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Sotto
un cielo senza angeli
-
A
Pino,
che non leggerà questo libro
Non tutti nella capitale
sbocciano i fiori del male,
qualche assasinio senza pretese
lo abbiamo anche noi, qui in paese
Fabrizio De Andrè, Delitto di
paese
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- Capitolo
1
Giugno
- Ottavio non capiva
come mai la cornacchia che lo puntava, all'erta, da un
ramo di leccio incassato nel muro che cingeva la Villa
non rinunciasse alla sua elementare differenza, non
scendesse a insegnargli a volare; o magari non
gracchiasse per radunare le compagne così che
lo sollevassero in cima alla parete. Era convinto che
una mano gigantesca avesse posato la Villa sulla
sommità della collina, e contemplava il muro di
cinta che ancora non era riuscito a
scalare.
- Una volta aveva
provato a sfidare il leccio: "Dai, arrampicati! " gli
era sembrato che l'albero lo provocasse - aveva
ricavato graffi e sbucciature, aveva creduto che
quelle ferite fossero il giusto compenso per aver
sottovalutato, allora, l'umore insolito
dell'albero.
- E non aveva capito
la furia di sua madre, che per aver scoperto nei
calzoni un minuscolo strappo gli aveva imposto il
digiuno per un intero giorno. Di più: lo aveva
costretto a passare la notte in compagnia delle
galline, nel recinto del pollaio; e siccome il guano
inacidiva l'aria e gli impediva di respirare, era
rimasto sveglio a imitare i gorgoglìi delle
galline, giusto per avere di che conversare. Il
mattino dopo sua madre non lo aveva riconosciuto: gli
si era scagliata contro come posseduta, aveva lasciato
cadere la vaschetta con il becchime e lo aveva
colpito, e mentre colpiva aveva urlato: "Ancora tu, ma
chi sei, chi sei tu, non ti basta la notte per darmi
il tormento, via da casa mia, vattene maledetto", e
Ottavio non lo aveva capito. Se n'era restato immobile
come un sacco di pa-tate sotto le mazzate e aveva
aspettato che la furia le passasse. Non era la prima
volta, altre volte il suo corpo aveva dovuto farsi
carico degli umori bizzarri di sua madre, questo lo
sapeva ma non lo capiva.
- Sapeva che sua
madre non lo avrebbe riconosciuto fintanto che lui non
avesse accennato una nenia, una delle tante che sua
madre gli aveva insegnato: E chi sei?, Io sono il
lupo, Cosa vuoi?, Le tue galline, Che mi dai?, Due
fave secche, Che ci faccio?, Le conservi, Per che
farne?, Per darle al lupo. Era andata così.
Alla carezza della nenia l'ira della madre si era
sciolta nello stupore: aveva riconosciuto il figlio,
poi il recinto e le galline, aveva raccolto la
vaschetta e in ginocchio aveva deposto il becchime nel
recipiente, e aveva riso a lungo e Ottavio non aveva
capito. Ma aveva visto come il sorriso la
trasfigurava. Allora due pensieri avevano cozzato
nella sua mente, il primo: correre, correre verso la
Villa, nascondersi, scomparire, confondersi con la
macchia; e l'altro: cantare tutte le nenie, anche
quelle che non conosceva, quelle che sua madre non gli
aveva insegnato, per non vedere svanire il sorriso che
le distendeva il volto. Aveva immaginato, allora, il
sorriso di sua madre smarrito in chissà quale
caverna della memoria, e aveva pensato che per vederla
sempre così, riappacificata e bella, l'avrebbe
volentieri accompagnata per mano laggiù, in
fondo al buio, dov'era riposto lo scrigno che solo le
nenie riuscivano a forzare.
- Era il 1970 quando
Ottavio ammazzò sua madre, andava per i
quattordici ma non lo sapeva: molte cose non sapeva e
non capiva, a quel tempo. Non sapeva, per esempio, che
i manicomi ancora prosperavano e che "Villa" era il
nome tranquillizzante col quale, spesso, venivano
designati.
- Oggi no,
pensò Ottavio. Forse un giorno, quando il muro
lo vorrà: e sarà quello buono per
scavalcarlo. Si acciambellò ai piedi del
leccio, che da tempo aveva oltrepassato il muro di
cinta ed era in grado, fantasticava Ottavio, di vedere
quello che accadeva al di là, e pensò
che per tutto arriva il momento buono, quello giusto,
bastava aspettare.
- Non era forse
così che l'inverno ingrossava il torrente
vicino casa, senza che nessuno vi ponesse mano o
glielo ordinasse? E com'era che l'estate lo riduceva
una pisciata di vacca? Era così: arrivava il
momento giusto. La vite, in fondo all'orto? Verde, poi
rossa e gialla, e poi via, secca come una cicala
sfiatata. C'era soltanto da aspettare, e quella mano
invisibile che da il verde ai campi, che solletica le
cime degli albe-ri, che sparge la neve, la pioggia, la
grandine, che allaga i campi con l'acqua del fiume, un
giorno lo avrebbe sollevato, lo avrebbe portato in
cima al muro - sarà quello il giorno buono, lui
lo sapeva, e aspettava.
- Chiuse gli occhi,
si appoggiò al muro, poi si voltò e si
attaccò con le mani il viso e il petto ai
mattoni che il sole cominciava a scaldare; era certo
di poter udire qualcosa, magari le voci che il muro
tratteneva, ma non percepì che un debole
ronzio, come di una mosca imprigionata nella mente,
solitamente placata ma nella quale capitava, a volte,
che una moltitudine di passi portasse devastazione, ma
per poco, come la picchiata fulminea di un rapace; poi
si allontanavano, i passi, lo lasciavano solo a
cercare di capire da dove fosse emersa
quell'incredibile calca e che strada avesse preso per
dileguarsi. Si staccò dalla parete con gli
occhi ancora chiusi, si voltò, tese le braccia
in direzione dei campi sotto di sé e
proiettò in avanti le dita per cercare di
carpire il segreto che avvolgeva le cose, quasi fosse
egli stesso una pianta, una zolla, il brusìo
delle foglie, acqua. Restò così a lungo:
non accadde nulla. Tuttavia non dubitò che quel
segreto, un giorno, gli sarebbe stato svelato:
immaginava, semplicemente, che stesse da qualche altra
parte a dare risposte ad altre voci, a riempire spazi
ancora più vuoti.
- Portò le
mani al viso, si accarezzò, si intrufolò
le dita nei capelli, poi si percorse il corpo con
lentezza, sentì che era molle in alcune parti,
in altre ne tastò la durezza.
- Picchiettò
il turgore delle cosce, inseguì un
formicolìo che affluiva verso l'inguine e lo
avvolgeva, vi si afferrò, lo tenne stretto e
lasciò che un tumulto senza nome lo devastasse
con la rapidità di un fulmine e
l'intensità di un dolore: credette che da
quelle partì, tra le cosce, fosse rimasto
impigliato un po' di quel respiro invisibile che stava
cercando, e che per poco gli avesse animato il ventre
dissolvendosi quindi nelle rapide scosse di un
terremoto che ogni volta lo lasciava
stupefatto.
- Si alzò
barcollando - pochi passi e dovette reggersi.
Allungò una mano verso il leccio, scosse i
frammenti di foglie secche dal fondo dei calzoni: che
sua madre non vedesse, non sapesse. Sua madre, a casa,
lo stava aspettando. Lo avrebbe tenuto a sedere,
immobile, davanti alla finestra giù in cucina a
contemplare l'aia, e lui non capiva perché.
Tutte le mattine così: lui non avrebbe chiesto
spiegazioni, avrebbe fissato tutto il tempo il nespolo
che troneggiava al centro del cortile da tredici anni,
più o meno gli stessi di Ottavio, e avrebbe
ascoltato.
- Dal muro di cinta
della Villa, dal lato che si affacciava sulla piana,
un sentiero conduceva verso casa affiancando per un
tratto la strada grande, grigia d'asfalto, che lambiva
la casa di Ottavio e si perdeva, poi, in una curva
morbida verso un infinito al di qua del quale lui era
sempre rimasto. Ottavio si muoveva lungo la stradina
come su un percorso privato. Talvolta cercava un
arbusto solido, esteso, e vi si intrufolava, si
nascondeva, immaginava di trasformarsi a sua volta in
pianta per eludere l'angoscia che lo prendeva; altre
volte si avvinghiava ai rami, contorceva braccia e
gambe, restava immobile più che poteva sino a
quando il dolore non lo obbligava a
sciogliersi.
- Tutte le volte,
poi, si fermava davanti a un'edicola mezza diroccata a
cinquanta passi dal muro di cinta; a nessuno sarebbe
venuto in mente che quei tufi che ancora resistevano
potessero custodire l'immagine di una Vergine di
fattura grossolana, incerta, di una malinconica
bellezza miracolosamente conservata nei tratti del
viso e nella delicatezza delle mani; il resto era
divenuto alone stinto: il corpo avvolto da un drappo
incolore che annullava qualsiasi idea di forma, dando
l'impressione che quel volto, quelle mani fluttuassero
senza alcun legame col resto.
- Ottavio si
fermò, come sempre, davanti alla Vergine e
diede inizio al consueto rituale. Si mosse in circolo,
tre volte verso destra e tre volte verso sinistra,
roteò le braccia sopra il capo e poi in
giù, fino a toccare il terreno, e solo quando
fu si-curo di aver sottratto quella porzione di mondo
all'intrusione di elementi estranei si
inginocchiò davanti all'edicola e
asportò dal basamento una pietra rozzamente
squadrata che depose sull'altarino davanti
all'icona.
- Se gli avessero
chiesto conto di quel comportamento bizzarro, avrebbe
alzato le spalle: non sapeva perché lo faceva,
però sentiva di doverlo fare.
- Prima di infilare
un braccio nella breccia che gli stava davanti,
esitò, quasi indovinasse dietro ogni foglia
occhi indiscreti, o temesse in ogni ramo braccia
pronte a ghermirlo.
- In quello stesso
momento sul ciglio della strada grande, la Statale,
tre ragazzi si ingegnavano a sperperare il tempo che
l'età concedeva loro. Giocavano a formare
parole improbabi-li o inesistenti con le sillabe delle
targhe che vedevano sfilare sotto i loro nasi;
altrimenti si sfidavano a centrare il segnale stradale
che avevano di fronte, sul ciglio opposto. Davano
l'impressione di litigare, a volte.
- Osservati da
lontano, parevano marionette. Di colpo si
immobilizzarono. Uno dei tre, uno ricciuto, scuro di
pelle che gli altri due chiamavano il Marocchino si
era messo a dire: "Ma sì che l'ho visto un
sacco di volte, lo volete sapere meglio di me che ci
passo sempre da quelle parti?".
- "No, lasciamo
perdere" diceva l'altro, lo Spretato, "che ci frega,
dove sta il divertimento, è un povero
scemo".
- "Appunto, ci
facciamo quattro risate, così, tanto per fare"
diceva il terzo, che gli altri due chiamavano il Topo
per via di una peluria ispida e rada che gli spuntava
sotto il naso.
- "Se ci muoviamo
adesso lo becchiamo di sicuro" diceva il Marocchino,
"capace che se ne sta arrampicato sopra un albero, o
nascosto sotto un cespuglio" e sorrise
all'idea.
- "Sì,
sì, sì" incalzava il Topo, "e magari lo
convinciamo a farci spiare sua madre che parla da
sola, quella pazza".
- Lo Spretato li
rimbrottò flemmatico, disgustato: "Ma vi
rendete conto di quello che andate dicendo; che
divertimento c'è, santiddio, mi sembrate
più scemi di quel poveraccio lì, comesi
chiama...".
- "Si chiama Ottavio"
rispose solerte il Marocchino, e aggiunse: "Non fare
il difficile, il solito guastafeste".
- "Sentiamo, tu che
dici di fare, forza."
- "La verità
è che stiamo a menarcela da due ore, e quando a
qualcuno gli viene in mente di fare qualcosa di
divertente, eccolo lui, pronto a pontificare. Vuoi
sapere una cosa? Sei un guastafeste e un
prete."
- Lo Spretato
fumò di rabbia, avrebbe volentieri colpito il
Marocchino, ma non lo fece. Lo fissò con
cattiveria, poi alzò gli occhi al cielo,
sospirò, e ironico disse: "Perdona loro, che
non sanno..." e ghignò.
- "Ha ragione lui"
disse il Topo indispettito. "Noi andiamo, e se non ti
sta bene, staitene qui a contare le macchine, e
vaffanculo."
- Lo Spretato fissava
l'asfalto in silenzio. Alla fine disse:
"Andiamo".
- Ottavio contemplava
quanto aveva disposto in ordine sull'altarino. Non
sospettava di avere degli spettatori, non li ave-va
sentiti arrivare. I tre si erano mossi con cautela, e
adesso si nascondevano dietro dei cespugli.La voce di
Ottavio giungeva loro attutita, una preghiera appena
bisbigliata, così che erano costretti a
trattenere il respiro, a restare immobili evitando di
guardarsi, altrimenti un'alzata di sopracciglio o
un'occhiata di sbieco li avrebbe trascinati in un
vortice di riso.
- "Non mi tradire, mi
raccomando" diceva Ottavio, "solo tu conosci il
segreto, non andare a raccontarlo a quel chiacchierone
del vento, è capace di portarlo dappertutto".
Rivolgeva le sue parole accorate a una piccola,
rilucente pietra color del rame screziata di bianco e
fittamente attraversata da delicate ve-nature di un
nero intenso. Chiuse gli occhi e corrugò la
fronte, le palpebre serrate. Poi li riaprì,
fissò la pietra e la baciò, e se la
strinse al petto.
- Dal nascondiglio
dei tre adesso arrivavano fruscìi e uno
scalpiccio disordinato, pareva che un animale fosse
rimasto impigliato nei rami bassi e cercasse di
svincolarsi. Un sibilo: era il Topo che sussurrava:
"Ma che cazzo sta dicendo?" e ridacchiava.
- Il Marocchino
intimò: "Zitto, zitto che ci
scopre".
- Lo Spretato non si
divertiva, era rimasto in silenzio e immobile tutto il
tempo a fissare Ottavio.
- "Guarda, guarda che
fa" disse il Topo.
-
- Ottavio depose con
cura la pietra nel pertugio sotto l'altarino. Quindi
fece volteggiare le mani, le scosse in direzione della
pietra appena riposta; l'icona dava l'impressione di
seguire con indifferente fissità la liturgia
che le si andava svolgendo sotto gli occhi. Ottavio
raccolse dal mucchietto di oggetti disposti
sull'altarino uno scampolo di stoffa - pareva un
pezzetto di pelliccia color cioccolato. Lo
spiegò e lo depose sulla pietra dopo aver
scostato gli oggetti, si abbassò e vi
appoggiò una guancia, muovendosi lentamente da
destra a sinistra, come a farsene
accarezzare.
- Teneva di nuovo gli
occhi chiusi e dalle labbra gli sfuggivano suoni
inarticolati; una bollicina lucente si gonfiò
sotto la palpebra e precipitò lungo la guancia.
"Queste sono le sue carezze" bisbigliava, "questa
è la sua mano".
- Lo Spretato
sembrò destarsi dal torpore nel quale pareva
scivolato e disse: "Facciamola finita".
- Il Marocchino lo
abbrancò, giusto in tempo, poiché si era
già mosso in direzione di Ottavio. "Aspettiamo
un po', dai" implorò, e lo trattenne per
braccio; la presa era energica e quando se ne avvide
mollò, si ritrasse disorientato, schiacciato
dallo sguardo sprezzante dello Spretato che scosse le
spalle infastidito.
- "Sì,
aspettiamo" disse il Topo, "vediamo come va a
finire".
- Ottavio stava
ripiegando con scrupolo il pezzetto di pelliccia che,
come la pietra, finì in fondo alla buca. Prima
di raccogliere un foglio di carta incrociò lo
sguardo stinto della Vergine. Era la pagina di un
giornale, un quotidiano locale che pochi leggevano e
utilizzavano, invece, per incombenze diverse.Era un
foglio stinto, giallo di umidità, tuttavia il
tempo e il lavorìo degli elementi avevano
soltanto sbiadito i caratteri, la notizia di un fatto
di sangue - il corpo di una donna accoltellato e
smembrato.
- Ottavio lo
spiegò, lo depose per terra. "Dovevi farlo"
bisbigliava, "era l'unica maniera". Sopra la pagina
sbiadita eseguì una complessa sequenza di
gesti, intrecciò le dita, le sciolse, le
picchiettò prima su una mano poi sull'altra, le
agitò con forza davanti agli occhi; infine
scosse la testa con frenesia, come se fosse nel gorgo
di una trance, quindi sbarrò gli occhi e rimase
a fissare l'icona.
- Il Topo e il
Marocchino erano rimasti accovacciati al riparo degli
arbusti, invece lo Spretato era rimasto in piedi,
ammaliato dai rituali incomprensibili cui assisteva,
senza sapere cosa pensare.
- In realtà,
una contesa oscura e inconfessabile stava minando la
base di un'architettura mentale, quella dello
Spretato, che all'apparenza esibiva svettanti guglie
di stabilità e distacco, maestosi portali di
presunzione e orgoglio e arroganza, complessi pilastri
di supponenza e profonde navate di disprezzo; luce
filtrava, di tanto in tanto, attraverso vetrate - di
cartone come il resto. Tuttavia non si sarebbe sognato
di parlarne, non ai due compagni, poiché aveva
da sostenere la fama di duro che gli valeva la
sottomissione del Topo e del Marocchino. In
realtà non riusciva a staccare lo sguardo da
Ottavio, nonostante la crescente irritazione che gli
veniva dal dover essere costretto ad assistere a una
grottesca messinscena, ma doveva compiacere i
compagni, far mostra di
magnanimità.
- Riemerso dalla
momentanea assenza, Ottavio si chinò per
raccogliere il foglio di giornale che crepitò
leggermente sotto le sue dita; lo ripiegò e lo
infilò di sotto con gli altri oggetti. Pareva
rasserenato, Ottavio, come chi ha assolto con
coscien-ziosa diligenza un compito
gravoso.
- Poco più
avanti, sulla stradina verso casa, lo attendeva un
cunicolo: lo aveva scavato con tenacia sottraendo un
poco per volta il terriccio che colmava l'imboccatura
di un vecchio pozzo trasformato in discarica e da
tempo inutilizzato. Prima di separarsi dall'icona,
però, le si avvicinò, la sfiorò
appena come se temesse un contatto rovinoso;
nonostante il tocco apprensivo, non riusciva a
staccare le dita dalla superficie dipinta, quasi che
una spinta antagonista volesse attentare alla
leggerezza con la quale Ottavio sfiorava quel che
restava dell'immagine. Le dita gli si rattrappirono in
una stretta nervosa, il braccio percorso da un impulso
incontenibile a colpire. Lottò,
Ottavio.
- Lottò contro
la forza che lo calamitava in avanti. Provò
spavento, la sensazione di essere risucchiato in una
voragine.
- Alla fine il
terrore gli deformò il volto, lo costrinse a
rannicchiarsi su se stesso, come se tentasse di
contenere quanto di sé sembrava sul punto di
disgregarsi. Sudava, e una sensazione di spossatezza
rendeva il suo corpo disarticolato, un involucro
vuoto.
- "Allora, cosa mi
combini, eh?" si rivolse a Ottavio lo Spretato, mentre
lo scuoteva con un piede. Ottavio si sbilanciò
da un lato, e si ritrovò sdraiato su un fianco.
I tre gli stavano intorno.
- Doveva sembrare uno
strano animale: lo fissavano, ridacchiavano, si
scambiavano occhiate. Il Topo e il Marocchino si
davano di gomito. Lo Spretato aveva l'aria di
sovrintendere, scettico, a un evento che la mente si
rifiuta di accettare; ma non riusciva, tuttavia, a
nascondere una sincera curiosità, come chi si
disponga a prendere atto, con riluttanza, della
veridicità di un fatto la cui evidente
irrazionalità non necessiti di ulteriori
conferme. La smorfia di incredulità sul suo
viso si mutò in sorriso, ma una profonda ruga
verticale fra le sopracciglia irradiava una ferocia
insospettata. "Di' un po', cos'è tutta quella
mercanzia, cosa nascondi sotto la cappellina?" chiese,
e accennò con un corto movimento della testa in
direzione dell'immagine. "Di' la verità,
è roba tua? Non ti sarai messo, per caso, a
fare l'accattone! Cos'è, la tua discarica
personale?" Ghignava e teneva Ottavio sotto il
controllo dello sguardo, un incantatore col suo
serpente. Piccoli segnali, intanto - l'arcuarsi del
sopracciglio sinistro, la torsione del collo - stavano
mettendo sull'avviso gli altri due. "Sto parlando con
te" esplose lo Spretato. "Hai sentito, oh?
Cos'è che nascondi?"
- "Non spaventarlo,
aspetta" intervenne il Marocchino. "Vedrai che adesso
ce lo dice quello che tiene nascosto, non è
vero?" Poi, rivolgendosi a Ottavio: "Me lo dici cosa
ci facevi inginocchiato davanti alla Madonnina? Di
cosa stavi parlando, stavi pregando,
vero?".
- "Macché! Gli
stava facendo la dichiarazione d'amore" intervenne il
Topo, "e quelli erano i regali di
fidanzamento".
- "Stronzate"
sentenziò lo Spretato, e sputò di
lato.
-
- Ottavio era
riuscito a rimettersi in piedi. Stava provando a dire
qualcosa ma il Marocchino lo bloccò: "Oh!
Finalmente parla". Si affiancò a Ottavio, gli
pose un braccio sulla spalla e lo tirò verso
l'icona. "Allora, vediamo" disse, e intanto continuava
a tenerlo con fermezza. Si abbassò verso la
buca, si tirò dietro Ottavio che accennò
a reagire ma fu subito immobilizzato dallo Spretato:
"Eh, no. Adesso te ne stai bravo bravo e ci lasci dare
un'occhiata. Sta' tranquillo, non abbiamo mica
intenzione di portarti via la mercanzia, vogliamo solo
dare un'occhiata, tutto qui".
- Il Topo si era
affiancato al Marocchino che, intanto, aveva infilato
un braccio nella buca e portava alla luce quanto vi
era nascosto.
- "Che cazzo di roba
è?" si domandava il Topo stupito. "Pietre,
stracci, cartaccia, e guarda... c'è pure un
coltello arrugginito."
- "Un vero tesoro"
dichiarò lo Spretato, "e chissà quanto
deve valere". Scoppiò in una risata sincopata,
affrancato da un'ansia che lo aveva tenuto in tensione
fino a quel momento.
- Il tentativo
inconcludente di opporsi alla presa del Marocchino non
aveva il senso di una ribellione a quanto stava
accadendo: piuttosto, era il riflesso istintivo di chi
tenti di salvaguardare un suo mondo che gli oggetti
rendevano palpabile, tangibile. Ottavio fissava lo
Spretato di sbieco, la testa reclinata e un sorriso di
resa rassegnata. Non poteva sfuggire al cerchio
ipnotico nel quale la volontà dei tre lo
teneva. Era una di quelle situazioni che Ottavio non
capiva.
- "Senti un po', tu"
disse lo Spretato, "quanti anni hai?".
- Ottavio mutò
espressione, si incupì e rispose: "Non lo
so".
- Lo stupore del Topo
gli fece eco: "Non lo so! Come sarebbe non lo
so?".
- E Ottavio
ripetè: "Non lo so; ma so che il leccio, quello
attaccato al muro della Villa, c'è sempre
stato, questo lo so. So anche che il fiume non si
è mai fermato, è sempre andato avanti,
dalla prima volta che l'ho visto, e quando ho
cominciato ad arrampicarmi sul nespolo davanti alla
porta di casa, era già alto. Anche i nidi sotto
la tettoia della scala sono sempre stati
lì".
- Il Topo
mormorò: "Secondo me, ci sta prendendo per il
culo". Scambiò un'occhiata con gli
altri.
- "Insomma"
intervenne il Marocchino, "non sai quanti anni
hai".
- "Tredici,
quattordici, a occhio" sentenziò lo Spretato, e
intanto osservava gli oggetti che il Marocchino gli
passava: li teneva tra le mani, poi a sua volta li
passava al Topo, che li ripassava al Marocchino.
"Senti un po'" disse a Ottavio, "vuoi diventare amico
nostro?". Mentre lo diceva gli pose una mano sulla
spalla e con l'altra gli sollevò il mento.
"Vuoi essere uno dei nostri? Noi ci divertiamo, mica
come gli altri, quelli che passano il tempo davanti al
caffè: siamo diversi, ci muoviamo, andiamo qui,
là, siamo sempre in movimento, noi." E
guardò il Marocchino che annuiva, e poi il Topo
che aveva sulla faccia un'espressione incredula, come
a dire: ma che vai dicendo, portarci appresso questo
peso morto!
- Ottavio
indagò con candore: "Ma voi mi fate del
male?".
- E fu un coro di
"Nooo! ".
- "Come ti viene in
mente, noi vogliamo essere tuoi amici, te l'ho detto"
spiegò lo Spretato. "Vogliamo che vieni con
noi, mica vogliamo farti del male, e poi
perché? Vogliamo che diventi nostro amico, se
ci sarà da divertirsi, ti divertirai con noi,
ci divertiamo insieme: si fa così tra amici,
non lo sapevi? "
- "I miei amici"
disse Ottavio, "non dicono così". Esitò.
"I miei amici dicono altre cose."
- "Ah! Hai degli
amici" disse curioso il Topo. "E che dicono, che ti
dicono? "
- Ottavio non
parlava.
- "Allora, ce lo dici
cosa ti dicono i tuoi amici" intervenne il Marocchino,
"o facciamo notte?".
- "Mi parlano del
vento, di come li porta in alto, mi dicono se è
stata una buona giornata, se sono stati contenti di
volare e se hanno trovato da mangiare per gli
uccelletti, se i vermi si sono fatti acchiappare o se
li hanno fatto i dispetti. Quando i vermi vogliono
fare i dispetti ai passerotti si nascondono sotto le
foglie, in mezzo alle radici. Eh, ce ne sono tanti"
spiegava Ottavio. "Allora i passerotti si devono
accontentare di qualche seme, o di una mosca capitata
nel becco, e allora tornano a casa, che gli uccelletti
stanno ad aspettare. Mi parlano di quello che riescono
a vedere da là sopra." Indicò il cielo.
"Mi parlano dei colori, degli orti verdi e della terra
marrone, del colore del cielo quando è blu o
grigio o celeste, di come le macchie di colore si
confondono, si gonfiano, si allungano, prendono tutte
quelle forme strane che da qui non ho mai potuto
vedere da vicino. Qualche volta gliel'ho chiesto se
per piacere mi portavano con loro, se mi insegnavano a
volare, se mi facevano provare la loro leggerezza, ma
non mi hanno mai ascoltato."
- Il Topo e il
Marocchino si guardavano sconcertati. Lo Spretato
annuiva: "Ho capito". Soggiunse: "Senti, ne hai altri
di amici come questi? "
- "Il fiume" rispose
sicuro Ottavio.
- "Anche il fiume
è amico mio. È un po' noioso, certe
volte, ma mi sono abituato: è che vuole parlare
sempre lui, è prepotente, non gli piace di
ascoltare, ma non importa" aggiunse rassegnato. "Non
ci sto più a badare alla sua prepotenza, mi
basta sapere che è là, io devo solo
sedermi e ascoltarlo brontolare. Poi c'è il
leccio, quello della Villa." E qui si fece lamentoso:
"Non vuole che mi arrampico, tutte le volte che ho
provato mi ha graffiato, però non è
cattivo, è solo geloso perché non vuole
che guardo oltre il muro. Ma ha molta pazienza e con
lui parlo spesso, quasi tutti i giorni. Ascolta,
ascolta ma non mi risponde mai". Fece una pausa.
"Cioè, non fa come gli altri amici miei: lui
sospira, ogni volta che deve darmi una risposta si
agita, muove i rami, qualche volta pare che sbuffa..."
E aggiunse sottovoce: "Penso che non mi sopporta, non
lo so".
- A questo punto si
intromise il Marocchino: "Ma tu, amici veri in carne e
ossa, delle persone come noi, non ce li hai?
".
- "Ma cosa stai
lì a domandare" chiosò il Topo, "non
l'hai ancora capito che sta sparando cazzate, che ci
sta facendo fessi?".
- "Ascolta, come ti
chiami?" tagliò corto lo Spretato.
- "Ottavio."
- "Sì, lo
sapevo, dicevo per dire. Senti, abbiamo in mente una
cosa divertente per stasera, vuoi venire con
noi?"
- "Davvero?"
esultò Ottavio, "Volete portarmi con voi, mi
volete davvero? Ma cosa debbo fare, io non
so...".
- "Non ti
preoccupare" lo rassicurò lo Spretato, che
intanto spiava la reazione degli altri. "Vieni con noi
e non ti preoccupare, andiamo a trovare una ragazza.
Ti piacciono le ragazze?"
- "Non ci ho mai
pensato" dichiarò Ottavio, e fece
spallucce.
- "Meglio" concluse
lo Spretato, "così potrai renderti conto, e se
poi la ragazza ti piace...".
- Allora intervenne
il Topo: "Ma chi, Teresa? Quella vacca?".
- "Non ti permettere"
si accese il Marocchino. "Tu non la conosci, non ti
devi permettere di dire quello che hai detto di
Teresa."
- "Eh! E che ho
detto?" si schermì il Topo. "Lo dicono tutti
che è una vacca, mica me lo sono inventato io."
Indicò lo Spretato: "Chiedilo a
lui".
- Lo Spretato
grugnì: "Ma prova a tenere la bocca chiusa, e
se è una vacca, beh, affari suoi". Poi
cambiò tono: "Non vorrete litigare davanti a
Ottavio, adesso che è diventato nostro amico".
Poi, rivolto a Ottavio: "Non ci badare, non ti
preoccupare, ricordati che adesso sono amico tuo e se
farai quello che ti dico vedrai, non ti
succederà nulla, ti divertirai e basta. Adesso
noi ce andiamo ma ci troviamo stasera fuori dal paese,
all'inizio di via del Lavatoio, la conosci via del
Lavatoio non è vero?".
- "Dove c'è
quel cipresso alto alto" confermò
Ottavio.
- "Proprio
lì." Rivolto agli altri due disse:
"Andiamo".
- "Via del Lavatoio,
e non fare il furbo" cantilenò il
Topo.
- "Sotto il cipresso,
all'inizio di via del Lavatoio" ribadì il
Marocchino. Strizzò un occhio e pizzicò
Ottavio su una guancia.
- I tre si diressero
incolonnati verso la Statale.
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