- La
vendetta
- Ancora
pochi giorni e sarebbe uscito.
- Da
quanto aspettava quel momento?
- Andò
ancora una volta in camera da letto. Ancora una volta
con la chiave che teneva sempre in tasca aprì
il terzo cassetto della vecchia scrivania.
Frugò in fondo, tra buste e carta da lettera. E
sentì il freddo rassicurante del metallo. Gli
bastò quello. Non aveva bisogno di tirarla
fuori. Lei era sempre lì: fedele, pronta a
compiere il suo dovere.
-
- Dopo
le superiori Tommaso si era iscritto, più che
altro per l'insistenza della madre, a medicina.
Laureato, non aveva faticato troppo a inserirsi come
medico di famiglia. Erano tempi, quelli, nei quali non
ci si strappava ancora i mutuati con i
denti.
- Un
lavoro tranquillo, senza alti e bassi. Noioso. Un
matrimonio tranquillo. D'amore? Sì, all'inizio.
Poi era subentrata l'abitudine, l'affetto, il mutuo
soccorso.
- A
settantacinque anni, solo, in quella casa più
grande del necessario, trascinava le sue giornate con
quel pensiero fisso nella mente.
- SEMPRE-SOLO-QUELLO.
- Guardò
di sfuggita il calendario: lunedì 8
febbraio.
- Di
lì a una settimana sarebbe stato il gran
giorno. Aveva avuto anni per prepararsi a
quell'evento: non se lo sarebbe lasciato sfuggire per
nessun motivo.
-
- L'idea
gli era balenata improvvisa, come un
lampo.
- Ricordava
molto bene il momento.
- Stava
impietrito con Teresa al braccio guardando in trance
la bara. Era una bastarda giornata di luglio di
venticinque anni prima e in quella bara era rinchiusa
Marta. La loro unica figlia. Violentata e strangolata
da un animale che, in preda all'alcool, l'aveva
bloccata sotto casa alle undici di sera, mentre
rincasava da un'amica.
- E
in quell'istante, mentre la spingevano a braccia nella
bocca nera del loculo, si era sentito lo
stridìo, causato da un sassolino o da un grumo
di cemento contro il quale il legno aveva strisciato.
Quel rumore fastidioso l'aveva strappato dal vuoto dei
suoi pensieri. E, chissà per quale insondabile
associazione di idee, gli era apparsa all'improvviso
quella scena che avrebbe vissuto nella realtà
di lì a pochi giorni.
- "Perché
no? PERCHÉ NO?!?" si era chiesto.
- La
condanna, trent'anni di galera, gli era sembrata
eccessiva. In quel momento si era augurato di vivere a
sufficienza per realizzare l'idea che stava
germogliando dentro di lui. Allora non aveva ancora un
preciso piano d'azione.
- Ma
il tempo per metterlo a punto non gli sarebbe
mancato.
- No.
Non gli sarebbe proprio mancato.
-
- I
suoi ultimi venticinque anni erano stati venticinque
faticosissimi anni.
- I
primi tre scanditi da un dolore lancinante vissuto
assieme Teresa. Poi da solo. Teresa se n'era andata
così, in silenzio: una mattina non si era
più svegliata. Lei, del resto, non aveva
più alcun motivo per vivere. E lui non
l'avrebbe mai messa a parte dei suoi progetti.
Ultimamente erano diventati due estranei: il dolore,
anziché avvicinarli, li aveva progressivamente
allontanati.
- Rimasto
definitivamente solo, quel pensiero l'aveva tenuto
occupato. Lui l'aveva curato, nutrito, arricchito di
dettagli. Era divenuto il fedele compagno delle sue
giornate piene di vuoto.
- L'unica
ragione di una esistenza inutile.
- Da
poco meno di dieci anni aveva lasciato lo studio e da
allora la sua vita era ancora più monotona
rispetto a prima.
- Sveglia
alle sette. Il giornale. Un salto alla trattoria sotto
casa per il pranzo. Per cena si accontentava di un
bicchiere di latte o di una minestrina.
- Il
pomeriggio, dopo un sonnellino, il tram 36 e cinque
minuti a piedi. E la panchina, che ormai considerava
praticamente di sua proprietà.
- Gli
capitava raramente di trovarla occupata: d'altra
parte, con tutto il verde pubblico a disposizione, chi
avrebbe potuto essere interessato a sostare in quel
giardinetto spelacchiato, con vista sul portone del
carcere mandamentale?
- Per
lui invece era il posto ideale di
meditazione.
- Sapeva
bene che l'animale non sarebbe uscito tanto presto
dalla gabbia. Ma lui preferiva essere lì,
puntuale, ogni giorno, a custodirlo.
- ___
- Quando
si parla di combinazioni.
- Al
termine di una delle prime udienze del processo, un
lungagnone alto e secco gli si era avvicinato,
stendendogli timidamente la mano. Non l'aveva
riconosciuto.
- -
Ciao. Ti ricordi di me? Sono Garberoglio
- La
mente intorpidita dai tranquillanti aveva tuttavia
messo a punto rapidamente la figura.
- -
Garberoglio?!...sì. Certo che mi ricordo. Cosa
fai da queste parti?
- -
Ci lavoro... sai, ho letto di quello che ti è
capitato. Una cosa terribile. Volevo farti le mie
condoglianze.
- -
Grazie. Grazie. - aveva risposto
svogliato.
- A
guardarlo bene non era poi tanto cambiato dal
ragazzino foruncoloso e ingobbito, particolarmente
apprezzato a suo tempo per le versioni di greco e
latino.
- Povero
vecchio Garby, con le mani secche, nodose e sempre
stranamente sudate: la media del nove alla
maturità non gli aveva garantito altrettanto
successo nella vita. Non aveva trovato una donna per
la quale valesse la pena barattare la vecchia madre. E
anche nel lavoro le cose non erano andate meglio.
Aveva fatto giurisprudenza. La madre confidava tanto
in un figlio avvocato.
- Dopo
la laurea, aveva tentato il concorso in magistratura.
Una, due, tre volte. Non ce l'aveva fatta.
Incredibile! Garby non ce l'aveva fatta!Alla fine si
era ridotto, con un po' di tristezza, a fare il
cancelliere.
- Fortuna
che Camilli, uno dei compagni di liceo che lo avevano
maggiormente assediato per le versioni e che era
diventato un penalista di grido, aveva fatto carriera
politica e si era trasferito a Roma: era stato un bel
fastidio vederselo scodinzolare davanti, ogni giorno,
circondato da una costellazione di praticanti
leccaculo...
- Tutto
ciò Tommaso lo aveva appreso poco alla volta.
Il processo andava per le lunghe e ormai era diventata
una consuetudine: i giorni di udienza,
nell'intervallo, andavano a mangiare un boccone in una
trattoria poco lontano. E lì, davanti a una
bistecca e a un bicchiere di vino ognuno, più
per sé che per l'altro, riprendeva e riannodava
i fili pendenti della propria esistenza
faticosa.
- Finito
il processo, fatalmente, si erano nuovamente
allontanati. Ma non del tutto. Qualche volta entrambi,
ognuno vedovo a modo suo, si trovavano la domenica a
pranzo. Era stato proprio in una di quelle occasioni
che, con noncuranza, aveva lanciato
l'esca.
- -
Chissà quando uscirà di galera. Mi
piacerebbe vederlo, parlargli...
- L'altro
non si era stupito della cosa. Era passato tanto
tempo. E così, una parola qua una là,
quasi con naturalezza, era arrivata l'informazione che
cercava.
- ___
- Lunedì
15 febbraio.
- La
sera della domenica precedente non riusciva a prender
sonno.
- Steso
sul letto, gli occhi aperti verso il buio del
soffitto, ripassava mentalmente ogni fotogramma della
giornata successiva. Si alzò ancora una volta e
aprì il solito cassetto della scrivania. Al
buio allungò la mano, la prese e la
appoggiò sul comodino: anche per lei era giunta
ormai l'ora di uscire allo scoperto.
-
- Quel
mattino si svegliò prestissimo.
- Il
cielo era ancora buio. Quando cercò di
accendere l'abat-jour la mano urtò contro il
metallo freddo e la sua mente ancora intorpidita
cozzò contro la consapevolezza che il momento
tanto agognato ma tanto temuto era alle porte. Non
c'era più via di scampo.
- Tommaso
ripeté meccanicamente i gesti di ogni mattina.
Accese il gas e pochi minuti dopo la moka
iniziò a gorgogliare mentre nella stanza si
spandeva un gradevole odore di
caffè.
- Mentre
lo sorseggiava, caldissimo e amaro, un'idea improvvisa
gli attraversò la mente: "Potrebbe essere
l'ultima volta che ho dormito in casa. E se domani a
quest'ora fossi in galera?". Il pensiero non lo
infastidì più di tanto. Perché
preoccuparsi? Cosa aveva da perdere?
- E
poi non c'era troppo tempo per pensare. Se
l'informazione era giusta l'animale sarebbe uscito in
mattinata. Meglio essere lì in anticipo.
Guardò l'ora: le sette e quarantacinque. Tre,
quattro ore al massimo e tutto sarebbe
finito.
- Il
tempo quel mattino aveva voluto fare le cose in
grande: il livore delle giornate precedenti aveva
lasciato il posto a un bellissimo, gelido sole. Il
cielo era terso e la natura sembrava in festa. Tra
poche settimane sarebbe iniziata la primavera. Il 36
non si fece aspettare. Alle nove e un quarto Tommaso
era già alla sua panchina, in
agguato.
-
- Verso
le undici cominciò a preoccuparsi. Della data
era certo. Non si era sbagliato. Che ci fosse stato
qualche contrattempo?
- Ormai
guardava l'orologio continuamente. Strano! Erano
passati come un lampo venticinque anni, e adesso il
tempo sembrava essersi fermato. Alle dodici, quando
aveva ormai perso la speranza, gli parve di vedere
qualcosa in corrispondenza alla piccola porta
metallica, a lato del portone principale. Era
un'impressione o si muoveva davvero?
- Sì.
No. Sì. SI! La porta si stava aprendo.
- Piano.
Al rallentatore, ma si apriva.
- Rimase
così, socchiusa per pochi istanti:
un'eternità. Poi, sempre al rallentatore, una
figura scura si sporse verso l'esterno. Un passo
breve. Un altro. Un altro ancora. Come di chi non
fosse abituato a spazi aperti. La porta si richiuse
alle sue spalle.
- Era
lui.
- Cristo!
- ERA
LUI!!
- Tommaso
era impietrito. Il respiro bloccato.
- Da
venticinque anni aspettava quel momento. E adesso che
era arrivato non gli sembrava possibile. A meno di
duecento metri da lui l'animale. Libero di muoversi.
Di azzannare ancora.
- Lo
guardò guardarsi attorno. Smarrito. Poi muovere
qualche passo nella sua direzione. Passi lenti,
stentati.
- Lo
vide avvicinarsi mentre la sua mano nella tasca del
cappotto cercava febbrilmente il metallo. In qualsiasi
direzione avesse voluto andare sarebbe stato costretto
a passare di lì.
- Tommaso
voleva controllarlo bene. Da vicino.
- L'altro
si avvicinava. Lentamente. Passarono non più di
due lunghissimi minuti ed eccolo lì, a
cinquanta metri. Poi venti. Poi dieci. Tommaso lo vide
finalmente dappresso e rimase esterrefatto: un
vecchio.
- Un
vecchio!
- Dov'erano
gli occhi torvi che aveva odiato nell'aula del
tribunale venticinque anni prima? Dove la bestia che
aveva urlato la sua ribellione alla lettura della
sentenza? Ecco cosa ne era rimasto: un vecchio rudere
che trascinava passi pesanti dentro un cappotto non
suo, con una borsa sportiva che penzolava dalla spalla
sdrucita.
- Non
si accorse di nulla. Gli passò davanti e
proseguì con passo incerto. Lui lasciò
che fosse a una certa distanza. Poi si alzò e
lentamente gli si incamminò dietro.
- Ora
si sentiva un po' più rilassato. In fondo tutto
stava andando come doveva. Di lì a poco la
storia avrebbe visto la sua conclusione.
- L'altro
proseguiva stancamente, senza guardarsi attorno.
Tommaso sapeva già dove sarebbe andato e quale
strada avrebbe percorso. Aveva previsto tutto.
Camminava tranquillo tenendosi a una trentina di metri
di distanza. Tranquillo?
- In
realtà ripassava meccanicamente tutta la scena
che di lì a poco sarebbe seguita. La conosceva
a memoria, come un pianista in grado di suonare un
pezzo a occhi bendati.
- Aveva
riflettuto molto su come la cosa avrebbe dovuto
svolgersi.
- Non
voleva che l'altro partisse senza conoscerne il
motivo. Si era preparato bene in proposito. Niente
enfasi. Niente grandi discorsi. Solo poche parole. "Ti
ricordi di Marta? Ci pensi qualche volta? Io non ho
mai smesso in tutti questi anni. Volevo solo che lo
sapessi prima di andartene". In quella parte deserta
di città nessuno avrebbe fatto caso a un paio
di colpi di calibro 22.
- Così.
Semplice. Chirurgico.
- Per
andare nella direzione prescelta si doveva
attraversare una zona semi disabitata, costellata qua
e là da magazzini e piccole fabbriche. L'unico
momento di animazione in quella zona era al mattino
presto e la sera all'ora di uscita. Per il resto non
girava anima viva. Si stava avvicinando l'ora di
pranzo e gli operai si avviavano alla mensa a
prelevare la pietanziera portata al mattino che le
inservienti avevano messo a scaldare.
- Le
pochissime auto che passavano contenevano forse
qualche coppia irregolare che, ad onta dell'ora, si
era appartata in qualche viuzza deserta. Nessuno
avrebbe fatto caso a due vecchi.
- Affrettò
il passo.
- Ormai
era una questione di qualche minuto, poi tutto si
sarebbe concluso. Gli venne alla mente il "tutto
è compiuto" di Cristo sul Golgota. Quale strano
Golgota era mai quella periferia abbandonata! E chi
tra loro due era Cristo e chi il suo
carnefice?
- Tommaso
impugnò il metallo gelido nella tasca del
cappotto.
- L'animale
era a non più di quindici metri davanti a
lui.
- Ormai
era cosa fatta.
- Una
sirena. Lontana.
- Ambulanza,
pompieri? Forse no. Piuttosto poteva trattarsi di una
delle piccole fabbriche che sorgevano lì
attorno. Segnava l'ora del pranzo oppure quella di
riprendere il lavoro.
- Tommaso
esitò. Quel suono l'aveva distolto per un
momento dal progetto di morte per il quale, lento ma
inesorabile, si era programmato.
- In
un attimo gli balenò davanti agli occhi quanto
sarebbe accaduto di lì a qualche istante.
Qualche parola. Un colpo, forse due, persi in quel
deserto metropolitano. Lui che si allontanava dal
mucchietto di stracci, con calma. Non c'era bisogno di
correre. E poi?
- E
POI?!?
- Cosa
avrebbe fatto quella sera e il giorno dopo e quello
successivo?
- Come
avrebbe passato i giorni e soprattutto le
interminabili notti senza quella voglia di vendetta
che aveva accudito con amore perverso? Di che cosa
avrebbe nutrito le proprie fantasie se quella, l'unica
che l'aveva mantenuto in vita, fosse venuta a
mancare?
- Gli
passò davanti, in un baleno, la lunghissima
strada che aveva percorso: scuola, università,
lavoro, matrimonio, Marta. Poi la tragedia e l'attesa,
lunga e inutile, della vendetta. Ne era valsa la
pena?
- "Che
cosa ne ho fatto della vita!?" fu per un attimo il
pensiero sconfortato.
- Era
stato tutto scontato e ineluttabile o qualcosa avrebbe
potuto essere diverso se solo lui l'avesse
voluto?
- Era
troppo tardi ormai per cambiare qualcosa?
- Per
la prima volta, dopo tanti anni, le cose cominciavano
ad apparirgli sotto una luce diversa.
- Allentò
la presa sul metallo.
- L'animale
si trascinava avanti, a fatica. Erano ricomparse le
prime costruzioni abitate: di lì a poco sarebbe
arrivato a casa. Un casermone di barriera, frequentato
ormai soprattutto da neri, dove nessuno si sarebbe
ricordato di lui, chi era, da dove veniva. Il posto
ideale per riprendere un aborto di vita.
- Sostò
a lungo davanti alla rastrelliera dei campanelli quasi
volesse decifrare, uno ad uno, i graffiti che la
deturpavano. Poi alzò una mano incerta e
premette un pulsante. Dopo diversi secondi si
sentì lo scatto. Esitante spinse il portoncino
ed entrò.
- Tommaso
lo guardò salire i primi gradini mentre il
battente, lentamente, si richiudeva.
- Alle
sue spalle un piccolo spiazzo che, in altri tempi,
doveva essere stato un giardinetto. Ora sembrava
più una discarica. In un angolo, malandata, una
panchina. Sedette cautamente, nel timore che non
reggesse il suo peso. Nessun problema: era ancora
solida.
- Bene:
l'altro era di nuovo sotto il suo
controllo.
- Nel
frattempo lui avrebbe potuto riflettere.
- Non
era più così sicuro sul da farsi. Sapeva
però che qualche cosa avrebbe fatto.
Senz'altro. Doveva solo pensarci prima molto bene. Con
calma.
- Il
tempo non gli sarebbe mancato.
- No.
Non gli sarebbe proprio mancato.
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