Scrittori italiani contemporanei Marco Spinicci Ha pubblicato il libro
- Marco Spinicci, Oltre l'orizzonte, editrice Montedit, 1997,
- pp. 32, Lit. 6.000, ISBN 88-86957-25-4
- Era una nascita quell'attesa
- A volte veniva la nebbia
- e la campagna si caricava di plasma
- come se dell'aria facesse parte
- e di norma non si vedesse,
- passava la voce romantica
- e il soffio di una luce fioca,
- la bicicletta faceva gemere il ghiaìno,
- la sagoma nera diventava
- un canto di lana
- ed un sorriso
- che frusciava nella nebbia;
- mia madre diceva:
- «Come si può non stare in pensiero?»
- e mio padre borbottava
- «A casa, finalmente».
- Tutte le volte era una nascita
- quell'attesa.
- Ero all'ospedale
- ed il plasma sapeva di nebbia
- come se fosse la componente liquida del cielo.
- Si accese la voce da dentro,
- nell'allungarmi feci gemere
- le membrane del mondo.
- Mia madre, piangendo, diceva
- «Come si può non stare in pensiero?»
- Mio padre, credo,
- le fu vicino e di un'attesa
- sentì l'eco
- negli angoli delle sue membra...
- Ah, la voglia di rinascere
- ogni giorno...
- Non si può allungare il cielo
- Ora posso solo dire
- «non si può allungare
- in una giornata
- questo cielo immenso»
- eppure ci provavo
- in giorni di tanti anni fa...
- ricordo sferragliava al sole
- l'inesausto treno
- e, dondolando gli oleandri,
- fuggiva implacabile nel cielo;
- il mio respiro correva con lui
- nei desideri:
- trattenevo le rughe ostili
- di mia madre
- affannata per il calore
- e, mentre ad una fermata,
- m'invadeva nel grigiore dei binari
- l'eretico profumo della nepitella,
- cercavo di allungare
- quell'azzurro immenso
- oltre negli anni,
- oltre la strada,
- tenendone da solo i capi
- come l'eroe del tempo.
- Autunno
- Dal vetro appannato
- non s'intendeva l'autunno...
- e sì che il profumo di mosto
- inondava l'aria,
- vento di castagne
- sospingeva il fuoco sull'aia
- mentre le nuvole
- veleggiavano nella sera
- a presto anticipata;
- non era il dunque
- in cui morire nel cuore
- perché guardandoti, mamma,
- leggevo dolci lenzuola di fanciulle
- e sentivo tra le tue mani
- un lavorìo di lieviti
- innalzato per me
- fino a comporre morbide fughe.
- Non era il dunque,
- il malincuore della separazione,
- ma con un gesto
- la tua mano sciolse il vapore
- sprigionato dal furtivo gelo:
- così furono i colori
- di un sole rauco
- a riempire di nuove carezze la montagna
- e svolazzìo di foglie
- a disperdere i nidi allegri.
- Col passo del tempo
- s'apprende lo scricchiolare secco
- dove fu tenero il sentiero,
- la mano che sparge d'autunno
- l'illusa luce.
- La ricamatrice
- Le donne arrivavano col bisso,
- i cestini e la cremagliera delle parole
- che salivano su per i fondali del meriggio,
- tra i vetri dove trapassava
- il cielo uggioso di novembre,
- suoni lontani di campanile
- e la porta che dava su agognati lidi.
- Mugugnavano a denti stretti
- e sognavano Clark Gable.
- E lei, più giovane,
- seguiva in silenzio annuendo
- e ricamando pensieri,
- finché, in un battibaleno,
- faceva notte,
- i desideri più belli
- erano rimasti lì rammendati:
- l'alzarsi era fatica del ritorno
- per lei più giovane
- che tutto seguiva in silenzio annuendo.
- L'orizzonte primaverile
- Il fatto che io sia un tuo pensiero
- m'incide di primavera
- e fa salire in nascita
- l'aspro sentiero dei miei passi,
- perché a giungere stanchi ma nati
- promuove il rinnovare periodico
- dei petali,
- lo stornellare frenetico
- dei primi voli d'uccelli,
- e tale è una congiunzione d'amore
- che con questa forza perenne
- rivedo frondoso l'acero
- e sembra punto mai perso
- l'orizzonte primaverile della vita.
- Nel tuo pianto
- Tremano i labbri come ali di farfalla
- che sbattono inquiete,
- come foglie di betulla
- mosse dal respiro dei punti cardinali
- e spunta una lacrima
- data alla luce come un figlio,
- il singhiozzo spinge gli inabissati aneliti,
- guardi il mio petto,
- ascolti il mio cuore
- per dar rifugio ai tuoi sensi assetati,
- la mia mano cerca una traccia
- tra le pieghe dei tuoi avvelenati flutti
- perché è un mare il tuo ribollire
- e se terraferma tu cerchi
- non sai quanto possa ritrovarmi
- nell'impetuoso e disperato scorrere
- alla ricerca di un porto.
- La strada della vita
- Ho fatto tutta questa strada
- per portarvi l'alito di vento
- delle lontananze,
- vi ho aperto dalla filigrana
- di un raggio di sole
- e, dove l'arido scarnificava
- fino all'essenza,
- ne ho estratto dolce acqua per voi.
- Miei bambini,
- questa strada vi ha strappato
- dalla mia timidezza,
- dalle valigie chiuse del mio cuore,
- la strada che mangia i miei passi
- e fa tenere spalancati gli occhi,
- la strada che irride al buio,
- nonostante tutto
- e tiene aperte queste mie mani.
- Mani alla ricerca,
- strada,
- non consumare.
- La bussola spezzata
- Non so come
- non so perché
- ma chiedo nel vuoto impercettibile
- del battito:
- che ora è?
- Perdiamo secoli
- ogni attimo che passa,
- attimo che pensavo futuro:
- doveva essere meraviglioso,
- doveva essere indelebile...
- Ecco, è nato un bambino.
- Si è ricomposta così
- nel giorno
- la bussola spezzata.
- Mi adeguo
- Mi adeguo
- a questa complessità
- che cresce a dismisura
- intorno a noi,
- svuotando le anfore antiche
- dei codici,
- bevendo le cifre sterminate
- della luce,
- mi adeguo
- alle immagini ed al cuore
- via satellite,
- catturando i filtri
- dove riposano
- le intenzioni lunari dei computer.
- Scandito dal ritmo secco
- dei quanti
- che volteggiano come uccelli,
- dalle rovine delle guerre
- di cui abbiamo mangiato
- fame e sgomento,
- mi adeguo all'espandersi
- verso l'infinito.
- Anche se verso infinito
- è il retrocedere
- così è l'avanzare
- e all'ombra che rimane
- di un solo granello di luce
- mi adeguo
- perché lì vi è la mano del figlio
- silente
- che aspetta, tra tutte,
- quella sicura del padre.
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