- «Monologo
a due»
Luca entrò nella stanza di suo padre, si
guardarono per un istante, il tempo perché Luca
distogliesse velocemente il suo sguardo, e lo
salutò. Suo padre lo guardò severo e non
rispose. Come al solito Luca non si sorprese, ci era
abituato, ma non per questo non ne soffrì. Come
al solito diede uno sguardo d'insieme alla stanza, e
come al solito, una volta esaurito il suo guardarsi
intorno, si sedette sulla sedia che era proprio
davanti a lui ed emise fuori tutto il fiato che aveva
nei polmoni.
-
Suo padre non gli aveva ancora rimproverato nulla, e
anche questa volta non lo avrebbe fatto. Come al
solito poteva stare tranquillo. Allora respirò,
respirò lentamente, sempre più
lentamente, fino al punto di ricominciare a pensare;
lo guardò ancora una volta, così, giusto
per accertarsi che fosse ancora lì, per
assicurarsi che non gli dicesse niente, che non lo
rimproverasse di nulla, che continuasse a tacere e per
vedere, purtroppo, se ancora lo guardava.
-
Non lo sopportava, Luca non sopportava che suo padre
lo guardasse e non dicesse nulla. Sempre, lo aveva
sempre fatto, e Luca non lo aveva mai sopportato.
Più di ogni altra cosa, era l'attesa che non
sopportava, l'attendere che suo padre parlasse,
quell'attesa che gli consumava l'esistenza e che lo
faceva soffrire, l'attesa di quelle parole che nel
bene o nel male avrebbero dato significato alla sua
esistenza, alla sua e a quella di suo padre.
Già, le parole per dare un senso alle loro
esistenze, le parole di suo padre per dare un
significato all'esistenza di Luca. Finché
quelle parole non sarebbero arrivate, Luca non avrebbe
saputo, e finché non avrebbe saputo se temere
suo padre o gioire insieme a lui, avrebbe riflettuto
sulla sua vita, aspettando qualche parola per capire
se era bella o se era brutta. Aspettava, come ogni
altra volta, e non lo sopportava. Aveva portato con
sé un libro, lo sfogliò fino ad arrivare
all'ultima pagina letta, la riconobbe subito, era
l'ultima di tutte quelle logore, l'ultima che aveva
letto, l'ultima, insieme a tutte quelle precedenti,
sulla quale si era soffermato a lungo, che aveva letto
e riletto, che aveva tenuto per le mani; l'ultima che
aveva voltato e sulla quale era poi tornato per
accertarsi di aver letto bene tutte le righe, le frasi
e i periodi, e che poi aveva voltato di nuovo e che
sempre di nuovo aveva riletto, perché da ogni
nuovo rigo baluginava qualche incertezza che gli
impediva di comprendere fino in fondo le nuove pagine.
Se solo suo padre gli avesse spiegato le cose che non
aveva capito; se, anziché guardarlo e stare
zitto, avesse parlato quando avrebbe dovuto, Luca
avrebbe capito, e non sarebbe dovuto tornare indietro
sforzandosi di dare un senso al passato per
comprendere il presente. Luca era un impiegato,
lavorava presso una banca della sua città.
Stava bene, il lavoro non era speciale, ma andava
bene, non si poteva lamentare. Forse poteva
considerarsi addirittura un privilegiato.
Forse...
-
Purtroppo non sapeva, forse avrebbe potuto fare molto
di più, della sua vita avrebbe potuto fare
molto di più. Se solo qualcuno glielo avesse
detto, se qualcuno gli avesse spiegato che aveva la
grinta per diventare un avvocato di successo, o la
sensibilità per diventare un buon medico, o il
coraggio e l'intuito per diventare un bravo
imprenditore, lui, forse, lo sarebbe diventato;
però, mica lo sapeva, non l'aveva mai saputo,
aveva fatto quello che il destino si era preoccupato
di fargli trovare, senza spingersi nella sua direzione
o senza allontanarsi da esso magari nel coraggioso
tentativo di inseguire le proprie inclinazioni. Aveva
scelto di fare l'impiegato, niente sfide, niente
scommesse, solo quello che c'era. Se solo suo padre
avesse parlato, se gli avesse detto almeno una volta
che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, lui l'avrebbe
fatta qualsiasi cosa. Invece no, suo padre lo aveva
guardato e aveva taciuto, come in quel momento. E Luca
aveva fatto quello che c'era da fare.
-
Aveva letto poche righe, voltò pagina tornando
a quella precedente, per rileggerla, non aveva capito
nulla, se continuava a pensare continuava a non capire
nulla di quello che leggeva, ma gli serviva, in ogni
caso gli serviva. Sebbene avesse bisogno di leggere le
stesse cose più di una volta finendo sempre per
non comprendere o di dimenticare completamente il loro
significato, doveva comunque leggere poiché
solo in quel modo, e solo in quello, arrivava fin dove
egli stesso non avrebbe mai voluto arrivare. Non era
facile leggere e capire, forse gli riusciva di
leggere, ma di capire non se ne parlava proprio. Come
poteva fare a dare un senso a quello che leggeva se
suo padre continuava a guardarlo? Luca se lo sentiva
addosso il suo sguardo, ne avvertiva le vibrazioni
sulla pelle, e tutto il suo corpo fremeva nel
difficile e per niente sopportabile tentativo di
capirne il significato. Quello sguardo gli impediva di
leggere, di capire e forse anche di
vivere.
-
Quando Luca aveva informato suo padre dell'intenzione
di lasciare l'università per accettare il posto
in banca, lui lo aveva guardato, non a lungo come
faceva in quel momento, ma di meno, giusto il tempo di
assumere una espressione di vaga incertezza che nella
mente di Luca era arrivata come: «No, è
meglio se continui l'università, sicuramente
raggiungerai risultati più soddisfacenti...
», oppure: «Non lo so... il posto in banca
non è male, almeno è sicuro,
l'università è molto incerta...» o
ancora: «Sì, accettalo subito quel posto,
e non ci pensare proprio all'università,
chissà quando finirai!».
-
Nulla di tutto questo.
-
Suo padre lo aveva guardato e come al solito non aveva
detto nulla; e Luca, facendo della sua vita un
impiegato rinunciando con ciò a tutto il resto,
di quelle possibilità aveva scelto la terza,
quella che aveva ritenuto fosse la più
probabile, quella che, secondo lui, suo padre gli
avrebbe potuto consigliare senza mentire, quella che
faceva di lui una persona mediocre.
-
Qualche anno prima, al tempo dell'iscrizione alla
scuola superiore, era successa la stessa cosa: voleva
iscriversi all'Istituto Tecnico Commerciale, gli era
sembrata una decisione consona con i per niente
eccellenti risultati che aveva ottenuto frequentando
le scuole medie, mica avrebbe potuto scegliere una
scuola più difficile! Mica lo sapeva, era solo
un ragazzo. I professori che ne sapevano, lo avevano
soltanto interrogato e corretto i compiti e
rimproverato, mica gli avevano mai chiesto come fosse
la situazione con la sua famiglia, se stava bene o se
stava male. E suo padre? Gli aveva detto centomila
cose, ma non con le parole, bensì con lo
sguardo, solo guardandolo; e Luca, in quello sguardo,
ci aveva messo tutto quello che aveva voluto, senza
mai sapere veramente quale scuola suo padre avrebbe
preferito per lui. Senza mai sapere che cosa voleva da
lui, o che cosa voleva che diventasse. Non gliene era
importato nulla.
-
Senza parlare poi della macchina: aveva desiderato a
lungo un'auto sportiva e alla fine, dopo alterne
vicende, suo padre gliela aveva comprata, senza nessun
tentativo per dissuaderlo, senza sforzarsi mai di
dirgli che un auto di quel genere poteva essere
pericolosa, che forse sarebbe stato meglio acquistarne
una meno veloce, che avrebbe fatto bene a pensarci su.
In ogni caso Luca sapeva bene che se anche suo padre
avesse tentato di fargli cambiare idea, lui non lo
avrebbe ascoltato; però... se glielo avesse
detto, forse un po' ci avrebbe pensato e magari dopo,
quando a bordo della sua auto sportiva aveva corso
veloce lungo le strade sfidando la morte, non avrebbe
alimentato i suoi sensi colpa chiedendosi se suo padre
si sarebbe ritenuto responsabile se fosse andato a
sbattere contro un albero. Luca gli alberi li aveva
sempre evitati, e quando dopo poco tempo
sostituì la sua fiammante auto sportiva con una
sobria utilitaria nazionale, fece fare al suo
acquirente un ottimo affare poiché gli
consentì di comprare un auto che la paura di
morire prima ancora della cura con cui era stata
trattata, aveva ben conservato.
- E
Sandra? La donna che aveva sposato? Era piaciuta a suo
padre? Luca ricordò il giorno in cui, dopo
diversi anni di fidanzamento, la invitò a casa
sua per presentarle i suoi. Straordinariamente quella
volta suo padre parlò, parlò tanto, al
punto di essere quasi logorroico; ma in pratica non
disse nulla. «Quanti anni hai, cosa fai, ti piace
il tuo lavoro, dove abiti...» e cazzate di questo
tipo.
-
Non lo aveva nemmeno sfiorato l'idea di chiedere da
quanto tempo stavano insieme o, tutt'al più, da
quanto tempo si conoscevano. Aveva indirizzato le sue
domande stupide a Sandra e per tutto il tempo aveva
guardato Luca, come per invitarlo a riflettere su
quelle risposte se ancora non lo aveva fatto. Si erano
sposati poi, lui e Sandra, e suo padre, il giorno del
loro matrimonio, non aveva avuto difficoltà ad
impegnarsi a tacere per sempre. In silenzio aveva
guardato il sacerdote mentre recitava la consueta
formula di rito, e Luca, di spalle, aveva avvertito
tutta l'incisività del suo sguardo
silenzioso.
-
Sentiva montare dentro di sé la collera in un
crescendo incontrollabile. Sapeva bene che se in quel
momento suo padre avesse parlato, lui, come al solito,
sarebbe esploso come un vulcano, con la stessa potenza
e lucida razionalità distruttiva, con gli
stessi effetti devastanti.
- Ma
suo padre non proferì una sola parola. Avrebbe
potuto iniziarlo lui quel dialogo, facendo una
qualsiasi considerazione o lanciando la prima
provocazione, per trovare in quel modo uno sfogo alla
sua rabbia e alla sua tristezza.
-
Però, se così avesse fatto, avrebbe
impresso fin da subito una direzione precisa al
dialogo che ne avrebbe potuto conseguire e suo padre,
condizionato dal suo attacco e solo per questo
coartato nella sua volontà, non avrebbe potuto
far altro che scendere sul campo che Luca aveva scelto
per lui. Doveva aspettare, doveva essere suo padre a
parlare per primo, solo così avrebbe saputo a
cosa stava pensando realmente. Ma lui non
parlò, lo guardò e tacque.
-
Non gliene importava nulla, non gliene era mai
importato nulla, non aveva mai detto una parola, aveva
sempre abbandonato Luca al suo destino e lui, solo, da
quel destino si era lasciato trasportare. Si era
iscritto all'Istituto per ragionieri, poi aveva
comprato la sua auto sportiva; si era iscritto alla
facoltà di Economia per poi abbandonarla per il
posto in banca. Si era sposato, e adesso Sandra
aspettava un figlio.
- E
suo padre? Cosa aveva fatto ogni volta? Lo aveva
guardato e aveva taciuto. Ma... ripensandoci per
l'ennesima volta... cosa aveva fatto suo padre? Allora
alzò la testa, staccando il suo sguardo dal
libro che tentava di leggere. Il passato, Luca
continuava a non capirlo, o forse ora sì, ora
cominciava a capire. Cosa aveva fatto realmente suo
padre? Lo aveva guardato, sì, lo aveva sempre
guardato, e lo aveva sempre lasciato fare,
concedendogli con il suo silenzio tutta quella
sconfinata libertà che Luca non aveva mai
compreso fino in fondo; quella incomprensibile
libertà che gli aveva consentito di fare della
sua vita tutto ciò che aveva voluto e che in
pratica altro non era stata se non la più
sentita fiducia che un padre avrebbe mai potuto
riporre nei confronti del proprio figlio.
-
Quel silenzio si rivestì allora di nuovi e fino
a quel momento impensati significati e Luca, in solo
istante, trovando in un momento di tristezza tutto il
fulgore della sua esistenza, capì che
nonostante il silenzio di suo padre avesse
accompagnato ogni momento importante della sua vita,
in ogni momento importante suo padre era stato
presente e ogni volta, con il suo sguardo, lo aveva
tenuto per mano.
-
Luca allora sorrise, mentre una lacrima gli scendeva
lungo il viso. Chiuse il libro il cui pretesto della
lettura lo portava ogni giorno lì, e si
avvicinò a suo padre che ancora lo guardava in
silenzio. Tese la mano toccando a lungo l'immagine di
suo padre attaccata alla lapide di marmo scuro, poi se
la portò alla bocca e la baciò. In
silenzio, anche lui, si allontanò
lentamente.
Roberto Taurino
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