LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti

 

Silvana Ciliberto
 
Stecche di balena
 
Tutte queste famiglie di uomini soli
una finestra, un balcone
che volti, che storie
mi chiedo
alla sera
guardando la casa di fronte.
Città
sicurezza infelice
di una folla di ignoti
a portata di mano.
Penso a quant'era diverso quell'uomo
in campagna
a mia nonna
patriarcale matrona, da vecchia,
cinque aborti a calci e lavoro:
miseria, e mio nonno beveva.
E mia madre
pudica ragazza
lavoro in campagna
la domenica a Messa:
nei suoi sogni un amore
una casa e dei figli.
 
Sono anch'io queste donne
e qualcosa di molto diverso.
Quanto orgoglio
quanto vuoto e dolore
in quest'esser diversa.
Questa strada
divorando me stessa.
Quanta forza
rubata alla vita.
Quanta paura
che non voglio sentire:
quante stecche di balena
a tenere i miei passi.
Dentro
una bimba impaurita
la voglia di verde e di sole
due mani sul corpo
due occhi in un pozzo
un gatto in amore
qualcosa di dolce e di caldo.
All'esterno
una donna un po' dura
una donna un po' sola
tra tante famiglie di uomini soli.
 
 
 
Figli
 
Figli
non ho voluto
ed egoista
di me si dice
e forse anche è vero,
vero è anche altro.
Essere madre
è il senso per la donna
diceva la mia mamma
a me bambina
e intorno
assentivano in molti.
La rabbia vinceva sul dolore
mentre giorno per giorno
portavo la sua pena
di donna stanca,
amara e senza amore
per sé e per me,
donna bambina.
Altre come me,
vedevo, ed altre madri
simili a lei,
sicure
che scelta non ci fosse,
né altra vita.
Ed io crescevo
ed anche la mia rabbia
e il mio rifiuto
di ruoli eterni
e strade prefissate.
E la mia strada
mi ha condotto altrove,
non so se è meglio o peggio:
è un'altra vita.
Di una cosa
comunque sono certa
comprensione ed amore
sono il pane
per un figlio voluto
ed io ne ho avuto poco
e non si dona
quel che non si è avuto.
Ora non lo so più
se un figlio
era un altro destino
e forse anche per me
scelta non c'era
che essere mattone
a quella diga
che ha fermato
millenni di passato
e liberato vie diverse
a te, venuta dopo.
Per me,
generazione di passaggio,
faticoso cammino
e passo incerto ho avuto,
ma fede e forza, anche,
e forse è tanto.
 
 
 
I miei colori
 
Rivoglio i miei colori
le mie parole perse
in secoli d'amore
muto e devoto al dio.
 
Un tempo, per me e per te
creavo
e vasi, e grano, e figli.
Ero la Grande Madre
e tu cacciavi.
 
E un tempo dopo,
millenni o sogni,
era mutato tutto.
E possedevi
e vasi, e grano, e figli,
e ne volevi ancora.
Io non creavo più,
facevo solo
e vasi, e grano, e figli.
Ed ero triste e stanca
ed era muto dentro
il grido della vita.
Ed era muto fuori
e a terra avara
strappavi disperato
frutti stenti.
 
Ed ora basta, uomo:
non voglio più.
Ed occhi chiari, voglio
e mani aperte
e dolci voci, udire.
 
E verrà giorno, un tempo
per me e per te
creando, io ridarò
e vasi, e grano, e figli.
 
 
 
Vecchie foto
 
Vecchie foto
stasera
tra le mani
riportano ricordi e nostalgie
di luoghi e volti:
colori, voci, odori
un po' dimenticati
disegnan nuovamente
percorsi antichi
per me soltanto veri.
Attimi fissati
e resi eterni
ritornan sentimenti
ancora vivi
solo un po' impolverati
dalla sabbia
di clessidre impietose.
Vecchie foto
stasera
negli occhi
son dolci al mio cuore
e mi portan per mano
a far pace coi miei passi
nel labirinto del tempo.
 
 
 
Algeria
 
Non nascono più fiori
in terra d'Algeria
per non coprir l'odore
dolce e caldo
del sangue
di donne e bambini
sgozzati
quasi
agnelli al macello.
Non si ode più canzone
nella terra
di là del mare
a mascherare l'urlo
di chi muore
o rompere il silenzio
di chi vive
e tace
sbigottito.
Solo,
orrore e paura,
impotenza e rimorso
d'intorno
sguardo perso
nel deserto dell'uomo
il poeta,
anche,
era muto.
 
 
 
Una terra, un segreto
 
Voglio tornare e vederti
terra che non ho amato:
ventre maledetto mille volte
storia marchiata sul mio viso
origine sfuggita
e poi perduta
la tua vendetta è atroce.
 
Sono cresciuta,
bambina senza padre.
La tua strada voleva di me un'altra
e io non volevo.
Ma tornavo ogni anno
col vestito bello
per la festa del patrono
bambina sola di città, sperduta
cresciuta a pane e paura.
Ti buttavo addosso
l'orgoglio di saper qualcosa in più:
e non sapevo niente.
 
Era la mia vittoria,
piccola triste vittoria,
e abbiam sbagliato in due.
La crepa diventava fosso,
e fiume, e mare,
in mezzo.
E il mio segreto e il tuo
non li abbiam detti mai.
 
 
 
I mondi del fuoco
 
Vieni con me
dammi la mano
ti porterò nei mondi della mia follia.
Vieni con me
vedrai
c'è solo un vetro
sottile come un velo
ed è ragione
e poi
il suo contrario.
Passati sono anni
e sogni
e carri armati
tra le tende
abbassate
del mio sentire.
Nel fondo di bottiglia
vedo e sento
il caldo nella pancia
e la mia voglia
amore
grido e pianto
e non lo so.
Vieni con me
senza paura
andremo giù nel pozzo
a ritrovar la notte
senza oblio
tra acqua e fango
ed alghe limacciose
brillano luci vive
e la pazzia
diventa stelle
di emozioni
tra le dita
stelle
conosciute
vecchie amiche
su cui salire
e poi volare
verso i mondi del fuoco.
 
 
 
Questi giorni
 
Mi sento un grido dentro
un grido muto in gola
mi dico
che ci saranno nuovi giorni
e un nuovo amore
ma non ci credo
né lo voglio,
il mio pensiero
è a te che torna
e ho voglia di vederti
e non ci sei
e ho voglia di sentirti
e non so dove stai.
Se tu ci fossi
non saprei parlarti
non so portar ragioni
al mio bisogno
né togliere ragioni
alle tue fughe
ed ho paura
che in fondo è me che neghi
son io che tu rifiuti.
Ho voglia allora di fuggir
così lontano
dove il tuo no
neppure può arrivare
così lontano, dentro...
...e questo mi tormenta
questo è male.
È di dolore e rabbia
il grido muto
per quel che non mi dai
e ciò soltanto è vero:
volevo questi giorni
e questo amore.
 

 

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Inserito 21 agosto 1998