù, con la testa che le ronzava, con lo sguardo appannato, giù fino a sfiorare stordita le onde e poi, con uno spasmo di tutto il corpo, riprendere quota e via, senza fiato, a spingere le ali frementi alla ricerca di una nuova corrente che la portasse ancora verso il sole...
Altre volte le piaceva planare dolcemente in larghi giri su città che non conosceva, iniziando a coglierne dall'alto il profilo e poi, continuando a planare, distinguerne le vie, prima le più grandi, poi le case e poi ancora, piccoli come semi di miglio, gli abitanti; quindi i puntini s'ingrandivano e si coloravano dei loro abiti e, scendendo ancora, arrivava a scorgerne l'espressione, a indovinarne l'umore dalla luce degli occhi. Sapeva volare tra loro con grande abilità, sapeva sfiorare il terreno fino a far piegare l'erba sotto la pressione dell'aria, ma non amava posarsi.
Emi sapeva volare. In volo trascorreva la maggior parte del tempo, ed anche quando dormiva sognava spesso di volare. Distolse lo sguardo dalle nubi abbaglianti, sagome panciute nel cielo turchese, e lo spinse verso un'antica città che disegnava una stella in mezzo alla campagna. Urbanistica rinascimentale, si disse. Emi iniziò a scendere verso quella figura, netta come un timbro su un foglio verde.
 
"Emi, vuoi qualcosa? È ora di merenda...".
 
La voce di sua madre, calda, dolce come un frutto maturo. Sentirla le ricordava il profumo della vaniglia.
 
"No, grazie, mamma. Più tardi, forse".
"È già tardi, amore. Se vuoi qualcosa prendila adesso, altrimenti ti sciuperai la cena".
"Allora mangerò a cena, adesso non ho voglia di niente".
 
I passi si allontanarono appena percettibili nelle pantofole di feltro, portando con sé un lieve sospiro di sua madre, ed Emi poté nuovamente spiegare le ali della sua fantasia. Riprese quota per godere dall'inizio di quell'esplorazione. Le nuvole, prima abbacinanti, avevano assunto un colore rosato; anche la pietra delle antiche mura aveva una tonalità più calda, e la sagoma che proiettavano era lunga e frastagliata; l'ombra delle sue ali spiegate ora la precedeva. Volò più volte intorno a quel gioiello di architettura militare, sempre più in basso, sempre più vicina, fino a scoprire le sconnessure tra le grosse pietre squadrate, i graffiti, gli insulti che il tempo e gli uomini avevano portato all'opera di altri uomini. Notò che i licheni avevano colonizzato la pietra in molti punti e che sul lato a nord crescevano dei muschi, mentre su quello a sud alcuni ciuffi di capperi mostravano i loro fiorellini scialbi.
Riprese quota fino a risalire oltre le mura, e poi ancora un po' per poter osservare lo schema urbanistico della città: era ordinato, severo, perfettamente adatto alla difesa. Nella stella ottagonale delle mura si aprivano quatto porte fortificate ai punti cardinali, e da esse si snodavano le quattro strade principali, alberate, diritte come raggi di luce fino alla piazza centrale. A ridosso delle mura quattro lunghissimi edifici si piegavano in angoli ottusi per seguirne la forma, delimitando un'ampia strada priva di ripari e di uscite, che aveva sbocco solo sui quattro assi principali: se un nemico avesse superato la cinta esterna vi si sarebbe trovato intrappolato e sarebbe stato facile, per i difensori, massacrarlo con un micidiale fuoco incrociato; ma questo non doveva essere mai accaduto, perché l'intonaco delle case, qua e là gonfio e sgretolato, non riportava segni di battaglia. Le fece piacere constatarlo, perché non le piaceva volare sui luoghi di un massacro. Una sola volta era scesa sulla piana di Waterloo, e non vi aveva più fatto ritorno.
Percorse più volte quel circuito, velocissima, stordita dalla fuga delle finestre tutte uguali che, alla sua sinistra, sfarfallavano al limite del campo visivo; poi riprese quota ed osservò che, al di là di questo primo giro di costruzioni, se ne estendeva un secondo, i cui edifici avevano l'aspetto dimesso di magazzini. Probabilmente le costruzioni esterne erano acquartieramenti per le truppe e le altre contenevano la logistica della guarnigione e le scorte alimentari; al di là di esse la cittadina assumeva una pianta ortogonale, che le vie principali dividevano in quattro settori uguali (chissà se il termine quartieri derivava da questo?), dotati ciascuno di una piccola piazza e di una altrettanto piccola chiesa. Una grande area vuota, inchiodata al centro della città dai quattro assi, era stata ad un tempo piazza d'armi e luogo di gala, arengo e sede del mercato; la contornavano il comando della guarnigione, il municipio, l'ospedale ed il duomo, le cui campane avevano chiamato la popolazione nei momenti lieti o drammatici di quello che, come un alveare, appariva un organismo unico, quasi vivo, dove la vita del singolo, fusa in quella della collettività, perdeva la sua importanza.
I tetti avevano un bel colore bruno, non il rosso innaturale della terracotta troppo nuova e neppure il colorito nerastro delle coperture di città; qua e là spiccava la chiazza più chiara di qualche tegola sostituita; le gronde, viste dall'alto, denunciavano con i loro buchi il diverso stato di manutenzione delle case, ed infatti, scendendo tra le strade, si vedevano facciate ridipinte ed altre umiliate dagli anni: non era certo stato così quando tutti erano, in qualche modo, soggetti alla disciplina militare.
 
"Emi, è ora della tua medicina".
 
Trangugiò docile, poi tornò a volare tra le strade che si andavano riempiendo per il passaggio serale. Lungo il corridoio perimetrale, in quello che era stato concepito come scannatoio per la difesa, molti bimbi giocavano, protetti dall'area pedonalizzata: una, due improvvisate partite di calcio; gruppi di piccoli ciclisti in gara tra loro, altri alla ricerca dell'equilibrio sulla loro biciclettina, proditoriamente privata delle rotelle laterali; addirittura una improbabile partita di baseball.
Altri bimbi giocavano sulle piazzette, due delle quali erano state dotate di coloratissime altalene e di altri giochi. Intorno a loro, sulle panchine verdi, soprattutto nonni. Uno di questi cercava di consolare un angioletto biondo che piangeva disperatamente sulla verginità perduta di un ginocchio sbucciato; un altro stava caricando una piccola pipa ricurva, annerita dall'uso; un altro ancora mostrava un oggetto che non le riuscì di distinguere.
Lungo le vie secondarie e lungo i quattro viali alberati le persone camminavano senza meta, conversando di cose senza importanza che è piacevole raccontare ed ascoltare; qualche coppia di ragazzi si baciava o procedeva sottobraccio o per mano, senza parlare. Molti si dirigevano senza fretta verso la piazza centrale, dove, negli stessi luoghi in cui un tempo marciavano soldati accigliati e non troppo puliti, ora i tavolini all'aperto dei bar accoglievano visi sorridenti intorno a bicchieri colorati.
 
Din don...
 
Il suono vibrò ancora per qualche attimo, come se non volesse morire, poi si udì lo scatto della serratura. La voce del dottore. Una conversazione sottovoce, perché lei non sentisse. Nell'aria c'era odore di minestra.
La malattia era stata crudele con la piccola Emilia. Prima le aveva preso le gambe, poi quasi tutto il corpo ed infine, non contenta, anche gli occhi: ma lei era libera, perché sapeva volare. Con qualche colpo d'ala riprese quota e si diresse verso il sole, perché non voleva ancora che si facesse notte.

 

Classifica Concorso Marguerite Yourcenar 2001 sezione narrativa
 
PER COMUNICARE CON L'AUTORE speditegli una lettera presso «Il Club degli autori, cas.post. 68, 20077 MELEGNANO (Mi)». Allegate Lit. 3.000 in francobolli per contributo spese postali e di segreteria provvederemo a inoltrargliela.
Non chiedeteci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©2000 Il club degli autori, Roberto Musso
Per comunicare con il Club degli autori:
info@club.it
 

Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit

 

IL SERVER PIÚ UTILE PER POETI E SCRITTORI ESORDIENTI ED EMERGENTI
Home club | Bandi concorsi (elenco dei mesi) | I Concorsi del Club | Risultati di concorsi |Poeti e scrittori (elenco generale degli autori presenti sul web) | Consigli editoriali | Indice server | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Racconti | Arts club | Photo Club | InternetBookShop

inserito il 3 novembre 2001