- LA
NOTIZIA
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- Uomo di molteplici
interessi, nonno Albertino, come tutti lo chiamavano,
amava la pittura, la buona tavola ed in particolare il
caffè alla napoletana, per il quale nutriva una
vera passione. Nel corso dei suoi ottant'anni ne aveva
visto di tutti i colori ma, nonostante la vita
travagliata, aveva conservato un invidiabile buon
umore, che lo rendeva particolarmente simpatico agli
altri.
- «Hai avuto la
notizia?» domandò alla figlia Maddalena,
dopo essere rincasato da una breve passeggiata, con
rituale sosta al bar da lui preferito.
- «Non ancora,
ma ci sono già diversi amici, che attendono in
salotto» rispose lei.
- Nonno Albertino
andò, perciò, a salutare i suoi ospiti:
«che piacere avervi in casa mia!» disse e
chiese subito licenza di assentarsi per qualche minuto
con la scusa di avere bisogno di meditare.
- Nessuno fece caso
alle parole del vecchietto né mostrò
alcuna meraviglia per il suo comportamento. Lo
conoscevano tutti molto bene i suoi concittadini ed
erano, quindi, pienamente consapevoli della sua innata
eccentricità, che si manifestava anche nei
momenti più delicati.
- «Non
c'è cosa peggiore» disse don Remigio, il
parroco del paese, «che attendere una notizia che
tarda ad arrivare. E' come avere fame e non potere
mangiare».
- «O avere sete
e non potere bere» aggiunse con prontezza
l'avvocato Papalia, vecchio amico di famiglia,
soprannominato il trombone, a causa della sua voce
profonda, con la quale, a giudizio degli amici,
diceva, peraltro, sempre cose piuttosto ovvie e spesso
anche banali.
- Il passaparola
aveva coinvolto in una specie di veglia collettiva
alcuni amici, fra quelli più influenti, di
nonno Albertino i quali, pur non sapendo di quale
notizia egli fosse in attesa, avevano deciso comunque
di andarlo a trovare a casa, per fargli sentire il
loro appoggio e manifestargli piena
solidarietà.
- Era corsa voce,
infatti, fra gli amici che nonno Albertino fosse in
trepidante attesa di una notizia per lui importante e
questo era stato sufficiente per fare scattare una
sorta di affettuosa mobilitazione
generale.
- Per discrezione
nessuno aveva, però, osato fare domande, per
cui ciascuno dei convenuti credeva di essere il solo a
non sapere di cosa si trattasse e, per non fare
trapelare di non essere al corrente, partecipava alla
discussione, che si stava sviluppando, cercando di
barcamenarsi alla meno peggio, con l'intento di capire
dalle parole degli altri le ragioni di quell'attesa
collettiva in casa del comune amico.
- «La notizia
è come il veleno» disse ad un certo punto
Pasquale Mezzaluna, farmacista in pensione, conosciuto
per la sua capacità di coniare proverbi e
similitudini molto spesso un po' azzardati
«perciò, andrebbe presa a piccole dosi.
Bisogna essere preparati ad accoglierla, per non
intossicarsi. Sia che si apprenda per iscritto o per
via orale non fa alcuna differenza perché la
notizia, qualunque essa sia, crea sempre turbamento.
E' come se ti entrasse nel sangue attraverso
un'endovena. Perciò, io sostengo che andrebbe
presa in pillole e non tutta intera in un solo
colpo».
- «Signori
miei» intervenne Assuntina, la levatrice amica
del cuore della signora Maddalena, che aveva tanti
anni prima aiutato anche a nascere «solo chi non
ha mai aspettato una notizia non sa cosa si provi
nell'attesa. Io ho un'esperienza di oltre
cinquant'anni di lavoro ed ho visto padri fremere
nell'attesa di ricevere la notizia».
- «Che
può essere bella, ed in tal caso ti ripaga
della sofferenza ma può, purtroppo, essere
anche brutta ed allora aggiunge alla sofferenza
dell'attesa anche il dolore» disse l'avvocato
Papalia «è nella natura delle cose, non
c'è nulla di nuovo in questo mondo»
concluse.
- «Nessuna
nuova, buona nuova» lo rassicurò don
Remigio «lo dicevano anche i latini, che non
erano certamente degli sprovveduti».
- «Lei dice
bene, reverendo, ma poi l'ansia dell'attesa non si
spegne» ribatté Papalia
«perché c'è comunque bisogno di
sapere con certezza quale sia la verità in ogni
circostanza, qualunque essa sia, non è vero
professore?»
- Orazio Campanella,
professore di filosofia al Liceo Classico del vicino
capoluogo, aveva fino a quel momento seguito il
piccolo dibattito, che si era sviluppato, in un
silenzio sospetto per chi conosceva di lui la verve,
la capacità oratoria ed il gusto per la parola.
Egli, coetaneo di nonno Albertino, era un uomo ancora
affascinante con una bella chioma bianca e folta e che
aveva insegnato per quasi quarant'anni con grande
passione. Diceva sempre che sulle cose bisognava
ragionare e, quando interveniva in una discussione
già avviata, cosa che faceva quasi sempre nel
momento più opportuno, invitava per prima cosa
gli interlocutori a seguirlo nel suo
«ragionamento». «Caro avvocato»
disse «io non sarei così sicuro che
ciascuna notizia rechi con certezza la verità o
la conoscenza della stessa. La notizia di un fatto di
per sé non rappresenta la verità su di
esso ma più semplicemente l'interpretazione che
di quel determinato fatto fornisce colui che la
diffonde. Se la interpretazione di un fatto già
accaduto o che si prevede possa accadere è, per
esempio, costruita a bella posta per orientare o per
disorientare la pubblica opinione, siamo in presenza
di una vera e propria manipolazione della notizia e,
quindi, a maggior ragione anche della verità.
Come vede, caro avvocato, la notizia non è la
verità anche perché la verità non
sempre fa notizia. Dal che si deduce che si possono
provare emozioni anche intense e, naturalmente vere,
in ragione di una notizia completamente falsa. In tal
caso» continuò Campanella «chi ci
ripaga dello stress che noi abbiamo subito nell'attesa
e della conseguente delusione nel costatare che
abbiamo sofferto o gioito
inutilmente?»
- «Per questo io
mi fido solamente delle notizie di prima mano»
esclamò l'avvocato.
- «E quali sono
le notizie di prima mano?» domandò il
professore.
- «Quelle che io
apprendo direttamente, quei fatti cioè che
accadono sotto i miei occhi o dei quali ho personale
conoscenza».
- «Mi segua nel
ragionamento, avvocato. Lei sa benissimo, data la sua
esperienza professionale, che ciascuno di noi reagisce
di fronte ad un medesimo fatto in modo diverso a
seconda dello stato d'animo nel quale si trova. La sua
stessa valutazione di un qualunque accadimento
può essere diversa a seconda che lei, per
esempio, abbia dormito bene oppure male o che una
ragazza, incontrandola per strada, le abbia regalato
un bel sorriso, dandole il buon giorno. Non esiste la
verità assoluta su un fatto ma esiste solamente
la percezione, che ciascuno di noi ha di quel fatto.
Per cui, quando lo raccontiamo agli altri, nella
migliore delle ipotesi, noi riferiamo fedelmente la
percezione che di esso abbiamo avuto noi e così
faranno anche gli altri, ai quali il primo ha
comunicato la notizia».
- «E con questo
suo ragionamento cosa ci vuole dire, professore?»
chiese il farmacista.
- «Voglio dire
molto semplicemente che non esiste «la
notizia» ma piuttosto «le notizie»,
tante quanti sono i referenti. E quando siamo in
attesa noi non sappiamo con esattezza quale delle
possibili notizie, che riguardano quel fatto che ci
interessa, giungerà fino a noi per cui, secondo
me, non vale la pena nemmeno di stressarsi più
di tanto prima di venirne a
conoscenza».
- «Professore»
disse don Remigio «ma questo suo ragionamento ci
conduce in un vicolo cieco, in pratica a non credere
più a nulla, mentre l'uomo, vivaddio, ha
bisogno di certezze».
- «Di certezze
preconfezionate a sommo scopo da chi esercita il
potere, di artificiose sicurezze, di verità
prefabbricate? Io non credo che l'uomo abbia bisogno
di questo. Egli deve, invece, a mio parere, alimentare
il dubbio, che è dentro di lui e ricercare una
sua verità, che dovrà poi confrontare
con quella degli altri, per non sentirsi mai sicuro di
averla raggiunta definitivamente».
- «Lei è
proprio un miscredente, professore» lo
apostrofò don Remigio, preoccupato della piega
che aveva preso la discussione.
- «Signori»
disse nonno Albertino, rientrando nel salotto «se
gradite un buon caffè, non fate complimenti.
Mia figlia Maddalena mi ha detto che la sua nuova
collaboratrice familiare, che è una giovane
filippina, ha già imparato a farlo
bene».
- «Questa si che
è una notizia» esclamò il
farmacista. «Professore, cosa ne dice lei,
dobbiamo credere a quello che dice il nostro amico
Albertino?»
- «Bisogna
sperimentare e, partendo da una posizione iniziale di
ragionevole dubbio, disporsi alla verifica individuale
senza pregiudizio alcuno né eccessivo
pessimismo. Alla fine, ma solamente alla fine del
processo cognitivo, ciascuno darà il suo
responso o, se preferite, la sua verità sul
caffè, preparato dalla ragazza
filippina».
- «Ha ragione il
professore» aggiunse don Remigio «la notizia
va sempre controllata, prima che si propaghi o che si
diffonda».
- «Voi preti
avete sempre bisogno di controllare tutto e
tutti» disse sorridendo il professore «la
notizia dovrebbe, invece, essere libera di correre
senza alcun impedimento per giungere a destinazione e
farsi valutare criticamente. Le notizie sono fonte di
conoscenza, spesso imperfetta ed a volte anche errata,
ma dobbiamo essere noi a giudicarle, senza delegare ad
altri questo compito delicato».
- «Vi prego,
assaggiate il mio caffè» propose
timidamente la filippina, tenendo in mano un ampio
vassoio con sopra le tazzine «e, se vi
piacerà, fatemelo sapere, così quando
telefonerò a casa darò la bella notizia
a mia madre».
- «Prego,
signori,» disse allora nonno Albertino
«servitevi pure, senza fare complimenti. E' una
cosa eccezionale un caffè alla napoletana,
preparato da una ragazza filippina».
- «Buono,
veramente buono» disse il farmacista dopo averlo
assaporato.
- «Molto
gradevole al palato ed anche profumato» aggiunse
don Remigio, buon intenditore.
- «Trovo che
abbia la giusta densità, come l'espresso fatto
al bar» commentò il professore, il cui
giudizio aveva un grande peso. «Albertino, sai
cosa ti dico, che tua figlia ha fatto proprio un buon
affare ad assumere codesta ragazza filippina. Da oggi
in poi verrò molto più spesso a prendere
il caffè in casa tua».
- «Questa che mi
avete testé dato, cari amici, è
veramente una gran bella notizia» disse nonno
Albertino «non osavo nemmeno sperare che sarebbe
arrivata e per giunta così presto. Vi
ringrazio, perciò, per avermi tolto
dall'angoscia. Il caffè, cari amici, è
una cosa molto seria ed internazionale ma chiunque sia
a farlo, fosse anche una ragazza filippina, per essere
fragrante e sprigionare tutto il suo sapore,
dev'essere fatto sempre e scrupolosamente alla
napoletana. Ed ora che mi avete rassicurato, se
permettete, vorrei gustarmi anch'io finalmente una
buona tazzina di caffè in casa
mia».
-
Da
Trenta e Lode (Prospettiva
Editrice)
-
-
- PREGHIERA
- (di
un pollo allevato in
batteria)
-
-
- «Ti
prego» disse il pollo «Tu che sei
onnipotente, fammi volare in alto, per una volta
solamente.
- Io non so volare,
perché sono allevato in batteria per crescere
più in fretta e passare in pochi giorni da
pulcino a pollo adulto.
- Ma se Tu lo
volessi, potresti per un giorno farmi assomigliare
anche all'aquila reale, il più imponente degli
uccelli.
- Mi piacerebbe nella
circostanza poter lasciare la mia minuscola prigione,
dove mi hanno rinchiuso e condannato a mangiare notte
e giorno senza un attimo di tregua, con la luce sempre
accesa.
- Se tu mi farai
librare nell'aria, leggero, ti giuro sulla mia testa,
per quello che essa può valere, che io non
fuggirò. Sono un pollo molto serio e di parola
e non voglio certamente approfittare della tua
misericordia e bontà.
- Dopo avere
sorvolato i cinque continenti, come un uccello
migratore, farò ritorno sulla terra, senza
alcun tentennamento. Conosco molto bene il mio
dovere.
- Io non sono mica
sciocco ed ho buon senso anche se, per antica
consuetudine nazionale, all'ingenuo, che subisce un
bel tracollo nell'amore o negli affari, si affibbia,
poverino, senza alcuna attenuante, la qualifica di
«pollo». Nudo e crudo perché, si
dice: ci ha lasciato anche le penne.
- Sono onesto e
moderato e non ho l'ambizione di volare tutto l'anno
ma per una volta, una soltanto, vorrei andare in alto
nel cielo, fino a raggiungere le stelle e raccontare a
queste e a quelle come si vive sulla terra e quanto
sia difficile la vita per coloro che sono
polli.
- Vorrei che lo
sapessero anche lassù, nelle alte sfere del
creato, che qui vi sono i furbi, che prevaricano e che
maltrattano i più deboli e gli
indifesi.
- Se mi farai questo
grande piacere, ti assicuro che, poi,
continuerò tranquillamente a fare il mio dovere
e ad essere quel pollo, che sempre sono stato per la
delizia degli altri.
- Lo so che sono nato
per essere mangiato alla diavola (chiedo scusa per
l'accenno), lesso o alla brace e che la mia presenza
sulla terra si giustifica solamente con il fatto, che
arricchisco un pochino la mensa di coloro, che hanno
fame. Ma io vorrei volare perché, prima che mi
facciano la festa, com'è, peraltro, giusto e
naturale che avvenga, avrei da fare gli sberleffi a
mezzo mondo, guardando per qualche minuto dall'alto
verso il basso gli uomini, che mi hanno sempre
sottovalutato.
- Mi vorrei, insomma,
vendicare in un solo colpo di tutti i torti e le
offese che, quotidianamente, subiscono quelli come me,
che sono miti e generosi. Sono certo che morirei molto
contento e sarei, perciò, un po' più
saporito.
- Ti prego, quindi,
accogli la mia umile preghiera, sincera ed accorata e
per una volta fammi volare in alto come l'aquila
reale, il condor o il gabbiano con le grandi ali al
vento. Se me lo consentirai, te ne sarò
riconoscente per la vita, sia pure breve, che mi tocca
ed al mio ritorno sulla terra, prenderò per
mano un pulcino appena nato, gli parlerò di Te
e della mia esperienza di pollo fortunato e, prima di
morire, te lo prometto, gli insegnerò a
pregare, dando anche a lui la speranza, che ho sempre
avuto io, di ricevere da Te la grazia di
volare».
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Da
La palla di pezza (Prospettiva
Editrice)
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- LA
FAME NEL MONDO
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- «Sono la fame,
sono nota in tutto il mondo per la mia capacità
di respingere gli assalti, per lo più
inconcludenti, di chi dice di combattere la mia
presenza fra la gente.
- Io sono potente,
resistente, popolare..., nel senso che colpisco
soprattutto la gente del popolo, i semplici cittadini
non protetti da nessuno. Sono presente e abbastanza
radicata su tre quarti almeno del pianeta.
- L'altro quarto mi
utilizza.
- Ho clienti in ogni
luogo, io li attiro e li conquisto.
- Mi insinuo e mi
affermo fra le schiere numerose dei poveri, dei
barboni, dei cittadini del terzo e quarto mondo, dove
domino incontrastata.
- So fare, quando
occorre, l'indiana, l'africana, la sudamericana, sono
un essere camaleontico e mi so mimetizzare. Sono
alquanto tollerante e non sono assolutamente razzista,
anzi mi esprimo pienamente e mi sento realizzata
quando posso essere una fame veramente...
nera.
- I bambini,
soprattutto, mi piacciono... da morire, nel senso che
li faccio proprio morire... di fame, poverini, per
senso umanitario, per non farli crescere e diventare
adulti in questo strano mondo, che li considera
già morti... di fame, ancor prima di essere
nati.
- Chi mi frequenta,
mi conosce e sa bene cosa vuol dire avermi come
compagna della sua vita.
- Io sono attenta a
tutto: terremoti, alluvioni, siccità, ogni
sorta di evento naturale mi interessa.
- Disoccupazione,
licenziamenti, sono pane per i miei denti,
specialmente quando sono fenomeni collettivi o
riguardano famiglie numerose. Io ringrazio tutti
coloro che mi sono compiacenti e mi spianano la
strada.
- Insidio persino i
pensionati e, con il beneplacito dello Stato, qualcuno
l'ho già beccato sotto il minimo
vitale.
- Se qualche
sprovveduto spende e spande per sua gioia o per
diletto, vivendo al di sopra delle sue
possibilità, io l'aspetto.
- Inseguo l'emigrante
nel suo lungo peregrinare e non mi lascio facilmente
abbandonare; solo uno su mille ce la può fare,
come canta il Morandi nazionale. Gli altri mi devono
accettare.
- Io sono anche uno
strumento nelle mani dei potenti della terra, che mi
usano a loro piacimento. Ma io non lavoro in nero
né di soppiatto. Se mi chiedono di affamare un
popolo, io ubbidisco, ma richiedo e pretendo, prima di
qualunque mio intervento, che siano state regolarmente
decretate le apposite sanzioni economiche dalle
Nazioni Unite. Su questo punto non transigo. Senza
l'embargo non agisco. Se mi chiamano, io rispondo,
felice di ampliare il mio raggio di azione, ma nel
massimo rispetto delle regole, che garantiscono
l'equilibrio mondiale.
- Di fame si muore,
certamente, ma c'è anche chi ci
campa.
- Per combattere la
mia presenza, soprattutto in certe zone della terra,
sono nati numerosi comitati, fondazioni, associazioni,
organizzazioni nazionali ed internazionali e per la
verità qualche risultato è stato
già ottenuto: qualcuno dei componenti di questi
organismi si è effettivamente arricchito, con
la scusa di salvare gli altri dalla fame.
- In mio nome sono
state compiute azioni scellerate da politici e da
filantropi.
- C'è la fame
detta atavica e c'è quella più moderna,
c'è la fame individuale, familiare, collettiva,
locale, nazionale, mondiale; c'è una grande
varietà di fame, che soddisfa le esigenze anche
più sofisticate. Ma non lasciatevi ingannare,
non c'è alcuna differenza, la fame è
fame, comunque la chiamiate sono sempre io, la fame
ufficiale, universalmente riconosciuta, l'unica vera
ed originale, spontanea o procurata che essa
sia.
- Ho temuto qualche
volta che i paesi più fortunati, che si
chiamano industrializzati, si facessero corrompere e
accettassero di seguire le indicazioni pericolose e
destabilizzanti di chi continua a parlare di
solidarietà, in nome di un diritto naturale
alla vita, valido per tutti gli essere umani. Ma,
fortunatamente per me, ormai ho capito che sono solo
chiacchiere di comodo, promesse sulla carta, sono
più che altro sentimenti, dettati dalle
cosiddette concezioni umanitarie, che non potranno mai
attecchire nel mondo civile, economicamente sviluppato
e così, rassicurata che, nonostante il
progresso mondiale, ci sarà sempre grande
spazio per la fame in questo mondo, io mi sono un po'
tranquillizzata ed ora posso guardare con fiducia
all'avvenire.
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Da
Lo Scirocco (Prospettiva Editrice)
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- QUANDO
IL SOGNO E' VITA
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- In una bella notte
stellata di un rigido inverno, una goccia di rugiada
si posò leggera sull'erba morbida di un grande
prato verde. In attesa del nuovo giorno si
preparò a vivere la sua breve esistenza
notturna.
- Cominciò a
saltellare da un filo d'erba all'altro, alla ricerca
della posizione più comoda per
dormire.
- Quando, finalmente,
credette di averla trovata, si fermò e poco
dopo si addormentò.
- Sognò di
essere diventata una stella, di far parte, insieme a
tante altre, della immensa volta celeste e di avere
così conquistato l'eternità.
- Ai primi raggi del
sole, però, il suo sogno svanì, essa si
sciolse e la sua vita si spense per
sempre.
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Da
Lo Scirocco (Prospettiva Editrice)
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- FANTASIA
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- «Venga avanti,
dottò, venga avanti».
- L'uomo, che portava
una borsetta a tracolla, mentre pronunciava queste
parole, faceva ampi gesti con le mani, invitandomi ad
accostare al marciapiede. Egli si muoveva con evidente
difficoltà su quel tratto di strada in ripida
salita, che da Piazza di Spagna conduce fino al
Pincio, la terrazza di Roma, che si affaccia su un
bellissimo panorama con al centro la cupola di San
Pietro. Mi fermai ed, attraverso il finestrino
osservai: «in questa salita mi pare che ci sia il
divieto di sosta permanente in ambo i
lati».
- «E' vero»
confermò l'uomo «ma non è
così importante».
- «Non vorrei
beccarmi una multa salata» replicai.
- «Non si
preoccupi, dottò, ci penso
io».
- «E voi chi
siete?» domandai dandogli del voi, come faceva
normalmente un mio amico calabrese, quando voleva
essere cordiale.
- «Io sono Robin
Hood e difendo i cittadini dalla forza del
potere».
- «Ma se viene
un vigile cosa fate?»
- «Stia
tranquillo, dottò, so fare il mio
mestiere».
- Così,
nonostante fossi certo dell'esistenza di
quell'esplicito divieto di sosta, mi lasciai
convincere a parcheggiare la macchina nel posto, che
mi era stato consigliato. Scesi, poi, dall'auto ed
andai incontro all'uomo con la borsetta a tracolla.
«Scusate» gli dissi «ma come fate ad
essere così sicuro che non ci faranno la multa
a tutti quanti? Questo è un luogo veramente a
rischio, siamo ad un passo dal
centro».
- «Dottò,
è l'esperienza che mi aiuta. L'esperienza di un
uomo, che ha sofferto nella vita e che si è
dovuto sempre arrangiare per guadagnarsi la pagnotta.
Io sono stato sfortunato. Non ho mai potuto fare
quello che gli altri, invece, hanno fatto. Vede,
questa gamba malandata che mi costringe a zoppicare?
Piuttosto che aiutarmi a camminare io me la devo
trascinare, facendo affidamento sull'altra che
sopporta la fatica».
- «Perché?»
- «Perché
è una gamba parassita, non per sua scelta ma
per necessità. Le nostre gambe, dottò,
sono come i cristiani: ci sono quelli che hanno voglia
di lavorare e quelli vagabondi, ci sono quelli
intelligenti e ci sono quelli somari, ci sono quelli
fortunati e quegli altri disgraziati. Questi ultimi
sono costretti a vivere alle spalle degli altri come
la gamba mia, che sfrutta la gemella. Se per tutti gli
altri uomini è un vantaggio avere due gambe,
per me lo stesso fatto è stato sempre un grande
ingombro perché una di esse non ha fatto mai il
suo dovere. In compenso, quando giocavo a saltarello,
ero sempre un campione perché ero abituato a
stare su una gamba sola e non facevo alcuna fatica a
zompettare».
- «Non capisco
con questo ragionamento cosa volete
dimostrare».
- «Dottò,
le sembra giusto che io con questa gamba sgangherata
debba fare le salite e le discese?»
domandò «non le sembra che il mondo
è fatto male?»
- «Ma Dio ha
creato i monti e le vallate probabilmente per dare a
noi l'idea delle difficoltà, che ciascuno
dovrà affrontare» risposi.
- «Secondo me
Dio, nella sua onnipotenza, ha pensato solamente agli
uomini che Gli sono venuti bene, ma non ha tenuto
conto delle cosiddette malfatture. Forse quando ha
ordinato di fare gli uomini si è servito di una
ditta poco esperta. A me hanno raccontato che, quando
il Padreterno si è accorto che alcuni non erano
perfetti, si è incazzato da morire con i suoi
collaboratori ed ha fatto una scenata della Madonna.
Quindi ha deciso di correre ai ripari ed a quelli, che
erano venuti male, per compensarli li ha dotati della
fantasia. Se non fosse per la fantasia e per
l'esperienza, che ho accumulato in tutti questi anni,
farei ancora la fame come quando ero
ragazzino».
- «Ma cosa
c'entra la sua esperienza di vita e la fantasia, che
Iddio le ha donato, con il fatto che si possa
impunemente parcheggiare dove c'è un divieto di
sosta?»
- «C'entra,
c'entra, dottò. Ed ora mi spiego. Quando ero
ragazzino e vedevo tutti gli altri miei compagni, che
correvano da matti sulla scalinata di Trinità
dei Monti, io pensavo che per me non ci sarebbe stato
posto in questa società. Mi sentivo inadeguato
di fronte alle insidie della vita quotidiana. Se tutti
corrono ed io non posso farlo, dicevo, come
potrò andare appresso al mondo, che va
così veloce? In quei momenti sentivo di essere
destinato a rimanere sempre indietro e, di
conseguenza, di non avere alcuna possibilità di
crearmi un avvenire».
- «E come avete
poi risolto il problema?» chiesi.
- «Con la
fantasia. Io sono quasi analfabeta ma ho capito con
l'esperienza, a forza di commettere errori e di subire
sconfitte che, quando non hai nulla cui appigliarti,
basta un po' di fantasia per cambiare il tuo
destino».
- «Ed è
la fantasia che vi ha suggerito di fare questo
lavoro?»
- «Oggi questo,
domani un altro. L'importante è non starsene
con le mani in mano a contemplare le proprie disgrazie
ed a piangere sulle stesse. Bisogna reagire ed
inventarsi la giornata. Io la mattina, quando mi alzo
dal letto, non so mai come andrà la mia
giornata. Non è affatto programmata. Me la devo
costruire per tentare di sopravvivere nonostante le
difficoltà. Oggi faccio il posteggiatore in
questa ripida salita a due passi da Piazza di Spagna,
domani sarò sicuramente in un altro posto
magari a fare un lavoro completamente
differente».
- «Ma tutto
questo a me non sembra giusto»
osservai.
- «E cosa
c'è di giusto a questo mondo? Le sembra giusto,
per esempio, che c'è chi nasce sano e chi
claudicante? Le sembra giusto che uno sia africano ed
un altro americano, uno palestinese e l'altro
israeliano, che qualcuno abbia tanto ed un altro non
abbia niente? Se siamo tutti appartenenti a questo
mondo e siamo creature dello stesso Dio dovrebbe
esserci più eguaglianza tra di noi. Io non mi
meraviglio più di nulla ed accetto tutto
quello, che la sorte mi riserva. Mi trascino la mia
gamba e cerco di andare sempre
avanti».
- «Cosa vi debbo
dare per la custodia della macchina?»
- «Un euro
soltanto».
- «Ma voi siete
un abusivo?»
- «Certamente.
Io sono abusivo anche come cittadino perché
nessuno mi ha autorizzato a nascere. E' stata una
sorpresa anche per me, non me l'aspettavo affatto. Mi
sono trovato vivo senza che io me ne accorgessi. Ma
poi, strada facendo, mi ci sono
abituato».
- «Ma lo sapete
che la Cassazione ha stabilito che non potete chiedere
denaro, se no vi possono arrestare?»
- «E chi
è 'sta Cassazione?»
- «Un tribunale
grande. Anzi, il più grande che ci
sia».
- «Li mortacci.
Un tribunale così grande si interessa di un
abusivo come me?»
- «E come
no?»
- «Con tutto
quello che succede in Italia, la Giustizia trova il
tempo di occuparsi di un povero diavolo
disoccupato?»
- «La giustizia
non guarda in faccia a nessuno, caro amico,
perché è completamente
imparziale».
- «A nessuno?
Nemmeno a Berlusconi?»
- «Quasi a
nessuno, per essere precisi. Ma visto che ci siamo, mi
volete dire in confidenza come fate a convincere i
vigili a non fare la multa a tutti noi poveri
automobilisti contravventori per
necessità?»
- «Con la
fantasia, dottò. Oggi i vigili sono in sciopero
ed io ne ho approfittato improvvisandomi Robin Hood.
Domani pensa Dio».
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Da
La piacentina (Prospettiva
Editrice)
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