-

-
- Da Una volta per sempre, poesie
1938-1973
-
- Foglio di
via
-
- Dunque nulla di nuovo da questa
altezza
- Dove ancora un poco senza guardare si
parla
- E nei capelli il vento cala la
sera.
-
- Dunque nessun cammino per
discendere
- Se non questo del nord dove il sole non
tocca
- E sono d'acqua i rami degli alberi.
-
- Dunque fra poco senza parole la
bocca.
- E questa sera saremo in fondo alla
valle
- Dove le feste han spento tutte le
lampade.
-
- Dove una folla tace e gli amici non
riconoscono.
-

-
- Canto degli ultimi
partigiani
-
- Sulla spalletta del ponte
- Le teste degli impiccati
- Nell'acqua della fonte
- La bava degli impiccati.
-
- Sul lastrico del mercato
- Le unghie dei fucilati
- Sull'erba secca del prato
- I denti dei fucilati.
-
- Mordere l'aria mordere i sassi
- La nostra carne non è più
d'uomini
- Mordere l'aria mordere i sassi
- Il nostro cuore non è più
d'uomini.
-
- Ma noi s'è letta negli occhi dei
morti
- E sulla terra faremo libertà
- Ma l'hanno stretta i pungi dei
morti
- La giustizia che si farà.
-

-
- Traducendo
Brecht
-
- Un grande temporale
- per tutto il pomeriggio si è
attorcigliato
- sui tetti prima di rompere in lampi,
acqua.
- Fissavo versi di cemento e di vetro
- dov'erano grida e piaghe murate e
membra
- anche di me, cui sopravvivo. Con cautela,
guardando
- ora i tegoli battagliati ora la pagina
secca,
- ascoltavo morire
- la parola d'un poeta o mutarsi
- in altra, non per noi più, voce. Gli
oppressi
- sono oppressi e tranquilli, gli oppressori
tranquilli
- parlano nei telefoni, l'odio è
cortese, io stesso
- credo di non sapere più di chi
è la colpa.
-
- Scrivi mi dico, odia
- chi con dolcezza guida al niente
- gli uomini e le donne che con te si
accompagnano
- e credono di non sapere. Fra quelli dei
nemici
- scrivi anche il tuo nome. Il
temporale
- è sparito con enfasi. La
natura
- per imitare le battaglie è troppo
debole. La poesia
- non muta nulla. Nulla è sicuro, ma
scrivi.
-

-
- La partenza
-
- Ti riconosco, antico morso,
ritornerai
- tante volte e poi l'ultima.
-
- Ho raccolto il mio fascio di fogli,
- preparata la cartella con gli
appunti,
- ricordato chi non sono, chi sono,
- lo schema del lavoro che non
farò.
- Ho salutato mia moglie che ora
respira
- nel sonno sempre la vita passata,
- il dolore che appena le ho assopito
- con imperfetta, di sé pietosa,
atterrita tenerezza.
- Ho scritto alcune lettere ad amici
- che non mi perdonano e che non
perdono.
- E ora sul punto di dormire
- un dolore terribile mi morde
- come mille anni fa quando ero
bambino
- e lo chiamavo Iddio, e Iddio è
questo
- ago del mondo in me.
-
- Fra poco, quando dai cortili l'aria
- fuma ancora di notte e sulla
città
- la brezza capovolge i platani,
scenderò per la via
- verso la stazione dove escono gli
operai.
- Contro il loro fiume triste, di petti
vivo,
- attraverso la mobile speranza
- che si ignora e resiste,
- andrò verso il mio treno.
-

-
- Dopo una
strage
- da Lu Hsun
-
- Le notti lunghe di primavera le passo
ormai
- con moglie e figlio. Fragili alle tempie i
capelli.
- Vedo in sogno imprecise lacrime di una
madre.
- Sulle mura hanno mutato le grandi bandiere
imperiali.
- Vite di amici diventano spettri, non resisto
a vederle.
- In ira contro siepi di spade cerco una
piccola poesia.
- Non lamentarsi. Chino il capo. Non si
può scrivere più.
- Come acqua la luna illumina la mia veste
oscura.
-

-
- Il seme
-
- Caduti i cartocci giù
- le foglie luccicano come piccioni
- della magnolia altissima. Sotto i
cedri
- dove la luce del pomeriggio è
fitta
- vedo l'erba crudele acida profonda
- e l'interrogazione ritorna
- ai colpi di vento si curva
- si divide ritorna ma dicono i merli di
no
- camminando o fermi.
-
- Mio padre
- s'inteneriva sulla propria morte
- udendo l'allegretto della Settima.
- Negli angoli dove c'è a marzo
maceria
- con gran pianti i bambini
seppellirono
- gli uccelli caduti di nido. Ma
nulla
- sa più di noi e discorre da
sola
- coi suoi corni e le trombe la
musica
- tra questi muri sudati.
- In luogo di lui ci sono io
- o mio figlio o nessuno.
-
- Tutti i fiori non sono che scene
ironiche.
- Ormai la piaga non si
chiuderà.
- Con tale vergogna scenderò
- i seminterrati delle cliniche
- e con rancore.
- Non è ancora luglio
- non ancora scaldato asciutto
assoluto
- il seme.
-

-
- Il presente
-
- Guardo le acque e le canne
- di un braccio di fiume e il sole
- dentro l'acqua.
-
- Guardavo, ero ma sono.
- La melma si asciuga fra le radici.
- Il mio verbo è al presente.
- Questo mondo residuo d'incendi
- vuole esistere.
- Insetti tendono
- trappole lunghe millenni.
- Le effimere sfumano. Si sfanno
- impresse nel dolce vento d'Arcadia.
- Attraversa il fiume una barca.
- E' un servo del vescovo Baudo.
- Va tra la paglia d'una capanna
- sfogliata sotto molte lune.
- Detto la mia legge ironica
- alle foglie che ronzano, al
trasvolo
- nervoso del drago-cervo.
- Confido alle canne false eterne
- la grande strategia da Yenan allo
Hopei.
- Seguo il segno che una mano armata
incide
- sulla scorza del pino
- e prepara il fuoco dell'ambra dove
starò invisibile.
-
|