Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Maria Luisa Brazzabeni
Con questo racconto ha vinto l'ottavo premio del concorso Marguerite Yourcenar 1999, sezione narrativa
La tata
Una storia d'altri tempi
 
Sto guidando diretto alla mia casa di campagna. Da qualche anno trascorro le vacanze qui, tra queste colline dove sono nato. Non riuscirei più a vedermi nella piazzetta di Capri o sul corso di Cortina dove incontri sempre le solite facce e ti senti come in vetrina, fotografato, scrutato, criticato.
È riposo quello?
In questo momento poi, ho particolarmente bisogno di quiete. Subito dopo la caduta del muro di Berlino, ho viaggiato a lungo nei paesi dell'est ricavando una serie di servizi per il mio giornale, che forse ora raccoglierò in un libro.
È buio ormai, sono stanco, ma non mancano che pochi chilometri. Tra poco rivedrò Teresina. Spero stia bene perché ormai è avanti con l'età. Quanti anni avrà Teresina? Novanta?
È in casa nostra da tempo immemorabile, mi ha visto nascere. Naturalmente da parecchio tempo non svolge più alcun lavoro, ma poiché ormai è quasi una di famiglia, invece che alla casa di riposo ho pensato di mandarla qui dove i custodi le danno un po' di assistenza.
«Finalmente sei arrivato! Come stai, figlio mio? Sei sciupato...»
«Teresina, ho più di sessant'anni e mi chiami ancora figlio mio? Tu piuttosto sei sempre in gamba».
«Eh, sono vecchia, sono vecchia. Una di queste volte non mi trovi più. Questa potrebbe essere l'ultima e... c'è una cosa, una cosa che non ho mai detto a nessuno, ma a te la devo dire perché è un peso, un peso qui... sulla coscienza...»
Non posso nascondere un sorrisetto. Quali peccati può avere questa donna che è sempre vissuta castamente e che per tutta la vita ha fatto i lavori più umili?
«Tu non sai, sei troppo giovane, ma la mia vita è proprio un romanzo, come quelli che scrivi tu».
Teresina ha tutti i miei libri, li custodisce gelosamente in camera sua e assicura di averli letti, ma io non ho mai scritto romanzi. I miei sono saggi, reportage, inchieste.
«Ora ascoltami, ti prego. Ci mettiamo qui vicino alla stufa.
Tu sai che non ho mai avuto una vera famiglia, perché ho perso i genitori da piccola e mi ha allevato una zia. Una donna cattiva. Mai una carezza, mi faceva lavorare come una bestia, nemmeno a scuola mi mandava. Così a quindici anni ho fatto fagotto e sono andata in città.
Fare la sguattera in un albergo era pesante, ma mai come lavorare in campagna, a mietere sotto il sole o a stare nell'acqua del macero. Mi ritrovavo qualche soldino in tasca e la domenica avevo il pomeriggio libero. Ero giovane e mi pareva di avere il mondo in tasca. Incominciai a uscire con un ragazzo, Elio si chiamava. Era in convalescenza da una ferita, perché c'era la guerra, la grande guerra. Avevamo tutti e due una gran voglia di vivere, io, come tutte le ragazze innamorate non pensavo a niente. Quando rimasi incinta, ne fui felice.
'Ora mi sposa, sono ancora minorenne' mi dissi.
Lui invece non si mostrò felice e poi doveva ritornare al fronte: 'Finita la guerra, quando tornerò... ci penseremo...' fu tutto quello che fu capace di dirmi.
Non ne seppi più nulla, nemmeno a guerra finita. Morto... no, non credo. Il suo nome non era tra quelli dei caduti, né tra i dispersi. Lo cercai tanto, gli impiegati guardavano la mia pancia e scuotevano la testa con un sorrisetto... Ci conoscevamo da poco, si sarà spaventato...»
«Un bambino! Tu, Teresina, un bambino... E come hai fatto tutto da sola?»
«Come si faceva allora, sono andata a partorire in campagna, da gente che conoscevo e l'ho lasciato a loro. Io non volevo abbandonarlo, lo giuro, ma dovevo pur lavorare per lui e per me».
«Come lo avevi chiamato il tuo bambino? Elio anche lui?»
«No, Agostino. Con il nome di un mio fratellino morto da piccolo. Lui invece cresceva sano e robusto, una bellezza. Ero allora a servizio in casa di un commerciante all'ingrosso. La moglie era morta di spagnola e i figli non si ricordavano del padre nemmeno a Natale. Anche se era ricco era solo come me. Ci mettemmo insieme. Anche se aveva più del doppio della mia età, benedicevo il cielo di una così bella sistemazione, perché era buono e generoso. Diceva che ero in gamba, che ormai gli ero indispensabile nel magazzino e che finalmente aveva una cristiana in casa con cui parlare. Ripeteva che ormai potevo stare tranquilla, che a me avrebbe pensato sempre lui, che quella dovevo considerarla casa mia. Mi lasciava andare spesso dal mio bambino e io non chiedevo altro alla vita. Tra qualche anno, quando fosse diventato più grandino, avrei preso con me il mio Agostino.
Invece, anche se non era ancora vecchio, il mio compagno si ammalò. Il dottore mi chiamava in disparte e mi ripeteva di avvertire i parenti. 'Non ha nessuno' rispondevo. Allora allargava le braccia.
A lui non feci mai capire niente, ridevo anche quando avevo voglia di piangere, assicuravo che tutto andava bene, che era in via di guarigione. Così per due anni. Gli fui vicino giorno e notte. Morì nel sonno, senza accorgersene.
Allora arrivarono i figli, si misero a frugare dappertutto, misero sottosopra la casa, presero tutte le carte, tutte le chiavi. Dissero che la cuccagna era finita, che avevo approfittato del loro padre, che avevo sfruttato abbastanza quella casa e chissà cosa mi ero messa in testa.
Mi ritrovai su una strada.
Cercai un altro lavoro, ma erano brutti tempi, c'era tanta confusione in giro, e tanta miseria.
Dopo qualche settimana non cercai nemmeno più, tanto ero sporca e stracciata a forza di dormire dove capitava. Facevo paura! Cosa passai in quel periodo...! Vivevo di elemosine, anche rubacchiando. Se non mi persi del tutto... non lo so nemmeno io!»
Cosa aveva dovuto passare Teresina per essere arrivata anche al furto? Cosa c'era dietro il suo scarno racconto?
«Fui anche sul punto d'ammazzarmi - proseguì, senza che io avessi il coraggio di dire nulla - il fiume scorreva lì sotto con la sua acqua gelata e io pensavo che se sparivo nessuno se ne sarebbe accorto...»
«E... il tuo bambino? A lui non ci pensavi?»
«L'avevo dato in adozione! Quando mi avevano cacciato di casa, e cosa potevo fare? Erano una coppia tanto distinta, avevano perso il loro bambino per il Krupp e la signora, che non ne poteva più avere, era come impazzita. Se non l'avessi dato a loro, sarebbe finito in istituto. Così invece, pensai, avrà un'educazione, gli vorranno bene. Preferii cavarmelo dal cuore, piuttosto che farlo crescere senza una famiglia. Lo so io che cosa avevo sofferto da piccola!»
«O Teresina, io non sapevo questo...»
«Non importa, caro, non importa. Sono cose tanto vecchie...
Sono stata anche in prigione, sai? per vagabondaggio e per qualche furtarello, e proprio le suore del carcere mi hanno poi raccomandato ai tuoi genitori.
Così sono entrata in casa vostra. La signora, tua madre, era incinta. La guardavo e provavo una rabbia sorda a vederla così ricca e felice e circondata da tante attenzioni. Lo sapevo che non era giusto, che erano stati buoni a prendere una che era stata in prigione, che mi trattavano bene, ma era la vita che mi aveva incattivito.
Tu hai avuto fretta di venire al mondo.
Tuo padre era in viaggio per affari e noi eravamo proprio in questa casa, perché mancava ancora più di un mese. Si era scatenato un temporale che pareva di essere già in inverno. Mandai il giardiniere in paese a cercare la levatrice o il dottore.
Ma tu non volevi proprio aspettare. Ti feci nascere io, fui io a tagliare il cordone».
Avevo sentito decine, se non centinaia di volte, il racconto della mia nascita avventurosa, ma ora acquistava un sapore particolare.
«Fui sempre io a farti il primo bagnetto e quando ti ebbi in braccio, così piccolo, così indifeso, sentii che il groppo si scioglieva. Eri proprio uguale alla mia creatura, perché i bambini nudi sono tutti uguali, sono i vestiti a fare la differenza. Così ti volli subito bene come ad un figlio, ti diedi tutte le coccole che non avevo potuto dare al mio. Da quel giorno ti ho dedicato tutta la mia vita e non mi è importato d'altro».
«E del tuo figliolo, hai più saputo niente?»
Scosse il capo.
«I signori che l'hanno preso sono stati chiari. Io non dovevo più farmi viva. Del resto sarebbe stato impossibile, o quasi, perché lui era un ingegnere delle Ferrovie e la famiglia si trasferiva spesso».
«Sì, ma dopo tanti anni, quando è diventato adulto, potevi fare qualche ricerca...»
«E per dirgli cosa? Io sono quella che ti ha abbandonato? Era tanto piccolo, non si ricorderà nemmeno di me.
E poi è cresciuto fra gente ricca, istruita. L'avranno fatto studiare. Sarà diventato un ingegnere anche lui. Oppure un dottore, o un avvocato. Si vergognerebbe di una vecchia ignorante come me...»
Per leggere l'opera 9 classificata al concorso Club Poeti sez.narrativa
Classifica Concorso Marguerite Yourcenar 1999 sezione narrativa
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inseritoil 5 novembre 1999