LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti

 

  Poesie tratte dal libro
Lembi di olocausto  
 di
Alberto Barletta
editrice Montedit, 2000, Collana I gigli (poesia), pp. 48 -
L. 11.000 - Euro 5,68 ISBN 88-8356-038-8
 
Laringe: l'agile suono
cela la dolce deriva
dei corpi uniti nel viso
da una smorfia di dolore,
oramai spogli di quella
moralità che li rubava
al silenzio del peccato
con la solitudine della
folla: si sfaldano
sull'altare d'insonnia
fremendo nelle notti
come folli candele
consumate da vite
assurde.
 
Ansimo invano per scacciar
la morte elastica di quella
luce, ma le labbra si chiudono
e il soffio si dilegua
nell'aere soffice del lutto.
 
 
Elastico tramontavi nell'inerzia
della mia stanza, strisciando
su di un letto pagano, pronto
al sacrificio supremo
 
delle carni, che assaporavo
ricoprendole di sudore,
caldo nel nerbo come un seme
sterile, mi agitavo
 
terrorizzato dal desiderio,
disponibile a esplodere nel richiamo
crudo di quella pelle: l'odore
bieco e asciutto, ogni volta
bramava del trauma, felice
di me che piangevo la sete
innata del male.
 
 
 
Ma fui cauto, nel nulla
a costruirmi un silenzio
&endash; Tempio di voci grevi.
 
Gli echi di solitudine
stillarono il suono,
le labbra si chiusero
alternandosi in forme.
 
 
 
La sera si apriva ad un'auto,
accoglieva i rumori di luci
nel seno d'un'ombra enfatica,
 
poi il silenzio ricolmava
lo squarcio, tornava la quiete
sui vecchi passi con eleganza
felina.
 
L'oscuro rancore sbucciava
l'ansia dal cuore, e l'odio
fioriva negli occhi come
 
una lacrima che nessun pianto
poteva liberare.
 
 
 
 
 
Lontano, nel buio di case
spente al languore
del giorno,
eri disteso
alla pace
dell'ora.
 
Forse dormivi sommesso
al chiarore di un lume
acceso nell'ombra.
 
L'occhio era fermo,
inchiodato nel vuoto
di un rantolo che
non ti apparteneva.
 
 
 
 
 
Nel calvario delle notti
struggevi l'innocenza
del petto, ventre in cui
l'amore pulsava mascherato
dal cuore infantile
che ascoltavo crescer lento
sotto una superficie
lasciva verso baci di
saliva,
 
labbra rarefatte si stendevano
sul battito nascosto ch'io
leggermente impaziente correvo
a proteggere dal cervello
 
malato, idrofobo: mordevo
l'imberbe sodalizio
che scorreva fra di noi
querelato dal senso
di colpa sorto meschino
da una religione spietata.
 
 
 
 
 
Al mattino spuntavano avvolte
da lenzuola virili: cosce
rimando in peluria, tese
nei muscoli leggeri
dell'infanzia, si ritraevano
in natiche lisce ed acerbe,
annuvolato nel pigiama
gravido dell'erezione
caduca: aprivi
 
gli occhi grevi d'un torpore
circense.
 
Scoprivi il corpo all'umido
respiro del mese, frastornato,
malinconico in cucina sedevi
assaporando un caffè empio
di solitudine, il retrogusto
del sogno vacillava,
poi discendeva smaltendo
la realtà, e ripensavi
ai casi clinici del cervello,
al nuovo giorno d'insonnia,
al cuore non amato.
 
 
 
 
 
Vieni al capezzale del giorno,
del mese, dell'anno, tradito
amante degli ingenui pianti,
vieni dove attendo alacre
l'assassinio;
 
e al silente e paziente altare
sacrificale, che vide insonne
l'innocenza andare,
vieni…
e resta solo un tuo bacio di ferro
a regnare nel cuore come l'acre
scia del ricordo ormai lontano.
 
Poi ti consumi al fruscio
cacofonico di pagine
ironicamente bianche
come l'atonia di parole ferree
che cerco di abbracciare
con la lingua chiusa a sublimi
toni. Ci accomuna la fatalità
e la rassegnazione voluta
nelle membra a scrutare
e distruggere, struggere
trafiggere l'io ch'io
non riconosco mio.
 
Ma la genesi di mia
e tua distruzione
al peccato sommessa,
al cupo rintocco
del cuore defraudato,
 
fa sorgere l'alba delle colpe,
nel martoriato petto di lusinghe,
e desideri mai desiderati.
Scopro la vita nascosta
nel riflesso in un bagno.
Sui vetri assolati come
gambe sterili al mio odore
vesperale.
 
Il ridere stanco dei giorni
sollevato al mattino
si lascia nel letto
lenzuolo enfatico
di notte.
 
Mentre seguo una traccia
comune, quella di ieri,
 
il ripetersi asfissiante
vela il torace teso
all'ansia, e non riesco
a guardare il viso
segnato dall'esercizio
dei nervi.
 
 
 
 
 
Non è ragazzo ragazza
ctonio volo in basso
ove luce non arriva
a inanellarsi al corpo
umbratile del cuore
vittima e carnefice
del suo stesso dolore.
 
Ti svegli al mattino
chiedendo al soffitto
di silenzio vane risposte
alle tue domande che non
raggiungono l'agonia come
assente al mondo resti
annuvolato in una erezione
e triste nelle coperte
soffici al tuo odore
cerchi un sogno già
dimenticato.
 
Vieni tramortito
al limitare della vita
che ancor nasconde
i fasti e la felicità
si ritrova nel cane
che scrollandosi
il sonnellino ti ricorda
di essere solo al cielo
posseduto da una magra solitudine.
 
Anche preso per mano
preferisci la greve terra
o un volo asimmetrico
fra i tormenti interiori
che riflettono vivi dolori
sulla pelle, dietro l'orecchio
dolente, il collo teso,
mani invecchiando stringendo
un sesso eretto al piacere.
Per leggere la prefazione del libro "Lembi di olocausto"
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ins il 23 maggio 2000