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               COME
               IL GABBIANO PRIMA DI PLANARE Quasi assopita,
               nell'abbraccio del maglione di lana grossa, cullata
               dal tintinnare ritmico e continuato del vagone sui
               binari, guardavo il mondo passare, oltre la
               trasparenza rettangolare del finestrino, e mi sentivo
               al sicuro. Seduta immobile pensando al passato con
               rimorso, con gioia, rimpianto, rassegnazione,
               nostalgia, sapevo che ormai quel pezzo di vita era
               così che era andato, ed anche volendo, ma non
               ne avevo assolutamente l'intenzione, non avrei potuto
               cambiare più nulla. "Il dado è tratto"!
               Non è cosi che si dice? Ma si, anche se non ho
               fatto gli studi che volevo, anche se per tante cose
               non è andata come speravo, che differenza fa?
               Ormai sono qui. Ci sono lo stesso, anche con i miei
               dubbin le mie incertezze, i miei fallimenti, le mie
               imperfzioni, gravi o meno gravi, e continuerò
               ad andare avanti, ad aver paura, a soffriren, a
               ridere, a correre, a sperare, e sognare. Il futuro
               certo mi spavente ancora: quello che ho affrontato in
               questo quarto di vita non è nulla in confronto
               a quello che sceglierò camminerà con me
               per mano fino all'ultimo giorno? Che ne sarà
               dei miei genitori, dei miei amici, di Mari E., di
               Tommi? Ma si, che ne sarà di lui? Vivrò
               per sempre nella stessa città o viaggerò
               per il mondo  come una pallina impazzita,
               approrpiandomi di usanze non mie per sentirmi a casa
               ovunque io sia? Forse resterà tutto come
               adesso. E mi piacerà sempre la vita che
               costruirò? oppure mi accorgerò troppo
               tardi di aver sbagliato tutto? Avrò dei figli?
               Che madre sarò? Saprò essere forte
               abbastanza? Riuscirò a non fare gli stessi
               errori di mio padre, ad essere più matura di
               quanto sia stata mia madre? Dovrò piegarmi,
               modellarmi, seguire il flusso della vita o trattarla
               con forza per far volgere gli eventi nella direzione
               che voglio? Non lo so, non lo so proprio. So solo che
               adesso sono qui e percepisco la mia esistenza come
               parte di un'unica globalità. Il nostro essere
               tanti, tutti diversi, divisi in categorie, in ceti,
               selezionati a seconda della provenienza, della
               professione, non ha potere di fronte al destino,
               comune ed uniformante. Allora mi chiedo se non sarebbe
               meglio calare l'ancora e rimanere immobili. Non
               desiderare più niente, non volere, non lottare,
               nutrirsi di pura esistenza; come gli animali. "Se tu
               fossi un animale, quale vorresti essere scegliendo tra
               un pesce, un uccello o un animale terrestre?" mi aveva
               chiesto una volta un'amica che studiava psicologia:
               "Un gabbiano!" -avevo risposto. "Sai cosa sognifica?"
               - "Forse che non ho paura di prendere l'aereo?" -
               "Certo non è detto che non sia una spiegazione
               possibile, ma in realtà hai scelto un volatile
               perché è l'unico che può vedere
               tutto, ma proprio tutto del mondo e per giunta
               può osservarlo da una prospettiva dominante,
               senza toccarlo e senza esserne toccato." - "Allora
               qual è il motivo della mia risposta secondo
               te?" - "A mio parere questa scelta tradisce una certa
               insicurezza. Hai paura di farti coinvolgere troppo.
               Preferisci vedere come si comportano gli altri. Vuoi 
               giudicare ma hai paura di essere giudicata". Si, ci
               aveva propiro azzeccato la mia amica
               ""strizzacervelli". Anche allora sul treno stavo bene
               perché mi sentivo liberata dal peso di dovere
               muovere la mia piccola parte del mondo. Ogni azione,
               ogni scelta, ogni gesto voluto o non voluto che sia,
               ricade sull'altro che a sua volta agirà,
               sceglierà, deciderà in maniera che gli
               altri attorno a lui si muovano di conseguenza o si
               ribellino. Ma spesso capita di non trovare il senso,
               un motivo, la meta da raggiungere, ed allora non ce la
               fai più e vorresti spengere la luce. Per
               sempre. Quello che ci frega è pensare di non
               potersi mai ritirare dalla partita, anche se il
               campionato continuerebbe lo stesso con o senza di noi.
               È distruttivo pensarla così? Secondo me
               no. Il gabbiano dall'alto si isola dal resto
               dell'umanità ma decide di tornare a farne parte
               dopo aver ponderato attentamente ogni soluzione. E
               forse è così che trova la via migliore:
               ascolta sé stesso e si lascia guidare dalla
               natura. Tante volte vorrei davvero trasformarimi in un
               altro essere. Lo vorrei a tal putno che mi chiedo il
               perché tra tante combinazioni possibili in
               questa parte di universo, le cellule che compongono la
               scatola della mia anima, si siano aggregate proprio in
               questo senso. Avrei potuto diventare una pianta, un
               batterio, un insetto
 Invece ci sono io. Ci siamo
               noi. "L'uomo è un animale politico, economico,
               sociale
". Reminiscenza di qualche lezione di
               antropologia. A parte questi aggettivi appioppati alla
               nostra specie da chissà quale illumianto
               pensatore, non credo di aver bisogno di molto di
               più di quanto non richiedano gli latri esseri
               per vivere. Come mai allora sentiamo dentro di noi una
               tempesta perenne, come se ci trovassimo al centro di
               un campo magnetico impazzito? Forse perché
               della vita consumiamo solo quello che c'è in
               più, lasciando appassire ciò che rimane
               di veramente essenziale in noi. "Devo rotrovare il
               vento favorevole, forse non sarà dopo questo
               viaggio ma voglio aspettare dall'alto, come il
               gabbiano prima di planare".La porta a vetro
               dello scompartimento si mosse nel senso dell'apertura
               seguita da un sordo fruscio. Solo in quel momento, mi
               resi conto che stavo tutta sbracata sul sedilen il
               bustoo mezzo sdraiato dalla parte del poggiamani e le
               gambe abbandonate sotto ai bocchettoni del
               riscaldamento. "Biglietto!". Mi ricomposi prontamente
               estraendolo dalla tasca dei pantaloni. Avevo evitato di
               metterlo in borsa proprio perché non mi andava
               di fare tanta fatica a cercarlo e per poi rimetterlo a
               posto. "Va bene!". "Chissà se ogni volta che
               entra in uno scompratimento chiede la stessa cosa a
               tutti?". Dall'intonazione pareva di sì. Quella
               voce non sembrava uscita da una persona ma da un
               nastro registrato, tipo quelli del numero
               verde.Mi ero distratta
               seguendo il foli degli altri pensieri che quella
               presenza improvvisa aveva provocato. "Chissà
               dove abita? Quante volte farà su e giù
               per la stessa linea? Penso che sia noioso, soprattutto
               quando becca qualcuno senza boglietto. E se quello non
               vuole pagare
".Ormai avevo
               rovistato sufficientemene tra i sedimenti della
               memoria e mi potevo dedicare ad altre considerazioni.
               Mi scoprii angosciata nel pensare alle persone che in
               quel momento stavano lavorando per far viaggiare quel
               treno su cui c'ero anch'io. "Ecco la mia piccola parte
               di polvere da tirar su, il mio sassolino da spostare,
               che ne farà spostare un altro, poi un cameriere
               sfrecciare da un tavolo all'altro con ogni genere di
               cibo in mano, sempre all'erta per accontentare le
               richieste dei clienti. Qusto tipo d'angoscia mi era
               venuta da qando anch'io avevo fatto la cameriera in un
               locale alla buone e sempre pieno di gente. Quel lavoro
               era durato pochi mesi che bastarono a farmi capire la
               differenza tra "lavoro duro" e "lavoro" e basta.
               Ricordo che ero impegnata da metà pomeriggio
               fino alle due di notte, più il Sabato e la
               Domenica anche per il prenzo, ovvero 16 ore non-stop,
               con turno di riposo il MArtedì Ricordo il puzzo di
               fritto misto che si impadronisce di abiti e cappelli,
               che, quando vai a letto, ti da la nausea ed il mattino
               dopo sembra che ti abbiano cucinato sul cuscino,
               ricordo il mal di schiena perché non puoi 
               metteri neppure un attimo a sedere, ricordo che
               toccava semrpe a me pulire in terra prima di chiudere
               cvisto che ero l'ultima arrivatan ma lo facevo
               volentieri perché saperco che sarebbe stato
               così per sempre. "Grosseto
 ma che ore
               sono? Le sette". Non mi ero mossa di un millimentro
               per tutto il viaggio, a parte per il biglietto. "Che
               sacco di patate! Dai, alza il melone e fatti u
               giretto!".Fuori dallo
               scompartimento l'aria fredda invadeva il corridoio
               esterno soffiando dai finestrini aperti, e mi
               risvegliò completamente. IL treno correva
               veloce. Respirai prifondamente per sentire l'odore di
               quel posto: sapeva di fumo, di chewing-gum e plastica.
               L'odore tipico dei
               treni, di quelli scompartimenti. Quelli con le
               poltroncine sanno anche di polvere ma fanno poco
               "Orient-express", sono meno romantici, troppo
               luminosi, poco intimi, poco confortevoli.Appoggiai la fronte
               al vetro. Avevo paura di sporgermi. Fuori era
               già buio. Chiusi il finestrino e rimasi a
               guardare le lucine di qualche paese che scivolano via.
               Non era divertente stare lì imbambolata a
               fissare il vuoto. Avrei preferito viaggiare di giorno
               per godermi il panorama. Sbirciai appena nello
               scompratimeto alla mia destra: c'erano quattro ragazze
               all'incirca della mia età. Tenevano la
               scorrevole aperta e parlavano ad alta voce per
               contrastare il rumore del convoglio. "Non posso
               provare a casa, mio padre non vuoe. Fa di tutto per
               scoraggiarmi. Dice che se voglio mi posso esercitare
               in conservatorio, ma come faccio se devo seguire le
               lezioni?" - "Io ho trovato una solzione, sai ho dei
               vicini che
 magari anche loro hanno ragione, ma
               non posso fare un accordo neppure all'ora di
               pranzo!Così mi sono
               arrangiata: tutte le volte sciaquo le corde. Senza
               grasso vobrano meno, fanno solo fruscio, ma la nota la
               prendi comunque". Questi all'incirca erano i discorsi
               che avevo captato tendendo l'orecchio in quella
               direzione. Poi avevano cominciato a parlare fitto
               fitto di un concorso per violinisti. Dentro di me
               augurai a quella con ilpadre rompi-palle di poter
               vivere della sua passione, di tenere duro, di
               potercela fare. Anche a me erano stati messi i bastoni
               frale ruote: ormai era tanto che non disegnavo
               più. Tommaso invece non faceva altro. Mi
               piaceva vedere la mia figura ritratta. Ero stupita di
               quanto fossi bella nel bianco e nero dei suoi
               bozzetti. Possibile che mi vedesse davvero
               così? "E comunque vedi" - mi stavo dicendo- "la
               mela non cade mai tanto ontana dal suo albero".
               Cominciavo a capire: quello che mi legava a T. forse,
               era proprio il fatto che fosse riuscito a fare
               ciò che io non avevo potuto, come se con lui mi
               fossi presa una rivincita; una magra consolazione, una
               ripicca, per rovinare tutto!". Rimasi turbata dalla
               violenza che questa rivelazione mi scatenò
               dentro.All'improvviso, per
               caso, scoprivo in quell'istante la verità,
               scalfivo la crosta dei sentimenti.Dentro di me
               cresceva un rancore assordante, inappagabile e mi
               voltai di scatto come a volermi difendere. Nello
               scompartimento alla mia sinistra c'era un ragazzo
               seduto, indossava una divisa da militare, poggiava i
               gomiti sulle ginocchia tenendosi il mento con una
               mano.Cercai di sostenere
               il suo sguardo ma visto che non mollava ripresi a
               fissare il buio e dopo poco tornai al mio posto.
               Doveva avermi vista subito, appena ero uscita nel
               corridoio.Quanto tempo mi ero
               trattenuta fuori? Quindici minuti circa. Mi fece
               piacere pensare cje fosse stato lì tutto il
               tempo a guardarmi. Indossavo dei pantaloni aderenti
               color verde bottiglia con le tasche ai lati in cui mi
               sentico scolpita. La frivolezza e la malizia di quel
               particolare mi avevano aiutata ad accantonare i miei
               pensieri neri."Si può,
               è libero,". MA che sorpresa! Certo ci vuole una
               bella faccia tosta! E se io mi mostrassi antipatica e
               gli dicessi di no?! Non avrà mica brutte
               intenzioni? - "Si, si
" risposi sorridendo
               appena, ritirandomi vicino alla mia roba con le gambe
               accavallate. "Non vorrei disturbare ma è da
               quando sono salito a torino che stò zitto!".
               Indossava la mimentica e gl anfibi;  classico borsone
               dei parà al seguito e capelli coritssimi. Non
               mi sembrò per nulla pericoloso anche
               perché si era seduto molto distante, dall'altra
               parte della cabina: io vicino al finestrino, lui
               accanto alla scorrevole aperta. "Piacere Fabrizio!" -
               "Alessandra" - spostandomi per accolgiere il suo gesto
               di stringermi la mano. "Da dove vieni?" - "Io da
               Livorno, e ti dove vai?" - "A Roma, sono di Roma.
               Faccio il militare a Torino. Questo mese è
               l'ultimo poi torno a casa." - "Ah bene, sarai
               contento!?" - "Mica tanto
". Chissà
               perché spesso si è più propensi a
               parlare di noi con le persone che non coosciamo
               affatto. "Come mai? Hai lasciato qualcuno su?" - "No,
               sono libero, ma il fatto é che dopo quasi un
               anno fuori casa, mi sento cambiato. Non ho proprio
               voglia di ritoranre a fare lo studente, il figlio, il
               ragazzetto. Non sono più così io. E poi
               forse mi piaceva la caserma." - "E perché non
               rimani?" -"Si ci sto pensando, non lo so ancora. Anche
               se sento che faccio uno sbaglio se non resto." -
               "Allora firma e resta dove sei!" - "Si, potrei, ma non
               so spiegarlo neanche a me stesso: mi sento come quando
               uno va alle corse e sa che quel cavall srà
               vincente, ma non lo gioca. In fondo chissà,
               forse è più bello avere qualcosa da
               desiderare, forse non mi aspettavo che sarei cambiato
               così. E te dove vai?" - "Da mia cugina, in
               Abruzzo." - "E cosa fai a lIvorno?" - avrei voluto
               dirgli che facevo la commessa, o la barista, o
               qualsiasi altra cosa, ma le parole "lavoro in banca"
               proprio nonmi uscivano dalla bocca. Mi sembrava di
               volermi dare un tono, di avere la puzza sotto il naso,
               così risposi vagamente: "Faccio
               l'impiegata
" - "Ah, e ti piace?" - "No, fa
               proprio schifo!"; Mi pentii subito di aver tirato
               fuori quella risposta. La trovai irrispettosa per
               tutti quelli che sono disoccupati, ed anche per lui
               che non conoscendomi avrebbe potuto inquadrarmi come
               una un po' nevrotica e viziata. "Cioé, non
               è che mi fa priprio schifo, è che non mi
               sono inserita bene, sa è un ambiente
 si
               insomma, ognuno pensa per sé. E tu cosa facevi
               prima di partire per il militare? - "Studacchiavo,
               facevo lettere" - "Non ci posso credere, è una
               coincidenza!Anch'io andavo a
               lettere" - "Ah si? E poi hai finito?" - "Non, non mi
               interessava più. Ma te come mai hai scelto il
               servizio di leva? A lettere sono tutti obiettori!" -
               "Si, ma io non ho la stoffa per fare l'intellettuale.
               E poi secondo me quelli sono tutti dei falsi
               populisti, hanno attaccato il cervello al muro e tanto
               per farsi sentire cominciano a criticare tutto e
               tutti"-"Si è vero,
               è tutta gente che ha dei problemi
 ma di
               mente dico! Ogni volta che andavo in facoltà mi
               sentivo la pecora nera, ma pietra dello scandalo, sai
               non avendo la faccia ricucita di metallo, vestita
               dosì, troppo asettica per quelle zeccacce!" -
               "Come fai a conoscere questo termine, non è
               toscano mi sembra?!" - "Lo so, me lo ha insegnato mio
               cugino, è di Roma anche lui. Comunque se posso
               darti un consiglio, io non rimpiango di aver smesso:
               preferisco sopportare il capo a lavoro e beccarmi lo
               stipendio, piuttosto che stare sempre a dipendere dai
               genitori. L'unica cosa è che vorrei un lavoro
               più tranquillo, meno  competitivo.Te sei
               avvantaggiato, sai già cosa ti piace!" - "Eh
               si, mi sa che ti darò retta
 magari questo
               incontro, questa chiacchierata, sono un segno del
               destino". Ormai avevamo rotto il ghiaccio.Le nostre posture
               manifestavano chiaramente che non ci sentivamo
               più a disagio. Adesso stavamo seduti vicino,
               l'uno di fronte all'altra e parlavamo sorridendo
               guardandoci negli occhi. Mi fece tenerezza: si sentiva
               colo ed era venuto a scambiare due parole con me senza
               porsi il problema che avrei potuto interpretare male
               la sua confidenza. Forse so era fatto avanti
               perché mi aveva vista sola, forse avevo anch'io
               l'aria di una che ha bisogno di parlare. "Cosa ti
               è piaciuto di più durante quest'anno
               fuori casa?" - "Mah!, un po' tutto
 forse la
               possibilità di essere indipendente, fare un
               lavoro dinamico, utile. Poi ho conosciuto ragazzi di
               tutta l'Italia. È bello, non ti senti diverso o
               solo, perché siamo tutti diversi, ognuno parla
               il proprio dialetto è un'esperienza". "Hai il
               ragazzo?" - "No." - mi era venuto spontaneo! Non era
               la verità, ma neppure una bugia, perché
               più quel treno mi portava via, più mi
               sentivo libera da ogni legame, come se non
               appartenessi a nessuno e a nessun posto, totalmente
               proiettata in un futuro che desideravo diverso. La
               domanda brusca ed inaspettata che Fabrizio aveva
               tirato fuori mi aveva sorpresa, e, non posso
               nasconderlo, lusingata. Non l'aveva fatta casuammente,
               tanto per parlare, visto che inclinava la testa e si
               mordeva le labbra, nervosamente. "E te?" - No, io il
               ragazzo non ce l'ho mai avuto!". Scoppiammo a ridere,
               tra noi due si era creata un'intesa maliziosa. "Sai
               che mi hai fatta arrossire prima quando ero in
               corridoio?" - "Ah si? E perché?!" -"Perché???
               Ma ti sembra normale fissare una in quel modo? Non la
               smettevi più!" - " È veroo, l'ho fatto
               apposta, ma ti sei girata appena in tempo; stavo per
               voltarmi anch'io. Devi avere un bel caratterino!" Il
               treno rallentò: "Siamo già a
               Civitavecchia. Accidenti, potevamo incontrarci prima,
               ci saremmo potuti conoscere meglio. Sei simpatica sai?
               Un'altra al tuo posto sarebbe rimasta tutta sulle sue
               senza filarmi" - "Ehi, ma ocosa ti credi? Guarda che
               io sto sulle mie, non pensare di poterti prendere
               troppe confidenze caro il mio soldatino! Ho solo una
               buona educazione" - "Allora siccome anch'io sono ben
               educato ti offro una cena! Panino e aranciata,
               facciamo a metà?" - "Ok!". Mi ero proprio
               lasciata andare. Ma si, ogni tanto fa bene prendere
               quello che viene, la vita regala così poche
               soddisfazioni. Stavo bene, e non mi succedeva da tanto
               tempo di sentirmi così spensierata.
               Perché non mi sarei dovuta comportare
               liberamente, tanto Tommaso avrebbe fatto una brutta
               fine comunque. Ci eravamo divisi il panino tirato
               fuori dal borsone ed avevamo bevuto alla stessa
               lattina. Era stato intimo appoggiare le labbra dove le
               aveva appoggiate lui e sentire ancora il suo calore
               sul metallo. Ad "ostiense" ci fermammo dieci minuti la
               gente era già uscita dagli scompartimenti e
               faceva la fila pronta ad uscire : " Anch'io mi dovrei
               preparare. A Termini devo prendere la coincidenza per
               l'Aquila" - " Peccato il tempo è colato, e noi
               non ci lasciamo così? Nessuna speranza di
               rivederci?" - "Si, lasciamo fare al caso, non è
               più bello? Così in qualunque posto ed in
               qualunque momento potremo sperare di incontrarci
               all'imlprovviso; sarebbe una sorpresa, ti da un
               po'quella sensazione di essere spiati, no, non proprio
               spiati
 insomma di essere al centro
               dell'attenzione, che ne so, tipo "Grande Fratello" -
               "Cioè?" - "Cioé che magari ti vedo da
               lontano, aspetto a chiamarti perché non ti
               riconosco bene, ti seguo, ti scruto capito? ma tu non
               farti trovare con un'almtra se no finisce il gioco!" -
               "È un trovata un po' strana, ma non ti voglio
               forzare. Magari da qui a quando siamo arrivati cambi
               idea!". Ci pìreparammo ion silenzio ed uscimmo
               per metterci in coda agli altri. Io stavo appoggiata
               al finestrino con un fianco, lui dietro di me, molto
               vicino. Ad un certo punto mi passò un braccio
               attorno alla vita: lo lasciai fare. Stavamo bene,
               sembrava naturale. Scambiammo ancora poche parole sul
               tempo che faceva, perché piovigginava, sull'ora
               che avevamo fatto, ed altra cose così e mi
               sembrava di conoscerti da anni. "Quando scendiamo ti
               accompagno al binario,".Lo aveva appena
               sussurrato appena al mio orecchioper non farsi sentire
               da tutta la gente che era li in fila come
               noi.Risposi con un
               sorriso, e mi appoggiai a lui ancora di più;
               volevo fargli capire che mi piaceva, che non volevo
               che smettesse. Roma Termini. Scendemmo, gli lasciai
               prendere le mie cose senza fare complimenti, cercammo
               il binario, ci avviammo insieme. La coincidenza era
               già lì. Montammo.Non c'era quasi
               nessuno a parte qualche pendolare assonnato. Lui mi
               aiutò a mettere tutto a posto, poi lo
               riaccompagnai all'uscita. Rimasi sul predellino
               dell'apertura. "Grazie!" - "Per cosa, non l'ho fatta
               mica gratis!" - "E quanto vuoi?" - "Un numero a dieci
               cifre"- " Sei troppo caro, la prissima volta mi
               sceglierò un altro facchino" - "Allora non ahi
               ancora cambiato idea, non vuoi che ci scambiamo i
               numeri di cellulare?" - "'Dimmi il tuo, se me lo
               ricorderò vorrà dire che era destino.
               Comunque mi ha fatto bene conoscerti, e non sai
               quanto" - "Anche a me, e spero che questo treno non
               parta più!" - "Nonmi avrai mica fatto sbagliare
               binario!" - "No, ma spero in uno sciopero lampo.
               Potresti fermarti da me sta sera!"- "Mi dispiace per
               te ma ho dei parenti a Roma che mi ospoterebbero
               senz'altro, e poi esistono gli alberghi ma
               semmai dove mi porteresti?" - "P^rima al Gianicolo per
               vedere tutta la città illuminata, poi a cena a
               Trastevere, dopo potrmmo passeggiare nel centro
               storico tra le rovine del colosseo e del Tempio delle
               Vestali. Poi ti porterei a Fontana di Trvi per buttare
               la monetina ed esprimere il desiderio di stare ancora
               con te." - "È bello, mi piacerebbe fare tutto
               quello che hai detto. Sai, la gente che ci vede
               penserà che stiamo insieme!" - "Allora facciamo
               che fino a che il treno non pìarte stiamo
               insieme davvero". E ci fu un bacio dolcissimoe
               lunghissimo. OCme quelli delle pubblicità dei
               diamanti! Il fischio del capo-stazione che aveva
               cominciato a chiudere le porte sbattendole forte,
               aveva dato il segnale: fine delle riprese. "Ciao
               Fabrizio, tanti auguri" - "HGrazie, auguri anche a te,
               sei in gamba? Ciao." - "Ciao".Rimasi affacciata
               fuori fino a che non mi accorsi di essere ormai nel
               buio. |