- Cuore
di Montagna
Montagna se ne stava, insieme alla sua famiglia e ai
suoi amici, ferma ferma, a braccia conserte e con il
broncio sul viso, a contemplare la vita scorrere
intorno: laghi placidi distesi al sole, torrenti
impetuosi cantilenanti tra un balzo e l'altro, i saggi
abeti dalle braccia ondeggianti, saldi rifugi di vite
diverse, il vivace scoiattolo, gli allegri uccellini,
le indaffarate api.
- "Tutto
si muove intorno a me, persino i pesanti orsi e le
astute aquile che mi usano come casa spesso mi
lasciano sola e vanno per il mondo, soltanto io non ho
piedi per muovermi, per scoprire cosa c'è
intorno, non posso conoscere altre montagne che non
siano quelle, anche loro immobili, accanto a me, non
posso neppure voltarmi indietro, a guardare cosa c'era
prima. Forse tutto questo peso che mi porto addosso ha
schiacciato i miei piedi e le mie gambe e per questo
non posso più muovermi? Forse tutta questa
forza racchiusa dentro di me tiene bloccato il mio
corpo?"
- Così
passava i giorni Montagna, brontolando e
imbronciandosi sempre di più.
- Non
potendo muoversi, riusciva a guardare solamente
davanti a sé e ogni giorno aveva sotto gli
occhi l'indaffarato pullulare della vita che la
indispettiva tanto.
- Fu
così che si accorse che il calore del sole
stava sciogliendo la neve, che piano piano lasciava
liberi i suoi fianchi e gocciolava in rivoli dai mille
colori dalle punte dei rami degli alberi. "Ecco, se
già prima non potevo stare tranquilla, adesso
che la neve se ne va, figuriamoci che gran
confusione!"
- Montagna
invidiava anche la neve che, nel suo piccolo, era
libera di arrivare e scomparire a proprio piacimento,
insomma, anche la neve si muoveva, soltanto lei era
costretta a rimanere sempre immobile. Montagna su un
punto aveva ragione: sapeva per esperienza che, quando
la neve si scioglieva, sotto il sole via via sempre
più tiepido, un rigoglio di nuova vita e nuove
attività esplodeva letteralmente ai suoi piedi
e fra le sue braccia.
- Come
da una tavolozza sfuggita di mano ad un pittore
generoso, tutte le tonalità del verde andavano
a ricoprire ogni minimo spazio libero e a far da
cornice a scintille di bianco, blu, giallo, rosa e
rosso. Mille ali ed altrettante zampe si
indaffaravano, chi di giorno, chi la notte, in questo
mondo incantato e prezioso, in un brulicare di voci,
di respiri, di anime. A Montagna tutto questo
movimento acuiva, se possibile, ulteriormente il
cattivo umore, provocandole una sorta di prurito da
cui riusciva a liberarsi soltanto ad autunno
inoltrato, quando finalmente, tutto il mondo sembrava
quietarsi sotto la severa bacchetta della
pioggia.
- Montagna
non sapeva, o meglio, non si ricordava più, se
anche le sue amiche e sorelle montagne provavano gli
stessi disagi perché, a causa del suo carattere
sempre cupo, nessuno parlava più con lei da
molto tempo. Montagna non si ricordava neanche se lei
stessa fosse stata sempre così o da quando e
perché avesse iniziato a rinchiudersi in se
stessa al punto da non amare più il calore del
sole, il soffio del vento, l'allegria degli animali,
la maestosità degli alberi, il ristoro della
pioggia, la delicata carezza della neve.
- Forse
senza accorgersene non aveva più saputo
meravigliarsi per tutto quanto costituiva il suo mondo
e aveva cominciato a pensare di voler cercare, e poter
trovare, altrove qualcosa che potesse renderla felice;
il fatto era che non riusciva più a provare
amore, ad essere felice guardando davanti a
se.
- Anche
nella vita quasi eterna di una montagna ogni giorno
passato a recriminare piuttosto che a vivere è
un giorno sprecato, quindi la Natura, che sulla sua
creatura Montagna aveva sempre vegliato fin dalla sua
nascita, decise di porre rimedio a questa situazione
così triste. Un bel mattino di primavera
Montagna, sbattendo svogliatamente gli occhi,
notò in una piega del suo duro rivestimento
grigio, qualcosa di nuovo e di diverso rispetto al
giorno prima: si trattava di una fogliolina tenera
tenera, di un verdino chiaro e delicatissimo, che si
reggeva su uno stelo corto e sottile.
- "Cosa
ci farà qui un esserino del genere" -
pensò fra sé montagna, che era abituata
ai tronchi vigorosi dei pini e ai robusti cespugli di
stelle alpine e genziane.
- Non
si era accorta che un pettirosso, qualche giorno
prima, uscendo un attimo dal folto sicuro del bosco,
aveva depositato un piccolo seme in un anfratto
riparato nel cuore della roccia. Il sottile strato di
terra regalato dal vento e la rugiada donata dalla
notte avevano avvolto il piccolo seme magico
finchè la vita aveva cominciato a pulsare in
lui e un piccolo germoglio si era fatto strada
attraverso il guscio ed era uscito nel mondo. Giorno
dopo giorno il germoglio si irrobustiva e somigliava
sempre più ad una pianticella, le foglie
lucidissime e verdi come crisoberilli. Quando
cominciarono a sbocciare i primi fiori di tutti i
colori e profumati come i vestiti leggeri delle fate
dei boschi, tutti gli insetti delle radure andarono a
danzare intorno alla piantina e a posarsi su quei
petali lisci e delicati, luminosi nel
sole.
- "Che
spettacolo!" - esclamò Montagna, che, dal
giorno in cui aveva scoperto il piccolo germoglio
nella piega del suo petto, ogni mattina si svegliava
con la curiosità di scoprire quale
novità quel piccolo essere avesse da svelare e
ogni nuova giornata era per lei fonte di interesse e
di gioia. Adesso accoglieva felice il via vai di
insetti e piccoli animali che si avvicendavano intorno
alla piantina magica, aveva ricominciato ad amare il
sole che con i suoi raggi d'oro rendeva meno grigia la
sua scorza di roccia e illuminava la vita intorno a
lei, socchiudeva gli occhi deliziata alla carezza del
vento che sospirava delicatamente fra i rami degli
alberi e scivolava sui suoi fianchi
rocciosi.
- Montagna,
giorno dopo giorno, aveva ricominciato a provare
qualcosa all'altezza di dove ricordava esserci stato
un tempo lontano il suo cuore, e tutto ciò
grazie a quelle foglioline lucenti e a quei petali
delicati, che sembravano nutrirsi della linfa che
Montagna aveva tenuto in serbo per così tanto
tempo nel profondo del suo essere. Anche le montagne
vicine avevano notato un cambiamento nell'umore della
loro amica, che non era più brontolona e
imbronciata ma sempre più allegra e aperta alla
vita. Le giornate si susseguivano così luminose
e serene, con Montagna che sembrava ripiegarsi su se
stessa a proteggere quella fragile creatura che le
aveva ridato il sorriso, quando un temporale
più intenso degli altri minacciava di piegarne
lo stelo, o quando il sole sferzava con un po' troppa
veemenza con i suoi raggi appuntiti i petali
delicati.
- Dopo
la primavera e l'estate, che con il loro schiudersi
alla vita avevano ridestato anche il cuore non
più indurito di Montagna, ecco l'autunno, con
il suo preludio al riposo lungo e silenzioso, gli
ultimi guizzi di attività e di colori a
ricordare alla Natura i suoi impegni prima di riporre
la tavolozza sotto una tela bianca.
- Montagna
accompagnava uno ad uno i suoi amici animali e alberi
nelle loro attività: chi preparava il caldo
giaciglio, chi rimpinguava le scorte di cibo nella
dispensa, chi depositava le ultime foglie ai suoi
piedi per riparare le preziose radici. La piantina
magica intanto, sotto gli occhi amorevoli e attenti di
Montagna, sembrava diventare ogni giorno un po'
più piccola, i fiori meno brillanti senza i
raggi del sole che ne accendevano i colori. Montagna
però non ne era preoccupata, perché ora
sapeva. Sapeva che dopo la neve, che arrivò
lieve e abbondante a coprire tutto, compresa la
piantina magica, adagiata sotto quella coperta come se
dormisse, il suo cuore avrebbe battuto ancora, avrebbe
germogliato ancora, per sempre. Così anche lei
si abbandonò al sonno ristoratore che l'avrebbe
accompagnata fino alla primavera, fino a che la
piantina magica l'avrebbe svegliata dispiegando
nuovamente la sua magia d'amore dalla roccia verso il
cielo.
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