Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Marco Proietti
Ha pubblicato il libro
- Marco Proietti - Khamsin
- Collana I gigli (poesia) 14x20,5 - pp. 48 - L. 12.000 - Euro 6,20 ISBN 88-8356-218-6
Prefazione - Da una prima lettura di queste poesie di Marco Proietti se ne riporta un'impressione che può sembrare scontata per le tematiche proposte, ma che poi si rivela via via più intrigante, fino ad esserne coinvolti. E, si badi, si tratta di un coinvolgimento totalizzante perché il poeta conosce bene i meccanismi di presa: usa tutti i sensi di cui l'uomo è dotato e che trovano corrispondenza nei quattro elementi che compongono la natura secondo la filosofia di Empedocle.
- Però, con un gioco sottile operato sul linguaggio, Proietti ci fa scoprire che dietro quella facciata esplicita esistono altri livelli interpretativi. Uno di questi è il tema del viaggio. Il poeta operando nel contesto della fantasia, inventa e delimita nuovi luoghi e nuovi percorsi, facilmente ascrivibili al periodo dell'adolescenza o riscontrabili nel mondo reale in cui opera il poeta stesso. L'esigenza di evasione sicuramente riporta alla sua Umbria nativa dove il fanciullo sogna di andare per mare; un elemento assente in questa regione, che diventa così un sogno imperativo, senza dubbio realizzabile ma altrove "... la mia terra spingeva oltre / i miei sogni come un abbaglio" e nel continuo sovrapporsi dell'orda dei ricordi, il riferimento all'ambiente marino diviene rifugio per un'evasione dall'agire quotidiano. Ed è proprio l'Umbria che diviene il luogo della mente in cui il poeta di continuo si rifugia per ritrovare ancora certezza della sua appartenenza e della sua identità.
- Altro elemento della natura di cui Proietti si avvale è l'aria, nella sua manifestazione di vento. Un elemento capace di muoversi, insinuarsi in ogni anfratto, e quindi un testimone di quanto avviene sul globo terracqueo. In Khamsin, il vento caldo del sud che sferza l'Egitto e che dà il titolo alla raccolta, si legge "specchio struggente di una vita / che i suoi figli incatena, / schiaffi di scirocco d'oriente ... / è Khamsin che i destini rimesta" e il poeta identifica se stesso con tale vento, divenendo "l'ombra di un navigante / nelle pieghe scure del vento" che fa scorribande attraverso un passato vissuto intensamente. Il vento dunque assume valore soprannaturale capace di modificare i destini umani, ma anche capace di comportarsi come elemento lustrale "Mi piace quest'aria limpida / ed il vento che sgombra l'anima" (Solitudine); un appiglio della memoria attraverso il quale il poeta chiama in campo il lettore coinvolgendolo in un discorso che così diviene corale.
- Marco Proietti non si astiene dal trattare alcune tematiche del sociale e non ha esitazioni a mettere sul tavolo temi come l'indifferenza verso i più deboli e i diversi. Lo fa con diplomazia, con un j'accuse rivolto a se stesso. Così nel rimpianto del tempo andato diventano pesanti come macigni i versi "ho maledetto i treni che sfrecciavano / davanti ai nostri occhi / di corpi sani / di menti acute", e l'età della fanciullezza che Leopardi voleva 'fiorita' è sentita qui dal nostro come un atto di vigliaccheria "l'adolescenza mi ha trascinato via ... verso frontiere / che non ammettono persone meno uguali" (Giorgio).
- C'è un'ostinato ricorso ad un altro elemento della natura, l'acqua, nelle sue differenti manifestazioni, come elemento purificatore e liberatorio, ma anche come esigenza di sicurezza che riporta al grembo materno "ultima onda lunga / che mi sospinge nel grembo / dell'ultimo porto" (Il porto).
- Una poesia solare, questa di Proietti, sia sotto l'aspetto lessicale sia per le tematiche trattate. Il continuo ricorrere a termini che denotano uno stato di forzata veglia, è nel contempo indice di un controllo spesso ostinato del valore delle parole. Una poesia dei sensi (mi si passi la definizione come poesia nella quale l'autore fa agire tutti i sensi del corpo nelle riferite esperienze sensoriali) che denota particolari di vita vissuta e attraverso i quali il poeta tenta di riproporre, spesso in un'atmosfera onirica, proiezioni di attimi emozionali in cui il linguaggio, sufficientemente rarefatto, bene riesce a creare un lirismo immediato ed originale.
- Benedetto Di Pietro
- Fragile
- Ti ho vista fragile,
- per un pugno di monete
- che non s'ingoiano ma danzano,
- nelle mani dell'inverno
- crudele ambasciatore di morte.
- Ondeggiavi,
- gli arti lievemente piegati
- in un macabro ballo autunnale
- come di foglie che scendono
- leggere e malinconiche
- a ricoprire la vergogna.
È già domani
- Le mie deformi dita stanno
- nella nebbia avvolte e scevre di frutti
- e ancor prive di stormi,
- ricordo nostalgico di giochi
- e fronde rumorose di vento.
- Aspetto di vederle allora
- riemergere alla luce
- e alla gioia dei colori
- complemento che si erge nel cielo
- nobiltà del mio immobile pensiero.
- Aspetto e se non sarà primavera
- coglierò il mio attimo di gloria
- e diverrò soltanto fiamma
- tra i ceppi ardenti
- di un nuovo inverno.
- Novembre
- Ti cercavo
- nel crepuscolo annegato dal dolore
- tra volti sconosciuti
- brama di una preghiera,
- ti cercavo.
- Tra i miei passi lenti sul viale
- e i cipressi come scudieri
- tra stelle tremolanti in terra
- unico fuoco all'imbrunire.
- Ti cercavo mia dolce amica
- tra i ricordi che grondano lacrime
- un brivido, un sussulto, un viso angelico,
- all'improvviso un sorriso spezzato
- e in terra i suoi balocchi
- conficcati nel mio cuore.
- Ti cercavo
- tra le mie mani tremanti
- a ghermire polvere sollevata dal vento,
- un contatto rassicurante
- i capelli dei figli miei tra le dita.
- Ti cercavo,
- qui tra le stelle tremolanti
- che ancora illuminano il sentiero
- ed in fondo oltre il cancello
- dove lentamente si fa notte.
- Ancora una volpe
- Respiro
- unico fremito dentro la notte
- il sudore della mia ansia,
- e il dolore lontano annulla
- un palpito di speranza.
- Mi volgo allora al cielo
- a respirare le stelle che svaniscono,
- le ingoio avidamente
- unica forza che annulli il presagio
- dell'alba che rosseggerà sangue.
- L'ultima dimora di sofferenza
- si nutre della mia pelle
- intreccio d'arbusti secchi
- inzuppati di fiele
- a nascondere la mia triste
- e tenebrosa figura,
- è vivida soltanto la paura
- nei miei occhi ardenti.
- Tra poco m'abbandonerà
- il caldo abbraccio delle stelle
- e s'udirà il corno
- invito per i cani
- e i cavalli
- e gli echi virili
- di creature senza emozioni.
- Tra poco sarà guerra
- ed io un povero eroe
- impagliato nel plumbeo cielo
- senza più stelle.
- Vivo
- Vivo,
- un brivido
- un fuoco
- un gesto in fumo
- di un lume che si spegne
- e labbra
- bianco e insulso catrame
- di cera che si scioglie,
- miseria schiumata
- appresso al tempo.
Quando accadrà
- Quando accadrà
- che l'amabile sorriso
- scivolerà dentro il mio petto
- e sbiadirà il ricordo
- di stoffe colorate in controluce
- e mercanti stupiti della tua bellezza,
- quando accadrà,
- che sprofonderò stanco
- nel vuoto cratere di un sogno
- rammarico di ciò che non è stato
- di un fiore che lotta senza più linfa,
- quando accadrà
- sarai già lontana dalla massa indifferente
- e le luci dell'altare si spegneranno
- ad una ad una,
- sofferenza ruminata nel quotidiano
- banalità insabbiate nella consuetudine.
- Quando accadrà
- ancora qualche fiamma starà bruciando
- di candele sciolte nel dolore e nel ricordo,
- liquido intenso a racchiudere il tuo spirito
- finché la vita non diverrà cera
- colata in terra.
- Rimembranze
- Passa il frastuono caldo
- ed insieme
- la mia sofferenza muta,
- si spengono i colori,
- lontano
- s'annulla il confine degli elementi.
- L'ordine incolonnato in fila al buio
- è uno strascico, silenzio siderale
- rotto dal vento
- e dal rauco gemito della risacca.
- Ritorna il sogno interrotto
- via i brulicanti schizzi variopinti
- cavalcanti la spuma bianca
- delle onde.
- Tutto rimargina e si compatta
- sbuffo scuro nell'acqua secolare.
- Pare immobile il cielo
- e sopra il mare,
- mentre lievi scendono dall'alto
- le prime luci e s'accende
- la vita degli insonni.
- Verranno... poi verranno
- alte e solitarie
- le lampare.
[ La figura è un ricordo ... ]
- La figura è un ricordo
- scalza creatura lontana
- dai rigurgiti e dagli affanni
- esule sorriso ormai svanito
- dal palpito quotidiano della gente.
- È un brivido, qui, sotto pelle
- uno strazio che corre contromano
- coraggio che brucia nei deserti,
- tremula fiamma serpeggiante
- oscurata dal gelido fluire dei giorni.
- Solitudine
- Mi piace quest'aria limpida
- ed il vento che sgombra l'anima
- foglie secche danzano in un canto
- tenace pensiero che si piega
- e lotta contro il cuore infranto
- di un bimbo che in ginocchio prega.
- Lacrime scorrono come linfa
- su un albero spoglio di tanto amore
- ancorato a un solitario anelito.
- Volti anonimi s'affannano d'intorno
- ma sono maschere d'argilla
- artigli che strappano la mia corteccia
- occhi che prosciugano il mio sangue.
- Scivola inerme quel che resta
- sul mio tronco desolato,
- senza la luce del tuo ardore
- anche l'ultimo inverno se n'è andato.
- L'ultimo saluto
- Aleggia muto
- il tuo sorriso pesante
- di stanchezza,
- barlume esangue
- del tuo fugace alitare.
- La mano mia distesa
- è silenziosa danza lontana
- dal brivido argenteo
- della tua scia
- placido remeggio sul mare
- immoto margine di cristallo.
- Ancora non rimargina
- la vivida fenditura
- della memoria
- e imperterrito distillo
- l'impalpabile aroma del tuo ardore,
- distante si muove appena
- la tua chiglia snella
- e trapassa lieve
- il pallido barlume della sera.
- Sarà più tardi
- che notturno e solitario
- stormirà il vento
- e la mia scorza
- risveglierà grata
- dal profondo inesprimibile
- di un gelido saluto eterno.
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