Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Thomas Ruberto
Con questo racconto ha vinto il secondo premio al concorso
La Montagna Valle Spluga 2004, sezione narrativa

Il quarto piano
 
La mia scoperta è stata casuale. E' vero, ero in attesa che qualcosa colpisse la noia cha avevo dentro, per fare del male o del bene non aveva troppa importanza, ma che attendere passivo mi avrebbe portato a una scoperta del genere no, questo non me lo sarei mai aspettato. E' come aprire un regalo che lascia sbigottiti, non perché incomprensibile nel significato o esagerato per l'occasione, ma perché stravolge. Scarti il pacchetto e quando vedi di cosa si tratta non hai il coraggio di guardare negli occhi la persona che lo ha pensato. Non ti chiedi quando ha deciso di comprarlo, se ha sorriso alla cassiera mentre pagava o se la scelta del fiocco gli ha fatto perdere del tempo. Sussurri solo un grazie spontaneo, senza far trasparire né felicità né delusione, ma quello che più fa rumore è il tuo batticuore.
Ecco, la scoperta della botola al quarto piano dell'albergo che gestivo mi aveva dato il batticuore. Era qualcosa di inaspettato. Mi aveva prima stravolto e poi travolto, infine era diventata la mia scoperta. La mia incredibile e grottesca scoperta casuale.
 
La responsabile delle pulizie, la signora Givet, era entrata nel mio ufficio senza bussare. Era una signora francese grassa e impetuosa, che a prima vista appariva scorbutica. Non so cosa pensasse dell'Italia, ma posso dire che era la regina delle pulizie. Il signor Vink l'aveva trasferita da un suo albergo in Francia e le aveva pagato le lezioni di italiano, come al resto del personale. Molte delle persone che lavoravano all'hotel erano straniere: il signor Vink era fissato con l'Europa unita e aveva assunto uomini e donne da ogni Stato.
"Viviamo sotto un'unica bandiera" mi aveva detto, "e i clienti si sentiranno a casa sapendo che c'è un loro connazionale che lavora in albergo."
Grazie al personale così vario, io avevo imparato qualche parola in diverse lingue, anche se le più banali. Se qualcuno mi chiedeva che opinione avessi dell'Europa unita, rispondevo che l'Europa, per me, è un grande albergo in cui tutti lavorano pagati da una sola persona.
La signora Givet mi aveva interrotto mentre al computer inserivo nel conto della camera "Lussemburgo" l'utilizzo della lavanderia per due tute da sci. Era il tipo di tute che ti aspetti di veder indossare da una coppia che alloggia nell'albergo dell'amore: azzurra per lui e rosa per lei, con un cuore trafitto disegnato sulla schiena e un gancio all'altezza dei fianchi. L'amore, a volte, è infantile come un disegno e indissolubile come due tute da sci agganciate.
"Mi servono i detersivi per lavare la moquette, li ho finiti tutti" aveva detto la signora Givet.
Senza alzare lo sguardo dallo schermo le avevo dato le chiavi del quarto piano.
"Non può prenderli lei, signor Davide? Mi fa male un ginocchio e l'ascensore non funziona. "
Non sempre gli ordini sono un'esclamazione. Possono avere una domanda e una risposta.
La signora Givet mi aveva sorriso, se quel movimento delle labbra si poteva chiamare sorriso, ed era uscita dall'ufficio. Si era seduta sul divano della piccola sala da lettura vicina alla reception e mentre massaggiava il ginocchio aveva iniziato a sfogliare un quotidiano.
Ero salito fino al quarto piano ed ero entrato nel locale che faceva da ripostiglio.
Per liberare lo scatolone che conteneva i detersivi e non sapendo quali potessero servire alla signora Givet, avevo preso tutta la scatola. L'avevo alzata e mi ero accorto di una botola mai vista prima. L'avevo guardata come si guarda un frutto sconosciuto. Sai che è da mangiare ma non ne immagini il sapore. Io sapevo che la botola si poteva aprire, ma non immaginavo cosa potesse esserci all'interno.
"Una botola" avevo detto sorpreso. Ma mi ero voltato e me ne ero andato. Poche volte ero entrato in quel locale e quando ci entravo cercavo sempre di uscire il più in fretta possibile. Non volevo impregnarmi dell'odore di vecchio che ha ogni ripostiglio. La signora Givet stava leggendo la pagina degli spettacoli e mi aveva detto qualcosa a proposito di un nuovo reality in televisione. Avevo appoggiato la scatola per terra e dopo il suo grazie mi ero rimesso al computer e avevo salvato il documento della camera "Lussemburgo".
Poi ero tornato alla reception. Di lì a qualche minuto i clienti sarebbero rientrati in albergo per la cena.
 
Guardavo le montagne e pensavo. Sembrava fossero lì per non farmi respirare.
Avevo letto che le Alpi si abbassavano di un millimetro ogni anno e che i ghiacciai si restringevano come certe magliette dopo un lavaggio. Pensavo che più crescevo e diventavo maturo, più capivo che poche cose mi avrebbero sbalordito ancora nella vita.
I clienti dell'albergo andavano e venivano, io restavo e mi annoiavo. Le montagne erano una maglietta sempre più stretta, un colpo ai reni che bloccava il respiro.
"Le montagne tolgono il fiato!" Aveva esclamato un giorno mio zio battendo un pugno sul tavolo.
"Ti si stringono attorno e ti chiudono in gabbia. "Lui aveva vissuto sulle Alpi per vent'anni.
Mi annoiavo a morte. Non riuscire a vedere al di là delle montagne era un libro con le pagine nere, senza parole. Non c'era fantasia.
Era da tre anni che gestivo l'hotel Eros, ma da quattro mi ero trasferito sulle Alpi. O meglio, come dicevano tutti, nel cuore delle Alpi. Come se questo possa dare un significato diverso alla vita di montagna.
Insieme al proprietario, il signor Eros Vink, avevo seguito i lavori di ristrutturazione dei tre piani dell'albergo. E' strano come a scandire il tempo di una ristrutturazione siano la polvere, il cemento, l'arredo e lo champagne. Sono i cicli dell'edilizia. Scruto gli operai che lavorano nel cantiere finché ti trovi con un bicchiere in mano a parlare dei costi e a ringraziare per i complimenti.
Il signor Eros Vink era olandese e viveva in Italia da parecchi anni. Aveva alberghi sparsi in tutta Europa, una specie di catena di "hotel Eros" che, come diceva lui, era la catena che univa il sonno dei cittadini europei. Era un albergatore di successo, capace e determinato, ma non amava il lusso. Per lui tutto doveva essere alla portata di tutti, a cominciare dai suoi alberghi.
Io pagavo un affitto annuale onesto e in cambio, tolti i costi per il personale e le spese di gestione, i profitti erano tutti per me. Non avevo ancora trent'anni e già guadagnavo bene, tanto da non aspettare con ansia l'estratto conto di fine mese.
Se lo stress di una persona si misura anche con la condizione economica bé, devo proprio dirlo, io non rientravo nel target di lettori delle riviste che spiegano come sconfiggerlo.
L'hotel Eros era un albergo di montagna, soffocato ovunque da legno anticato e rifinito con pietra grezza rubata nel letto dei fiumi.
Era stata un'idea del signor Vink progettare solo stanze per coppie. Ogni suo albergo era a tema.
"Voglio un soppalco per il letto matrimoniale, un soggiorno con divano e un bagno con vasca idromassaggio" aveva ordinato all'architetto.
"Tutte le stanze devono essere uguali. Non voglio suite o camere spoglie per poveri. Ha presente cos'è successo al Titanic? Dividere le persone in base alla differenza di classe fa affondare la società. E noi siamo in Europa. Dobbiamo unire, non dividere."
E così era stato: quindici stanze identiche, tutte allo stesso prezzo. Non c'era prima, seconda o terza classe. I clienti potevano davvero sentirsi sulla stessa nave.
Era stato un amico a mettermi in contatto con il signor Vink. Avevo sempre sognato di gestire un albergo lontano dalla città in cui ero nato, così avevo scalato le Alpi per far fruttare l'hotel Eros.
"Sarà l'albergo dell'amore" mi aveva spiegato il signor Vink.
"Non ci saranno mai bambini o famiglie nell'hotel, solo coppie innamorate o attratte. Nel mio hotel le famiglie devono nascere e i bambini devono essere concepiti. Chiameremo le stanze con i nomi dei quindici stati dell'Unione. Là fuori non c'è più solo l'Italia, Davide. Le coppie verranno da tutta Europa e il mio sarà l'albergo dell'amore europeo."
"E quando gli Stati dell'Unione cresceranno" avevo chiesto vantando il mio interesse per l'attualità, "ha intenzione di ristrutturare il quarto piano?"
"Non credo…" aveva risposto guardandomi di traverso. Forse non sapeva che l'Europa sarebbe cresciuta.
Il progetto del signor Vink, per dirla tutta, mi sembrava piuttosto bizzarro, ma mi piaceva. Anche io avevo sempre desiderato portare la mia ragazza in un posto del genere, in montagna, in una stanza costruita come le vecchie baite. Stare tutto il giorno sotto le coperte, coccolati dall'odore del legno e in silenzio, dopo aver fatto l'amore, guardare incantati i fiocchi di neve scendere. Ero certo che molte coppie sarebbero venute e che l'albergo avrebbe funzionato a meraviglia.
"E che ne facciamo del quarto piano?"
"Una parte sarà il tuo appartamento, l'altra la userai da ripostiglio."
Almeno non dovevo vivere in un monolocale sottoterra, come il personale.
Prendere l'ascensore e salire era la metafora del mio ruolo nell'hotel.
L'albergo funzionava davvero. Le coppie arrivavano da tutta Europa per passare qualche giorno in amore e si chiudevano in camera così come i lupi, nei periodi dell'accoppiamento, si stabilizzano in luoghi determinati. Qualcuno per concepire
Un figlio o decidersi a formare una famiglia, come diceva il signor Vink, ma tante volte, mi sembrava, solo per fare sesso lontano dalla routine di casa o dalle rispettive dolci metà.
 
Dopo cena, quando il signor Hinkel mi aveva sostituito alla reception, avevo deciso di tornare al quarto piano e scoprire cosa ci fosse sotto la botola. Non ci avevo pensato fino a quel momento, ma uno spillo di curiosità aveva lasciato dei buchini su tutto il mio corpo.
Il signor Hinkel era austriaco. Si era sposato nel cuore delle Alpi con una donna del posto, come se per uno scherzo del destino il suo cuore avesse iniziato a battere per amore solo una volta giunto quassù.
"prendo le chiavi del quarto" avevo detto. "Le tengo fino a domani."
"Si è deciso a sistemare il ripostiglio, signor Davide?" mi aveva chiesto Hinkel
con un colpetto dell'indice sul naso, un tic che chiudeva ogni sua domanda.
"No…" avevo risposto, "solo curiosità."
Con uno straccio umido avevo tolto la polvere che c'era sopra la botola, per vederne meglio la grandezza. Poi l'avevo alzata. All'interno era tutto buio e riuscivo a scorgere solo i primi gradini di una scala ripida. All'interno era tutto buio e riuscivo a scorgere solo i primi gradini di una scala ripida. Avevo acceso il mio zippo ed ero sceso
Sotto i piedi avevo un pavimento sconnesso, come pieno di sabbia umida pressata ma non livellata. Il locale era piccolo, quasi angusto. Mi sentivo come un bambino nascosto nel suo luogo segreto.
Nella parete dietro la scala c'era una porta. Senza esitare mi ero avvicinato e l'avevo aperta. All'interno c'era una luce talmente forte da dar noia alla vista.
Sembrava il riflesso del sole sulla neve quando in cielo le nuvole lasciano il posto all'azzurro.
Poi, quando gli occhi si erano abituati alla luce, avevo visto.
Un uomo mi guardava con il sorriso stampato. Dietro di lui c'erano montagne, vicine e bellissime.
"La porta del passaggio non può rimanere aperta" aveva detto.
Era vestito con una divisa blu scura, elegante e conie finiture in oro, come quelle dei portieri degli alberghi a cinque stelle.
"Può fare un passo e varcare la soglia, oppure restare dov'è ora. Ma la porta del passaggio non può rimanere aperta."
Ero titubante, ma ero riuscito a fare un passo. Era come se qualcuno mi avesse dato una leggera spinta. Ho sempre bisogno di una spinta per provare ciò che mi è sconosciuto. Poiché non c'era nessuno, era stato il mio inconscio a spingere.
"Sono le nostre regole" aveva detto il portiere dopo aver chiuso la porta.
"Nostre?" avevo chiesto.
"Io sono Marek, il custode del passaggio. Lei come si chiama?"
"Davide" avevo risposto a stento.
"Ah, e dunque è lei il signor Davide, il gestore dell'hotel Eros. Bene, sì, molto bene. Il signor Vink ci aveva avvistai che prima o poi sarebbe arrivato."
"Il signor Vink?" avevo chiesto stupito.
"Certo, il proprietario del suo albergo."
"Ma…ma dove mi trovo?"
Qualcosa aveva colpito la mia noia. Anche senza aspettare la risposta di quel tale sentivo che parte della monotonia che avevo dentro si stava già sciogliendo. Ero spaventato, senza dubbio, ma anche affascinato. Ciò che intravedevo dietro il sorriso del custode mi aveva sbalordito. Era qualcosa di talmente incredibile, magico e pauroso, che poteva solo sbalordirmi. Se quello che vedevo era reale, avrei chiesto alla realtà di rapirmi.
"Lei si trova nella dimensione parallela delle Alpi. Benvenuto."
"Dimensione parallela?"
"Ripete sempre le parole del suo interlocutore quando dialoga? Certo, dimensione parallela, e quello che ha appena passato è un varco, l'unico in Italia per le Alpi."
Lo aveva detto con la semplicità di un macellaio mentre sgozza un vitello, come se mi volesse rimproverare di non credere ai fumetti o ai romanzi fantasy.
Vedevo montagne, divise tra loro e a poca distanza l'una dall'altra, e seggiovie e sciatori e persone che mi passavano vicino. Davanti a ogni montagna potevo scorgere una bandiera: quella dell'Austria e della Spagna, più lontano quella dell'Italia, della Germania e della Francia e accanto a ognuna quella dell'Europa, con le dodici stelle invariabili.
"Cosa sono quelle bandiere?" avevo chiesto voltandomi verso Marek.
"Posso chiamarle una delle nostre guide, se le interessa. Le spiegherà tutto ciò che c'è da sapere e la porterà a fare un giro turistico."
Cominciavo a innervosirmi. Da una parte volevo sapere, a quel punto era vitale, dall'altra c'era Marek il custode che considerava la dimensione parallela come una gita di terza elementare.
"Non ho intenzione di muovermi da qui finché non capisco che razza di posto è questo!& avevo urlato, " e sarà lei a spiegarmelo."
"Certo, come vuole: siamo nella dimensione parallela delle Alpi. Quelli che vede sciare sulle piste o passeggiare o prendere il sole, sono turisti arrivati dai varchi sparsi in Europa. I varchi sono posizionati nei migliori luoghi delle Alpi, in quelli che noi abbiamo ritenuto opportuni."
"Noi chi?" avevo chiesto.
"Questo non è affar suo."
Il tono di voce del custode mi aveva fatto capire che rispetto al "noi chi?" non avrebbe detto nient'altro. Per un attimo il suo sorriso era sparito e io non avevo insistito. Non sempre occorre sapere tutto.
"E queste montagne, cosa sono? Sembrano finte. Sono bellissime ma…"
"Sono la dimensione parallela delle montagne più famose d'Europa. In tutto abbiamo quaranta piste europee, delle Alpi ma non solo, anche se la nostra offerta non è completa."
"Ma perché i turisti vengono qui se sono già in montagna?"
" Che domande, signor Davide, lei non è molto sveglio! Capisco la sua sorpresa, ma usi l'intelligenza! A sciare sulle stesse piste ci si stufa subito. Noi, insieme agli alberghi delle località in cui ci sono i varchi, garantiamo quello che nessun altro può offrire/ sole perenne, neve naturale abbondante e le migliori piste d'Europa.
Capisce, signor Davide?"
"E' incredibile" avevo sussurrato.
"Eppure è tutto davanti ai suoi occhi."
"Vederlo è ancora più incredibile."
"Perché non noleggia un paio di sci e prova a sciare in Sierra Nevada?"
"No grazie, magari un'altra volta."
"Se preferisce può sciare a Chamonix. Oppure a Kitzbuehel o sulla 3-Tre di Campiglio."
" Ho detto di no, ma grazie." E mi ero incamminato verso l'uscita.
"Se ne vuole già andare, signor Davide? Sono io a innervosirla o è il posto?"
"Be'… entrambi!" avevo esclamato con ironia, "comunque tornerò."
"Oh, ne sono certo."
Poi, intontito e su di giri, avevo dato un ultimo sguardo a quel luogo e Marek il custode aveva chiuso la porta ripetendo ancora che il passaggio non poteva rimanere aperto.
Una volta nel letto, nella mia solita dimensione, avevo preso il cellulare per chiamare il signor Vink.
"Pronto?"
"Sono Davide."
"Non ti sembra un po' tardi per chiamare?Io non faccio mai le ore piccole.
"Ma sono le undici."
"Appunto! Io vado a letto alle nove."
"Mi scusi, signor Vink, ma è urgente."
"Che cosa c'è di così urgente, ha preso fuoco l'albergo? C'è stato suicidio di coppia?"
"No signor Vink, io ho…" e mi ero bloccato.
Avevo ripercorso con la mente ciò che mi era capitato, per giudicare ancora una volta quanto potesse essere reale. Ma non avevo trovato risposte.
"Tu hai cosa, Davide?"
"Vorrei incontrarla al più presto. Io ho … ho scoperto il varco."
 
 
Nei giorni seguenti avevo parlato a lungo con il signor Vink. Avevo saputo che il varco doveva rimanere segreto e che in caso contrario si poteva morire. Per questo aveva preferito non mettersi in affari con i gestori dell'altra dimensione.
Il signor Vink mi aveva detto, secondo quello che gli aveva spiegato Marek, che i clienti che tornavano dalla dimensione parallela erano consapevoli di aver vissuto qualcosa di eccezionale e illogico, ma non riuscivano mai a ricordare cosa.
Avevano in mente gli attimi del passaggio, ma credevano di aver provato una specie di realtà virtuale, un nuovo gioco.
"Del resto" mi aveva detto il signor Vink, "tu nomina la parola tecnologia e vedrai che nessuno chiede spiegazioni approfondite."
Avevo pensato molto alle possibilità del varco e mi erano venute parecchie idee su come sfruttarlo. Non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione. Ogni ente del turismo sogna una stagione invernale infinita, il cielo sempre luminoso e le piste innevate alla perfezione. E io avevo trovato la soluzione. L'hotel Eros, insieme all'amore, avrebbe offerto le Alpi, il grande cuore delle Alpi, e l'Europa.
Così avevo deciso di ristrutturare n il quarto piano e sbalordire in gran segreto. Un tempo la strada dello Spluga è stata passaggio per uomini, economia e cultura.
Collegava l'Europa al Mediterraneo. Io avevo il passaggio del quarto piano, qualcosa di unico, la mia personale strada dello Spluga.
Se la dimensione parallela aveva un cuore, come le Alpi, io sarei diventato una delle sue arterie.

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 Ins. 17-08-2004