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Marco Caschera
Ha pubblicato il libro
 
 
 

 

 

 

Marco Caschera - Oltre la scogliera
 
Collana Le schegge d'oro (i libri dei pemi) 14x20,5 - pp. 48 - Euro 4,13 - L. 8.000 - ISBN 88-8356-278-X
 
 
Questo libro è stato stampato con il contributo
de IL CLUB degli autori in quanto l'autore
è segnalato nel concorso "J. Prévert 2001"
Retro cover
Racconti

Retro cover
Le onde si infrangono sulla scogliera ma si può andare oltre col corpo e con l'anima, si può contemplare il mare e rimanere assorti nei propri pensieri.
Capita a volte che un uomo si chiuda in se stesso in compagnia solo dei suoi amati libri e continui a vivere col rimorso del passato.
In una serie impensabile di eventi tra amore e morte, ricordi tragici ed inaspettati retroscena si dipana un racconto intenso che svela i segreti del cuore di un uomo e la sua sofferenza d'amore.
 
Massimo Barile
"A Irene..."
 
 
Oltre la scogliera
 
 
Le onde che s'infrangevano sulla scogliera facevano tremare i vetri delle finestre. La casa del signor Marco Camezzano era situata su una scoscesa rupe, circondata da un mare sempre vivo e costantemente in tempesta. L'uomo fissava l'acqua e pareva assorto nei suoi pensieri, quasi ipnotizzato da una nuvola di ricordi ancora vivi nella sua mente. Il mistero che avvolgeva la figura del signor Camezzano aveva da sempre impedito a chiunque di conoscere il perché dei suoi atteggiamenti schivi nei confronti della vita e di tutto ciò che la circonda. Nessuno era mai riuscito a conoscerlo davvero a fondo a causa del suo carattere chiuso e tetro. Indubbiamente neppure suo figlio Antonio aveva capito cosa ci fosse nella testa di quel padre che, in pratica, non aveva mai conosciuto. Parlare con lui, nel senso di confidargli qualcosa, era un'impresa per Antonio, troppo intimorito dal volto di quel signore severo, ma in ogni modo gentiluomo. E neppure Rita, la madre di Antonio, aveva compreso cosa avesse portato il marito a chiudersi in quell'ostinato mutismo e a rimanere per giorni interi, senza mangiare e senza dormire, chiuso nella biblioteca, immerso nei suoi rispettabilissimi libri. Ecco, l'unica cosa che Marco amava erano i suoi libri; libri d'ogni genere, alcuni anche molto antichi e pregiati. Spesso egli stesso affermava che, durante la sua vita, solo i libri erano riusciti a dargli qualcosa senza volere nulla in cambio. Li adorava, li sfogliava, li baciava, li toccava come un padre verso i suoi figli. Uomo coltissimo, amava la poesia e lui stesso si considerava un poeta. Il suo modello era il padre, Ludovico Camezzano, scrittore di cui Marco conservava gelosamente romanzi e poesie di fine bellezza e rara filosofia, mai pubblicati da alcuna casa editrice non per volere dell'editore, ma per volere dell'autore.
Non vi era dubbio che Marco avesse ripreso dal padre buona parte della sua personalità schiva e chiusa in se stessa; e come il padre era stata una presenza anonima nella sua vita, così doveva essere lui per suo figlio e per la moglie.
Almeno in parte il signor Ludovico era un nobile. Sua madre, Angelica della Torre, fu al servizio del barone Tullio Ernesto de Vita Camezzano. Quest'ultimo, invaghitosi della sua fantesca, non riuscì a resistere al fascino della donna. I due ebbero una relazione da cui nacque Ludovico. In un primo tempo il barone non volle riconoscere Ludovico come suo figlio, ma in seguito ammise il fatto. Alla morte del barone Ernesto, unico erede dell'impero dei Camezzano fu proprio Ludovico.
Fatti come questi, accadevano spesso: i nobili erano attratti dal caldo sangue delle donne di paese che si mescolava al loro, blu e freddo. Ma Ludovico, a differenza del padre, aveva sposato una nobile come lui, da cui aveva avuto Marco. Purtroppo la donna era morta appena dato alla luce il figlio. Per colmare il vuoto lasciato dalla precoce scomparsa della moglie, il signor Ludovico si era risposato con una donna di origini semplici. Dalla sua seconda moglie aveva avuto un altro figlio, Alfredo Camezzano, fratellastro di Marco Camezzano, e una figlia, Adelaide, indirizzata fin da giovane età alla vita monastica. Cosa normale che accadesse, tra i due fratellastri vi era una sorta di odio che nasceva dal diverso sangue che scorreva nelle loro vene e dall'atteggiamento del padre nei confronti dei due ragazzi. Difatti, Marco era il preferito del signor Ludovico, il quale non nascondeva col suo atteggiamento di mostrare quanto lo considerasse migliore di Alfredo. Dopo la morte del signor Camezzano, i sentimenti si erano tramutati in fatti: a Marco era andata gran parte dell'eredità, compreso l'antico palazzo dei Camezzano che Marco, in seguito, aveva adibito a museo; ad Alfredo erano andate solo alcune proprietà terriere, tra cui un casolare in campagna dove ancora abitava. La morte del signor Ludovico aveva segnato anche la fine dei rapporti tra i due fratellastri, che solo di rado si erano incontrati.
Marco amava la propria dinastia, ma spesso il suo sangue, che agli antipodi era d'origine popolare, veniva fuori prepotentemente e gli faceva tralasciare la propria nobiltà.
La moglie Rita da tempo era andata via di casa ed aveva chiesto e ottenuto il divorzio. Suo figlio Antonio era al centro di questi due fuochi, madre e padre, e non sapeva da che parte stare. A sua madre rimproverava il fatto di non aver mai capito suo marito, e al padre rimproverava il fatto di non avergliene mai data l'opportunità.
Avere un dialogo con un persona così misteriosa era un'impresa assai ardua, ma quel giorno Antonio aveva deciso di confidare un suo segreto al padre, nella speranza che Marco avesse potuto dargli qualche utile consiglio. Mai prima di quella data Antonio si era confidato col padre, e mai il signor Camezzano aveva parlato col figlio o l'aveva consigliato su qualcosa.
 
 
Col cuore in gola Antonio aprì la porta di casa.
"Papà" fu la sua prima timida parola.
Il signor Camezzano era in piedi, dritto davanti la vetrata del suo studio, che volgeva lo sguardo verso il mare. Proprio quella vetrata, anni or sono, aveva spinto Marco ad acquistare la stupenda villa, situata su una rupe, rivolta verso una scogliera dove s'infrangevano violentemente le onde del mare sottostante. Antonio, per un attimo, ricordò il giorno in cui il padre decise di comprare quella casa e, rispolverando i suoi vecchi ricordi, pensò che solamente in quel giorno aveva visto sorridere il padre e gioire per l'acquisto della costosissima fabbricazione. "M'ispira" fu l'espressione di Marco non appena l'impresario gliela mostrò. E dopo qualche giorno, lui la comprò.
Ed ora eccolo lì che fissava la scogliera, probabilmente in cerca di un'ispirazione, in cerca di qualcosa che lo portasse a scrivere una poesia, o magari un romanzo.
Antonio tossì cercando di attirare l'attenzione del padre.
A quel punto Marco si girò: "Antonio sei rientrato, non t'avevo sentito".
"Ciao papà. Cosa fai?" chiese imbarazzato il ragazzo.
"Cerco l'ispirazione" fu la secca risposta del padre.
Passarono alcuni secondi, secondi che sembrarono attimi di eternità per Antonio. Palpitante, si fece coraggio, s'avvicinò al padre e sussurrò: "...sai, credo di essermi innamorato".
Marco trattenne per un attimo il respiro; poi, sollevando le spalle, esclamò: "Doveva accadere prima o poi"
"Lo so papà, ma vorrei un consiglio. Vorrei innanzi tutto sapere cosa è per te l'amore".
Il padre si girò di scatto come se fosse stato colpito al cuore dalle parole del figlio. Antonio, impaurito, chiuse gli occhi ed indietreggiò. Marco poggiò le sue mani sulle spalle del figlio e quasi con un sorriso sulla bocca, disse: "Kahil Gibran, uno dei miei scrittori preferiti, ha affermato che "L'amore non conosce la sua propria profondità se non nel momento del distacco". Poi, Marco diede una pacca sulla spalla del figlio e si rinchiuse nel suo studio. Antonio intuì che quelle erano state le prime ed uniche parole del padre e che mai avrebbe più dovuto chiedergli cosa fosse l'amore. Ma era felice, quasi commosso: finalmente era riuscito ad avere una sorta di dialogo col padre e, appreso il significato delle sue parole, capì che il giorno seguente avrebbe potuto portare Irene a casa di quell'uomo, ormai non più sconosciuto.
 
 
Il giorno seguente Antonio portò la ragazza, Irene, nella casa del padre. Era importante che lui la conoscesse e, visto cosa era successo il giorno precedente, ad Antonio sembrò il momento giusto per presentarla al suo genitore. I due entrarono in casa e videro che Marco stava appuntando qualcosa sulla sua agenda.
"Accomodati" disse Antonio ad Irene.
La ragazza avanzò lentamente, osservando con gli occhi sgranati il bellissimo arredamento della casa. In quel momento Marco chiuse l'agenda e, vedendo l'esterrefatta espressione della giovane, le disse: "Trovi che sia arredata bene?"
Irene scosse la testa e con aria interrogativa, chiese: "Come? Non l'ho sentita, mi ero distratta ad osservare la casa".
"E proprio di quello stavo dicendo. Ti piace?"
"Se mi piace?! - esclamò Irene - È la casa più bella che abbia mai visto!"
"L'ha arredata mia madre - interruppe Antonio - sai è una donna molto raffinata".
"Ma poco simpatica" aggiunse Marco.
Ci fu un momento di silenzio che il signor Camezzano subito infranse. S'avvicino ad Irene, le prese la mano e gliela baciò: "Mi chiamo Marco Camezzano e come saprai sono il padre di questo ragazzo, un tuo caro amico, vero?"
Irene fece segno di sì col capo. Antonio sorrise: suo padre aveva già capito tutto, fin dal giorno precedente; e quel che più contava era che si fosse presentato da solo, evitando così di metterlo in imbarazzo. Cominciava a piacergli davvero; ed ancor di più quando, con la sua rauca ma potente voce, disse ad Irene: "Prego, accomodati, siedi pure dove vuoi. Ed anche tu Antonio, non rimanere lì in piedi. Avanti, raccontatemi dove e come vi siete conosciuti".
I due, in verità un po' imbarazzati, si accomodarono sulle morbide poltrone di pelle del salone. Cominciò a parlare Antonio raccontando, appunto, come e dove aveva conosciuto Irene. Durante il suo discorso il ragazzo lasciò trasparire che i due non erano solo amici e che nutrivano, diciamo così, una reciproca simpatia. Si erano conosciuti all'università, dove entrambi frequentavano il quarto anno di giurisprudenza. L'intenzione di Antonio era quella di ospitare di tanto in tanto Irene a casa sua, per studiare insieme.
Mentre Antonio parlava, Marco era distratto dal beato volto di Irene, la quale a sua volta era distolta dalle bellezze che la circondavano: dai preziosi tappeti persiani sul pavimento, ai lussuosi lampadari appesi al soffitto; dai servizi di ceramica in cui era versato il proprio tè, alla credenza che conteneva numerose spade ed antichi fucili da caccia. La sua mente era avvolta dalla ricchezza di quella casa che tanto rispecchiava il luogo dei suoi desideri di bambina. Non appena Irene s'accorse di essere curiosamente osservata dal signor Camezzano, sorrise, sollevò le spalle e subito volse il suo sguardo verso Antonio. Marco sorrise a sua volta, prese un cofanetto dorato sul tavolo e lo aprì: "Ne vuoi una?"
E la ragazza un po' imbarazzata: "Di cosa?"
"Sigarette!" esclamò il signor Camezzano.
Irene stava per accettare ma la interruppe, esterrefatto, Antonio: "Irene, ma tu non fumi!"
Intimorita dalle parole del ragazzo, Irene lasciò cadere la sigaretta nel cofanetto e tornò seria in volto.
"Una ogni tanto non fa male, anzi aiuta" lo redarguì severamente Marco.
"Non importa signor Camezzano - sdrammatizzò Irene - è meglio che io non fumi".
Poi, rivolgendosi ad Antonio, disse: "Non credi sia arrivata l'ora di andare a studiare qualcosa?"
"Hai ragione. Scusa papà, noi ci ritiriamo nella mia stanza. Con permesso" salutò Antonio.
 
 
Nella stanza di Antonio era in atto una discussione tra i due ragazzi. Ad Irene non andava proprio giù il fatto che il suo amico le avesse vietato di accettare una semplice sigaretta, per di più rimproverandola davanti al signor Camezzano.
Antonio era pallido in volto. Provò a sussurrarle qualcosa:
"Irene, non era mia intenzione offenderti davanti a mio padre, ma il tuo strano comportamento mi ha stupito. In fondo io ti ho sgridata solo per il tuo bene: sai che tre persone su cinque, malate di cancro ai polmoni, sono fumatori?"
"O mio Dio! - esclamò Irene - ne fumavo una, mica un pacchetto. Sei proprio un antiquato rompi palle!"
Scandalizzato, Antonio si alzò di scatto e, redarguendo severamente la ragazza, disse: "Irene, sei vivamente pregata di non dire parolacce in mia presenza. Te l'ho chiesto più volte, ma ti ostini a non capire".
Irene sbuffò nervosamente, poi, continuando la sua critica nei confronti di Antonio, disse: "Scommetto che se avessi detto una parolaccia davanti a tuo padre, lui sarebbe stato meno petulante di te".
Antonio sorrise.
"Perché ridi?" chiese Irene.
"Perché se tu avessi osato dire una parolaccia davanti a quello pseudo - poeta di mio padre, lui ancora ti starebbe sculacciando".
"Tu credi? - domandò strafottente Irene - Povero allocco. Tuo padre mi sembra una persona molto gentile e indubbiamente meno arcaica di te".
Il volto di Antonio si fece serio. Poi, quasi rattristato, disse:
"Ma tu cosa ne sai? Tu non conosci mio padre; lui, lui è la persona più cattiva e meno aperta agli altri che io abbia mai conosciuto. Non so neanch'io come abbia fatto oggi ad essere così gentile con te. Ha mandato via mia madre, trattandola male gratuitamente, senza che lei gli avesse mai fatto nulla. Certo, forse non l'ha mai compreso, ma come avrebbe potuto? Parlare con lui è come parlare contro un muro. Neppure io l'ho mai capito; non l'ho mai sentito come un vero padre, né credo lui abbia mai sentito e amato me come un vero figlio. Il caro signor Camezzano ama solo i suoi libri, ama solo se stesso, è un incredibile narcisista. A me e a mia madre non pensa affatto: sta consumando tutta l'eredità che il padre gli ha lasciato, non badando al futuro. Beve e fuma, fa solo questo, oltre a scrivere romanzi e poesie fantasma".
"Perché fantasma?" chiese curiosa Irene.
"Perché nessuno li ha mai visti o letti. Secondo me è solo una giustificazione a questo suo far nulla. Ricordo che una volta la mamma gli chiese di leggere qualche suo scritto: ho ancora impressa nella mente la sua reazione".
"L'ha picchiata?" fu la frettolosa domanda di Irene.
"Ma no! Non è più uscito dalla sua stanza per un mese. Capisci? Per una simile sciocchezza. Lui giustifica queste sue sparizioni affermando di essere alla ricerca di una qualche ispirazione. Ma io credo che ciò sia falso: ieri era lì in biblioteca e dalla sua amata vetrata osservava il vuoto. Non stava cercando l'ispirazione, ma stava pensando, stava cercando e rivivendo qualcosa che gli sarà successa durante la sua misteriosa vita. Perciò, non rimproverarmi se ti ho interrotta nel momento in cui stavi accettando la sigaretta".
In quell'attimo, Irene, scossa da una sorta di forza interna, aprì la porta della stanza e andò verso il salone dove, disteso sulla poltrona, c'era il signor Camezzano che gustava una delle sue dolci sigarette.
Col respiro affannoso, Irene guardò Marco, il quale, con un mezzo sorriso sulla bocca, rimase per un po' ad osservarla: certamente il suo abbigliamento non era dei più eleganti, ma le donava; le sottili labbra avevano il colore della pesca e i suoi lucidi occhi lasciavano intravedere la gioconda freschezza che il fiore dei suoi giovani anni emanava. Le mani erano raffinate, ma sulle dita erano ben visibili piccole ferite che evidentemente la ragazza si era procurate mordendosele. Anche in quel momento era lì che rosicchiava le sue dita.
"Adesso la sbrana" pensò tra sé e sé Antonio.
Ma Marco già sentiva d'essersi affezionato a quella tenera e spontanea ragazza, così impulsiva da non temere neppure una figura come la sua, un uomo che le era stato descritto come un orso cattivo da chi lo conosceva bene (suo figlio), ma che in realtà aveva un carattere docile, purché capito.
Il signor Camezzano s'alzò e guardò Irene fisso negli occhi: con la sua mano prese quella che la giovane teneva in bocca e gliela strinse forte. Poi le sorrise e, accarezzandole la nuca, come per magia fece comparire nella sua mano una sigaretta. Gliela porse con gentilezza e Irene subito la prese: le loro dita si sfiorarono, così, delicatamente, per un attimo... e poi, e poi Irene tornò nella stanza di Antonio.
 
 
A quella data seguirono altre visite da parte di Irene a casa Camezzano. Ella andava spesso e con piacere da Antonio, non tanto per fini legati allo studio, quanto per trascorrere più tempo possibile in quella magnifica casa, da cui era attratta almeno come lo era dal proprietario: Marco, il padre di Antonio. Puntualmente, ogni volta che Irene andava a far visita ad Antonio, lui usciva dal suo studio e sedeva con loro nel salone, sorseggiando il suo tè e ascoltando, apparentemente con aria distaccata, le parole dei ragazzi. Di tanto in tanto egli stesso irrompeva nei loro discorsi lasciandosi coinvolgere dalle giovani parole dei due e, dall'alto della sua esperienza, interveniva attraverso veterani consigli.
Un giorno Irene si recò a casa Camezzano. Suonò più e più volte alla porta e solo dopo alcuni minuti, questa s'aprì. Davanti a lei apparve la figura di Marco, che gentilmente la salutò e la invitò ad attraversare la soglia della porta. La fece accomodare in salotto e per qualche minuto chiacchierarono del più e del meno: dell'università e dello studio in generale; della stupenda casa e dei preziosi quadri appesi al muro; del rapporto tra lei ed Antonio, e dell'amore. Sì, i due parlarono anche d'amore e, stranamente, il discorso partì dal signor Camezzano.
"Ne sei innamorata?" chiese improvvisamente Marco.
Passò qualche secondo. Irene si sentì raggelare: una domanda del genere non se la sarebbe mai aspettata da un tipo all'apparenza poco espansivo come il signor Camezzano. Che interesse poteva avere per lui? Già, era di suo figlio che si parlava. Ma se non gliene era mai importato niente! Ora perché d'un tratto tutto questo riguardo nei confronti del figlio? Irene non sapeva cosa dire e, fattasi coraggio, a quella domanda rispose con un altro interrogativo. Gonfiò i polmoni e tutto d'un fiato disse: "Signor Camezzano, lei crede nell'amore?"
Marco s'alzò dalla sua poltrona; passeggiò per qualche secondo lungo la sala, sfiorando con le dita i mobili della stanza. S'avvicinò al giradischi e lasciò partire una sinfonia mozartiana.
Che la sua domanda fosse stata stupida? S'interrogò Irene. No, parlare d'amore non era affatto stupido. Che fosse stato fuori luogo? Macché, era l'argomento della situazione! E allora come mai il signor Camezzano non rispondeva o comunque, tardava nel dare una definizione all'amore? Che stesse cercando le giuste parole? E così era...
"Qualche giorno fa - cominciò così- mio figlio mi ha rivolto una domanda simile alla tua. Odio citare più volte le stesse parole per esprimere un solo concetto, per questo a te parlerò in altra maniera".
Il signor Camezzano iniziò a parlare e Irene non credette ai suoi occhi: sulle note di quella sinfonia le parole di Marco sembravano danzare come uccelli in volo, e lui ne era il direttore, colui che dettava i tempi a quell'orchestra così stupendamente melodica. L'immane cultura di quell'uomo stava risuonando nella buia stanza e Irene si sentiva la donna più fortunata del mondo: lei, onorata dalle parole di Marco che, col passare del tempo, cominciò a considerare come un genio dei sentimenti. Leggiadro nei movimenti e chiaro nelle sue espressioni, il signor Camezzano andò avanti per molti minuti e quando Irene cercò di interromperlo per dire la sua, esclamò: "Taci, non vedi che sto poetando?"
Irene sorrise. Quell'uomo, descritto come burbero e chiuso in se stesso, era una persona che amava la vita, ed Irene lo leggeva nei suoi occhi che in quel momento emanavano luce, aria pura e fine.
Eccome se credeva nell'amore! Solo in quell'attimo Irene si rese conto di quanto fosse stata sciocca la sua domanda: dubitare che quell'uomo credesse nell'amore, era come dubitare della bellezza della casa in cui viveva.
"Hai mai osservato la luce delle stelle?" chiese improvvisamente Marco.
"Lo faccio tutte le notti" fu la pronta risposta della ragazza.
Marco sospirò. Poi le se avvicinò e, invitandola ad osservare il soffitto della stanza (magnificamente affrescato come un cielo notturno ornato di stelle), disse: "Il pulsare delle stelle è generato da reazioni nucleari che avvengono al loro interno, da elementi che si fondono tra di loro e che poi esplodono, mostrando quel potentissimo bagliore che è possibile osservare da milioni di anni luce. Bene, quello che avviene all'interno del nostro animo quando siamo innamorati e dunque quando crediamo nell'amore, è paragonabile alla luce delle stelle. Anche dentro di noi, sentimenti simili all'amore, come il bene, la sensibilità, la dolcezza e molti altri, si fondono per esplodere e tramutarsi nel nobile sentimento".
Ci furono istanti di eterno silenzio, silenzio che Marco ruppe quando, avvicinandosi ad Irene, le sussurrò: "L'amore non è altro che fusione di buone sensazioni umane... e Dio, donandocelo, ha fatto trapelare cosa intende per Vita Eterna".
Irene rimase impietrita, stringendo con le sue bianche mani la pelle nera del divano su cui era immersa. Osservò il signor Camezzano e seguì la sua ombra fino a quando questa non scomparve del tutto trovando rifugio dietro la porta della biblioteca. Sentiva di conoscerlo da sempre quest'uomo che tutto rendeva favola; aveva il presentimento di averlo già incontrato, chissà, forse nelle righe di qualche rara poesia che aveva studiato a scuola. Si considerava fortunata perché spesso, in futuro, sarebbe potuta stare nuovamente in contatto col padre del suo caro amico Antonio... Antonio!
"Antonio!" esclamò Irene.
Quell'atmosfera magica, creataglisi intorno, le aveva fatto dimenticare Antonio. Ma dov'era?
Proprio quando la ragazza si stava domandando questo, s'aprì la porta di casa Camezzano: era Antonio.
Irene lo salutò con un cenno della mano. Il ragazzo in quel momento s'accorse della sua presenza e, scusandosi, disse:
"Mi dispiace che tu abbia dovuto attendere, ma mia madre ha insistito perché io mi trattenessi a casa sua ed io non potevo dirle di no. A te chi ha aperto?"
"Nessuno, la porta era socchiusa ed allora ho pensato bene d'entrare. Poi sono andata nella tua stanza, ho visto che non c'eri e mi sono accomodata qui in salotto nella speranza che non tardassi molto" balbettò Irene.
"Hai fatto bene" disse Antonio.
"Hai fatto bene" echeggiò una voce nel buio della stanza vicina. Era Marco, che dal suo studio aveva ascoltato le parole dei due.
"Papà, perché non hai accolto Irene?" lo interrogò Antonio.
"Non mi ha sentita entrare" rispose frettolosamente Irene.
"Del resto - continuò Marco - se l'avessi sentita entrare, le avrei dato compagnia fino al tuo arrivo".
"Sicuramente" disse la ragazza.
Per quale motivo Irene aveva mentito ad Antonio? Perché non gli aveva detto che suo padre l'aveva accolta e che a lungo i due avevano chiacchierato? E soprattutto, come mai anche il signor Camezzano le aveva tenuto il gioco, sapendo di mentire a suo figlio? Cosa c'era stato di così impronunziabile nelle loro parole e perché non erano ripetibili? Perché anche Antonio non poteva conoscere gli attimi che c'erano stati tra loro? Tutte queste domande invasero la mente della cara Irene e le impedirono di dare una risposta a se stessa. Fu il primo piccolissimo segreto tra Irene e Marco, ambedue consapevoli d'aver creato poesia. E se il signor Camezzano era stato il poeta, lei l'ispiratrice, l'inchiostro con cui Marco aveva descritto le prime pagine del loro furtivo incontro.
Introduzione del libro "Volo d'amore" e alcune poesie
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Inserito il 23 febbraio 2002