Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
 
Il ritorno
di
Valeria Palmieri
 
Collana I salici
14x20,5 - pp. 100 - Euro 10,60
ISBN 88-8356-347-6
 
IL RITORNO
 
Kay mal sopportava gli incontri politici di suo marito Tyler, tuttavia l'aveva assecondato. La sperduta casa di campagna, presa in affitto per l'occasione, distava una ventina di chilometri da Bologna, sua città d'origine.
La corolla di fitti alberi, racchiudeva la villa come un fiore. L'interno di essa sfoggiava un mobilio antico, di gran classe. Lo stile, seppure di buon gusto, non servì altro che a renderla più inquieta. Oh, come desiderava l'intimità della sua casetta!
Lo specchio dinnanzi a lei rifletté l'immagine di una bella ragazza dai lunghi capelli biondi.
Per l'occasione aveva indossato un tailleur pantalone color carta da zucchero.
Sullo sfondo, oltre se stessa, come in un quadro potè osservare Tyler parlare animatamente con una ragazza. Ah, la politica, si disse. Lei non ci avrebbe mai capito nulla.
Sorseggiò un analcolico, sorridendo a destra e a manca. Quella sera si sentiva come un uccello a cui avevano tagliato le ali.
La festicciola proseguiva tranquillamente, le compagne dei rispettivi uomini politici erano garbate, di sicuro qualcuna di loro, proprio come lei, non s'interessava degli affari dei loro mariti.
Meditava così, quando all'improvviso fu colpita da una figura imponente d'un uomo sconosciuto. Fu un attimo fuggente, che già lui era scomparso tra la folla.
Tornò a pensare a sé, per rinvigorire la sua mente fin troppo offuscata dal fumo delle sigarette e della noia. Aveva ventotto anni e da poco più di tre mesi si era sposata, dopo una lunga e consolidata convivenza di quattro anni con Tyler suo coetaneo. Con lui si conoscevano fin dall'età adolescenziale, facevano ambedue parte dello stesso gruppo. Il loro era un rapporto sereno e ben riuscito, come dicevano proprio i loro amici, invidiandoli un po'. Prima di convolare a nozze, avevano atteso il lavoro, poi con l'aiuto dei rispettivi genitori avevano acquistato una casetta. Un piccolo villino in una zona residenziale: tre camere e cucina. Ma l'incanto della casa era l'enorme e bellissimo bagno arredato divinamente. Lì aveva speso tutte le energie e il risultato l'aveva gratificata, facendo di quel luogo un magnifico posto. Tutto il piano sottostante all'abitato era stato adibito a taverna, un centinaio di metri all'incirca e lì si svolgevano i ritrovi col vecchio gruppo di amici. Ma era anche il luogo dove spesso e volentieri s'incontrava Tyler con altre persone che s'interessavano di politica, unico cruccio, secondo lei, di suo marito. Intorno al loro nido un bel giardino. Tutto tranquillo dunque. Adesso quasi, quasi, stavano pensando di mettere su famiglia. Un bambino ci voleva proprio e forse anche due, chissà.
Faceva caldo nella sala, l'atmosfera surriscaldava perenne i pensieri. Per rinfrescarsi un po', si tolse la giacca, restando con la sola camicetta nera stampata a fiori della stessa tonalità del completo. Essa metteva in risalto la silhouette perfetta, evidenziandone i seni.
Mentre era intenta a sistemare le sue cose nell'appendiabiti s'aprì uno squarcio tra un gruppetto di persone che come un flash lasciò intravedere di nuovo quell'uomo.
Tyler, nel frattempo continuava a parlare, come sempre in quelle circostanze, non si rendeva conto d'altro. Lei lo cercò con lo sguardo, lo vide dialogare ancora con quella ragazza di prima, ora, però, insieme a loro s'erano uniti anche altri due giovani. Scorgendola le sorrise e la salutò con un cenno della mano, ma poi tornò ai suoi obiettivi.
Ecco, ora l'uomo di poc'anzi riappariva, ma questa volta s'accorse che lui la guardava con insistenza. Doveva avere poco più della sua età, e a guardarlo bene in volto non gli sembrava poi tanto sconosciuto. Eppure non ricordava d'averlo mai incontrato prima di allora. Distolse lo sguardo e proseguì oltre disperdendosi tra i presenti.
Le pareti della stanza riportavano dipinti di uccelli variopinti, di gazze tuffate in un bel cielo blu, peccato che fossero imprigionate da vecchie cornici dorate.
Saltellava così, da un posto all'altro proprio come avrebbe fatto una gazza racchiusa tra le sbarre, col desiderio in cuor suo di volare lontano... Lontano sopra il mare blu e tuffarsi in esso fin nelle più profonde viscere e laggiù, dal profondo respirare in quell'oasi tutta sua, un'ondata d'ossigeno puro. Osservava così il mondo ad occhi aperti con quel velo cristallino davanti, tipico d'acqua pulita. Quando all'improvviso s'imbattè con il misterioso uomo. L'impatto di quello scontro fu tremendo, come un urto frontale e quindi inevitabile di un incidente al dosso di un'impervia ed oscura curva. Una sensazione assurda, mai provata prima di allora s'impadronì della situazione. Una nebbia sottilissima, con giochi di colore soffuso tra l'azzurro e il grigio chiaro li avvolse. Ed era come vivere in un'altra dimensione, in un altro tempo, eppure coscienti dell'attuale posizione. Aleggiava un presagio misterioso. Per togliere l'imbarazzo fu lei a prendere l'iniziativa:
«Salve... ci conosciamo?»
«Non saprei... Non ricordo. Ma ho la sensazione di averti già visto».
«Anche per me è così».
Ci fu un attimo di esitazione, nessuno dei due trovava le parole per andare avanti. Kay restò affascinata da quel bel ragazzo e per nulla imbarazzata gli sorrise.
«Permette... Michael». Disse lui, sorridendo a sua volta e porgendole la mano.
«Kay». Riuscì a malapena a rispondergli. Il lieve contatto con quella mano emanò una carica elettrica. Michael... Michael... benché la memoria spaziasse lontano non ricordava proprio di aver conosciuto nessuno con quel nome. Ma cosa le stava succedendo?! Davanti a sé, vedeva un ragazzo alto all'incirca un metro e ottanta con i capelli scuri, mossi. La cosa strana è che lo vedeva in lontananza, in bianco e nero, come in una vecchia foto sbiadita. Si scosse, era proprio uscita fuori di senno quella sera. Cercò di reprimere i suoi pensieri. Il ragazzo che vedeva ora, era sì con i capelli un po' ricciuti, scuri come gli occhi, ma era a colori reale e presente. Saggiamente decise di andarsene:
«Scusa... è stato un piacere conoscerti... Di sicuro non ci siamo mai incontrati prima d'ora. È stata solo un'impressione... Adesso ti lascio, sto cercando mio marito...» Disse volgendo lo sguardo altrove, in cerca d'aiuto.
«Sei sposata? Così giovane, peccato».
«Sì, sono sposata da pochi mesi». Balbettò, arrossendo
Un gioco di luci ed ombre variopinse la sala, i vocii dei presenti parvero il sottofondo ai loro respiri. Poi Michael disse qualcosa, non si sa bene cosa; Kay non recepì nulla ma questo bastò per costringerla a riportare lo sguardo in quegli occhi neri.
«Eppure Kay... non è solo una vaga impressione, è come se ti conoscessi da sempre».
«Sai Michael... credo... credo sia quel certo feeling che unisce le persone».
Loro malgrado si ritrovarono a parlare e a parlare e nessuno dei due osava più andarsene. Senza rendersene conto si sorpresero fuori a passeggiare fianco a fianco, ancora con il bicchiere dell'aperitivo tra le mani.
La serata era bella, fresca, l'aria pulita, frizzantina. L'inverno ormai stava per andarsene. E già quel dolce presagio dava conforto. Da lì a poco la natura sarebbe esplosa in tutto il suo splendore.
«Michael... ma tu non sei di queste parti...»
«Oh, no. Vengo da Madrid: Sono venuto nella vostra bella Italia per un po'...»
Per un po'...? Quindi se ne sarebbe andato presto!
«Tu sei di Bologna?» fece lui.
«Sì. Anche se i miei genitori sono di origine inglese, come quelli di Tyler, ma noi siamo nati in Italia. Dell'Inghilterra ho solo dei vaghi e lontanissimi ricordi. Le estati per esempio, quando andavamo a trovare nonna Kay, di cui io porto il nome».
«Allora siamo quasi parenti».
«Cosa vuoi dire?»
«Anche i miei venivano dall'Inghilterra, prima di stabilirsi in Spagna».
«Ma davvero? Che coincidenza, abbiamo le stesse radici».
Sorrisero all'idea di avere qualcosa in comune. Poi Kay si ricordò dello scopo della serata:
«Tu forse volevi parlare di politica...»
«Figurati, ho solo accompagnato un amico». Rispose lui, ridendo.
Dovevano aver chiacchierato molto, perché lei vide suo marito e gli altri uscire, la serata si era dunque conclusa.
«Salve, dov'eri finita? Ti stavo cercando». Disse Tyler avvicinandosi.
«A prendere una boccata d'aria con Michael». Si giustificò, presentandoglielo. Si sentiva quasi in colpa, ma in fondo di cosa? Non aveva fatto nulla di male, nulla che avesse potuto offenderlo. Ma suo marito non badò affatto al suo imbarazzo, anzi, sorrise scusandosi.
«Piacere, Michael, ho tanto sentito parlare di te dal mio carissimo amico Daniele. Grazie per aver tenuto compagnia a mia moglie. Sai, lei si annoia a queste serate». Scherzò porgendogli confidenzialmente la mano.
Tyler aveva proprio l'aria del politico, ne avrebbe fatta di strada. Simpatico e gioviale con tutti, sempre allegro, mai potevano dire di averlo visto di malumore, se non in rarissimi ed eccezionali casi. Kay stava bene con lui, le dava serenità. I suoi capelli biondi, un poco arruffati, gli occhi azzurri gli davano un'aria eternamente adolescenziale. Ma sapeva anche che sotto sotto era abbastanza astuto, nulla gli sfuggiva.
«Domani è domenica, potremo dormire finche ci va, però io avrei un certo sonno e voi?»
«Anche a me sta venendo sonno, veramente. Buonanotte, allora. Alla prossima occasione...» Sussurrò Michael.
«Puoi venire a trovarci quando vuoi con Daniele». Proseguì suo marito; il saperlo amico del suo vecchio compagno di liceo lo autorizzava a trattarlo alla pari.
Saliti sulla nuova station wagon, grigia metallizzata, lei tirò un sospiro di sollievo al pensiero che tutto fosse finito, la promessa di Michael, come l'invito di Tyler erano di sicuro fatti per cortesia. Era certa che non lo avrebbe più rivisto.
Giunti a casa si accorse di non aver sonno. Quindi andò in bagno, si tolse il lieve trucco. Con un colpo deciso spazzolò i capelli, dopo essersi spogliata s'infilò nella vasca idromassaggio provando a rilassarsi un po', ma nel refrigerio le tornò in mente il viso, la voce, il profumo di Michael e questo non le piacque affatto. Figlia esemplare e moglie modello, mai aveva tradito le persone a cui voleva bene, né avrebbe cominciato ora, nemmeno col pensiero. Respirò profondamente, ripensando a quanta cura aveva avuto nel mettere su casa, incominciando proprio da lì, da quel bagno imperiale, tutto incorniciato da bianchi mobili laccati, mentre il resto dell'appartamento l'aveva voluto in stile veneziano e la taverna in arte povera. Un mobilio fatto su misura, personalizzato e costoso: aveva ancora il mutuo da saldare.
Nella lunga convivenza con Tyler il loro rapporto era stato tutto rosa e fiori. I primi screzi, se così si potevano chiamare, erano avvenuti subito dopo le nozze. Piccole cose in realtà, liti banali dovute allo stress, che, un avvenimento tanto importante come il matrimonio può causare. La vera lite invece era scaturita proprio quella sera, a causa della politica. S'erano scontrati per una ragazza, una sua rivale, Kay non giustificava il perché lui tentasse in tutti i modi di assecondarla anziché far prevalere le sue di ragioni. Ma non appena lo fece notare lui inveì contro la sua ignoranza in materia. L'eccessivo sfogo le parve esagerato. Tyler sfoderò uno sguardo che non gli era proprio. Per fortuna si calmò subito e le sorrise, chiedendole perdono. Dopo la scenata scomparve per ritornare con un bel mazzo di rose blu, le sue preferite. Tutto questo però le aveva lasciato dentro un qualcosa di indefinibile, come un vuoto allo stomaco. Ecco perché mentre discuteva con la ragazza, lei per evitare intromissioni e quindi eventuali equivoci si era tenuta a distanza. Poi era arrivato Michael e la serata aveva cambiato aspetto. Anche Tyler era tornato quello di prima, allegro e gioviale e lei alla fine s'era data della sciocca per aver ingigantito una cosa da nulla.
Esausta dal lungo pensare e più che mai confusa andò a letto. Le lenzuola infuocate le rifletterono i suoi stessi pensieri bollenti. Solo verso l'alba inoltrata riuscì ad appisolarsi. Ma tutto fu vano, non appena chiuse gli occhi riapparve la foto in bianco e nero, l'incubo durava ancora. Alla forma misteriosa seguì una voce martellante:
«Io mi chiamo Xoron Stewelon e provengo dall'attuale Madrid...»
Sobbalzò svegliandosi. Ma come? Tremante si alzò. Non c'era ombra di dubbio, l'uomo tanto insistente aveva proprio il volto di Michael. Ed aveva anche la stessa provenienza. Chi era dunque? E cosa voleva da lei? Si vestì in fretta e uscì fuori a fare due passi, la testa le doleva come non mai. Tyler dormiva ignaro. Camminò molto fino a stancarsi, quindi tornò a casa, non voleva che lui alzandosi non la trovasse. Passò il resto della domenica di pessimo umore, per fortuna suo marito decise di andare a trovare i suoi. Inutile dirlo, per lei fu una liberazione, non ce la faceva a guardarlo negli occhi come nulla fosse successo. Ma cosa era successo? L'avrebbe voluto sapere lei per prima.
Non vedeva l'ora che scendesse la sera per poter dormire finalmente in pace, le palpebre le si chiudevano da sole e il giorno dopo doveva andare al lavoro. Le piaceva quel suo impiego: i colleghi e le colleghe erano solari. Kay aveva studiato pedagogia, non avendo trovato ciò che desiderava s'era accontentata di fare da segretaria in una piccola azienda privata. Ma si trovava bene e non aveva intenzione di cambiare. Suo marito invece dopo l'università aveva trovato un buon posto pubblico.
Tyler quella sera rincasò tardi e ci fu poco tempo per dialogare. Felice di potersi infilare nelle coltri e quindi riposare, andò a letto. Ma nella pace della notte una voce la chiamò ancora, svegliandola nuovamente:
«Io sono Xoron Stewelon...»
Fradicia di sudore si tirò su e attenta a non svegliare Tyler andò a lavarsi in bagno. Rinfrescata tentò ancora di dormire, ma ogni qual volta provava a chiudere gli occhi tornava nel sogno l'uomo che l'invocava disperatamente. Così passò la seconda notte in bianco. Erano quasi le sette quando decise di prepararsi per andare al lavoro. Doveva arrivare in centro, non ci voleva molto ma se non si fosse sbrigata quella mattina avrebbe fatto tardi. Un cerchio alla testa le impediva di pensare lucidamente. Tornò in bagno dove aveva trascorso molte ore nelle ultime due notti, lo specchio le rimandò un'immagine agghiacciante.. Gli occhi cerchiati e la pelle tirata la invecchiavano di oltre dieci anni. Intanto anche Tyler si era svegliato e reclamava la colazione. Sospirò, cercando di riprendersi. Rapidamente si fece la doccia, asciugò il bagno e uscì. Preparò la colazione per due, come al solito ma lei non toccò nulla.
«Qualcosa non va? Sembri strana...»
«Oh, no tutto a posto, ho solo perso un po' di sonno».
«Come mai?»
«Ma, non lo so, forse sarà l'arrivo della primavera».
Tyler sorrise: «E già... se tu non dormi tutte le tue solite ore...»
«È vero».
Mentì spudoratamente, da quanto mentiva?! Dov'era la ragazza acqua e sapone, umile e trasparente?
«Bè,... adesso scappo, altrimenti farò tardi. Ho molte cose da sbrigare in ufficio, Raffaele s'è preso una giornata di ferie».
Lui le diede un bacio sulla guancia come aveva abitudine fare e preso il cappotto uscì. Era così caro con lei, sempre affettuoso, provava rimorso per non avergli confidato i suoi pensieri. Ma non voleva turbarlo inutilmente. Era convinta che le ansie del momento presto avrebbero lasciato il tempo che trovavano, svanendo nel nulla. Di sicuro era particolarmente stressata in quel periodo a causa del lavoro e del nuovo stile di vita. Doveva abituarsi alle responsabilità di una giovane donna sposata da poco. Quindi radunò le poche forze rimaste e uscì.
Trascorsero una quindicina di giorni e quasi aveva dimenticato, quando una sera Tyler le si presentò con due amici.
«Ciao, cara guarda che sorpresa... Si fermeranno a cena da noi. Oh, non preoccuparti andrò a prendere le pizze qui vicino. Le fanno molto buone. Penso a tutto io, tu apparecchia la tavola, torno subito».
Questo disse amorevolmente lui, tutto d'un fiato quasi a volersi scusare per il disturbo inaspettato che le arrecava, benché fosse solito farle di queste sorprese. In fondo sapeva che anche a lei facevano piacere; dopo una faticosa giornata di lavoro era ben felice di rilassarsi in compagnia di amici. Ma nel voltarsi un tonfo al cuore la fece trasalire. Daniele, il loro caro amico portava con sé Michael. La stanza roteò e lei vacillò e poco ci mancò che non cadde Aveva temuto quel momento... Restarono a guardarsi, per lungo tempo, in silenzio, ed era come un ricongiungersi dopo un lungo esilio.
Qualcosa da sempre cercato e faticosamente riavuto. Quell'uomo lei lo conosceva da sempre, era sempre stata con lui, era stata sua moglie. Ma com'era possibile? Rimase a guardarlo lì, impalata. Lottando disperatamente tra il desiderio di fuggire e quello di restare.
Eppure non aveva mai fatto uso di stupefacenti, né di alcolici, era stata sempre razionale, coi piedi ben piantati per terra. Inchiodati sulla terra.
Era bello, Michael, e il suo fascino faceva decollare quei piedi, quasi fossero ali. La gazza tornava a volare, libera, forse volava soltanto per la prima volta, stagliando quel fondersi del cielo con il mare, fino a diventare un puntino leggero proiettato nel cosmo. Ma il cosmo la risputò alla terra e la confusione aumentò con il risveglio alla realtà: I piedi tornavano saldi al loro posto.
Si scuoté violentandosi, stava impazzendo?
«Mi fa piacere rivederti, Kay».
«Anche a me. «Sussurrò turbata e non potè dire altro. Col pretesto di accendere il fuoco scappò in taverna.
Il calore del caminetto presto riempì la stanza. Apparecchiò, mentre Daniele e Michael parlavano tra loro. Per fortuna Tyler tornò subito. Si sedettero e lei andò a sistemarsi nell'angolo più lontano da lui, ma ogni qual volta i loro occhi s'incontravano il cuore tornava inspiegabilmente a battere. Percepì forte ancora il senso di colpa nei confronti di Tyler. Era bastato così poco perché Michael con due soli incontri mandasse in frantumi ogni cosa. Ma cosa stava pensando?! Inorridì. Se solo avessero potuto leggere nei suoi pensieri! Gli occhi le si inumidirono e si ripromise di prendersi, appena possibile, una bella vacanza, perché di sicuro era sull'orlo di un esaurimento. E chissà poi cosa avrebbe pensato Michael di lei... Una donna facile... questo avrebbe pensato. Ma al di là della ragione lui la guardava con un certo interesse. In quei profondi occhi scuri scorgeva un sentimento unanime, un non andare a senso unico. Stava male, diamine, non poteva sopportare altro. Decisa a porre fine a quel tormento, non appena finito di cenare, s'alzò e chiese scusa:
«Perdonatemi ...ma non sto troppo bene... Vado a letto».
S'allontanò rapidamente, lasciando tutti un po' preoccupati per quel prematuro ritiro. Provò sollievo nell'infilarsi nelle fresche lenzuola. Ma ancora una volta, nell'oscurità della notte, il sogno che per diverse notti era svanito, tornò a farsi più che mai vivo.
«Io sono Xoron Stewelon».
Quell'incubo prese a perseguitarla per diverse notti consecutive. Ogni qual volta provava a chiudere gli occhi eccolo riapparire ripetitivo. Lui era Michael, cosa significava dunque quel Xoron? Michael... era Michael, amico di Daniele. Ma ben presto si rese conto di non sapere altro di lui. Chi fosse e cosa volesse da lei se lo chiese un'infinità di volte, senza mai giungere a una risposta sensata. Sapeva solo che da quel primo incontro non aveva più pace. Soffriva terribilmente, sdoppiandosi anche lei come il sogno. Una parte di sé lo cercava ripetutamente, l'altra desiderava dimenticare il suo incontro. Neanche con Tyler aveva provato tanto. Con lui il rapporto scivolava senza troppi scossoni. Chi era dunque da provocare dentro di sé una simile rivoluzione? Forse l'uomo da sempre cercato nel più remoto dell'inconscio? L'anima gemella che ognuno cerca nel lungo percorso della vita?
Questo significava che aveva fallito tutto e Tyler non era l'uomo che voleva veramente? Scacciò via quell'idea come fosse una malattia. Tuttavia restava ignoto il perché si fosse affacciato all'orizzonte della sua vita proprio ora. Quella situazione la stava snervando, anche con Tyler i rapporti si stavano irrigidendo. Non ce la faceva proprio più, doveva a tutti i costi parlare con Michael per chiarire ogni cosa, voleva sapere chi era quel Xoron.
Convinta che presto ogni cosa sarebbe tornata al suo posto, si tranquillizzò, riprendendo il quotidiano. Una risposta logica ci doveva essere, ne era certa.
Xoron nelle notti successive non tornò più e lei si sentì libera dal martellante pensiero notturno, convincendosi presto che quell'attrazione tanto particolare non era altro dovuta che alla stima provata nei suoi confronti. Stima emanata dalla profonda personalità e perché no, dalla marchiata bellezza mascolina. Di sicuro ne avrebbero presto riso, loro due insieme a Tyler, scherzandoci su, come si fa con i veri amici...
Programmò un bel fine settimana con suo marito, presto si sarebbe fatta perdonare per le stranezze di quei giorni. Le riuscì ogni cosa, anche il colorito tornò roseo. L'aria mite della primavera trasmetteva una beata pace, la sua stagione preferita le avrebbe regalato anche questa volta nuova energia e così l'assaporava mai sazia, attimo dopo attimo respirando a pieni polmoni.
L'indomani si decise a cercare Michael. Dopo il lavoro svoltò all'incrocio prima del suo e proseguì per la direzione prefissa. Incrociò, proprio davanti alla casa, Daniele e si fermò per salutarlo.
«Ciao Kay, come mai da queste parti?»
«Volevo far delle compere qui al supermercato, ho sentito che ci sono delle offerte in questo periodo».
Mentì. E ancora una volta si meravigliò della facilità con cui le era riuscito.
«E Tyler?»
«Tyler dovrebbe uscire tra poco dall'ufficio. Quando tornate a trovarci tu e Michael?»
«Una di queste sere, sempre che tu stia bene...»
«È stato un lieve malessere nulla di preoccupante, vi aspetto allora».
«Verrò da solo, perché Michael è partito».
«Partito?»
«Sì».
Partito, partito per sempre? Non avrebbe mai chiarito nulla. Il cuore le piangeva, avrebbe dunque portato con sé quel misterioso segreto. L'avrebbe custodito quasi come un tesoro nascosto.
«Ma tornerà comunque, non so quando ma tornerà».
«Tornerà...»
«Parlò più che per rassicurare se stessa che per dare una risposta a Daniele. Poi seguì un interminabile silenzio, fu il suo amico, ignaro dei suoi pensieri, a riprendere scherzosamente il dialogo:
«Potrei venire domani sera allora se per te va bene, però fammi una cortesia dì a Tyler di preparare un bel mazzo di carte, voglio sfidarlo e sono sicuro che questa volta lo batterò».
Lei si stampò un sorriso in bocca e disse:
«Va bene, riferirò. A domani sera».
Salì come un automa sulla sua Y10 bianca, cercando di assaporare ancora quell'aria primaverile che stranamente le parve ora, piuttosto invernale. Quasi quell'inverno tenesse duro, prepotente, deciso a non lasciarsi sopraffare dalla nascente stagione primaverile. Avvertì quella lotta come una sfida. Ma la vita avrebbe vinto, ne era certa. La forza covata proprio nel suo ignaro ventre invernale come un vulcano l'avrebbe sbrindellato. E lui, l'inverno, esausto, madre e padre insieme si sarebbe sottomesso al volere della figlia, che seppure apparentemente indifesa, emanava tutta la sua forza.
L'indomani come prefisso, Daniele andò. Fischiettava allegro, con le mani in tasca sembrava un garzone d'un bottegaio. Kay nel vederlo così da solo ricordò la volta precedente in cui si era presentato con Michael e si rese conto che le mancava. Ora, anche il suo amico le parve improvvisamente scialbo, con quei capelli rossi, sempre scompigliati e quelle lentiggini sul volto, che una volta lo rendevano tanto simpatico adesso ai suoi occhi lo ingrigivano rendendolo addirittura uggioso.
Lui, andò da loro quella e molte altre sere ancora, ma di Michael nessuna traccia. Il susseguirsi dei giorni slittò nella monotonia. Kay si sorprese sempre più irascibile, sia a casa sia sul luogo di lavoro. Si rese conto di avere sempre più fame di attingere notizie su di lui e in questo Daniele rappresentò una fonte preziosa. Indagò cauta, attenta a non insospettirlo. Seppe che era uno scapolo d'oro, reclamato un po' da tutte, che lavorava nella sua azienda privata di automobili la "Michael Spettor" di cui s'incaricava personalmente dell'esportazione e dell'importazione delle macchine. Era ricco, dove viveva possedeva un'enorme villa e due filiali di smercio d'auto. Ne aveva due anche nel nostro paese e Daniele ne era il rappresentante italiano. Sarebbe tornato per impiantare una grande azienda, la terza e la più importante di tutte e proprio al loro caro amico spettava il compito di diventarne il futuro dirigente. Il suo rientro era prossimo, tornava dunque per restare a lungo, perché amava molto l'Italia e contava di costruirci una casa.
Kay fu felice, saziata la sua sete di conoscenza aspettò con pazienza il suo rientro. Racchiuse in sé l'idea di chiarire il tutto e come un anemone chinò la testa all'ultimo bacio del sole. Aspettando fiduciosa il domani per tornare a schiudersi.
Si prese una settimana di ferie, con grande gioia di Tyler preoccupato per la sua salute. Svuotata da mille impegni, progettò una settimana tutta per sé, accantonando per l'ennesima volta il pensiero di Michael e di Xoron. Fece delle lunghe passeggiate, andò a trovare i suoi genitori da troppo tempo trascurati ultimamente. La loro era una famiglia ove regnava l'amore, la serenità. Poteva ben dire di essere stata fortunata: sua madre, una donna piccola ma energica, rivelava attraverso intelligenti occhi marroni una segreta intimità sia col marito che con le due figlie. Suo padre, un uomo attivo e pieno di vita, sprizzava ancora vitalità. Alto e imponente, anche lui con i capelli grigi, irradiava dagli occhi verdi una profonda tranquillità. Il suo sguardo era sempre sorridente, quasi nulla lo sfiorasse. Tutti e due pensionati si occupavano di una miriade di piccole attività. Dal volontariato al giardinaggio, da cuochi a contadini. Sempre in movimento, sempre insieme. Sua sorella Virna, di due anni più piccola di lei, viveva ancora con loro. Sentimentalmente legata da molti anni non si decideva mai a decollare per conto suo. Lavorava da tempo col suo ragazzo, commercialista. Loro due erano molto diverse sia di carattere sia fisicamente. Lei somigliava al padre, alta e mora, con dei bellissimi capelli lunghi, gli occhi verdi a mandorla, Kay invece somigliava a sua madre, era piccola, magra, bionda aveva gli occhi tra il grigio e il verde scuro e uno sguardo profondo che rispecchiava l'anima vivida, di carattere era mite, remissiva. Le due sorelle a confronto erano due bellezze diverse, ma si volevano un gran bene, per quel segreto patto d'amore fraterno che le univa.
Kay tornò a sorridere. La primavera già esprimeva tutta la sua dolcezza, come il sorriso tenero di una creatura appena nata, dimentica della violenza del doloroso parto. In quel momento anche la natura svolgeva la sua parte, lenendole il tormento degli ultimi tempi.
L'appartamento dei genitori s'affacciava al centro della città. Nella piazzola sottostante la casa, gli alberi, refrigerio estivo per le auto in sosta, ora, timidi offrivano i primi germogli. Un merlo volava fischiettando allegro sopra di essi in cerca di un ramo familiare. Ogni anno, puntuale, insieme alla sua compagna nidificavano allo stesso posto. Presto le sue fronde l'avrebbero accolto in un abbraccio amoroso nascondendo la loro prole. E lui, fedele, forse più di molti uomini, lavorava instancabile. A volte quel canto si faceva così stridente, da risuonare nell'aria talmente nitido e forte da far echeggiare di gioia ogni cosa.
Kay da molti anni, ammirava quell'incantevole spettacolo. Amante di tutti gli animali ne restava affascinata. Il suo animo sensibile non poteva altro che lasciarsi trasportare dalle cose semplici della vita. Ogni volta che tornava lì, a casa sua, si ricaricava, pareva che quel luogo avesse un potere magico su di lei. Insieme a Virna andò a fare shopping concedendosi il lusso di alcune spese folli. Al mutuo ci avrebbe pensato poi. Comprò due completi pantaloni, scuri, un paio di scarpe nere, una borsa blu e una gonna lunga fino alla caviglia di un bell'azzurro vivo. Infine regalò una comoda cuccia, da mettere al balcone, a Priscilla, la splendida e graziosa gattina bianca, dal pelo lungo, di sua sorella. Benché preferisse di gran lunga il morbido divano del salotto, era sicura che prima o poi avrebbe accettato il suo pensiero.
Kay pensò che un giorno non troppo lontano avrebbe voluto anche lei un cucciolo tutto suo, magari di cane; aveva un gran bel giardino e se lo poteva permettere. Nella sua fantasia già lo vedeva correre felice, disastrando le aiuole. Per ora si contentò di riversare tutto il suo affetto alla micina pelosa. Eccezionalmente aggraziata saltellava sempre per rincorrere una pallina che Kay aveva voluto aggiungere alle compere.
Ma non dimenticò Tyler nelle sue inconsuete spese; certo lui non aveva bisogno di nuovi capi di abbigliamento, né di palline colorate ma di una cenetta con i fiocchi.
Da quando era in ferie, tutti i giorni pranzavano dai suoi, l'ufficio di Tyler restava proprio sotto la casa. Tutto si svolgeva lì nella piazzola, anche il luogo dove Kay lavorava distava un centinaio di metri dall'abitazione paterna.
Per lui acquistò due freschi tartufi neri, mezzo chilo di funghi champignon, molto piccoli, un minuscolo peperoncino rosso e vi preparò una squisita salsa tartufata, con cui condì le lasagne. Sapeva bene che andava pazzo per quel cibo prelibato. Dopo decise di fare le salsicce con contorno di insalata mista. A completare il tutto una bottiglia di vino rosso.
Il fuoco scoppiettava allegro, presto la brace sarebbe stata a puntino per le salsicce genuine acquistate da un conoscente di fiducia. Come se non bastasse volle strafare, permettendosi lo sfarzo di una torta al limone, fatta con le sue mani. Tyler fu al settimo cielo, quella sera, finalmente poteva dire di aver riavuto sua moglie tutta per sé.
«Dovresti prenderti ancora qualche giorno di ferie Kay».
«Oh, no, ora sto bene credimi. Voglio tornare al lavoro lunedì».
Nei giorni seguenti una pioggerellina primaverile riempì l'aria, tanto che in pochissimo tempo la terra si coprì di tenera erbetta. Così soffice e molle, ancora incerta, rivestiva i campi. Il merlo dal becco giallo affondava le zampette nel morbido tappeto verde in cerca di vermicelli usciti con l'umidità. Chiamò la sua compagna, invitandola al banchetto. Priscilla, dal balcone, osservava la scena spazientita per l'ostacolo che l'allontanava dai merli. Saltare giù dal terzo piano per raggiungerli sarebbe stato veramente troppo. Per consolarla Kay, le diede una manciata delle sue crocchette preferite.
Il pianto benevolo delle nuvole aveva cambiato volto al paesaggio. Nonostante l'aria si fosse un pochino inasprita i comignoli dormienti sopra i tetti dicevano chiaramente addio all'inverno. Kay si riappropriò di Kay, la sua psiche rinverdì lasciando di nuovo fluire la vita dentro di sé.
Pacifica per natura, amava stare bene con se stessa e con gli altri. In un mondo dove eternamente Caino ammazza un povero Abele, tante volte s'era chiesta con amarezza se l'uomo con l'uomo avrebbe mai trovato un punto d'accordo. Unico essere vivente capace di intendere e di volere a volte sapeva essere spietato come pochi nel regno animale.
Ma lei da sempre aveva deciso per la vita e mai a nessuno avrebbe permesso di oltraggiarla. Tornò quella di una volta sia nel campo lavorativo sia fuori. Sempre allegra, circondata da molti amici, sapeva conquistare facilmente chiunque ne venisse a contatto
Con il cuore infiammato dalla verve della gioventù Kay progettò una miriade di nuovi impegni.
Ma i temporali arrivano quando vogliono, esplosivi, poi in fretta come sono venuti se ne vanno, lasciando aperti i solchi che hanno provocato. A ciel sereno, come un fulmine, una notte tornò Xoron ad avvisare della tempesta.
Nel sogno il suo volto si sovrapponeva sempre più a quello di Michael e la cosa assurda è che sapeva di appartenergli come non era mai appartenuta a nessun altro Si sentiva veramente la moglie di Michael, fusa in un completo abbandono senza più alcuna riserva.
I solchi aperti, ora, lasciavano vedere i sassi lavati dall'acqua, puri, lucidi, levigati. Tanta pioggia l'aveva resi piccole perle preziose.
Quel continuo piovere svaniva presto per lasciar tornare subito il sereno. E di nuovo con la stessa rapidità con cui si era rasserenato, il cielo si rabbuiava di nuovo per poi risplendere imperterrito il sole
Quella primavera portava con sé un mistero.
Michael stava tornando, ci volevano un paio di giorni ancora per cercare di capire, insieme, cosa stava realmente succedendo. La sua allegria intanto andava via via scemando, come il sole si nascondeva dietro le nuvole. E se la considerava pazza? Più ci pensava e più l'idea le sembrava folle! Ma non aveva detto, Michael, di avere la sensazione di averla conosciuta da sempre? Come mai ambedue si sentivano legati dallo stesso cordone ombelicale? Non certo a causa di quel feeling che si era inventata per spiegare l'assurdità della cosa. No, non era per quel feeling.
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Ins. il 29 luglio 2002