Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
- Marilena Rimpatriato - Il giardino dei silenzi
Collana I Gigli (Poesia) 14x20,5 - pp. 60 - Euro 8,00 - ISBN 88-8356-378-6
Prefazione - Marilena Rimpatriato si immerge, con sensibilità ed espressività che denotano una maturità acquisita, in una proficua ricerca interiore che passa attraverso le sensazioni che navigano nella sua anima poetica e silenziosa. Il suo percorso poetico sembra condurre ad un dilemma: la comprensione del significato del dualismo della luce e delle tenebre, da un lato il principio della vita e dall'altro l'oscurità con il suo mistero.
- Coloro che ricercano le profonde ragioni e la comprensione di tale dualismo si spingono oltre le possibili osservazioni superficiali e cercano di penetrare più a fondo tale condizione sospesa. Le mute sillabe che danzano/ nel pentagramma dell'anima/ che turbinano discrete/ da uno spartito d'ombra non sono altro che la condizione estatica del silenzio misterioso e dell'ombra. Quel silenzio che custodisce i segreti, quel silenzio che nasconde dietro di sé un abisso inviolato dell'anima, quel silenzio che ascolta i nostri desideri, espugna l'ombra crudele del tempo, occulta teatri di pensieri, avvolge in impressionanti vortici, disperde i nostri pensieri in dedali lontani.
- Questo danzare nell'ombra di un mondo, muto e silenzioso, fa sentire di esserne dominati ed invasi fino alle regioni più estreme: una messe di proiezioni di ombre fugaci, con le loro sfumature impercettibili, mescolate in una visione che tenta quotidianamente di individuare il mondo nella sua materialità.
- Echi profondi risuonano nel tempo inesorabile che passa e consuma ogni cosa lasciando pochi frammenti confusi, i ricordi sono impolverati, le rimembranze sono sfuggenti sequenze che trasudano dolcezza e l'esistenza stessa scivola nel tempo mentre le memorie si srotolano come antichi papiri ormai illeggibili.
- Nel cuore in tempesta le sensazioni di gioia e dolore si mescolano e la dolcezza amara del passato non sembra dare tregua.
- Ecco allora che emerge prepotente il desiderio vibrante di fissare per sempre le parole arcane che ormai sono quasi grida incoerenti, vascelli arenati nella sabbia degli anni, effimeri suoni.
- È proprio in questo momento che l'Autrice diventa lei stessa il vascello solitario e si riappropria della sua condizione estatica: la sua visione, sepolta dalla polvere e dalla sabbia, resa tetra dalle ombre dell'esistenza e dalle oscurità, finalmente ritrova fulminei bagliori e vitali scintille.
- Lentamente e faticosamente il rapimento estatico passa dall'oscurità alla luce: squarcia i veli superficiali per facilitare l'accesso alla sostanza delle cose. Marilena Rimpatriato diventa padrona del suo vascello, solca le onde e si lascia alle spalle gli scrigni di silenzi e le fughe dal tempo riuscendo finalmente a inebriarsi di quiete e a far volare libera la mente. Ormai guarda oltre, per dirigersi verso nuovi lidi. Si lascia trasportare nelle magiche atmosfere, nei bagliori di un mattino, nelle affascinanti immagini di una natura rigogliosa, nelle luminosità accecanti di un campo di grano sotto un cielo turchino.
- Anche i ricordi dell'infanzia si perdono tra le figure evanescenti delle persone amate e tra le policromie di un mondo col profumo di fieno, i rintocchi del campanile e la quiete pomeridiana. La sua terra friulana, dolce campagna con spighe dorate, papaveri rossi e odore di gelsomino, vissuta così profondamente ed amata ancor più: si perde nell'incanto della natura capace di regalare sensazioni di gioia, nell'esplosione delle primule luminose di primavera, nelle danze di farfalle e nell'odore di muschio tra i segreti del bosco, nel profumo dell'erba e negli amati cieli azzurri. Le tenebre della notte ormai scivolano discrete come l'acqua del fiume, silenzioso ed eterno come il tempo, fedele custode di fiabe sbiadite.
- Ebbra di quiete e pervasa da sussulti di luci e colori, Marilena Rimpatriato può finalmente tramutarsi in sabbia che si disperde nel vento e accontentarsi di un azzurro spiraglio d'eterno.
Massimo Barile
Poesie
A tutti coloro che si sono chiesti che cosa mai
ci fosse dietro i miei silenzi.
Emozioni, ricordi impolverati di tempo, che
nel silenzio turbinano dentro.
Il mio silenzio Silenzio, teatro di pensieri, abisso inviolato dell'anima. Tu m'accompagni in questo tempo che scivola via, come la luce impazzita del giorno. Silenzio, che ascolti con i tuoi intimi orecchi il vortice dei miei vorrei, silenzio, che assecondi e che doni, insegui questo essere nel suo vagare lontano, espugna l'ombra crudele del tempo che lo vorrebbe strappare dal sogno Marcia fuggitiva la mia, per mescolarmi in canneti sperduti, in dedali lontani, in cui dileguare le mie forme, in cui annullarmi, e disperdere l'orme. Baciami, silenzio, baciami ancora, fa che io mi avvinghi a te, salva da questi amarissimi perigli, in quel rifugio che tanto m'attrae, perché si possono trovare vivi i sogni. Ed ebbra d'amore t'abbraccio, invasa dall'illusione e dall'estasi, bevute dal tuo labbro. Ma poi la luce del giorno ci sorprende e ci strappa dall'incanto e dall'amore. Suonate oboi, lire, cetre, donate al viandante le vostre note d'oro. L'impeto mi assale, mi ritrovo nella mia stanza quattro mura bianche e l'ombra del tempo che tutto invade. Cominci pure l'odierna danza.
Atomo di tempo Atomo di tempo si schianta contro le pareti dell'anima. Tonfo sordo rimbalza e s'agita scivolando nel buio della mia esistenza. Le memorie si srotolano e immagini corrose dall'incedere dei giorni s'illuminano come lanterne fioche nella notte. Tu appari ancora un istante, il tuo sguardo mi brucia. S'assottiglia il giorno. Sfuggenti sequenze dai lineamenti corrosi rimbalzano e s'agitano, si schiantano. Tonfo sordo è l'eco del tempo. La fiaccola si spegne. Presto esploderà il giorno.
Il più dolce dei vini Le memorie trasudano dolcezza. Echi di voci lontane fanno vibrare le folte selve dei pensieri. Un intreccio di rami offre una via di fuga al sole ed un raggio di luce caparbio s'insinua nelle penombre del sottobosco. L'inverno convoca un gelido vento che non esita a scompigliare i rami dei gelsi ed io ritorno bambina turbinando allegra tra le foglie d'autunno. Presto gli occhi cercheranno nell'aria bianchi fiocchi di neve ed il freddo del mattino sferzerà la pelle del volto e delle mani, ma il mio cuore non finirà mai di lodare certi giardini, anche senza aiuole traboccanti di fiori. Presto i focolari accoglieranno neri e borbottanti paioli di polenta ed i camini fumeranno alti nel cielo impregnando l'aria ed i vestiti di fumo. Legna bruciata delle campagne striderà nel camini mentre io sorseggerò il mio tempo in Friuli come fosse il più dolce dei vini.
Distrazione Pallido sole tra nubi canute avvolto da nubi soffuse. Pensieri salgono al cielo con i vapori dei sogni. Passeggio per una valle di echi, tra boschi d'inquietudini dove celare il mio volto stupito mentre i rami blaterano parole al vento e vortici di foglie gialle sussurrano fiabe d'altri tempi. Piedi nudi sull'erba umida, gocce di rugiada tra le dita, arcobaleni mai visti paesaggi scomposti. Fuga dal tempo per strade scoscese, corse a rotta di collo tra colli profumati di fiori, voli di farfalle. Come una farfalla volo ovunque, ma poi una voce mi chiama. Sono seduta al tavolo di un caffè. Qualcuno mi tende una mano. I suoi occhi attendono una risposta che non so dare.
Parole non dette Mute sillabe che danzano nel pentagramma dell'anima, che turbinano discrete da uno spartito d'ombra. Parole arcane alle quali non si può dar voce, ma che esplodono negli occhi quando la segreta moviola dei sogni scorre lungo il perimetro della coscienza tratteggiando un ipogeo film muto. Le parole che non t'ho mai detto sono grida incoerenti di cui tu non puoi neppure sentire l'eco, sono sogni di vetro che scintillano di luci vibranti, sono vascelli arenati nella sabbia degli anni che ospitano fantasmi di naufraghi inghiottiti da una tempesta. Non temere: non sarò preda dei miei turbini. Nel mio mare oggi c'era soltanto una vela che fendeva venti fatti d'illusioni. Tu l'hai afferrata. Ora ondeggia affranta in un lago silente
Maestra Grembiule bianco, nastro rosa al collo, mano nella mano a mia madre verso la scuola mentre suonava il campanello. Ricordo così l'ingresso in quel nuovo mondo. Piccoli banchi, sedie di legno, e tu maestra da dietro gli occhiali, mi guardavi. Lavagne nere dipinte di gesso, per farci pian piano diventare grandi, dipinte di numeri e lettere, poi di giochi e di sogni. Mentre sognavo tu mi richiamavi, e mi guardavi severa da dietro quegli occhiali. "Alzati e ripeti!" gridavi. Io farfugliavo timorosa: "Mi perdona?" ma tornandomi a sedere poi a distrarmi era un'altra cosa. Di foglie gialle d'autunno, di gelidi inverni, lentamente riempivo i miei quaderni e di primule e di viole, rubate nelle mie fughe ai giardini baciati dal sole. Tu dagli allegri miei fogli coglievi le mie fantasie, le mie bugie, i miei sogni. Mi aiutavi a camminare. Poi giunse il momento di dovermene andare, ma ormai la mia lavagna non era un'oscura superficie vuota; con tanta pazienza tu per prima m'avevi insegnato ad affrontare la vita.
Insegnami a volare Mamma, parlami ancora, raccontami di quando eri bambina, delle tue corse nei prati e delle prime avventure lungo il greto del fiume. Parlami del mulino, dei campi dorati, dell'odore del fieno. Poi raccontami della nuova casa che vi pareva una reggia, delle passeggiate la sera, della vita serena. Dimmi come sei cresciuta, mamma, delle feste tra amici, dei tuoi primi passi di donna, dei tuoi sogni. Vorrei sapere anche di quel ragazzo bruno incontrato al mare, di come ti ha conquistata, di quel vostro volo verso la vita. Da quando sono nata non hai fatto altro che tenermi tra le tue ali, ho avuto tanto amore da te ma ora anche io sto compiendo i primi passi di donna. Dammi una spinta, ti prego, fammi cadere giù dal nido perché io possa volare: solo tu sei così grande da poterlo fare.
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Ins. il 21-10-2002