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Paolo Roversi è nato a Suzzara (Mantova) ventuno anni
fa. Giornalista, è iscritto alla facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università degli Studi di Parma.
Ho pubblicato recentemente il suo primo libro con l'editrice
Montedit.
Musica per vagabondi
ed. Montedit, Melegnano, pp. 64 (12X17), Lit. 8.500,
ISBN88-86039-94-8
Non è facile valutare un'opera prima
(perché tale auguriamo che questo libro sia per Paolo
Roversi): a volte sono proprio certi aspetti meno appariscenti quelli
che poi il critico professionale recupererà dopo che lo
scrittore, ora in erba, avrà pubblicato opere
più mature e importanti. Anzitutto v'è un taglio
autobiografico che, da elemento carsico che percorre i diversi
racconti, affiora chiaramente in Alla faccia di Fante. È la
speranza di ogni scrittore: «Chiamare a comando l'attenzione,
l'ispirazione, la fantasia e dire ecco: sono pronto per comporre, per
stendere una storia da lasciare il lettore senza parole».
Ma vi si coglie pure la tendenza a soffermarsi sugli aspetti
chiaroscurali della realtà e un certo pessimismo non di
maniera. Le prime venti righe di Sul lungolago dei Gonzaga potrebbero
essere uscite dalla bocca di Marlowe, il detective privato -
dall'ufficio costantemente pieno di polvere e di disordine, e della
cui finestra trapelano i notturni lampi rossi dell'insegna del bar
sottostante - che lotta, senza troppa convinzione, contro un mondo in
cui il potere e la povertà, il vizio e la sofferenza sembrano
essere stati assegnati, per un decreto del destino, a personaggi che
non se li possono scrollare di dosso e dove le atmosfere della
città forniscono le quinte sul cui sfondo si agitano
personaggi in gran parte perdenti, rassegnati, come in fondo lo
è Marlowe stesso (alias Horace o Henry Radeschi).
I perdenti rappresentano un leit motiv in questi racconti di Roversi,
gente, appunto, che fugge senza sapere che la «fuga è una
strada che non porta da nessuna parte». Tali sono i protagonisti
dell'incontro casuale tra Hank, perdente predestinato, con C. B.
Saville, perdente (del bel mondo) per scelta (ma sino ad un certo
punto) che decide per una soluzione finale alla Hemingway. Tale
è il Frank di Un paese fra l'America e la mafia: «Lui era
stato sconfitto, come il suo paese in fondo».
Forse non tutti i racconti si collocano allo stesso livello. A
proposito del racconto Uomini surgelati si potrebbe forse sollevare
qualche obiezione: ma possono essere serene le riserve di chi si
sente parte in causa? Tuttavia ciò che li riscatta dalle
eventuali discontinuità è il linguaggio: tra il
giornalistico (cioè essenziale) e il marlowiano (cioè
ricco di atmosfera). Le proposizioni sono generalmente rapide e
sintetiche, alla continua ricerca di un punto che eviti ogni
appesantimento del periodo. Insomma, seguono (forse senza saperlo, ma
qui sta il merito) le leggi di quella clarté che nella
tradizione letteraria francese fa corrispondere ad ogni pensiero una
frase, e una soltanto.
Se vuoi leggere un racconto completo: Sul lungolago dei Gonzaga