Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
"Le mie parole con le ali di farfalla"
Poesie di Isabella Michela Affinito. L.30.000
- " Il sorriso dell'alba "
- Il primo canto d'uccello
- e tutti gli altri all'unisono,
- io ti raggiungo con gli occhi
- desiderata Aurora!
- Principio della vita
- impensata madre di tutte le cose,
- di tutti gli animali
- e di tutte le piante,
- quando giungi ci accarezzi
- e dolcemente ci risvegli
- all'esistenza
- su questo mondo
- verso il quale hai rivolto
- il tuo lieto arriso.
- Ma perché te ne vai
- ogni volta
- sostituendoti con la tua
- contraria sorella Notte?
- Tu non vorresti andartene:
- io non credo
- che la stanchezza
- di tutta una giornata
- di continuata luce
- possa farti eludere
- alla vista di noi mortali.
- Tu vuoi solo farci il dispetto
- di giocare a nasconderti
- dietro i pesanti tendaggi
- tirati dalla Notte,
- per poi far capolino
- di nuovo sorridendo
- a noi che ancora una volta
- abbiam creduto di perderti!
- " Acquarelli "
- Pallidi colori che ripassati
- creano personali ombreggiature
- alle volte piu accentuate
- dal tratto forte di un bistro,
- o leggermente spostate
- dalle versatili manovre
- di un pennello irrefrenabile,
- restano comunque tenui velature
- che non coprono l'intera campitura.
- Paesaggi acquosi
- dove un pigmento si e sciolto
- in scolorite memorie
- su una carta ruvida
- divenuta ondulata.
- E il tipico gesto di un pittore
- alle prime armi
- che vende i suoi acquarelli
- senza dipoi pentirsi.
- Sono immagini da reportage
- di rocce, alberi, piante,
- montagne, particolari architettonici,
- di ruderi Classici,
- ricordanze trasmesse
- su un diario di viaggio
- lo stesso di Albrecht Durer
- o di John Ruskin,
- oppure quello tracciato da August Macke
- assieme a Paul Klee
- nel loro viaggio in Tunisia.
- Ma anche i nudi
- del tormentato espressionismo di Egon Schiele.
- Cosi inconsistente
- la trasparente cromia
- che frettolosamente veste
- il disegno sottostante
- cercando di assomigliare al vero
- ed insieme all'atmosfera stregata
- resta il foglio
- di carta inzuppata!
In omaggio ad uno Stile nato alla fine del x1x secolo, basato su un
accentuato decoratismo e dalla scelta per le linee arrotondate.
- " Art Nouveau "
- Scherzavano ad inseguirsi
- le linee suggestive
- di chiara ispirazione giapponese
- anche sulle ali di farfalla
- delle eleganti entrate della Metropolitain di Parigi
- e sulle squisite carte da parati della fine dell'800.
- Allo stesso modo del decisivo segno
- lasciato impresso da una stilografica
- che interpreta una calligrafia
- sinuosa ed aggarbata,
- cosi le sottili ringhiere in ferro battuto
- seguivano movimenti circolatori
- protesi all'infinito quasi come
- l'estendersi delle radici vegetali
- che a migliaia si diramano a mo di serpentina
- intrecciandosi fra loro.
- Erano linee disinvolte,
- libere di arrotolarsi nello spazio,
- di abbracciare scale, mobili e gioielli,
- di interpretare fiori, uccelli,
- di sbizzarrirsi in tutta la loro evoluzione,
- di diventare lavoro dell'artista
- e costante motivo per un decoratore
- che aveva scoperto un'Arte Nuova.
- Le spille di Rene Lalique
- con le classiche libellule,
- le languide chiome dei capelli delle Gorgoni
- del Fregio di Beethoven
- di Gustav Klimt a Vienna,
- l'evanescente Salome di Gustave Moreau:
- un milieu simbolista
- perso in un sonno senza ritorno
- che viaggiando nel coinvolgimento
- di uno stile volumetrico
- aveva raggiunto anche il di piu.
- " Polvere di Alabastro "
- Scintille magiche
- dai bagliori fulgenti
- capitate disòpra
- oggetti addormentati
- senza più la vita quotidiana
- che non li fa vivere da anni.
- E' quel che resta compatto
- di questa leggera polvere d'alabastro
- sono le preziose sculture striate
- che nel venire alla luce
- hanno liberato migliaia
- di quei minuscoli cristalli di gesso
- che compongono la finissima polvere.
- Probabilmente adesso
- è piovuta sui ricordi sfioriti
- che segnarono i festosi tempi
- di un musico, di un genio
- o di un pittore,
- oppure è caduta
- sulle increspate pagine
- di un libro
- che viene sfogliato dal vento
- che dipoi si diverte
- a minacciare il pulviscolo di brillantini
- che pur impalpabili
- attaccano l'inchiostro,
- seppur da tempo essicato,
- di quel particolare libro
- scritto da un poeta
- dopo aver nostalgicamente
- elevato a simulàgro
- un miniaturato pezzo raro
- di variegata pietra d'Alàbastron.
Omaggio a mia madre.
- Per te mamma.
- Perdonami mamma,
- se ti dico sempre
- che non sono felice di essere nata,
- ma è che avrei voluto darti di più
- e non ci sono riuscita.
- Sai quella vita che mi hai donato
- non mi ha permesso
- di diventare quella che sognavo.
- Avrei voluto restituirti
- i sorrisi che mi hai sempre dato,
- l'amore che non mi è mai mancato,
- il calore ed il conforto
- che non mi hai mai negato.
- Per te mamma,
- vorrei fermare il tempo
- perché non porti via
- la tua bellezza eterea.
- Per te mamma,
- cambierei le regole del mondo
- per farti rinascere di nuovo.
- Solo per te mamma,
- credimi
- non mi pento di essere nata!
Omaggio alla donna cantata da Dante Alighieri nella Vita Nova e soprattutto
nella Divina Commedia. Compagna-guida del Poeta nel raggiungere le sfere
celesti, il suo nome è rimasto a significare l'allegoria della Beatitudine ed il
suo nome appunto fu quello di 'Beatrice'.
- " Ti chiamerai Beatrice ".
- Più che una musagéte
- una creatura empirea...
- Più che una donna
- un'apparizione...
- Più che un sentimento
- un amore eccelso...
- Più che un'ispirazione
- della mente e del cuore
- una Commedia Divina!
- Un nome che sà di Cielo
- lo stesso del Paradiso.
- Donna Gentile in vita
- angiolo tutelare nel noumenico.
- Attraverso una rapita memoria
- di chi smarritosi
- nei meandri ultraterreni,
- dapprima conosciuti come Ade,
- venisti delineata
- quanto una sfuggente Donna
- beata e bella
- come la realtà poetica dantesca.
- Ti chiamerai 'Beatrice'
- qualifica di modi e di abito
- di eletta fattura
- in seno ad un galetéo
- dove regnavano solo
- grazie e virtùde.
- E' passato del tempo
- da quando codesta gentil donna
- di molto piacevole aspetto
- salì all' 'altro passo '
- verso la Luce
- " e cominciò: " Le cose tutte quante
- hanno ordine tra loro, e questo è forma
- che l'universo a Dio fa simigliante. (Par.I,103-105)
- E discriveva a Dante
- il Paradiso
- con gli occhi fissi al Sole.
- Dante rivolto a lei
- era incantato
- come un pittore
- difronte ad un Ritratto.
- Si portò per sempre dentro
- il ricordo
- di una nuvola di fiori (Pur.XXX,28)
- ora dormente,
- ora figurazione d'amore,
- ora morta,
- ora beata. . .
- E infin diceva:
- " Ma quella reverenza che s'indonna
- di tutto me, pur per Be e per ice,
- mi richinava come l'uom ch'assonna. (Par.VII,13-15)
- E non disdignava
- di riconoscerla grande!
- " Nel Regno dell'Arte ".
- E' un luogo lontano
- forse dove trascorrono il tempo
- tutti gli déi. . .
- Dove è sempre giorno
- come nella Terza Cantica di Dante. . .
- Dove creano le Muse
- sulla cima del Parnaso
- in un invisibile laboratorio
- le mirabili opere
- destinate alla vista
- di noi miseri mortali.
- Deve pur esistere
- il Regno dell'Arte
- perché non è solo l'uomo
- a comporre,
- a scolpire,
- a ritrarre,
- ma è in quel mondo
- che prima si concretano le opere
- per poi discendere
- come desiderata manna
- su quest'arida Terra
- che ha acquistato un'anima
- con il tocco magico dell'Arte.
- E se davvero Euterpe
- non avesse badato alla Musica,
- e Tersìcore alla Danza
- e Le Grazie alla Bellezza
- ed allo splendore di tutte le Arti
- che ne sarebbe stato
- di un mondo senza colori,
- grigio come il cielo
- di un'interrotta pioggia,
- perso e piatto
- quanto un dipinto
- prima di Giotto
- senza sua maestà la Prospettiva.
- Sarebbe stato sordo
- senza le leggiadre note
- della Musica. . .
- Un mondo mancante
- delle pietre del passato
- che messe insieme
- hanno formato
- grandezze strutturali
- al di là di ogni anonimato.
- Basti pensare ai Grandi
- elargiti dei doni
- piovuti dal mitico Regno
- dove l'Arte è un bel vestito
- indosso ad Afrodìte!
- " Gocce di luna ".
- Non si possono afferrare
- tutte le goccie di Luna
- e nemmeno le stelle
- che stazionano in cielo,
- neanche la pioggia
- trattenerla per mano!
- Io prenderei solo
- uno spicchio di luna
- che gironzolando va
- a far capolino
- sulle speculari superfici
- in una di quelle notti di piena
- dove la ritrovi
- tal qual rimandata
- su di un lucido pavimento
- di granito scuro
- o su di una vetrata
- palcoscenico della notte
- apertosi alle ombre astratte
- che in una pantomima
- baloccano con tutte le goccie di luna.
- E sali scalini
- non ben definiti
- e catturi con gli occhi
- le traslucide perle:
- tante lacrime di gaudio
- che garbatamente rigano
- il viso di una Luna
- che sta ora apparendo. . . !
- " Mondo Ellenico ".
- Distante come gli scritti di Omero,
- poetico quanto un verso di Amore,
- tragico come l'avesse diretto Euripide,
- complicato e vibrante
- quasi come i Miti
- di tutti gli dei.
- Sei sbarcato lontano
- dai tuoi luoghi natii,
- hai portato i volti eterni
- stampati nel caldo marmo greco
- e sui drappeggi di chitone ed himation
- son rimasti i vestigi
- di uno stile delicato.
- Statue senza occhi vitrei
- ma istoriate dal perfetto dono
- della Bellezza
- esprimono un Ellenico influsso
- dove tutto era considerato divino.
- Si inseguivano gli dei
- per quel mondo inventato
- ed escluso agli occhi dei mortali
- ma si udivano i pesanti sandali di Zeus
- o il lieve passo di Afrodite
- tra le fila delle colonne
- dei loro maestosi Templi.
- Ombre amiche calavano
- sulle immote Sculture
- quasi a catturarle
- o ad abbracciarle
- giocando a far cambiar
- sembianze ad Hera,
- ad Hermes o a Pallade Athena.
- Non piu un bellicoso Ares
- a distruggere per il gusto della guerra:
- in quell'ambiente Ellenico
- regnava il primato
- di far diventar protagonista
- anche un semplice masso
- purtroppo rimasto fuori
- dalle magiche Architetture Greche!
- " Sulle rovine di un teatro greco ".
- Gradoni smussati
- che si riversano ora
- su di un proskénion desolato.
- Sono spenti
- come addormentati dall'ultima volta
- che hanno recitato gli attori
- su degli alti coturni
- celati dalla lunga veste del chitone.
- Tra le colonne
- dell'edificio scenico
- dove una volta giravano i perìatti
- osservo l'enorme cavea concentrica. . .
- Quasi avverto mille occhi addosso,
- quasi sento
- con l'immaginazione
- i coréuti che rispondono all'attore,
- quasi vedo ottenebrato
- l'intero Teatro
- da un silenzio cosmico,
- lo stesso che induceva
- tutti gli occhi degli spettatori
- a convergersi sulla skené
- per lo svolgersi della Tragedia.
- Dal primo
- come dall'ultimo posto
- il paradigma della vita
- poteva seguirsi
- con la stessa tensione:
- gli attori guidati
- dagli stessi poeti
- accordavano il gesto alla parola
- e la parola al gesto.
- Scandivano una ad una
- le battute di un dramma
- intessuto di eroi,
- di fraticidi, padricidi
- con il fatale intervento degli déi
- che in un modo o nell'altro
- trasportavano la Tragedia
- al suo compimento.
- Come si poteva rimanerne distaccati
- e non partecipare
- assieme agli attori
- a vivere quegli attimi magici
- come lo era lo stesso Teatro greco?
- Presentemente da quì si può fare:
- da questa parte del Teatro
- in codesto semicerchio di terra
- spogliato della prospettiva
- senza più vita,
- senza più quegli attori
- e quel pubblico
- e neanche il coro,
- io vivo le sorti
- di un Teatro greco.
- Quei gradoni che prima erano a squadra
- ora sono consunti
- per la moltitudine di gente
- che ancora accorre
- con trepida attenzione
- difronte ad un proskénion
- pronto a ridestarsi da un sonno
- solo apparente
- che non ha alterato nulla
- alla Tragedia Attica!
- L'Inquietante presenza di Athena Pronaia ".
- Sò che sei ancora lì
- mentre ti aggiri
- fra gli enormi massi irregolari
- che adesso giacciono a terra.
- Un tempo tutti quei blocchi
- formavano il tuo Santuario di Delfi.
- Ora . . . li osservi di lontano
- nessuno sà che ci sei
- solo loro ti vedono
- e ti riconoscono.
- Neanche tu Athena Pronaia
- osi calpestarli:
- c'è del sacro su ognuno di loro,
- dentro di essi
- una misteriosa vita
- perdura assieme a te.
- Riprovi a componerti sul tuo piedistallo
- vicino all'altare a te consacrato:
- purtroppo mancano quei mitici eroi,
- i guerrieri votati alla guerra
- che prima di lasciare la terra
- venivano ad offrirti dei doni.
- Mandi il tuo sguardo al di là
- delle stesse montagne
- per ignorare l'erba cresciuta
- fra gli stessi ruderi
- ed i segni lasciati
- dall'incuria dell'uomo.
- Tacita. . . segui l'ombra
- che fanno le alte colonne restanti
- e comprendi che il tempo
- non è più lo stesso:
- è ora di tornare lassù fra gli déi
- su un Olimpo rimasto tuttora a fissare
- le gesta di chi non segue più le conquiste
- lasciando che i sacri resti
- diventino sabbia. . .
- Di colpo dispàrisci
- dentro una nuvola di vento!
- " Ignota Abbazìa ".
- Circondata da un'aura sconosciuta,
- forse di un altro passato,
- ti distacchi da quel mondo incantato
- per diventare vera
- al rumore dei miei sandali
- che indegnamente ti riportano
- ad un presente disilluso.
- Monoliti segnati uno ad uno
- da un tempo implacabile
- siete freddi come la rugiada del mattino,
- come l'acqua invernale,
- come un bicchiere riempito di solo ghiaccio,
- come un vuoto metallo sferzato dal vento,
- come una livida mano senza più vita.
- E' una pietra che durerà ancora,
- che numererà altri secoli,
- farà una disputa con il tempo
- per vedere chi giungerà prima alla fine.
- Mi piace all'interno
- quella luce un po' dimessa
- che dalle strette bifore entra,
- filtrata minuziosamente per non eccedere
- e rovinare immancabilmente quel fascino
- che mi riporta a trascorrere
- e a risentire ancora,
- seppur in una lontananza immaginaria,
- le Sante Messe medioevali
- dove le forti omelie di Vescovi
- facevano eco
- per tutte le lunghe e alte navate
- fino a sfiorare i cuori più insensibili.
- Nel silenzio di questa arcana abbazia
- si tramanda la storia
- e si conservano le rare e preziose ricette d'erbe.
- Fuori il mondo incalza con il progresso,
- dentro, invece, ancora si conserva
- l'essenza misteriosa della vita:'lo Spirito'.
- Avvolta da una pace irreale
- la secolare abbazia
- spiccherà il suo volo
- nel nuovo Millennium!
- " Déa Roma ".
- Guardavi inorgoglita
- come 'cresceva' Roma
- contando i secoli
- alla maniera di giorni.
- Non ti bastò Giulio Cesare
- e nemmeno il potente Augusto
- per fare della tua Roma
- la Capitale,
- ma una scìa di Imperatori
- costruirono un pezzo
- della Tua gloriosa Storia.
- Più forte della Dèa Giunone
- nelle guerre per terre e per mari
- vincevi senza alcuna condizione
- integrando nel tuo Impero
- colui ch'era sconfitto.
- Sei arrivata persino ai confini del mondo
- che restano tuttora segnati
- dalla tua opulentia. . .
- Non potevi farti dimenticare
- facilmente
- e così hai consegnato
- alla futura discendenza
- le tue memorie
- in ricordi di pietra.
- Più forte dello stesso Giove
- hai piegato l'altrui fermezza
- facendo risuonare a colpi di metallo
- gli scudi del tuo invincibile esercito.
- Ti sedevi al tavolo
- con tutti gli altri déi
- sentendoti tu la sovrana del mondo.
- Hai visto il biondo Tevere
- alternare diversi colori. . .
- Hai visto sgomenta
- gli affronti subìti:
- i passi indegni dei Barbari
- sopra le lastre imperiali.
- Ma tu hai visto anche
- la Roma rinata.
- E' diventata così la tua
- Città eterna.
- E continui a guardarla
- senza battere ciglio!
Omaggio a Michelangelo Buonarròti, scultore, pittore, architetto, poeta italiano
(1475-1564), che tra il 1508 ed il 1512 decorò la volta della Cappella Sistina in
Vaticano. Tra il 1536 ed il 1541 la completò con il 'Giudizio Universale' realizzandolo sulla parete di fondo. Tra i riquadri della volta, c'è la gloriosa
" Creazione dell'Uomo " dal quale è nata questa mia lirica.
- " Finalmente Dio disse: 'Facciamo l'uomo'. . . ". (Genesi1,26)
- . . . allora il Signore plasmò l'uomo
- con la polvere del suolo
- e soffiò nelle sue narici un alito di vita
- e l'uomo divenne un essere vivente ". (Genesi 2,7)
- Volgersi addietro
- nella lontanissima Genesi
- a ricercare un Dio
- per conferirGli un Volto
- ed un Primo Uomo
- per dargli la vita,
- fu per Michelangelo
- il suo sublime traguardo.
- Preso dall'estasi dell'ingegno
- immaginò
- su di un azzurro lapislazzolo
- intenso come il Creato della Genesi
- l'istante della Creazione dell'Uomo
- perpetuandolo
- nell'apparente congiunzione
- dell'Indice di Dio
- con quello di Adamo.
- Astratta unione
- avvenuta solo mediante
- la potenza generatrice
- scaturita dalla Mente di Dio:
- un Indice della mano destra
- che additava,
- comandava,
- comunicava con un Adamo
- ancora accasciato a terra
- incapace di sorreggere
- il peso di se stesso
- della Creazione di Dio:
- 'l'Uomo'.
- Dunque non ancora pronto
- e a stento rispose a Dio
- con un accenno di mano sinistra,
- debole ed inconsistente
- non adeguatamente ricettiva
- ed atta ad imbeverarsi
- invisibilmente
- dello Spirito della Vita.
- Ponendo
- in un ipotetico centro cosmico
- l'incontro dei due antitetici indici,
- Michelangelo idealmente
- li fece unire
- ma mai si toccarono. . .
- A Michelangelo bastò quel gesto
- per discrivere la Potenza di un Iddeità
- che da quel preciso momento
- fece scandire nell'esistenza dell'uomo
- un ritmo sempre uguale:
- il battito del suo cuore.
- A Michelangelo non bastò immolare
- tutta la sua intuizione creativa
- per dare delle tinte cromatiche
- ad una scena come la biblica
- 'Creazione dell'Uomo':
- andò oltre il soffio di Dio
- immesso nelle narici di Adamo.
- Per lui l'Onnipotente Dio
- si era proteso
- raggiungendo un'infinitesima distanza
- verso un corpo
- modellato a sua immagine e somiglianza
- per donare all'Uomo
- la Lampada della Vita.
- ' E venne sera, . . . ' ( Genesi 1,5)
Omaggio alla figura di Antonio Canova (1757-1822), un artista neoclassico
italiano che divenne uno dei più famosi scultori del XVIII secolo. Uno stile
che applicato ad una pietra dura come il marmo, lo ha investito di una luce
propria tanto da non risultare più freddo e monotono, ma 'raddolcito' da
una fiamma bianca di vigore canoviano.
- " Polvere di marmo dalle mani di Canova ".
- La scultura modellata
- con le sue mani
- diventava oro
- colato uniformemente
- su sembianze irripetibili
- e forse divine
- per niente confondibili
- con altrui sculture
- solo un Canova era Canova!
- Nobile semplicità
- lasciata vivere
- dentro e fuori la superficie
- di un immacolato marmo
- reso unico
- dalle sacre mani del Canova.
- Antichità in forma di bellezza ideale
- e mentre il Neoclassicismo chiedeva
- conformità e misura
- Antonio Canova dimostrava
- di raggiungere il superiore
- infondendo calma ed armonia
- nei corpi dei suoi 'figli di pietra'.
- Un fuoco bianco li attraversava
- depurandoli dagli impercettibili errori
- elevandoli.
- E non chiedeva altro
- che di rappresentar la Perfezione
- come gli scultori della Grecia Ellenica
- tornata in auge proprio ai suoi tempi.
- Quando Possagno
- ti diede gl' illustri natali
- non sapeva di dare al mondo
- un eccellente scultore
- dallo squisito Ideale
- che già nel bozzetto iniziale
- studiava di superare l'umano,
- l'imperfetto.
- Non più Fidia o Prassìtele
- a forgiare creature eterne
- nella Grecia antica,
- ma polvere di marmo
- venuta fuori dalle mani di Canova
- che si concretizzava
- per diventare Classica e Pura!
Dedicata all'antichissima tradizione storica, nonchÈ spettacolare partita a scacchi 'vivente', che negli anni pari si svolge nella piazza Castello della cittadina trecentesca di Marostica nel Veneto.
- " La Marostica, ovvero il gioco degli Scacchi ".
- E' vero che là
- all'ombra del Doglione
- merlato a coda di rondine
- avviene il grande gioco degli Scacchi?
- Ma i pezzi sono viventi!
- Gli sbandieratori aprono il Torneo.
- I Pedoni,
- soldati del Re,
- schierati in prima fila.
- I Bianchi contro i Neri
- sembra una battaglia trecentesca!
- Ma che linea difensiva,
- che perfezione di panneggi
- che ricalcano la scacchiera
- nel suo intervallo cromatico.
- Ognuno nella propria casella
- lotta per conseguire la vittoria.
- La Torre sempre attenta
- aspetta la sua colonna libera.
- Che incipiente lavoro
- quello di concordare l'altrui astuzia
- per evitare la fatale minaccia al Re.
- Quei fedeli Pedoni
- che sono più forti
- quando formano
- una catena umana in trasversale.
- I Cavalli sempre al centro
- per avere più campo di caselle.
- Gli Alfieri
- che colpiscono alle spalle.
- La nobile Regina,
- il pezzo più forte,
- disposta a dare la sua vita
- per salvare la gran partita.
- Un corteo di strascichi
- con velluti e broccati,
- di luci e suoni polifonici,
- una maestria di difficili movimenti
- e facili catture:
- pezzi che vanno via
- e quelli che rimangono
- si ingegnano per sfatar
- la cattiva sorte.
- Nella terza ed ultima fase
- il Re entra in scena,
- combatte finalmente
- per essere il più forte.
- Ma due Re sulla scacchiera
- non possono durare,
- uno solo rimarrà per prevaricare,
- con la buone azioni
- o con i sortilegi,
- per riuscire solo e sempre
- a comandare!
In omaggio a Gustav Klimt (1862-1918), pittore ed incisore austriaco che ha fatto della 'donna' il soggetto ossessivo della sua mirabile Arte.
- " Alla maniera di Klimt ".
- In una Vienna dorata
- come il fondo
- dei tuoi impareggiabili Fregi
- dove le chiare spirali
- dell'Albero della Vita
- ben si accordavano
- con l'inclito Abbraccio
- e la lunga Attesa.
- Materiali colorati
- che non bastavano a rivestire
- la tua congettura
- proiettata su bianche pareti
- che dopo vestivano l'aspetto
- di un'accurata decorazione
- simile ad un prezioso mosaico.
- Sei entrato come un esperto osservatore
- in quel mondo muliebre
- per scoprirlo sino in fondo
- e riportare alla luce
- sensualità e versatili metamorfosi
- attraverso le quali
- presero vita la tua Igea,
- la tua Giuditta,
- la tua luminosa Danae,
- la tua Pallade Athena,
- le tue Gorgoni,
- le tue simboliche Allegorie,
- della Giovinezza,
- della Scultura, della Tragedia ...
- Tutte donne rivestite
- di quel lucore inconfondibile,
- che trasmettevi a colpi
- di leggero pennello
- addestrato a far diventare
- tutto Teatrale
- con l'uso di simboli antichi
- collegati a quella realtà idealizzata
- nel fitto intreccio dell'Art Nouveau.
- Sinuose, evanescenti,
- antropomorfe, androgine
- figure femminili,
- per lo più ricoperte da lunghi manti
- di capelli ramati
- come dettava la moda di allora,
- hanno configurato il mondo di Klimt.
- Sono state la sola forza dominante
- della sua indorata Arte...
- Sono state le pazienti di quel ' medico '
- che ha studiato
- la loro complicata psiche e natura...
- Sono state le sue modelle,
- le sue amiche,
- le compagne di Klimt...
- Sono state la sua vita,
- senza di loro Gustav Klimt
- non avrebbe potuto ' inventare'
- le famose immagini
- di quel mondo d'oro
- tutto al femminile.
Omaggio al Carnevale di Venezia: una città che si trasforma riecheggiando un clima di pieno Settecento tra calli, campielli e sestrieri con eleganti sfilate in maschera e cortei di gondole sotto Palazzi addormentati.
- " Carnevale a Venezia ".
- Tra pomi d'argento
- di bastoni galanti
- e piume bianche di struzzo
- attorno a un tricorno
- dalle perle pendenti. . .
- Tra ricamati polsini
- di pregiatissimo Burano
- e dorate maschere di seta
- contornate da mantelli. . .
- Si insegue infaticabilmente
- il Sior Carnevale
- detto anche di Venezia .
- Sulle sponde del Canal Grande
- c'è il ritorno ad una vita
- vagabonda e libertina
- come al Secolo dei Lumi
- in quel clima in cui si visse
- più in finzione che in realtà.
- Già si sente su per le narici
- l'ebbrezza della pomposità
- interpretando canoni
- all'insegna dell'ilaritade
- seducendo con néi in taffettà
- e schiamazzando per tutti li campielli,
- sopra il Ponte di Rialto,
- nelle calli e pei sestrieri
- ossequiando tutti i menestrelli.
- E poi al Gran Ballo,
- alle Feste nei Palazzi,
- giù a Piazza San Marco
- per incontrare il Carneval
- che a tutti lascia un qualcosa
- anche a chi non ha il Costume.
- Venezia è la più bella maschera
- della Comédie Italienne
- che vive ancor bambina
- la stagione delle risa:
- come farebbe a piangere
- con tutte quelle Musiche
- del tempo di Amadeus. . .
- Come farebbe a smettere
- di essere felice
- in mezzo a tanto turbinìo
- altamente vorticoso:
- una Venezia d'oro
- come i Mosaici della sua Basilica,
- una Venezia acquamarina
- come il colore dei suoi Canali,
- una Venezia rosa
- come il riflesso che fa il sole
- quando illumina i Palazzi,
- una Venezia sempre in Festa
- su di una lucida gondola nera
- che ancor cantando va
- verso l'aurora.
- Per leggere la prefazione del libro di poesie " Da Sparta ad Atene"
- Per leggere le poesie del libro " Da Sparta ad Atene"
- Per leggere la prefazione del libro di poesie " Le mie parole con le ali di farfalla"
- Cenni critici sulla poesia di Isabella MIchela Affinito
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