- Un animo corroso
da una realtà che rifiuta e che lo rifiuta.
Una vita trascorsa senza affetti eppure assetata
d'amore. Un insanabile desiderio di libertà
che si scontra con una società moralista e
autoritaria nelle sue convenzioni borghesi. Una
profonda, insuperabile, disperata solitudine che
cerca sempre una via d'uscita per innalzarsi oltre
l'orrore del quotidiano, delle sue violenze, delle
sue leggi. Un uomo imprigionato in se stesso,
costretto a "soffrire umanamente / la retorica di
tutti i normali giorni delle / normali
persone".
-
- Presentando il
primo libro in versi di Dario Bellezza, Invettive e
Licenze del 1971, Pasolini definisce il giovane
autore "il miglior poeta della nuova generazione"
ma già qualche anno prima in un articolo,
egli aveva riconosciuto nell'esordiente scrittore
romano una forte componente di cambiamento rispetto
alle tendenze contemporanee: "riprende forza e vita
una certa aggressività esistenziale contro
il codice morale o di comportamento della
società". Una rabbia che scaturisce da
motivazioni personali, da "una vita come protesta
vissuta, come lento suicidio, come sciopero o
martirio... Dario Bellezza è un nome su cui
puntare" scriveva l'autore delle Ceneri di Gramsci
"un corpo-sentina di ogni degradato dolore, una
testa carica d'ogni esperienza
letteraria".
- Questo aspetto
dominante e caratterizzante tutta la sua produzione
letteraria lascia quantomeno sorpresi se si pensa
che lo scrittore, nato nel 1944 a Roma, si forma
culturalmente nell'ambiente romano a stretto
contatto con i maggiori esponenti della Roma
intellettuale di quegli anni come Penna, Bertolucci
e, chiaramente, lo stesso Pasolini. Egli è
dunque vissuto immerso in un'atmosfera
politico-culturale che vedeva da un lato la
contestazione ideologica degli anni sessanta e
dall'altro la linea eversiva della neoavanguardia
che portava avanti con aggressività la sua
battaglia contro i codici linguistici
convenzionali. Bellezza si ritaglia uno spazio del
tutto personale, lontano da qualsiasi militanza
politica o ideologica esplicita e da qualsivoglia
strategia culturale o progetto di sperimentalismo
linguistico.
- La
personalità di Dario Bellezza appartiene
prevalentemente alla poesia forse perché
attraverso quest'ultima trova una più
immediata e coinvolgente espressione il suo
autobiografismo inevitabile e struggente. Tuttavia
egli esordisce nel 1970 con un romanzo L'innocenza,
poi ripubblicato assieme a quattro racconti inediti
nel 1982 con il titolo Storia di Nino e alla
narrativa tornerà diverse volte durante
tutta la sua produzione letteraria con testi quali
Lettere da Sodoma (1972), Il Carnefice (1973)
Turbamento (1984), L'amore felice (1986) e Nozze
col diavolo (1995). Dall'alternanza di prosa e
poesia nasce nel 1979 il libro Angelo la cui
struttura fondamentalmente narrativa è
inframmezzata da alcuni passi di poesia che hanno
lo scopo di commentare e precisare.
- Da romanzi come
Angelo e L'amore felice si può facilmente
verificare come anche nella narrativa l'ispirazione
di Bellezza sia spesso di matrice autobiografica. I
due libri infatti alludono palesemente al rapporto
controverso tra l'autore e la scrittrice Elsa
Morante che egli stesso definì la sua
madrina letteraria. Una relazione strana, ambigua,
ma sicuramente segnata da un profondo affetto
reciproco e da una sincera stima culturale e
artistica che per l'autore, quantomeno agli inizi,
assume i toni di una vera e propria devozione nei
confronti della poetessa. In una intervista
rilasciata a Luciano Simonelli nel 1984, Bellezza
dice: "La conobbi quando avevo sedici anni e lei,
cinquantenne s'innamorò di me... Io avevo
molta ammirazione per lei e anche affetto, come lo
può avere un giovane che ha scritto tre
versi brutti, glieli fa leggere e si sente dire che
sono un capolavoro... Certo se mi avesse
considerato davvero un genio, come diceva, poi mi
avrebbe perdonato qualunque cosa". E invece la
Morante non gli perdonò mai "certe gravi
offese". Da una parte non poté assolvere il
giovane scrittore per il suo inganno sentimentale:
"la nostra storia è andata avanti per nove
mesi fino a quando una rivista ha pubblicato un mio
racconto e lei, che credeva fossi eterosessuale,
leggendolo si è accorta che non era
così...". L'impossibilità per
Bellezza di ricambiarla pienamente sul piano dei
sentimenti si è tramutata in un tradimento
imperdonabile. Ma ancor di più, ella non
accettò di essere stata messa "in un romanzo
nella sua verità, senza finzioni né
di carattere né di età" e, anche se
con toni e tinte fiabesche, di essere raccontata
attraverso lo sguardo impietosamente sincero del
suo amico, ancor prima che amante. In Angelo,
infatti, il giovane protagonista, imprigionato in
un'esistenza disastrosa segnata dalla droga,
dall'omosessualità, dall'omicidio, incontra
la "famosissima scrittrice" Elisa V. una
paradisiaca e allo stesso tempo spietata e
irraggiungibile "Dea della Letteratura" della quale
egli è schiavo, vittima della sua profonda
ma irrealizzabile passione. Lo scrittore sa bene
che questo romanzo gli costerà caro e che in
molti lo accuseranno di aver cercato solo volgare
pubblicità: "diranno che ho voluto, in
verità, soprattutto svalutare agli occhi dei
suoi passati lettori la figura sacra della
scrittrice... Forse scrivo per vendetta, o per
simulare davanti al fosco teatro di me stesso un
amore impossibile e normale; e per ritrovare una
perduta identità scomparsa nella tempesta
del tempo... e pur sapendo che mai Elisa mi
perdonerà, ho voluto per l'ultima volta
testimoniare l'enorme dipendenza che a lei mi
lega".
-
- Un altro
personaggio che indubbiamente segna in modo
profondo l'esperienza umana e artistica dello
scrittore è Pier Paolo Pasolini per il quale
egli proverà sempre un forte sentimento di
amicizia e, come per Elsa Morante, un sincero senso
di riconoscenza culturale avendo condotto proprio
con Pasolini quello che egli stesso definisce il
suo "apprendistato poetico".
- I motivi di
questo legame affettivo costante nel tempo sono,
dunque, diversi: da un lato il sentimento di
devozione verso il "maestro", anche se ben presto
egli troverà la propria strada, dall'altro
la condivisione di quel dolore esistenziale, di
quella sofferenza incolmabile che nascono dalla
"diversità", dalla rottura nelle proprie
scelte di vita, e quindi anche sessuali, rispetto
alle convenzioni "perbenistiche" borghesi. La
volontà comune di non accettare passivamente
una società codificata e standardizzata
negli atteggiamenti che in Pasolini si traduce in
un vissuto provocatorio e sprezzante delle norme e
dei codici morali, in Bellezza prende la forma di
un' espressione poetica dapprima rabbiosa e poi,
come si vedrà meglio avanti, più
pacata ma mai rassegnata.
- Proprio in nome
di questa vicinanza umana e affettiva per colui che
definì il "guru della mia adolescenza
letteraria", Bellezza scrive nel 1981 il saggio
biografico Morte di Pasolini, indignato dalla
pubblicazione "in tutta la loro gelida, disarmante
crudezza" delle "sue foto oscene sul letto di
morte... nudo, esposto, con tutte le macabre ferite
esibite del suo 'sacro' martirio" ad opera de
L'Espresso sul numero di febbraio 1979. "Nessuno
protestò per quelle foto esibite in
pubblico", scrive furiosamente Bellezza nella prima
pagina del saggio "in faccia ai borghesi contenti
di dirsi 'Così è morto quel
cane'...". Questo lo spunto, l'occasione per
parlare di un amico, per parlare della sua morte
non con volgari scopi scandalistici, come aveva
fatto la stampa del tempo, bensì per cercare
di capire se questa morte, dalle tinte fosche,
fosse stata determinata semplicemente dal caso
oppure se era il prevedibile punto d'arrivo di
un'esistenza complessa e di una personalità
ambigua. Così Alberto Moravia, scrivendo la
prefazione al libro, sottolinea come l'autore "si
è subito scontrato con la difficoltà
principale: quella di decidere se la morte di
Pasolini è stata o no in accordo segreto e
misterioso con la sua vita e la sua opera... se
Pasolini ha 'voluto' la propria morte, nel senso di
averla scelta, di averla vista venire, di averla
provocata, di averla accettata".
- Questo libro,
perciò, assume l'aspetto di un tributo, di
un ultimo regalo ad un uomo, ad un artista
incredibilmente e insanabilmente controverso ma
allo stesso tempo sempre vero, sempre se stesso
anche se così com'era non piaceva ai
più. Un tentativo di rivivere la vicenda
della sua morte dal di dentro, quasi come
esperienza autobiografica "alla ricerca di un'
impossibile verità" ma che quantomeno
rispettasse e "non facesse a pugni con la
realtà di tutti i giorni di
Pasolini".
-
- Alla produzione
narrativa Bellezza affida in qualche modo
l'espressione, il resoconto della sua esistenza,
delle sue esperienze biografiche anche negli
aspetti e nelle vicende meno gradevoli. Attraverso
di essa e contemporaneamente mediante l'analisi del
rapporto con le due figure più importanti
della sua vita, ci è stato possibile vedere
l'uomo nel suo vissuto, nelle sue scelte di fatto.
Ma se ci si vuole addentrare nell'animo
dell'artista, se si vogliono scoprire le sue
sofferenze profonde e le sue ambiguità,
allora è necessario, come in parte si
è già anticipato, rivolgersi alla sua
poesia perché a questa egli consegna il
ruolo di rivelare il "doloroso riflesso di quel
vivere". La produzione del poeta si articola in
numerosi volumi a partire da Invettive e Licenze
(1971), citato più volte in questa
trattazione, Morte segreta (1976), Libro d'amore
(1982), Colosseo (1982), Io (1983), Piccolo
Canzoniere per E.M. (1986), Undici erotiche (1986),
Serpenta (1987), Libro di poesia (1990), Gatti e
altro (1993), Testamento di sangue (1992) e,
infine, L'avversario (1994). Si è già
accennato a come e quanto l'affermazione della
propria individualità caratterizzi i versi
di Bellezza, ora è opportuno ripercorrere,
con maggiore approfondimento, l'evoluzione di
questa poetica dalla sua manifestazione giovanile
alla sua completa e matura
realizzazione
- Fin da uno dei
suoi primi componimenti Il mare di
soggettività sto perlustrando, il poeta
chiarisce e rivendica perentoriamente l'esclusivo
interesse per la sua dimensione privata e personale
e manifesta la propria incapacità di
adeguarsi alle correnti contemporanee. Il mondo
intellettuale degli anni sessanta e settanta
chiedeva o formalismo neoavanguardistico o impegno
politico, ma l'autore è estraneo a tutto
ciò, impegnato com'è a sondare i
foschi percorsi del proprio dolore interiore:
-
- "Il mare di
soggettività sto perlustrando
- immemore di ogni
altra dimensione.
-
- Quello che il
critico vuole non so dare. Solo
- oralità
invettiva infedeltà codarda
petulanza".
-
- Una vera e
propria dichiarazione programmatica attraverso cui
Bellezza individua i limiti della sua
espressività poetica nella sua "sofferente
corporalità". Qualche anno dopo, nel 1980,
affermerà chiaramente che "[occorre]
vivere la poesia e insisto sulla parola vivere,
altrimenti la poesia sarebbe vuoto esercizio
retorico, informe giostra di parole, ludico
ludibrio di sgangherate immagini in
libertà".
- Una poesia
viscerale che nasce come prodotto diretto
dell'angoscia e delle ambiguità di un "io"
inquieto, consapevole di non riuscire a
manifestarsi nella sua piena e totale
identità. Proprio questa dolorosa
consapevolezza è vissuta dal poeta con amaro
sarcasmo che permea a tratti i suoi versi, alla
ricerca di un maggiore controllo
critico:
-
- "...oltre il mio
io sbudellato alquanto,
- c'è
già la resa incostante alla
quotidianità".
-
- Lo scrittore,
dunque, non sceglie di sfogare la propria
insoddisfazione, quel senso di inadeguatezza ai
codici sociali, alla omologazione culturale
imperante, attraverso la strada mitica del
"maledettismo", considerata storicamente
impraticabile, ma decide di vivere tutta la sua
sofferenza dentro di sé, a volte
rabbiosamente, altre volte con triste
rassegnazione, mai definitiva, ma sempre con
pungente ironia e piena presa di
coscienza.
- Nel volume Morte
segreta l'autore attenua i toni aggressivi e questo
si traduce stilisticamente in un ritmo più
discorsivo, in un "verso lungo" che Contini fa
discendere dalle pasoliniane Ceneri di Gramsci.
Tutto questo non deve far pensare che maturando
egli si sia adagiato in un passivo atteggiamento di
rassegnata osservazione e accettazione dello stato
di cose, al contrario il poeta rimane coerente con
la sua poetica anticonformista di privata
individualità anche se ora è meno
concitata, meno violenta:
-
- "...il poeta
d'amore ha spento i suoi profili, i
suoi
- fuochi di
passione..."
-
- Egli ha trovato
la propria misura espressiva che è segno di
una crescita, di una maturità
riconosciutagli anche da letterati del tempo che
pure si distanziavano da lui per posizione
culturale e scelta poetica. Antonio Porta nell'
antologia dal titolo Poesia degli anni Settanta,
pubblicata da Feltrinelli nel 1979, scrive:
"L'esordio in poesia di Dario Bellezza (Invettive e
Licenze) mi ha sempre lasciato l'impressione di una
diversità un po' troppo esibita... è
una questione di misura stilistica e a me sembra
che Bellezza una sua misura l'abbia trovata in
Morte segreta...". "La chiave della riuscita di
Morte segreta" osserva Porta "sta nella messa a
frutto dell'esperienza narrativa di Bellezza e
dunque nella scelta coraggiosa di un ritmo lento,
solo a tratti accelerato da una rabbia
autodenigratoria".
- Si è
placata la carica aggressiva ma non il disperato
desiderio di amare e di vivere. In più
adesso egli avverte il passare del tempo, sente che
sono ormai trascorsi gli anni della giovinezza e
questo genera una sensazione di precarietà,
di angosciosa attesa della morte. Il poeta ne
avverte la presenza, ne è atterrito e lo
confessa con struggente onestà:
-
- "Ho paura. Lo
ripeto a me stesso
- invano. Questa
non è poesia né
testamento.
- Ho paura di
morire. Di fronte a questo
- che vale cercare
le parole per dirlo
- meglio. La paura
resta, lo stesso".
-
- L'individualismo
poetico di Bellezza non si attenua: egli non sta
cercando l'immortalità attraverso il suo
ricordo in chi gli sopravvivrà e neppure
vuole "cantare" la Morte con aspirazioni
classicheggianti ("Questa non è poesia
né testamento"). Semplicemente vuole dire
che ha paura, che è ossessionato
dall'annullamento totale, dal disfacimento fisico.
Egli ha vissuto tutta la sua esistenza "sentendo"
la realtà attraverso il proprio corpo,
percependo le persone e gli oggetti che lo
circondano mediante il filtro delle sue personali
sensazioni. Ora tutto questo sta per scomparire e
l'idea della totale cancellazione del proprio io,
protagonista assoluto della sua vita,
comprensibilmente lo atterrisce.
- Il tema non
cambia nelle raccolte successive; in particolare
nel volume mondadoriano Io si fa esplicita fin dal
titolo la volontà del poeta di continuare ad
indagare il proprio universo interiore ancora
assediato dal trascorrere impietoso del
tempo:
-
- "...dopo che
perversione e peccato
- via fuggirono da
me reso pesante dagli anni".
-
- Nasce l'esigenza
di cogliere nelle piccole cose, nei dettagli finora
ignorati o osservati con distrazione, quella
dolcezza che la vita non ha saputo regalargli e che
ora appare necessaria per sopravvivere. Lo sguardo
del poeta si fa più attento, più
curioso, alla ricerca di un paesaggio o di un
qualsiasi oggetto che possano alleviare il peso di
un' esistenza segnata dal malessere interiore.
- Cambia, dunque,
l'atteggiamento del poeta, ora meno rabbioso, ma
non cambia la sua condizione esistenziale segnata
sempre da una sofferenza incurabile e questo lo
costringe a riflettere sul valore stesso del suo
lavoro poetico:
-
- "Io relitto
semiserio di un mondo scomparso...
- ...io poeta,
- genere
alimentare fra i più scadenti
- e ispessiti
dalla volgarità del consumo
-
- ...piango sulla
comune sorte
- di rimanere
dentro l'umano".
-
- Eppure il tono
sarcastico rivela che neanche questa volta siamo di
fronte ad una resa totale, che il poeta, nonostante
tutto, non si abbandona a quella che non è
semplicemente una condizione personale ma che
appartiene all'intera umanità. È
questo che rende inquieto e lacerato l'Io di
Bellezza: la consapevolezza di non poter vincere la
guerra e, nello stesso tempo,
l'impossibilità di arrendersi del
tutto.
- Nell'ultima
raccolta, che definisce "stenta lettura di me
stesso", l'autore si confronta con L'avversario di
sempre, la morte, e anche nella battaglia finale
egli non rinuncia ad usare come arma una parola
feroce e tagliente, a tratti perfino blasfema.
- Su poeti dello
spessore di Dario Bellezza si potrebbe scrivere
all'infinito cercando di cogliere ogni sfumatura
del suo vissuto così straziante, così
penoso e non si arriverebbe mai a comprenderlo
appieno. Eppure ci si sente spinti da un
irrefrenabile desiderio di conoscere, attraverso di
lui, le nostre stesse paure, le nostre ossessioni
fino alla più tremenda, la
morte.
- Tuttavia si
avverte una strana sensazione di inadeguatezza a
scrivere di Bellezza utilizzando un linguaggio
formale, critico e quindi troppo distante da lui
così viscerale, così maledettamente
se stesso.
- Si è
scelto perciò di concludere questo
intervento citando, solo in parte, le parole di un
giovanissimo e ancora sconosciuto scrittore che
così, attraverso la propria
sensibilità, ha interpretato in prima
persona, rendendogli omaggio, la natura di questo
straordinario e sicuramente troppo poco elogiato
poeta dei nostri tempi:
-
- "Ho gli anni che
si merita un uomo solo; sono tutte le ore che
scivolandomi addosso a stento fatico a trattenere.
Nasco e muoio nell'istante del giorno che mi vide
urlare al mondo.
- ...quel sibilo,
quell'amore viscerale per la libertà
s'intuisce solo al crepuscolo quando le nebbie
perenni celano agli occhi umane visioni.
- Di pochi amici
era il mio passeggiare per le vie e d'amici
d'intelletto a contarli forse non più di due
m'affamavano d'idee. Alloggiavo la mia adolescenza
lungo sponde ambigue dove le curiosità
lasciavano il posto all'inquietudine; come quei
cani che sbavano e schiumano sulle ossa, io
divoravo e smembravo le correnti.
- ...Quanto poco
conservo di tutto il mio vivere! Non lo trattengo
giacché come una malattia m'obbliga alla
cura. Scrivo e scrivo e scrivo e solo quello so
fare.
- ...Discendendo
nell'abisso del sonno provo le stesse paure del
neonato. Mi desto e non trovando alcunché
poppo il mio sgomento e lo vomito con nero
inchiostro.
- ...io Dario di
nome attendo... che altro mi resta? Lascio
pesantemente il mio corpo scricchiolare e
rabbiosamente penso a qualcuno che
ricorderà... inutilmente tutti penseranno
alle parole e di me non rimarrà che un
nome".
-
- (Giovanni Luigi
Navicello)
-
- a cura
di
Monica
Forte
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