ASSOCIAZIONI CULTURALI L'Antologia dell'Associazione culturale savonese ZACEM Gianna Buzzoni
- GIANNA BUZZONI(Savona): impiegata, ama il suo lavoro e gli animali. Ha dipinto in passato a olio e su vetro e da sempre si diletta di poesia riuscendo ad esprimere la sua profonda carica umana e la sua squisita sensibilità.
FAVOLA BUFFA - Questa è la storia di un principe infelice.
- Chi fosse vissuto in quel tempo probabilmente non avrebbe compreso la sua profonda tristezza, la sua solitudine, il suo sentirsi perennemente fuori posto.
- Figlio di un Re di un regno potente e ricco e relativamente in pace (data l'epoca), non gli mancavano i mezzi per soddisfare tutti i capricci che erano usuali per i signori del suo rango; era pure un bel ragazzo, anche se non propriamente atletico, e le giovani nobildonne non avrebbero disdegnato il suo interesse.
- Ma.
- I ma purtroppo si sprecavano.
- Per cominciare, già da bambino era la disperazione del suo maestro d'armi che non riusciva minimamente ad interessarlo alle tenzoni allora di moda, mentre i coetanei eccellevano in tutte le discipline dove erano richiesti forza e rischio. E per questo era deriso anche dai fratelli e dagli amici.
- Il padre, vista la poca &endash;voluta o no- potenza fisica, aveva pensato di farlo suo ambasciatore presso qualche prestigioso stato alleato ma la timidezza, che il principe dimostrava in ogni occasione, lo aveva convinto ad abbandonare l'idea e, giudicandolo erroneamente di scarso intelletto, gli riservava ormai un malcelato disprezzo.
- Perfino la Regina sua madre, che gli voleva bene come tutte le madri, non smetteva di stupirsi per aver generato un figlio tanto diverso e sospirava ogni volta che pensava al suo futuro.
- Principe non amava le armi, le dimostrazioni di forza lo annoiavano (pur vergognandosene un poco), non gradiva esibirsi in salamelecchi, la dialettica lo solleticava solo se trattava i grandi temi della vita che la rozzezza dell'epoca non apprezzava di certo.
- E la Regina sospirava.
- Anche se doveva partecipare, per obbedienza al padre, i pranzi e le grandi feste che si tenevano nei saloni del castello lo offendevano intimamente, vedendone gli sprechi e la sottile volgarità.
- E provava purtroppo un timore reverenziale nei confronti delle fanciulle, anche se spesso restava affascinato dalla dolcezza di un paio d'occhi e le rotondità che intravedeva sotto le vesti (e con la mente fingeva di scoprire) gli procuravano brividi e tormenti. Alla fine si allontanava da loro lasciandole sconcertate e offese.
- E i fratelli ridevano.
- Senza parlare delle battute di caccia che gli procuravano una vera sofferenza: piangeva per gli animali della foresta, unici suoi amici. Si disperava per le vite distrutte per divertimento torturandosi della propria impotenza ad impedire lo scempio. Lui solo si accorgeva del rassegnato abbassarsi del capo dei vecchi contadini che vedevano mesi di lavoro andare in malora nel giro di poche ore, o il rabbioso lampo di odio negli occhi di quelli più giovani.
- Correva allora a rinchiudersi nella sua camera e cantava canti belli e malinconici sul liuto o sul flauto avuti in dono dal vecchio giullare, ormai polvere nella terra fuori dalle mura dell'abbazia.
- Alle volte si rifugiava nella biblioteca del priorato e annegava il capo nei vecchi tomi, viaggiando con la mente fuori dal mondo che non capiva, per trovare nella scienza e nelle vite passate la ricchezza intellettuale che gli era impedita. E questo malgrado la diffidenza e la scarsa sopportazione del padre abate che vedeva con sospetto il potere della conoscenza nelle mani di un laico, foss'anche il figlio del Re.
- Così un giorno decise di andarsene, lasciando i pochi affetti, accompagnato solo dal liuto e dal flauto.
- Molti anni dopo, nel reame si sentì parlare di un santone che, in un paese lontano, amato e venerato da potenti e poveri diavoli, guariva i malati, curava gli animali e, si diceva, faceva miracoli. E' vero che qualcuno pensò a Principe, ma la certezza nessuno l'ebbe mai.
- La leggenda narra che, alla morte del sant'uomo, un grande lupo bianco cominciò ad apparire ogni volta che qualcuno era in pericolo e il suo ululato dolce e triste si riversava nelle valli terrorizzando i malvagi e rincuorando i deboli.
- Questa è la storia di un Principe infelice che trovò una luce e forse si trasformò in un grande lupo.
- Quindi, amici miei, se vedete un lupo, non spaventatevi e non uccidetelo: in ogni lupo potrebbe nascondersi lo spirito di un uomo che non seppe vivere nel suo tempo perché erano gli altri a sbagliare e non lui.
- Proprio come capita a qualcuno di noi.
LA CASA CON I PULCINI GIALLI - -Ciao casa.-
- La ragazza aveva il groppo in gola ma gli occhi asciutti mentre girava per le stanze ormai vuote e silenziose. Era nell'età in cui ci si vergogna a piangere anche davanti a se stessi.
- Era venuta a fare un ultimo giro per accertarsi che nulla, neanche lo straccio di uno straccio, fosse rimasto dimenticato: nella battaglia pluriennale tra il padre e il padrone di casa per l'aumento della pigione aveva vinto il padrone di casa ed era arrivato lo sfratto.
- -Non è giusto, questa è casa mia, io sono nata qui.-
- Diciasette anni prima, infatti, due dopo la fine della guerra, aveva salutato il mondo proprio sul tavolo di quella cucina, lo stesso tavolo sotto il quale, piccina, correva a nascondersi cercando protezione quando sentiva il rombo di un aereo, forse per aver succhiato, insieme al latte della madre, anche il ricordo della della sua paura.
- La cucina, vero cuore della casa, con il suo camino enorme dove tante volte aveva appeso la calza di lana greggia per la Befana, con il runfò usato solo come ripostiglio per i lucidi da scarpe e per gli attrezzi del padre, con il grande lavandino di marmo non più tanto bianco e sbrecciato dalla solita distrazione della madre. La cucina, unico locale riscaldato da una stufa anche lei grande.
- In quell'angolo vicino alla finestra morì il suo cane, il suo grande amico dalle orecchie lunghe che con un amore tenero e protettivo aveva seguito i suoi passi infantili.
- Più tardi, all'arrivo della televisione, il ruolo primario era stato usurpato, almeno la sera, dalla sala. Lì, davanti al mastodontico e dittatoriale apparecchio appollaiato su un alto trespolo in tubi di alluminio, la famiglia si raccoglieva. Nelle serate di programmazione importante si univa mezzo vicinato, qualcuno con la sedia appresso e, d'inverno, col cappotto addosso. Stretti stretti come acciughe: le pareti sembravano dilatare per far posto a tutti.
- L'eco dei passi si rincorreva leggero per le stanze nude: il bagnetto originariamente provvisto solo del vaso e del lavandino, si era arricchito nel tempo di bidet e vasca a sedile con un incredibile intrico di tubi.
- Un lampo di colore fermò i suoi occhi inquieti: sui vetri della finestra resisteva il suo ultimo capolavoro pittorico. Non ricordava da quando, probabilmente dai primi acquarelli avuti in dono, avesse iniziato a raffigurare il rincorrersi delle stagioni: un ramo di pesco e un volo di rondini, il mare con l'ombrellone e il sole, poi castagne e funghi, poi l'albero di Natale e un fantoccio di neve. Ora sui vetri rimanevano, abbandonati, due gialli pulcini appena usciti dall'uovo con i gusci sparsi intorno.
- Intanto, le rosicchiava nella mente la sensazione di dimenticare qualcosa, qualcosa che per lei era stato importante, ma, per quanto forzasse il pensiero, non riusciva a darle concretezza.
- D'un tratto, la sua parte razionale, di colpo distaccata dal sentimento, la ragazza sentì un morso di vergogna: la casa era proprio stata maltrattata. Così, nuda, mostrava ovunque i brutti segni dell'incuria, della sciatteria. Ma proprio per questo, per uno strano contrappasso, scoprì di amarla ancora di più. Capì che quest'amore che le pesava dolorosamente addosso non era per la casa materiale, ma per quello che essa rappresentabva: i ricordi, la famiglia unita, gli amici, un pezzo della sua vita che si stava perdendo. La fanciullezza, l'irresponsabilità della fanciullezza, veniva lasciata lì tra quelle mura sporche.
- Serrò le persiane, lasciando fuori il sole, e chiuse la porta, adagio, per non disturbare i fantasmi.
- Tu, isola incantata
- giardino rilucente
- dove gli arcobaleni nascono
- e lanciati nello spazio
- si dissolvono.
- Ci accogli munifica
- di evanescenti miraggi
- indifferente
- ci abbandoni poi alla deriva
- incerti sulla rotta.
- Svapora la tua ombra
- all'orizzonte
- mentre la storia appena cominciata
- sta per compiersi
- e nulla è costruito.
- Ai ragazzi
- Queste poche righe, faticosamente buttate lì un giorno della scorsa primavera, vorrei dedicarle a voi. E forse proprio perché era primavera e il sole magnificava ogni colore, quel giorno la nostalgia mi rosicchiava dentro. Nostalgia per una stagione che non tornerà e che non ho gustato come avrei voluto.
- Se potessi guardarmi con i vostri occhi vedrei il guscio di una vecchia, ma il cuore, malgrado le troppe croci che qualcuno ci ha conficcato, è ancora assetato di conoscenza, curioso per i misteri dell'universo.
- Eppure la mia infanzia, la mia giovinezza, come forse alcuni di voi, non sono state "particolarmente felici": solitudine, incomprensioni, malinconia, fatica, la costante sensazione di non essere mai al posto giusto mi hanno accompagnato ogni ora di quel tempo (e anche di questo purtroppo). Tutto il poco che è stato conquistato mi ha piegato la schiena.
- Nonostante ciò il ricordo della giovinezza rosicchia, rosicchia...
- Lontano da me l'idea di fare prediche (parola!), vorrei potervi prendere per mano ed aiutarvi a saltare gli ostacoli, farvi pat-pat sulla spalla quando l'anima perde coraggio, carezzarvi con le piume d'ala di un angelo custode e spronarvi a proseguire il cammino.
- Questo volevo dirvi: anche se vi sembra di non essere "particolarmente felici" il futuro lo fate voi, e voi siete il mio futuro.
- FIGLIA
- Fin dal primo istante
- Vi delusi.
- A nulla valsero
- anni di innocenti stupori
- ali mai spiegate ai venti stranieri
- ribellioni inermi.
- Le mie mani
- come cieche
- cercarono un segno
- fino al vostro ultimo istante.
- Anche ora
- che la speranza è sconfitta
- ora, che non porto fiori
- su di Voi
- non smetto d'amarVi.
- ANIMA
- Amo la casa nel bosco.
- Solida ancora
- ma l'abbandono l'ha desolata
- vuoto e silenzio sono ormai
- la sua anima.
- Hanno sprangato le finestre
- prima di andare
- lasciando fuori il sole
- e tra le pietre scure del camino
- restano gli avanzi dell'ultimo fuoco.
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