- Il
vento e il ruscello
-
I tre alberi sulla collina
-
- Erano
l'orgoglio degli abitanti del paese, un gruppo
d'alberi che spezzavano come per incanto quel
territorio arido e polveroso. Erano meta di gioiose
passeggiate domenicali. Molti, dopo la messa, erano
soliti raccogliere le loro poche vivande e gustarle al
fresco dell'ombra di quei preziosi alberi.
- Immaginiamoci
la gioia della gente quando i nuovi alberi, da piccoli
e delicati arbusti, si mostrarono quella primavera con
il loro primo manto fiorito.
- Tre
di loro in particolare erano bellissimi, già si
lanciavano con i loro giovani rami verso il cielo, le
chiome si allargavano sulla terra con un'ombra non
ancora netta, ma che lasciava filtrare i caldi raggi
del sole.
- I
bambini erano i più assidui a festeggiarli, ci
giocavano attorno, cercavano di salire sul loro snello
tronco. Dietro gli alberi si scambiavano le prime
carezze ed i primi baci.
- Loro
tre, i tre alberi sulla collina, così erano
chiamati, erano orgogliosi di queste attenzioni.
Guardavano gli altri fratelli più anziani e
sognavano di diventare grandi come loro.
- "Quando
riusciranno le nostre fronde ad allargarsi sulla terra
come i nostri più grandi fratelli?" disse uno
dei tre.
- "Ufffff...
sembra di essere sempre così piccoli" rispose
l'altro.
- "Non
lamentiamoci fratellini, non vedete che la nostra
ombra è la più contesa? I bambini
vengono sempre a giocare vicino a noi. I nostri rami
più alti già riescono a guardare oltre
la collina, a gettare lo sguardo sulle ultime case del
paese...".
- "È
vero..." dissero i fratelli
- "Allora
dobbiamo essere felici così, lasciamo che il
vento accarezzi i nostri rami e che scenda a
rinfrescare le genti. Le nostre foglie cadute siano un
morbido letto su cui loro possano
riposare".
- Anche
gli animali cominciarono ad apprezzarli; come gli
uccelli che costruirono nidi sui loro giovani ma forti
rami. Gli animali che pascolavano al caldo del sole
venivano spesso a riposarsi e rinfrescarsi sotto la
loro ombra.
- Quella
collina con i giovani alberi divenne più bella,
le sue forme più armoniose. Lo sguardo del
passante non poteva non fermarsi ad
ammirarla.
- Passarono
anni, cicli di stagioni, freddi inverni si alternarono
ad altrettante gioiose e colorate primavere ed a calde
e polverose estati.
- I
nostri giovani alberi della collina erano oramai
adulti, i loro rami flessuosi e robusti si alzavano
verso il cielo. Il loro sguardo poteva finalmente
distendersi e vedere le case del paese e la loro ombra
era sempre la meta preferita dei bambini.
- Una
mattina, poco dopo l'alba, quando ancora i raggi del
sole non si erano levati oltre la vicina collina, una
strana attività iniziò in mezzo a quegli
alberi.
- Alcuni
uomini raccolsero nelle loro immediate vicinanze carri
ed attrezzature. Parlando giravano fra gli alberi e su
qualcuno tracciarono dei segni.
- "Cosa
sta accadendo?" disse uno dei tre alberi.
- "Non
lo so, ma ho una paura incredibile, mi stanno tremando
tutti i rami. Che cosa vogliono fare queste persone,
perché segnano alcuni di noi?".
- "Cosa
vorranno mai fare con quegli arnesi, non li ho mai
visti, fanno una paura!".
- "Su...
non spaventatevi prima del tempo, vediamo cosa
accade".
- Non
finirono neppure di parlare che un tonfo fortissimo
segnò l'inizio del taglio, uno ad uno gli
alberi segnati furono tagliati, spogliati di rami e
foglie e portati nella falegnameria del
paese.
- "Ci
stanno uccidendo..." disse uno dei tre.
- "Ho
paura, non voglio morire così....!" aggiunse il
secondo.
- "Spero
proprio che la mia morte, se deve avvenire, serva a
qualcosa..." concluse il terzo.
- Uno
ad uno anche i nostri tre amici furono abbattuti. Il
giorno dopo erano spogliati dei rami e delle foglie ed
erano ora nudi e distesi vicini:
- "Cosa
faranno ora di noi?" si domandavano preoccupati sul
loro nuovo ed ignoto destino.
- Il
primo dei tre fu scelto dal costruttore di barche, lo
prese e lo portò nella sua officina. Dopo molto
lavoro e mille cure quel tronco era diventato una
splendida barca da pesca. Quando toccò il mare
per la prima volta un brivido lo attraversò.
Tanti piedi lo calpestavano, le onde del mare lo
sbattevano da una parte e dall'altra.
- Tanti
pesci erano gettati sulle sue tavole e li vedeva
morire; pioggia e tempeste si univano alle acque del
mare. Gli uomini ogni giorno lo svegliavano all'alba
per prendere il mare, la sera lo riportavano,
stremato, a riva.
- "Sono
a pezzi, ho freddo e mi sento tutto sporco, ma sono
felice. Poveri pesci, stanno certo peggio di me.
Meglio dormire un po', fra poche ore riprenderemo il
mare ed inizierà una nuova
giornata".
- Il
secondo fu scelto dal falegname del paese e
restò tagliato in tavole per molto tempo. Un
giorno il falegname le prese, le tagliò, le
levigò e le trattò con cura fino a farne
un grande tavolo.
- Dopo
qualche tempo il nostro albero era un bellissimo
tavolo al centro di una sala, su cui una famiglia
mangiava tutti i giorni.
- Tutto
sommato non poteva lamentarsi: "Sulla collina stavo
bene, ma anche qui sono trattato bene. Mi tengono
pulito e mangiano sempre su di me, grandi e bambini.
Mi piace ascoltarli mentre parlano dopo il
pranzo".
- Il
terzo albero, umile e saggio, non fu certo fortunato.
Una volta tagliato le sue tavole furono accatastate in
un magazzino; nel buio il nostro amico sentiva sempre
le voci dei bambini, le loro mani che lo toccavano, il
vento che accarezzava i suoi rami.
- Sono
passati molti anni, molto è accaduto in quella
regione... I nostri amici cosa staranno facendo?
Andiamo a vedere.
-
- La
barca è nell'acqua, con i pescatori sta
tornando dalla pesca. Sono stanchi ed amareggiati
perché non hanno pescato nulla. Un uomo dalla
riva li chiama, parla con loro, si avvicina e sale in
barca: "Andiamo di nuovo a pescare...", dice ai
pescatori.
- Questi
si guardano perplessi, sono stanchi e delusi, ma
riprendono a remare e guadagnano il largo. La nostra
barca sente i piedi di quell'uomo, attraverso di loro
qualcosa la scuote e la riporta lontano nel tempo:
- "Chi
sarà mai quest'uomo? Il suo sguardo, i suoi
occhi, il contatto con i suoi piedi sembrano riempirmi
di nuova vita. Mi sembra di avere ancora i rami mossi
dal vento sulla collina. Le sue mani mi toccano e
sento di nuovo le voci dei bambini che giocano, le
persone che mangiano sotto la mia ombra. Cosa accade?
Chi è costui?".
- Sente
i pescatori gridare: "Guardate, le reti sono piene,
rischiano di rompersi dal peso dei pesci. Presto,
tiriamole in barca prima di perderle!".
- Pochi
minuti dopo la barca era piena di pesce, i pescatori e
quell'uomo tornano a riva. Molte altre volte la barca
lo vide e lo portò al largo, come quella volta
in cui quell'uomo scese fra le onde e camminò
sull'acqua.
-
- Il
tavolo è ancora in quella casa, molte mani lo
hanno toccato, molte persone ci hanno mangiato sopra.
Questa sera sono in tanti attorno alla tavola, tutti
uomini, di quelli che quando mangiano parlano molto e
lui ascolta con piacere. C'è anche quell'uomo,
quello che quando parla tutti tacciono. Che quando le
sue mani toccano le sue tavole lui vede di nuovo la
sua collina, i suoi due fratelli, i bambini giocare, i
raggi del sole filtrare fra le sue foglie, le carezze
del vento sui suoi snelli e forti rami. Questo gli
accade ogni volta...
- Questa
sera lo sente parlare, c'è qualcosa di
particolare, un silenzio strano fra gli altri
commensali...
- Prende
il pane, lo spezza, lo divide con loro e
dice:
- "Prendete.
Questo è il mio corpo, mangiatelo, fatelo in
memoria di me...".
- Poi
prende il boccale del vino, ne beve un sorso, lo passa
agli altri perché ne bevano a loro volta:
- "Prendete,
bevete. Questo è il mio sangue, bevetelo in
memoria di me...". Mentre dice queste parole le sue
mani sfiorano il tavolo, il nostro giovane amico sente
sciogliersi come in un abbraccio con la fonte della
vita.
-
- Le
tavole del nostro terzo amico sono ancora nel
magazzino, ma la porta si sta aprendo. Entra un uomo,
ne sceglie due, una più lunga, l'altra
più corta. Le prende e le inchioda insieme a
forma di croce.
- Poi
sente delle grida, molte grida ed urla, gente che
piange. Cosa sta accadendo? Si sente alzare e poi
sente due mani che lo abbracciano, un uomo,
sanguinante, con una corona di spine sulla testa lo
trascina per la strada mentre la folla urla.
C'è chi piange e chi gli sputa addosso, chi lo
supplica e chi lo maledice.
- Il
nostro amico è smarrito, ma le mani di
quell'uomo su di lui hanno un effetto particolare.
Tutta quella confusione scompare, si vede di nuovo
sulla collina, le fronde dei rami al vento, i raggi
del sole fra le foglie. Le persone che mangiano e si
rinfrescano sotto la sua ombra, i bambini che giocano,
gli uccelli che saltellano da un ramo
all'altro.
- Quell'uomo,
dagli occhi buoni, arriva sulla collina, non certo
bella come la sua quando era giovane. Ci sono
già due croci con due uomini appesi, le sue
mani ed i suoi piedi sono inchiodati sulle sue tavole,
il nostro amico si sente unire a
quell'uomo.
- "Da
oggi in poi io farò parte di te. Ogni volta che
qualcuno guarderà verso di te i suoi occhi
cadranno su di me, tua croce. Ogni volta che un uomo
guarderà ed accetterà me, come sua
croce, accetterà e vedrà
te".
- Non
fece in tempo a finire queste parole che l'uomo
gridando spirò. Il cielo si aprì e
pianse, la terra fremette tutta e si sconvolse. Le
genti, spaventate, fuggirono lontano, quel corpo fu
portato via, ma per noi restò sempre legato
alla croce.
-
- La
storia di E.
-
- E.
è uno di quei bambini che mangia in un boccone
e scappa via, ha troppo da fare per perdere tempo
nelle solite chiacchiere. Questo fa arrabbiare molto
la madre, che invece vorrebbe raccolta la sua famiglia
almeno durante i pasti, per ringraziare insieme e
parlare del più e del meno. Non sono molte le
occasioni, ed E. le sfugge tutte.
- Ora
è nella sua stanza ed il suo esercito di
soldatini di piombo sta subendo una secca sconfitta.
Il portabandiera è già stato colpito, il
trombettiere si è nascosto sotto una sedia... o
scusate, un carro... e continua a suonare una carica
di quelle così stonate che il nemico è
indeciso se avanzare o no solo per non sentirlo
più.
- E.
è preoccupato, il suo soldatino preferito
è circondato da quattro mostri paurosi. Si
ferma fra i cuscini... scusate, mi sbaglio sempre, fra
le rocce... e si guarda attorno per decidere cosa
fare. I suoi compagni sono in difficoltà e non
possono aiutarlo, il fortino questa volta è
veramente minacciato.
- Uno
dei mostri ha un solo occhio enorme e luminoso al
centro, emana tanta luce da abbagliare gli occhi dei
suoi nemici ed ha il potere di immobilizzarli.
- Questo
mostro è il più vicino e gli impedisce
di riunirsi agli altri soldati nel forte e trovare
aiuto.
- Gli
altri, non meno minacciosi, sono dall'altro lato. Uno
di questi è grande e peloso. Sembra che dorma e
non si muova, ma lo ha visto più volte divorare
altri suoi compagni in un solo boccone. Il terzo
mostro è enorme, tutto di legno durissimo ed ha
le zampe rafforzate da assi. In questo modo quando si
arrabbia comincia a dondolare tutto e riesce a
sbriciolare ogni cosa gli vada a finire sotto.
- L'ultimo
è il più imprevedibile poiché
è velocissimo, ha quattro grandi ruote e quando
corre fa un rumore assordante. Quando ti assale lancia
un gancio che ha nella parte posteriore e ti trascina
per la strada fino a che muori.
- "Povero
amico mio, questa volta sei proprio messo male, non so
se riuscirò a salvarti neppure io, la
situazione è drammatica. E se non mi sbrigo fra
poco dovrò uscire con la mamma, come posso
lasciarti in queste condizioni?!".
- Detto
questo E. prese il suo soldatino, lo spostò e
gli fece aggirare le rocce (i soliti cuscini...). Per
fare presto l'unica cosa era affrontare il mostro con
l'occhio luminoso, era l'unico ostacolo che gli
impediva di riunirsi ai suoi compagni nel fortino.
- "Avanti
amico mio, non aver paura, quel mostro è
terribile ma tu sei coraggioso, lo puoi affrontare.
Giacché non lo puoi vincere con la forza prova
con l'astuzia!", e intanto avvicina sempre di
più il soldatino al mostro. Sembra proprio che
il piccolo guerriero di piombo muoia dalla paura, ma
qualcosa lo spinga ad aver fiducia, ad andare
oltre.
- "Sono
certo che qualcosa mi verrà in mente...",
pensò fra sé il soldatino di piombo "...
ne ho viste anche di peggio, e qualcosa mi è
sempre riuscito. Qualche evento mi ha sempre aiutato,
perché non dovrebbe anche questa volta?".
- Riprese
coraggio e continuò ad avvicinarsi ai piedi del
mostro, strisciando fra l'erba del tappeto...
scusate... del prato.
- "Ecco,
guarda qui.." disse E. al suo soldatino.
- "Guarda
cosa spunta dal piede enorme del mostro!": un filo
stranissimo usciva dal piede enorme e serpeggiando
nell'erba si allontanava da lui.
- "Cosa
sarà secondo te?" disse E. al suo
soldatino
- "Non
ne ho la più pallida idea, proviamo a seguirlo,
chissà che non ci aiuti a sconfiggere il
mostro!", rispose il suo amico.
- "Va
bene, andiamo amico, ma facciamo sempre attenzione
agli altri tre che non ci vedano, tutti insieme non li
potremmo mai sconfiggere".
- I
due amici seguirono il filo per molti metri e si
fermarono davanti ad una parete bianca altissima,
enorme, insuperabile.
- "Ed
ora come faremo? Guarda, è grandissima, e
sembra non avere passaggi", disse E.
- "Il
filo ci va a finire dentro, come farà? E dove
andrà a finire?", replicò il
soldatino.
- "Guarda
bene amico mio, il filo entra in quella piastra sul
muro. Se provassimo a tirarlo via cosa
succederebbe?"
- "Noooo,
non farlo!!! Potrebbe innervosire il mostro che ci
assalirebbe ancora più
furioso...!".
- "Amico
mio, ti facevo più coraggioso, non possiamo
mica stare in eterno qui a guardare questo filo,
qualcosa dovremo pur fare, non credi?".
- "E
sia, ma che sia uno strattone rapidissimo e subito
scappiamo via prima che il mostro ci assalga
rabbioso", disse il soldatino agitatissimo.
- E.
prese il filo con la mano e tirò un colpo
violentissimo, il filo usci dalla parete sbattendo di
qua e di là. In una di queste piroette la sua
estremità quasi colpì il soldatino che
fece in tempo a gettarsi in terra e ripararsi dietro
una roccia.
- Il
soldatino era pietrificato dalla paura, il filo era
ora immobile, si girò a guardare verso il
mostro immaginandolo con le fauci già aperte su
di lui. Non fu così... il mostro era immobile
ed il suo occhio non più luminoso. Si era
spento.
- "Guarda
amico, il mostro è morto, non può
più nuocerti", disse E. felice al suo
amico.
- "È
vero, sembra immobile, così senza occhio
luminoso non fa più paura. Ma sei sicuro sia
morto e non faccia finta?".
- "Non
fare sempre il fifone, è morto stecchito. Ora
vai, raggiungi i tuoi amici prima che arrivino gli
altri mostri. Non posso restare ancora molto ad
aiutarti...".
- Il
soldatino corse a perdifiato verso il fortino, senza
neppure guardarsi indietro. Le gambe già non le
sentiva più, i piedi quasi non toccavano terra
dalla velocità. Il cuore sembrava dover
scoppiare da un momento all'altro, ma oramai era nel
fortino.
- "Meno
male, sento i passi, la mia mamma sta salendo e debbo
andare via... non uscire dal fortino, amico mio,
almeno fino al mio ritorno".
- "Allora
E. sei pronto? È già un po' che con tua
sorella ti aspettiamo di sotto..."
- "Sì,
mà, eccomi. Ho messo a posto le mie cose ed ora
scendo "
- "Sempre
a giocare con la testa nel tuo mondo di sogni! Ma
quando ti deciderai a diventare un ometto, a mettere i
piedi per terra! Guarda tua sorella, ha quindici anni
e sembra già una donna!".
- "Sì
mamma, hai ragione mamma... come sempre d'altronde",
rispose E. saltando con pochi passi giù dalle
scale.
- Sembrò
quasi volare, il piccolo E., e la mamma lo
guardò mentre sembrava volare verso di lei. Lo
rimproverava sempre, ma in fondo ne era affascinata,
le ricordava se stessa quando aveva la sua stessa
età e la vita la strappò troppo presto
al mondo fantastico dei sogni per diventare prima una
brava moglie e poi una brava madre.
- Si
avviarono insieme lungo la strada ancora sterrata...
si, erano poche le strade asfaltate. Era anche inutile
asfaltarle, ogni volta passavano violenti i carri
armati e i loro cingoli mostruosi sbriciolavano tutto.
- Ma
non era solo quello delle strade il problema nel
campo, mancava quasi tutto. Solo l'onore e la
dignità non mancavano mai. Anche se nella
polvere e nella povertà questi valori restavano
sempre vivi a ricordare la storia di un popolo.
- I
nostri amici cercavano come ogni giorno di uscire dal
campo per accompagnare E. a scuola. La mamma, come
sempre, ne avrebbe approfittato per racimolare del
cibo, ogni giorno più caro ed
inavvicinabile.
- Tanto
era presa dai suoi mille pensieri che neppure si
accorse di nulla. Sentì solo dei colpi
fortissimi echeggiare nel silenzio. Il gesto istintivo
di raccogliere a sé i suoi figli e proteggerli
con il suo stesso corpo non servì questa
volta.
- Vide
E. accasciarsi a terra, una smorfia leggera sul viso,
quasi un sorriso. Una macchia rossa che si allargava
sempre di più nel petto. Pochi attimi ed il
mondo cambiò colore, i rumori diventarono
suoni, il puzzo di polvere e di carri diventò
profumatissima lavanda di montagna.
- La
mamma fu subito su di lui, lo alzava sulle braccia
come per ridargli la vita che gli stava scivolando
via.
- "E.
come stai?! Rispondimi vita mia!".
- "Bene
mammina, sto benissimo. Qui è tutto più
bello, il cielo è celeste come quel tuo velo
che amo tanto, i colori sono vivi, luminosi. Non
c'è polvere mamma, solo erba meravigliosa,
tanto silenzio ed una luce luminosa,
bianchissima".
- "Non
morire piccolo mio, ti prego, non
morire..."
- "Ma
cosa dici mammina, io sto bene..." rispose E. con un
filo di voce. "... Guarda, c'è anche il mio
amico, il mio soldatino di piombo che mi aspetta...lo
vedi, mi viene incontro. Mi allunga la mano e mi
chiama, mammina... io vado a giocare con
lui...".
- La
madre restò così, pochi attimi che
sembrarono anni.
- Il
rumore attorno era scomparso, solo quel peso fra le
braccia, il corpo di E. che non respirava più.
Non riusciva neppure a disperarsi guardando il suo
volto sereno, disegnato da un sorriso
meraviglioso.
- "Vola
via E., non fermarti più, raggiungi i tuoi
simili nel cielo. E da lassù prega per noi,
affinché ritroviamo tutti la capacità di
amare. Niente più odio, E., portalo via,
allontanalo da noi, dì al Padre che siamo
stanchi di violenza e vendette. Che ci mandi di nuovo
la pace, la sua pace...".
-
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