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I
Primi Canti Lombardi di San
Fratello
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- PARTE
PRIMA
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- 0.
Introduzione.
- Luigi Vasi era nato
a San Fratello nel 1829 e ivi morì nel 1902.
Nel centenario della morte sono apparse diverse
pubblicazioni relative allo studioso sanfratellano,
tra le quali la ristampa delle sue Memorie, in
anastatica, e un saggio di Salvatore Riolo incluso
congiuntamente a quello del curatore Salvatore Di
Fazio, in Personaggi storici di San Fratello,
pubblicato nel 2006 dall'amministrazione comunale di
San Fratello.
- Ovviamente, la
figura del Vasi è stata doverosamente
ricordata, e molto si è detto e si è
organizzato in proposito. Ritengo però che si
renda necessario riprendere il discorso sul piano
pratico proprio da dove fu lasciato dallo studioso e
cercare di dare un ordine al coacervo d'informazioni
sulle sue poesie nel dialetto galloitalico di San
Fratello. La mia non vuole essere una voce contro,
anzi mi sembra che con quest'operazione la memoria
dello studioso sanfratellano possa emergere in una
dimensione più completa sotto il profilo
linguistico e sempre più vicina al popolo di
cui egli si sentì figlio fino alla
fine.
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- 1. La valenza
scientifica.
- È fuori
discussione la valenza scientifica degli scritti del
Vasi relativi agli studi filologici e sul dialetto
galloitalico di San Fratello. Conosciamo anche le
difficoltà di poter rendere in grafemi i fonemi
del dialetto sanfratellano, proprio per la mancanza di
strumenti idonei basati su precedenti esperienze di
scrittura. L'uomo che ne viene fuori dalle sue Memorie
e dai suoi Studi Storici e Filologici è, come
si suol dire, "tutto d'un pezzo", che si preoccupa di
controbattere la censura degli avversari, o che egli
considera tali, piuttosto che correggere i suoi stessi
errori e proporsi e imporsi correttamente. In altre
parole, il Vasi - anche se egli ha sempre asserito di
non voler essere dialettologo - avrebbe avuto tutte le
carte in regola del glottologo per mettere dei
pilastri molto più consistenti a supporto del
dialetto di San Fratello e, invece, buona parte di
quelle cose che ci ha lasciato sembrano un corredo a
difesa, con l'intenzione di voler escludere per
incompetenza altri studiosi del suo tempo che si
avvicinavano a questo dialetto. Sarebbe stato
sicuramente più utile per noi posteri, che
siamo impegnati alla ricerca di un salvataggio in
extremis, uno studio sulla morfologia di una parlata
che ormai rientra nel regno fossile della parola e
tante sono le tessere mancanti per riuscire a
ricomporre un mosaico che forse nell'Ottocento avrebbe
potuto disporre di maggiori elementi per una sua
più completa ricostruzione. Però bisogna
anche dire che, per converso, il dialetto
sanfratellano ha destato e desta ancora tanto
interesse proprio per il fatto che una sua
normalizzazione completa e uno studio definitivo sulle
sue origini non sono stati ancora completamente
effettuati.
- L'esigua
letteratura del passato pubblicata in Italia nel
dialetto sanfratellano è limitata, per quanto
io sappia, proprio alla sezione Canti lombardi - San
Fratello (1857) di Lionardo Vigo, inclusa
successivamente nella sua Raccolta amplissima di canti
popolari siciliani (1870-1874), ai saggi Del dialetto
sanfratellano e Delle origini e vicende di San
Fratello, riuniti poi in Studi storici e filologici
(1889) di Luigi Vasi ed alle poche cose in dialetto
che si trovano in Folklore di S. Fratello (1914) di
Benedetto Rubino. Se ne sono occupati buona parte
degli studiosi dei dialetti galloitalici di Sicilia,
ma uno studio comparato di quelle poesie, in modo da
poter mettere un punto fermo sulla loro correttezza
formale, non mi risulta essere ancora stato fatto.
Pertanto questo lavoro vuole rendere anche giustizia
sia alla poesia popolare sanfratellana, cercando di
riportarla nel suo alveo logico di giustezza
lessicale, sia ai poeti sanfratellani dell'Ottocento,
i cui nomi il Vigo ha posto in calce alle poche poesie
di loro appartenenza, Serafina Di Paola e Salvatore
Scaglione, in rappresentanza di tutti gli altri ancora
rimasti a noi sconosciuti.
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- 2. La situazione
linguistica di fine Ottocento in
Italia.
- Pensare che
Lionardo Vigo e Luigi Vasi, spinti da semplice
curiosità, un bel giorno decidessero di
mettersi a raccogliere poesie popolari oppure
occuparsi di questioni relative ai propri dialetti, mi
sembra improbabile o quantomeno avrebbe più il
sapore di un'attività ludica che non
giustificherebbe l'animosità con la quale i due
si sono scontrati dialetticamente. Ma se diamo
un'occhiata alla data delle loro pubblicazioni e di
altre sull'argomento in tutta Italia, rileviamo che
una buona parte sono successive al 1860, ossia
all'Unità d'Italia.
- Imposta per legge
una lingua nazionale da usare come espressione
ufficiale del Regno, tutte le lingue dei singoli stati
dell'Italia pre-unitaria dovranno essere abbandonate.
Ovviamente non sarà soltanto la lingua italiana
ad essere imposta alle singole regioni, ma si
instaurerà tutta una serie di altri
cambiamenti, come l'introduzione della nuova moneta e
del sistema metrico decimale, che si sostituiranno ai
vari sistemi fino allora vigenti in Italia e nelle sue
isole. Ne emerge, così, da una parte l'esigenza
di dover redigere un vocabolario italiano il
più completo possibile, ma anche la
necessità da parte di tutti gli intellettuali
di adoperarsi affinchè la cultura delle singole
regioni non venga perduta, in particolare i loro
dialetti perché ad essi, nella loro
unicità di lingue delle madri, è legata
quella cultura.
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- A tal proposito
ricordo la dedica di Gaetano Frisoni, inserita nel suo
Dizionario Genovese-Italiano (Genova, 1910) che
recita:
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- "A S.E. Paolo
Boselli,
- Deputato al
Parlamento Nazionale
- che
- Ministro della
Pubblica Istruzione
- ad agevolare nel
popolo la conoscenza della Lingua
Italiana
- indiva PUBBLICO
CONCORSO PER LA COMPILAZIONE
- DI DIZIONARI
DIALETTALI"
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- In effetti il
Boselli seguiva la scia di altri ministri del Regno
che a partire dall'Unità d'Italia si erano
preoccupati di salvaguardare le lingue appartenenti a
tutti gli stati d'Italia precedenti all'Unità.
Ciò avveniva bandendo concorsi per la
compilazione di dizionari, come è detto nella
Prefazione del citato Dizionario del Frisoni, "che
oltre ai vocaboli, registrassero anche le frasi, i
proverbi ed i relativi corrispondenti nella lingua
Italiana."
- Ma già
prima, Giovanni Pasquali nella nota introduttiva del
suo Nuovo Dizionario Piemontese-Italiano (Moreno,
Torino 1870, ripubblicato in anastatica da Forni
Editore, 1997) scrive che il "dotto quanto giudizioso
Gherardini caldeggiava non meno, e vivamente invocava
dal patriottismo degli Italiani la sollecita
compilazione dei rispettivi dizionarii vernacoli in
correlazione coll'universalità della lingua
[nazionale]". Nella stessa nota il Pasquali
riporta la lettera datata Torino 22 marzo 1868,
indirizzatagli dal senatore conte Federico Sclopis al
quale aveva inviato una copia del suo
dizionario:
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- "Questo suo
scritto acquista maggiore opportunità in
questi giorni in cui si pubblicò la sentenza
della Commissione istituita per diffondere la
cognizione e l'uso della buona lingua
[l'Italiano] e della retta pronunzia.
- Non so se
tale sentenza si avrà per inappellabile, ma
so che vi ha gran bisogno di cercare di avere una
lingua che ci serva per le nostre relazioni
ufficiali e sociali.
- Lo studio dei
dialetti è un valido mezzo per compiere il
disegno di una lingua comune e generale. L'uso
rettificato dalla logica e dalla legge di
precisione debb'essere la sorgente di una lingua.
In Italia s'è andato dietro all'idea di una
lingua letteraria, e s'è raggiunto da un
lato la pedanteria, dall'altro la scorrezione" (G.
Pasquali: Nuovo Dizionario Piemontese-Italiano,
pag. X)
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- Quindi, l'Italia
dopo la sua unificazione si trova a dover affrontare
il problema della lingua nazionale che si impone, ma
ogni sua regione, che si avvale anche di una parlata
diversa, in qualche maniera non intende rinunciarvi e
per paura di perderla si dota di dizionari, raccolte
di proverbi, di canti popolari e via di seguito. Il
Pasquali, riferendosi alla lingua nazionale, nella
nota citata, fa la seguente affermazione:
-
- "non
s'insegna una lingua a dovere, se questa non si
possiede a fondo: ora partendosi dalla erronea
opinione, fin qui prevalsa, che per parlare in buon
italiano, bisogna scostarsi quanto più
possibile dai dialetti, come si può egli
saperlo a fondo? Se si sapesse a fondo, si
saprebbero pure le relazioni strettissime che
passano tra esso e i varii dialetti" (ibidem, pag.
XII)
-
- A scuola s'insegna
la lingua nazionale e si usa il dialetto. Gli studiosi
si tengono in contatto tra di loro per scambiarsi
informazioni di ogni tipo e in tutte le regioni
d'Italia nascono pubblicazioni linguistiche di ogni
genere.
- Questo stesso
problema mi sembra attuale per noi che stiamo vivendo
gli anni della costituzione dell'Europa Unita. La
necessaria evenienza dell'utilizzo di una lingua
soprannazionale ci porta a ritornare ai dialetti, alle
lingue delle madri, diversi dalla lingua nazionale che
come abbiamo visto è stata imposta. È
nei dialetti, infatti, che ritroviamo l'antica cultura
e con essa il richiamo al nostro passato locale, e
alle nostre vere radici. Non è cosa da poco,
è la certezza di
un'identità.
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- 3. La scarsa
produzione della 'canzone'
sanfratellana.
- Il Vasi, replicando
al Vigo, sostiene che questi non è stato in
grado di scrivere nella maniera corretta i canti
pubblicati a causa della mancanza di conoscenza del
dialetto sanfratellano. Pertanto alcune poesie apparse
nella raccolta del Vigo sono state riscritte dal Vasi
nel suo libro Delle origini e vicende di San Fratello
(Palermo 1882), poi ripubblicate in Studi storici e
filologici (Palermo, 1889). Ad onor del vero, occorre
dire che la difficoltà della scrittura del
dialetto sanfratellano, il Vigo l'aveva ben compresa e
per scrupolo l'aveva scritto in nota al titolo della
Sezione LVIII - Canti Lombardi. Ma già in una
lettera del settembre 1870 a Giovenale Vegezzi
Ruscalla lo studioso acese giustifica la sua reazione
all'attacco da parte del De Gubernatis
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- "A me dopo
la leale dichiarazione del Sig. Ruggieri
[N.d.r.: suo referente sanfratellano che gli
aveva confermato la scrittura "quasi a
volontà" del dialetto per la mancanza di una
grammatica, essendo il suo uso limitato alla sola
parlata "tra le famiglie nelle confidenze
domestiche soltanto"], non restava altra
scelta, se non quella di bruciare o stampare quei
canti dettati in quell'inamabile
gergo"
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- Dalla comparazione
dei canti del Vigo con le poesie del Vasi, rilevo
quanto segue:
- 3.1 Il Vasi non ha
riscritto tutte le poesie sanfratellane del Vigo,
bensì alcune contrassegnandole con un
asterisco. Infatti, fanno anche parte della sezione
LVIII. Canti lombardi, dedicati a San Fratello: "5309.
Preghiera" e "5311. La sfida". Alla fine della sezione
LIX. Miscellanea, e vario argomento, è
riportato il Canto sanfratellano "5556. [Quant
bizzacchi gh san a S. Frareu!]", che il Vigo ci fa
sapere essergli pervenuto, da parte del suo
corrispondente Ignazio Di Giorgio Collura, quando il
libro era in fase di stampa e quindi è stato
inserito alla fine.
- 3.2 Alcune poesie
del Vasi, non indicate con asterisco, risultano
incluse nella raccolta del Vigo. Tali sono: "22. I
Ricchi" (Vigo 5314) e "31. Il Giorno Natalizio del
Poeta" (Vigo 5304-5305).
- 3.3 Il Vigo riporta
altri due canti in siciliano, provenienti da San
Fratello. Sono il "2979. Amuri, morta li me carni
ceju..." e il "2980. Ti persi amuri, e la mia vita
ceju...". Se è corretta l'indicazione della
provenienza, è pensabile che siano state
composte da qualche sanfratellano di lingua siciliana,
generalmente parlata dalle famiglie ricche per
distinguersi dal volgo, oppure che provengano da
possedimenti signorili situati nelle campagne di San
Fratello in cui si è sempre parlato il
siciliano da parte dei mezzadri provenienti dai paesi
vicini, poiché i sanfratellani in passato
malvolentieri hanno accettato il lavoro di mezzadria,
ritenendolo sconveniente in quanto si faceva obbligo
di portare i prodotti della campagna nelle case dei
padroni in paese. Ritengo derivi da ciò, ma
potrebbe esserne la causa e non l'effetto, l'alone di
orgoglio che ha circondato da sempre l'individuo
sanfratellano. A tal proposito Vincenzo Consolo (Il
sorriso dell'ignoto marinaio, Oscar Mondadori, 1987),
interpretando questa convinzione ben radicata negli
abitanti dei paesi vicini, descrive la figura di un
sanfratellano rinchiuso nelle prigioni del castello di
Sant'Agata per aver rubato un agnello che egli
dichiara di considerare "roba senza padrone",
un'espressione di anarchia assimilata difficilmente
dai sanfratellani proprio per non rompere
quell'orgoglio di cui sono capaci. Un fuorilegge
massacrato di botte, che ha il coraggio in maniera
sprezzante di mandare al diavolo il Barone di
Mandralisca che gli ha chiesto chi l'abbia ridotto in
quello stato. Consolo qui attinge a larghe mani
proprio dalle poesie del Vasi, e compone le frasi
messe in bocca al sanfratellano:
-
- « - Chi
è stato?...
- - U principeu
di mad, curnui vecch! Chi si pigghiessu i dijievu
di Vurchien, tucc i ricch, e a carpa di maza i
mazzirran!" [...]
- Il
Mandralisca allora, per togliersi d'impaccio,
tirò dal taschino tre pezzi d'argento e gli
si accostò per darglieli. E il carcerato,
come morso da vipera, - Va', va', pri sant'Arfian!
- gridò scalciando, dimenandosi - Firrijia,
vaa, curnui cam tucc! Jiea suogn zappuner,
sanfrarideu, ni bahiescia au dimousinant!
[...]
- - Di
dov'è? - chiese a Matafù il
Mandralisca [...]
- - Chi,
eccellenza?
- - Il
carcerato.
- - Ah.
Sanfratellano, Dio ne scansi! Gente selvaggia,
diversa, curiosa. E parlano 'na lingua stramba,
forestiera...»
-
-
- 3.4 Altre poesie
popolari sanfratellane dalla fine dell'Ottocento, per
quanto io sappia, non ne sono state pubblicate, se si
escludono le quattro che Benedetto Rubino ha incluso
nel suo Folklore di San Fratello (Reber, Palermo 1914)
- e che riporto in questo libro -, una delle quali era
già stata pubblicata dal Vasi con lo stesso
titolo L'Amata ma con qualche variante
ortografica.
- Esiste qualche rara
eccezione, come ad esempio un frammento di un canto
carnevalesco della prima metà del Novecento che
ironizza su due giovani donne che avevano litigato per
amore dello stesso uomo, un benestante di nome
Salvatore, del quale si sapeva che avendo ereditato
molti beni, riuscì a sperperarli dandosi alla
bella vita. Voce di popolo diceva che fosse riuscito a
firmare ben cento contratti di vendita.
- Questo è il
frammento:
-
- "La Bronti e
la Cazzina s'affirrean,
- d'eutr giuorn
nta la vaneda dû
Cugiuntìan,
- u cippan e la
unieda si strazzean,
- u bust e li
muräni si scianchìan.
- Ulai savar
pircò ss bauni fomni u fean?
- P'amaur
dû partafuoghj di Dan
Turìan."
-
- La Bronti e
la Cazzina si sono accapigliate,
- l'altro
giorno nella strada del Cogiuntino,
- il corpetto e
la gonna si sono stracciati,
- il busto e
gli indumenti intimi si sono
strappati.
- Volete sapere
perché queste buone donne lo
fanno?
- Per amore del
portafogli di Don Salvatorino.
- [La
traduzione è mia]
-
- Mi piace sperare
che ancora esista tanta poesia popolare inedita e
tratti proprio delle vicende salienti della gente
sanfratellana come matrimoni, azioni insolite,
stranezze. Tali poesie venivano recitate o cantate in
occasione delle ricorrenze religiose oppure del
Carnevale e, in questo secondo caso, il loro
occultamento potrebbe trovare giustificazione nella
possibilità di ritorsioni da parte dei derisi.
Per quest'aspetto, dobbiamo ritenere che il Vasi sia
stato un coraggioso, poiché alcune poesie fanno
riferimento a persone che potevano essere ancora in
vita al momento della pubblicazione.
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- 4. Problematiche
della 'canzone' sanfratellana.
- Spesso mi sono
chiesto come mai la 'canzone' in dialetto
sanfratellano abbia avuto poco sviluppo. Ho cercato
qualche giustificazione plausibile e non l'ho trovata;
però a volere ben considerare, se il Vigo e il
Vasi ce ne hanno tramandate, significa che se ne
componevano; dunque potrebbe esservi stata una carenza
di poeti. Ma credo che questa sia una affermazione
impossibile, perché i poeti sono esistiti da
sempre. Una causa plausibile potrebbe essere cercata
nel fatto che i poeti popolari erano per lo più
contadini o pastori, molto spesso analfabeti e quindi
incapaci di scrivere e così la
possibilità di tramandarci le loro composizioni
era affidata a chi fosse in grado di mandarle a
memoria. E poiché la cultura ufficiale a San
Fratello era esercitata da chi aveva studiato, che per
distinguersi proprio dal volgo non scriveva in
dialetto sanfratellano, a noi poco è pervenuto
di quanto il popolo componeva.
- In genere, parlare
di canti popolari equivale a parlare di poesia
popolare. Ma occorre dire che molte poesie sono state
scritte per essere cantate. La musica veniva composta
per un determinato testo, oppure diversi testi
utilizzavano la stessa musica; una sorta di palinsesto
musicale a fronte del quale, di volta in volta, si
componevano dei versi; si tratta di un metodo del
quale si sono sempre avvalsi i cantastorie a partire
dai trovadori. Credo però che canzoni
sanfratellane vere e proprie, nell'accezione corrente,
sia nel passato come nel presente, ne siano state
composte ben poche, a prescindere dal livello di
alfabetizzazione dei poeti. Sappiamo che la musica si
avvale di schemi ritmici in base ai quali, nelle
parole da cantare, dovranno corrispondere delle vocali
munite di accenti tonici, mentre le altre vocali
saranno pronunciate in maniera più lieve. Ora,
nelle parole sanfratellane diventa tutto più
difficile, perché pur facendo appoggiare le
vocali accentate in corrispondenza del tempo "in
battere", per quello "in levare" si dovrebbero
pronunciare molto spesso solo dei suoni corrispondenti
alle consonanti seguite dalla vocale muta; quindi
tenere una nota musicale lunga su sillabe fatte di
sole consonanti diventa molto difficile: ne verrebbero
fuori dei mugugni. Si può spiegare così
perché, per il passato, i versi sanfratellani
destinati alla musica fossero scritti in
siciliano.
-
- Ricordo un
frammento di una canzone tramandata nel siciliano di
San Fratello che recita:
-
- Avantarsìra
succirìu na sciàrria
- La
pùlici si sciarriàu cu lu
piròcchju,
- Lu
piròcchju ci niscìu la
carrubìna
- E la
pùlici nun si pòti
arriminàri.
-
- La scansione
metrica dei versi qui sopra, in sanfratellano sarebbe
la seguente (nella scrittura indico la mutola con
l'apicetto):
-
- Aväntarsàra
succ'rì na scièrria
- La
pùl'sg s' sciarr'ièa cû
p'uògg,
- U
p'uògg ghj niscì la
carrubìna
- E la
pùl'sg n' s' pàt
arm'nèr.
-
- Come si può
notare, la scansione sillabica (le vocali accentate
indicano la nota su cui il tempo è "in
battere", mentre le altre indicano il tempo "in
levare") è molto differente nei versi
sanfratellani. Infatti, volendo far rientrare le
vocali toniche, in corrispondenza della battuta forte,
come avviene correttamente con il testo siciliano,
all'interno di alcuni versi e il finale di altri
essendo privi di vocale, avrebbe comportato che gli
autori delle parole possedessero un vocabolario
personale piuttosto nutrito per sostituire o integrare
molte parole, al fine di rispettare il ritmo della
musica; cosa piuttosto difficile, tenendo conto della
cultura assai limitata dei versificatori. Mi si
può obiettare che anche alcune lingue straniere
possiedono al loro interno vocali mute e finali prive
di vocali, eppure vengono cantate. La risposta
è ovvia: hanno pronuncia diversa dalla
scrittura (come l'inglese) ma il "peso" delle sillabe
è pressoché costante, ossia il suono dei
gruppi consonantici è unico e non ha al suo
interno interruzioni di pronuncia; quindi il gruppo
sillabico si considera come composto sempre da una
consonante più la vocale, oppure da consonante
più un gruppo vocalico in cui una vocale porta
l'accento tonico.
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-
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- 5.
Avvertenze.
- Lionardo Vigo,
nella sua Raccolta amplissima, dedica a San Fratello
19 canti, in dialetto galloitalico, inclusi nella
sezione LVIII Canti Lombardi, con relativa traduzione
italiana, e due in siciliano nella sezione XXXVII
Lamenti. Presumo che i suoi referenti di San Fratello,
molto probabilmente gli inviassero i testi
manoscritti. Quindi, un'errata interpretazione di
segni calligrafici è possibile.
- Luigi Vasi, in
Delle origini e vicende di San Fratello, pubblica 39
poesie, 17 delle quali sono una riscrittura corretta
di quelle pubblicate dal Vigo.
- Nella Parte Prima
di questo libro, ho cercato di seguire una via
sinottica, mettendo a fronte le poesie comuni,
seguendo la progressione numerica del Vigo, e facendo
seguire tutte le altre del Vasi e del
Rubino.
- Nella Parte Seconda
ho riscritto nel dialetto corrente tutte le poesie con
traduzione mia. Ove necessario ho apportato le
variazioni che mi sono sembrate necessarie. Per
completezza, ho riportato in Appendice un canto tratto
dalla raccolta Canti popolari monferrini di Giuseppe
Ferraro (Loescher, Torino 1870), che il Vasi riporta,
con traduzione in dialetto sanfratellano, nel suo Del
Dialetto Sanfratellano. Si tratta della poesia che una
delle passate amministrazioni comunali di San Fratello
ha fatto scolpire su una lapide, fatta affiggere sul
muro del vecchio municipio, e sulla quale sarebbe
stato opportuno riportare anche qualche informazione
sulla sua provenienza.
- Il presente lavoro
mi sembra pertanto utile, ovviamente nella misura in
cui potrà esserlo, avendo lo scopo di fornire
ulteriori materiali a chi abbia in animo di
approfondire la materia.
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