- Il
Presepe
-
- Sono qui che mi
aggiro, passante solitario, per le vie di Capri. Il
freddo pungente di questa serata invernale penetra
nelle ossa, tanto che nemmeno il cappotto di montone
che indosso riesce a ripararmi. Ma forse non è
solo per il freddo che i miei muscoli, solitamente
così fermi e imperturbabili, hanno preso a
tremare. Sebbene cerchi di celare il pensiero, so che
quella busta che tengo ancora chiusa nella tasca
racchiude un segreto che può valere un'intera
esistenza, la più preziosa, la mia.
Com'è solitaria Capri, con questo silenzio
ovattato che pervade il suo golfo, le sue scalinate, i
suoi muri fino a confondersi col cielo plumbeo. E lo
è ancora più stasera, vigilia di Natale,
quando la gente si sente indotta più che mai a
cercare riparo nel comodo rifugio familiare o fra le
braccia della propria donna. Un fugace pensiero si
libra improvviso verso la mia casa lontana, dove
Alessandra forse a questa ora già si appresta a
consumare la sua frugale cena. Certo il ragazzo, il
mio ragazzo sarà ormai in giro chissà
dove. Non comunica più alla madre la meta dei
suoi divertimenti e il più delle volte è
difficile anche sapere se ha intenzione di rientrare
per la notte. Da tempo ho smesso di preoccuparmi di
lui. E' grande, è vaccinato, ormai laureato
libero di fare quello che gli pare. Poi perché
proprio io devo ancora dare dei giudizi. Chi sono, in
fondo nei confronti di mio figlio? Mentre attraverso
piazza A. De Curtis sono tentato di aprire la busta.
La chiesa, un'altra chiesa, è ancora aperta.
Già nel pomeriggio ho viaggiato a lungo in
auto, poi alle 15 senza saperlo, mi sono trovato
davanti all'ospedale Casa del Sollievo e della
Sofferenza, in fondo la chiesa di S. Giovanni Rotondo,
sul piazzale un frate che va di corsa.
- Strano per 5, 6
minuti nessuno in giro. Scendo dalla macchina,
rincorro il frate, un secondo ed è
sparito.
- Allora sono entrato
nella chiesa dove Francesco Forgione ha divorato Messe
e fatto guarigioni. Ho pregato, fatto elemosina,
acceso ceri. Perché, che senso ha, farlo ora.
Adesso davanti a questi gradini vorrei entrare e
lì abbandonarmi per un attimo all'irrazionale
impulso di scoprire cosa mi ha riservato il destino
dopo aver rivolto una breve preghiera nel pomeriggio
al Creatore. Ma mi rendo conto che non può
funzionare: se esiste, saprebbe certamente leggere
fino in fondo nel mio animo e scoprire il vuoto
spirituale che vi alberga da tempo. Al solito se
esistesse. Anche se oggi in quel paese, in quella
Santa chiesa ho sentito tremare e prillare il cuore.
Rammento l'ultima volta, prima di oggi, in cui sono
entrato in una chiesa, tranne per il matrimonio,
risale ad un passato lontanissimo e ormai dimenticato.
Avevo forse 12 anni, non di più. Fu circa a
quell'età infatti che scoprii, un po' prima di
tanti miei amici, che i freni morali servono solo a
chi è privo di scrupoli per trarre vantaggio da
coloro che invece ci credono. Ma perché questi
pensieri proprio ora? Forse un pentimento tardivo
quando la fine della mia avventura inizia a sembrare
un evento ormai prossimo e irrimediabile? No, spero di
non cadere in questa debolezza,
- non io. Però
non nego la totale pienezza d'animo sentita dentro la
chiesa di S.ta Maria delle Grazie nel pomeriggio.
Volgo un ultimo sguardo alla piazza, sono le 21 e 10
ricordo che il traghetto per Napoli parte alle 21 e
45. La marea lenta inizia a montare schiumosa e
già un sottile velo di bava salmastra inizia a
prendere possesso dei primi scalini. Il riflesso della
chiesa illuminata sull'acqua crea un effetto strano ed
irreale, come strana e irreale mi appare la situazione
in cui mi trovo d'improvviso coinvolto. Brividi
irrefrenabili scuotono la mia schiena, mi infilo nella
strada per tornare sul lungomare. Le luci per l'orgia
natalizia splendono ammiccanti. I negozi iniziano
ormai a chiudere e posso quasi scorgere sui volti dei
commercianti la tristezza per la fine, anche di
quest'anno del periodo di festa.
- Volti stanchi,
tirati per la lunga pressione, desiderosi di chiudere
i conti e di rientrare a casa. Alcuni mi si fanno
incontro frettolosi come vaghi fantasmi. Anche alla
clinica di Capri dove sono appena stato al rientro dal
luogo di Padre Pio per ritirare i risultati della
biopsia, tutti sembrano attendere solo il momento di
rientrare al focolare. Non so perché, il
pensiero torna all'inizio di tutta quella storia. Lo
ricordo bene: è stato la mattina in cui ho
convocato una dipendente, la signora Biondi, nel mio
ufficio per concludere quella spinosa questione del
suo licenziamento. L'unica colpa della signora Biondi
in verità era di avere superato i 53 anni e
dopo quell'infortunio dell'anno prima, non si era
ripresa per un problema alla schiena. In base alla
legge 626 del 94, il nostro medico competente gli
aveva inviato una lettera che non ammetteva più
il suo utilizzo all'interno della fabbrica. Per motivi
di salute non era più idonea alla sua mansione,
anche se lei dava disponibilità diverse. Ma
doveva capire anche lei che i costi per il suo
stipendio sono ormai diventati un lusso anche per
un'azienda di grosse dimensioni. Non è colpa di
nessuno se siamo costretti dalle leggi del mercato ad
assumere giovani con contratti a termine o formazione
lavoro al posto dei vecchi e costosi dipendenti a
tempo indeterminato. La rivoluzione del mercato del
lavoro, e l'ingresso in Europa, è una
realtà più grande di tutti noi. Dunque,
perché la signora Biondi l'aveva presa come una
questione personale nei miei confronti? Si, è
vero, avevo gestito io tutta la faccenda, avevo
rifiutato io le forme di accomodamento proposte dai
sindacati, non avevo ceduto di una lira sulla cifra
proposta per la risoluzione consensuale del contratto,
dopo 15 anni di lavoro, ma non potevo fare altrimenti.
Ero riuscito a resistere ai suoi attacchi fino alla
fine: in fondo non era né il primo né
l'ultimo con cui avevo affrontato simili situazioni e
non c'entra se uomo o donna hanno avuto la loro
parità? E allora.
- Proprio mentre
stavo accompagnandola alla porta dell'ufficio, si era
riservata l'ultima stoccata. "Mi scuserà, vero,
se non le stringo la mano", aveva detto in tono calmo
ma fermo. A quelle parole così dignitose,
eppure così colme di tristezza repressa, ho
sentito per la prima volta in vita mia una fitta al
cuore, questo cuore da cui la pietà è
stata bandita come una dannosa debolezza. Un segno di
cedimento di cui non mi sarei mai considerato capace.
Tuttavia ho fatto finta di nulla, continuando a
sostenere la mia parte. "Non capisco il suo
atteggiamento, signora Biondi. In fondo, io faccio
solo il mio dovere. E questo modo di fare, se dovesse
continuare, non la favorirà davvero nei suoi
tentativi di trovare una nuova occupazione. Per favore
non mi costringa a redigere un rapporto negativo, le
ho fatto avere anche 2 mensilità aggiuntive".
"Lei un po' ci gode, vero, a trattare così la
povera gente? Be' si, deve per forza altrimenti
perché si sarebbe rovinato la vita solo per
avere quelle poche briciole di potere che i suoi
padroni le concedono? Se le tenga le sue 2
mensilità aggiuntive, e si rammenti com'era
quando iniziò a scalare il vertice". "Come osa
parlare con me in questo modo?". "Cosa crede, che
siamo tutti stupidi? Guardi che quelli come me sanno
benissimo che non sono davvero gli uomini puri di
cuore a giungere a posizioni di potere e mantenervisi.
Vede, c'è una cosa che lei non capirà
mai. A questo mondo c'è una cultura di quelli
che cercano sempre e comunque di fregare gli altri, e
la cultura di quelli che invece credono nella
correttezza e nella sincerità dei rapporti
interpersonali. E quando ai secondi viene fatto un
torto, è impossibile ai primi comprendere
l'entità e la profondità dello sdegno
che ne deriva. La gente della sua razza crede che
tutti siamo come voi pronti a ingannare, tradire la
fiducia, colpire senza remore..
- E l'unica
consolazione, per quelli come me, è che
inevitabilmente finite per ricevere dal mondo
esattamente ciò che gli date: odio, rancore,
gelosia. Non conosco sua moglie e suo figlio, ma li
compatisco entrambi". Ciò detto, era uscita
dall'ufficio senza neanche sbattere la porta. Ed
è stato in quel momento che ho avvertito la
prima fitta allo stomaco. Sul momento non ci ho dato
peso, ma la sera i dolori si erano intensificati. Il
giorno dopo mi sono consultato col medico che non ha
avuto dubbi. La sintomatologia, l'ereditarietà,
tutti dati di contorno (38 sigarette al giorno, vita
sregolata, assenza di moto, stress) concorrevano a
dare credibilità ad una diagnosi ferale.
Così mi ha prescritto una visita presso il
centro oncologico e anche qui, l'analisi di alcuni
indicatori esterni, (non di bilancio) ha confermato il
primo giudizio. Restava perciò l'ultima
verifica, la biopsia, anche se ormai pareva una
semplice formalità. Ed è proprio il
risultato di questa che ora tengo celato nella tasca
del cappotto senza trovare il coraggio di guardarla.
Dov'è andato il mio coraggio? Non ho davanti la
signora Biondi eh! Come mai? Vallà! Tutte le
persone che incrocio sembrano avere qualcosa di bello
da fare in questa vigilia. Tutti ma non io, solo in
questa cittadina turistica, così splendida e
malinconica, a più di mille chilometri di
distanza da casa. Percepisco d'un tratto una strana e
spiacevole sensazione, come se il mondo e la vita
fossero da un'altra parte. Un po' come in settembre
quando vedemmo in televisione, tutti smarriti le torri
gemelle sbriciolate dall'attacco aereo dei terroristi
a New York. Quando si è giovani si tende spesso
a credere che il proprio mondo interiore sia il centro
dell'universo e tutto ciò che percepiamo ruoti
intorno a noi. Ora, come per un rovesciamento di
prospettiva, mi pare che il mondo sia qualcosa di
irrimediabilmente lontano e irraggiungibile e il mio
animo si ritrovi isolato e reietto all'intero cosmo.
- Perché oggi
in quella chiesa non era così? E perché?
Di nuovo un vago pensiero ad Alessandra.
Alessandra
Quant'è cambiata, ultimamente!
L'ultima volta che sono rientrato a casa
quand'è stato?... Un mese fa, mi pare, non ho
potuto evitare di osservare le nuove rughe che ormai
incorniciano i suoi occhi verdi, un tempo così
luminosi e l'aspetto di quella pelle del volto che
ancora ricordo radiosa. E' la maledizione di noi
dirigenti d'impianto. Andare là dove ci porta
il lavoro, seguire l'onda imperiosa delle designazioni
aziendali, incuranti dei legami che intanto la nostra
vita al di fuori della carriera ha cercato di imporci.
I primi tempi era andata bene. Mia moglie mi aveva
seguito negli spostamenti in tutta la penisola e
persino durante i 13 anni trascorsi in Sicilia. In
quel periodo le era facile ottenere il trasferimento
da un ufficio postale all'altro e non le mancavano
né l'entusiasmo né l'incoscienza per
affrontare nuove situazioni, nuove realtà,
nuove amicizie. Anche quando nacque Francesco le cose
non erano cambiate subito. Francesco, il nome del
Padre. Fu solo dopo alcuni anni, quando si radicarono
le prime amicizie del piccolo, che dovetti affrontare
un trasferimento drammatico e doloroso da Palermo per
Trieste. E lì era sembrato che il mio
vagabondare fosse finalmente cessato: avevo raggiunto
la posizione di responsabile d'impianto e credevo che
ulteriori promozioni fossero impensabili: mi mancavano
quegli appoggi altolocati necessari per compiere il
balzo alla sede centrale di Torino. Poi, improvvisa,
tangentopoli aveva spazzato le frange della corruzione
e in una breve ventata di rinnovamento si era aperta
per me la possibilità di quell'avanzamento che
avevo sognato e agognato credendolo tuttavia fuori
della mia portata. Accettai senza remore né
rimpianti. In fondo, era il coronamento di tutta una
vita di impegno e sacrifici.
- Se non avessi
accettato il trasferimento a Torino la mia intera
esistenza sarebbe stata spesa senza costrutto. Ma
Alessandra venuta a Trieste solo per un periodo (7
mesi), questa volta non mi aveva seguito, anzi era
tornata a Palermo. Un po' le difficoltà di
ottenere il trasferimento, un po' il desiderio di non
abbandonare un figlio ancora bisognoso delle sue cure,
e la definitiva scelta degli amici siciliani, luogo
dove era nato il bambino, l'avevano indotta a tornare
in Sicilia. E nei 9 anni trascorsi fino a febbraio
2001 in Piemonte, la situazione non è mutata.
Il nostro Francesco, ormai adulto, ha ancora bisogno
dell'assistenza assidua dice lei, di una madre.
Studente in eterno, ormai 26 enne, sempre in giro per
discoteche, ristoranti e locali equivoci, apatico in
tutto. Trattando casa come un albergo e sua madre la
tutto fare. Meno male che io posso stare fuori. Ormai
i miei rientri a casa sono sempre più radi. Le
scuse valide e giustificate non mancano, del resto:
riunioni anche domenicali, viaggi, convegni, meeting.
E poi c'è un altro motivo, quasi
inconfessabile. Mi sono reso conto che non riesco
più a guardare Alessandra. E' difficile per chi
non l'ha provato comprendere quanto sia triste vedere
la propria compagna che invecchia stando lontano. Di
solito, quando si vive insieme, il mutamento lento,
graduale, impercettibile viene assorbito senza neanche
rendersene conto giorno per giorno, allorché al
risveglio rivolgiamo il primo sguardo alla persona con
cui condividiamo l'esistenza. Ma per me, ormai, ogni
rientro a casa è fronte di afflizione e
sofferenza. Passiamo ore e ore in silenzio, senza
guardarci. Non ci tengo che lei sappia più di
tanto della mia vita solitaria a Castellammare di
Stabia, (dopo 9 anni a Torino ho chiesto un
avvicinamento, e a febbraio di quest'anno, la Campania
era il posto più praticabile), una vita fatta
di cene frugali a base di scatolette e spaghetti,
unico piatto che riesco a mala pena a cucinare. Serate
buttate sul divano a guardare la televisione o film
presi in affitto, mai una storia con un'altra donna.
- Alessandra non mi
aveva mai consentito di imbruttirmi così in
privato quando eravamo una vera famiglia. Ora guardo
il referto prima o poi dovrò farlo. Questo
punto mi sembra particolarmente adatto. Non so come
sono finito qui, alle spalle del mercato del pesce, a
fianco c'è un ristorante dove qualche domenica
vengo a pranzare, sul portone d'ingresso c'è
una scritta di Virginia Woolf: "Uno non può
pensare bene, amare bene, dormire bene, se non ha
mangiato bene". 20 metri più avanti c'è
lo strapiombo circa 200 metri di vuoto. E' un bel
punto per fotografie o altro, vedo un battello che si
allontana nell'oscurità. Estraggo la busta la
rigiro fra le mani. Ho bisogno di luce, qui c'è
troppo buio. Una vetrina vicina attrae la mia
attenzione. Mi avvicino per sfruttarne la luce ma
mentre sto per aprire la busta, il mio sguardo viene
irresistibilmente attratto dallo spettacolo di un
magnifico presepe allestito al suo interno. Comincio
ad osservare uno ad uno i singoli pezzi ed
automaticamente infilo la busta ancora nella tasca,
pezzi lavorati artigianalmente di gesso e di
cartapesta. Colgo la visione d'insieme che
ricostruisce una scena atipica per un presepe: non
pare ambientato in oriente ma in una delle nostre
campagne e difatti mi avvedo che la foggia degli abiti
ricorda quella dei contadini delle mie parti quando io
ero un ragazzino. Tutta la ricostruzione mi ricorda
all'improvviso la vecchia casa dove sono nato e ho
vissuto i primi anni fin quando decisi di prendere la
via degli studi. Forse è solo uno scherzo della
mia immaginazione che quel contadino che porge un dono
al Bambinello assomigli tanto a mio padre. Ed anche il
volto di quel pastore ha qualcosa di vagamente
familiare. D'improvviso nella mia mente si affollano
le immagini di Francesco bambino, dei giochi, delle
corse sul prato e i calci al pallone. Come posso aver
espresso dei giudizi così su mio figlio se
manco ormai lo conosco. Forse la signora Biondi ha
delle ragioni, mi sono proprio imbruttito anche
dentro.
- Continuo ad
osservare la scena senza riuscire a staccare gli
occhi. Quello strato verde su cui poggiano le figure
è muschio vero. Lo riconosco. Quante volte in
anni lontani mi recavo fuori dalla città per
procurarne una quantità sufficiente ad
allestire il presepe di casa. Ricordo la
felicità di Francesco quando tornavo col carico
prezioso e insieme iniziavamo a predisporre la base
per il presepe. Poi il taglia legna meccanico, l'omino
che faceva il pane, l'acqua che scrosciava veramente,
a volte anche troppo, che bagnavamo la parete. A quei
tempi Francesco vedeva in me il faro e la guida:
scorgevo l'ammirazione per me in ogni suo sguardo, che
guida sono stato per lui anzi per loro. Solo uno che
insegue il suo scopo, questo oggi ho capito, ha
ragione la signora Biondi. Si tende sempre a
proiettare sugli altri i nostri difetti. E
probabilmente mio figlio li ha assorbiti almeno in
parte. Fermo in quell'angolo oscuro, col destino in
una tasca, comprendo finalmente cosa è stata
realmente la mia vita. La continua ricerca di una
visione chimerica a fallace, l'illusione che il
comando e il potere potessero colmare il vuoto che
s'andava intanto accumulando. Perché solo ora
devo finalmente comprendere che la mia esistenza
è stata un unico, grandissimo errore? Ritiro
fuori la busta, la guardo, che probabilità ho
di non avere alcuna malattia? "Quasi nessuna", ha
detto il medico con grande sincerità. Ma quasi
nessuna non vuol dire neanche una. E fin quando la
probabilità non ha ceduto il passo alla
certezza, tutto può accadere. Forse, basta solo
volerlo, desiderarlo fin nei precordi del proprio
essere come la cosa più bella e preziosa su cui
si possa aspirare, attaccarsi a quella speranza con
tutta la forza della vita stessa. La busta di colpo mi
cade dalle mani, un colpo di vento, strano non ce
né era, la porta a pochi passi dietro a una
fontanina d'acqua, una vecchietta me la raccatta e con
occhi d'una mitezza che a quel buio non potevano
vedersi me la pone nella mano, ringrazio e lei:
- "Giovanotto cosa fa
qui da solo, non ha una casa?" "Oh si, si" "E allora
che aspetta". In un lampo non vedo più nessuno,
penso di stare male o ad un'allucinazione, mi ha
chiesto se ho una casa. Mi guardo attorno grattandomi
la testa. D'improvviso un'idea fulminante, un lampo
lacerante nelle tenebre della mia mente, un barlume di
Fede. Chissà se c'è ancora un aereo per
la Sicilia? Forse faccio ancora in tempo a essere a
casa per mezzanotte. Che sorpresa sarebbe per
Alessandra trovare domani mattina il presepe col
Bambino. E forse dopo tutto, Francesco potrebbe
rientrare a casa per la notte e sorprendersi come una
volta trovando l'omino del pane che si inceppava come
un tempo, e mi faceva arrabbiare. Ora lui ormai
ingegnere lo avrebbe riparato definitivamente. Ecco,
ora sono pronto. Apro la busta e leggo il verdetto,
mentre l'universo intero sembra trattenere il respiro
in trepida attesa. E quella che vedo è la
parola più bella della vita. Una parola che
racchiude tutto un mondo che ancora mi sta davanti e i
mille significati legati a quel sentimento che solo
ora mi accorgo di avere veramente scoperto e che si
suol chiamare amore. Lascio andare la busta
sull'acqua. La guardo sparire al buio e sento un'onda
che la raccoglie come la vita in un nuovo attimo ha
raccolto il sottoscritto. Non so quando mi sia dato
vivere. Per ora la bufera è passata, eppure
prima o poi, il momento temuto dovrà giungere.
Ma vicino o lontano che sia, voglio che il tempo che
mi è stato donato, rappresenti qualcosa di
radicalmente nuovo e che la mia vita e quella dei miei
cari possa valere la pena di essere ricordata anche
solo per quanto saprò fare d'ora in poi.
Camminando in fretta col cellulare chiamai Grazia, la
mia segretaria, questo è potere: "Prenotami un
posto sul primo aereo da Napoli per Palermo"
"Buonasera signor Giorgio sono le 21 e 40 se non
sbaglio alle 22 e 50 c'è l'ultimo volo". "Brava
benedetta ragazza e appena puoi chiama la signora
Biondi comunicale che non è più
licenziata, dille che ho trovato una sua sistemazione
in magazzino, ciao e buon Natale".
|