- La
stufa a gas
-
- La
littorina della ferrovia Circumetnea arriva in
stazione alle 7.15 puntuale, sbucando da una curva a
destra e sibilando a lungo prima di comparire. Le
prime case del paese sono lontane poche centinai di
metri, separate da una tipica vegetazione
mediterranea, attecchita tra le vecchie colate laviche
di chissà quanti secoli. In stazione siamo
quasi tutti ragazzi, pronti a saltare su, appena le
porte si saranno aperte. Pochi sono gli operai che si
spostano con la ferrovia. Due o tre muratori e qualche
vignaiolo.
- Alla
ripresa della scuola, il 1° ottobre, ho appena
compiuto i quattordici anni, e mi appresto anch'io a
salire su questa sgangherata vettura che mi
porterà in un altro paesino della cintura
Etnea. Al mio paese ci sono tutti gli istituti "di
questo mondo", ed io proprio uno sconosciuto dovevo
scegliere, tra le proteste di mia madre che non vuole
che questo figlio, piccolo e minuto, debba ogni giorno
allontanarsi dalle sue gonne per frequentare una
scuola quasi sconosciuta e lontana da casa più
di venti chilometri. Ma questo paesino freddo
sull'Etna, quasi misterioso, mi ha convinto, a fine
agosto, ad andare direttamente in segreteria assieme a
due amici, e saltare una volta per tutte il fosso,
visto che siamo rimasti indecisi per troppo tempo su
quale indirizzo scolastico intraprendere. A distanza
di anni mi accorgo, ed è stupefacente, come le
scelte compiute nell'adolescenza avvengano più
seguendo l'istinto del momento che la vera attitudine.
Eppure era una scelta vitale quella che stavo per
fare; solo che non avevo &endash; come tutti &endash;
la coscienza delle decisioni storiche, uniche e
irripetibili. Solo il tempo mi avrebbe detto se la mia
decisione fosse stata giusta. (A dire il vero non
sapevo nemmeno che ci sarebbero stati in futuro anche
questo tipo di giudizio e questa resa dei conti). Da
ragazzi si sceglie e basta. La storia personale, il
tempo, non esiste niente. Nessuno di noi, del resto,
aveva chiesto consigli ai genitori su quale strada
seguire: semplicemente non era previsto. Loro ne
sapeva quanto o forse meno di noi. Quelli della mia
generazione, in Sicilia, non sono stati guidati alla
vita, né educati. Ci siamo tutti, chi
più chi meno, autoeducati. E le scelte noi le
abbiamo fatte tutte sulla nostra pelle, quasi sempre
sbagliando. Le esperienze, i metodi, il "mestiere
della vita", erano tutti degli ingranaggi che venivano
tramandati verbalmente per strada e a voce bassa,
velati da una sorta di mistero e da una connotazione
personale. Era così e così sarebbe
stato. La vita in Sicilia bisogna costruirsela, e
prima si inizia meglio è. Non c'è niente
di sicuro, nessuno ti può garantire che un
giorno sia uguale ad un altro.
-
- Quella
mattina, 1° ottobre 1964, iniziava una nuova
vita: nuovi amici, nuovi insegnanti, un nuovo mondo e,
soprattutto una nuova materia; la chimica.
- <Non
ho ancora capito cos'è questa chimica>, mi
chiese tra lo sbigottito e l'incredulo mia madre,
quanto finii di ripeterlo per la quarta volta!
- <È
una materia nuova, non preoccuparti. Sarà il
mio mestiere da grande>. Sì, un nuovo
mestiere, ma io stesso non sapevo un giorno dove
andare a lavorare, visto che dalle mie parti nessuno
sapeva cos'era una fabbrica, né com'era fatta.
Una cosa s'era capita in casa, e mia madre sembrava
stare quantomeno in fase di allerta: che questo figlio
non avrebbe fatto il mestiere che da decine di
generazioni s'era sempre fatto, senza nemmeno fiatare,
né opporsi al destino. Il muratore non l'avrei
mai fatto. Chiunque aveva intuito che non era il
mestiere adatto a questo figlio, che non voleva
né crescere, né prendere quel po' di
peso come si conviene nelle famiglie a cui non manca
il pane in casa.
- <Questo
figlio mi sembra un rivoluzionario>, sentenziava
scoraggiata mia madre tutte le sere, allorché
presentava il resoconto dell'intera giornata a mio
padre. Ma era tardi, e mio padre troppo stanco
perché la stesse a sentire più del
necessario. C'erano altri problemi che bisognava
affrontare in quelle poche ore trascorse assieme e da
svegli. I conti della famiglia che non quadravano
mai, questi erano i veri problemi. Due figli da
mantenere, la moglie e la casa, come diceva mio padre.
Troppo su due sole spalle, ma lui non fiatava, e
tirava la carretta come un somaro, sei giorni su
sette, per dodici mesi all'anno, senza soste previste
o impreviste. Lavorava e basta. Lo stomaco dei figli
non conosce soste, reclama tre volte al giorno,
puntuale e inflessibile al tempo e alle mode.
Già da piccolo cominciai a conoscere il valore
della saggezza antica. E le sentenze dei genitori
erano sentenze definitive.
-
- Il
1° ottobre in Sicilia ci si veste ancora con una
camicia o al massimo con un maglioncino.
- I
libri sottobraccio tenuti assieme da una cintura
elastica e via, alle sette del mattino.
- I
primi giorni, tutti noi ragazzi abbiamo il naso
attaccato ai vetri della littorina, pronti a scoprire
quel mondo che via via ci sarebbe divenuto familiare.
Là le colate laviche, lì gli uliveti,
là le ginestre, oltre la fermata di Scalilli, i
vigneti coltivati a terrazza. La piana di Catania, in
lontananza, era una macchia verde di aranceti e
sembrava di sentirne il profumo. Lontano il cratere
dell'Etna, sempre fumante, col pennacchio ora bianco,
ora grigio di sabbia. A noi il vulcano non ha mai
fatto paura; la paura non ci è mai stata
trasmessa da nessuno. Sulle colate laviche ci
camminiamo, è vero, ma per noi sono lontane due
o tre secoli e non ci trasmettono nessuna
sensazione.
- Un
viaggio di venti chilometri dura circa un ora.
È davvero lenta questa littorina, si deve
arrampicare, fa fatica, avrebbe anche voglia di
sbuffare, e se avesse la parola potrebbe anche
bestemmiare. Le fermate non sono poi così
tante. Qualcuna in aperta campagna, una sola in una
stazione, a Santa Maria di Licodia, dove iniziano gli
uliveti che danno la ricchezza a questa gente di mezza
costa. Il paesaggio è stupefacente, è
come viaggiare dentro un quadro d'Autore. Il
conducente parla e scherza con noi ragazzi, ci
richiama come un buon padre, ci raccomanda di non
sederci lì davanti, accanto a lui, alla sua
destra, dove c'è il motore, e di non fumare
perché siamo ancora troppo giovani. Quel
viaggio lento riesce anche ad essere movimentato;
incomincia ad essere una palestra di vita, dove i
più giovani ascoltano discorsi strani, e le
dispute tra i più smaliziati ci vedono
spettatori silenziosi. Quell'unico vagone della
littorina ha l'aria ed i toni di un mercato arabo.
Chissà, tutto sommato, lavorare un giorno per
la ferrovia non sarebbe poi così male, penso.
Ma non posso fidarmi dei miei pensieri e dei miei
desideri momentanei: sono troppo volubile, ed è
meglio non parlare troppo dei miei gusti
fugaci.
- Finalmente
si scende. L'aria qui è davvero frizzante,
mette qualche brivido se non si è coperti.
Chissà come sarà l'inverno da questi
parti, mi fa notare Orazio, un nuovo compagno di
viaggio che verrà inserito nella mia stessa
classe. È più alto di me, magro come me,
con gli occhi più chiari dei miei. Occhi buoni,
di quelli che non ti tradiscono, penso. E lo eleggo,
in segreto, mio amico, quello che diventerà il
mio migliore amico.
-
- L'istituto
è quasi adiacente alla ferrovia, al di
là della stazione. Bisogna solo aggirare i
binari, attraversare una stradina sterrata e
ritrovarsi davanti al cancello imperioso, in ferro
battuto, della scuola. Questa è una costruzione
imponente: non saprei dire se è nata come
scuola o se è stata adattata negli anni alle
necessità. Il preside, ci dicono, non è
mai in Istituto. La scuola è una sezione
staccata di Catania, e a reggere il tutto è
chiamato il segretario, un tipo corpulento, con forte
accento di Adrano, un'inflessione tipica che a noi
ragazzi suona come una litania, e difficilmente ci
sottraiamo allo sberleffo. Il segretario Cipriani
è un'istituzione. Inflessibile come il suo
corpo, duro come le sue guance, deciso come la sua
andatura. Stai a vedere che nella struttura di un uomo
risiede anche il segreto del suo carattere, delle sue
aspirazioni? Davanti al portone, come di duce sul
balcone di Piazza Venezia, diritto sull'ultimo gradino
chiede silenzio. E subito è
silenzio.
- <Iniziamo
a fare l'appello con la 1^ A: Abate, Amato,
Bertino...>.
- Ognuno
dei chiamati si pone alla sua sinistra; finito
l'elenco ci conduce in una grande aula. Una cattedra,
una lavagna, e poi banchi, decine di banchi di colore
verde, di formica, posti in tre file, così
diversi dai banchi delle scuole medie, di legno, caldi
e familiari. Tre finestre lasciano intravedere la
pensilina della stazione ferroviaria. Anziché
entrare il sole da quelle finestre, ho l'impressione
che entri più il freddo. Qualche settimana
ancora e avremmo indossato il cappotto in aula. Mi
accorgo che sto crescendo, e che forse comincio a
pagare il prezzo delle mie illusioni.
- Passano
i giorni e le settimane. L'unico elemento importante
è la focaccia farcita che la mamma di Orazio
prepara una volta la settimana. È una pagnotta
di pane fresco con dentro i broccoletti "affogati" con
formaggio, salame e olive nere. Peccato non avere
anche un buon bicchiere di vino di San Vito, quello
che consumiamo giornalmente a casa. Un gruppetto di
amici riusciamo, tutte le settimane, ad assaggiare
questa focaccia, ed è una vera magnificenza, un
canto gregoriano che riesce ad innalzarsi nei cieli
più alti. Con il nostro egoismo riusciamo quasi
a non farlo pranzare, povero Orazio, decisamente il
più buono di cuore, ma anche quello che
dimostra, tra di noi, più saggezza, come se
avesse vent'anni anziché quattordici. Come mai
sia così assennato, immune dall'egoismo tipico
dei ragazzi, nessuno se lo chiede.
- A
dicembre, ai primi di dicembre, ne parlo con Orazio. A
scuola fa troppo freddo, batto i denti, sembro un
castoro spelato. E come me anche i miei compagni non
se la spassano. Decidiamo di fare richiesta di una
stufa a gas, di quelle che sembrano le parabole delle
telecomunicazioni. Non sarebbe certo bastata per
un'aula così grande, ma se il bidello la
accendesse alle sette del mattino, faccio notare,
forse per le otto, o magari le dieci, ci sarebbe un
piacevole tepore. Il segretario Cipriani,
l'inflessibile Cipriani, ci fa sbattere quasi a pedate
fuori dalla segreteria. Ci guardiamo attorno,
increduli, silenziosi, quasi tremanti, e non solo per
il freddo. Abbiamo la netta sensazione che c'è
qualcosa che non coincide nel mondo. O forse non
coincide solo nel comportamento di Cipriani? Ho
imparato in quegli anni, a quattordici anni, a pormi
delle domande, e ancora a molte non sono riuscito a
dare una risposta. Le decisione prese per
equità e giustizia sono le meno adottate, e chi
può ne fa volentieri a meno. Incominciavo a
capire che tutto quello che sogni difficilmente si
avvererà. Perché qualcosa si avveri non
devi nemmeno sognarlo.
- Siamo
tornati "scornati" in classe, io, Orazio e Pietro.
Eravamo tre pulcini bagnati, sconfitti pur senza
andare nemmeno in guerra.
- Qualche
giorno ancora, e riunisco, durante la ricreazione
&endash; che aveva il sapore dell'ora d'aria dei
carcerati &endash; tutti i compagni di classe, intenti
chi a mangiare un semplice panino, chi a consumare
tutto ciò che la propria madre aveva loro messo
nel sacchetto di carta. A dire il vero è una
bellissima giornata di sole, e addosso abbiamo tutti
la voglia e l'incoscienza di vivere felici.
- Avanzo
la mia richiesta e chiedo di metterla ai voti:
scioperiamo se il Cipriani non ci compra una stufa. La
nostra è una richiesta sacrosanta, legittima,
è fin troppo evidente. La proposta passa senza
colpo ferire, all'unanimità. Alcuni miei
compagni dimostrano l'entusiasmo delle grandi
occasioni &endash; uno sciopero non era cosa di tutti
i giorni &endash; altri invece ci elargiscono il loro
voto con distacco, quasi distratti. Ho incontrato
altre decine di volte, nella vita, persone che
preferiscono vivere ai margini senza assumersi alcuna
responsabilità, piuttosto che essere
protagoniste o almeno tentare di lasciare una piccola
impronta del loro passaggio. Ho imparato che l'ignavia
è il male peggiore.
- Lo
sciopero è indetto per la metà di
dicembre, quasi a ridosso delle feste natalizie.
Sembra che ci facciamo il regalo di Natale, e non
immagino nemmeno lontanamente che do l'inizio alle mie
sventure.
- Quel
breve tratto di strada sterrata che separa la stazione
dalla scuola non è granché, ma non
è decente nemmeno il numero di scioperanti, una
trentina, ovvero l'intera classe, che può far
paura al Cipriani. Il nostro "potere contrattuale"
è praticamente zero, ma nella nostra
adolescenziale incoscienza quello che stiamo per
attuare è motivo di orgoglio, da raccontare
alle generazioni future. Uno sciopero all'Istituto
Tecnico Industriale non s'era mai visto. Ci stiamo
comportando, insomma, da grandi. Mi pongo alla testa
di questo minuscolo corteo, a cavalcioni sulle spalle
del compagno di scuola più mastodontico, certo
Furnari, un ragazzone di chissà quanti anni
più vecchio di noi, uno che aveva ripreso la
scuola dopo aver provato che zappare la terra dal
mattino alla sera è molto più
faticoso.
- Giunto
sotto il cancello in ferro battuto dell'Istituto, con
slogan inventati al momento, scorgo i capi affacciati
alla finestra del primo piano, la finestra della
segreteria. Cipriani, il professore di lettere
Fichera, l'insegnate di geografia, il bidello
(anch'esso era un'istituzione).
- Sono
euforico. Abbiamo centrato l'obiettivo, tutti ci hanno
visto e riconosciuto, e sicuramente ci daranno retta;
ci avrebbero comprato l'agognata stufa a
gas.
-
- Gli
effetti di quello sciopero non si fanno
attendere.
- Mia
madre è convocata qualche giorno dopo. Devo
dirglielo io stesso che è attesa in segreteria
per comunicazioni.
- <Suo
figlio, mia casa signora, è un capopopolo>,
sentenziò Cipriani a mia madre, e sono le
stesse parole che riporta la sera, fedelmente, a mio
padre, nel dopocena, nel solito resoconto quotidiano.
Mio padre sembra non preoccuparsi. I capipopolo non
esistono più, fanno parte di un passato,
sebbene ancora recente. Eppoi questo figlio non ha la
statura, né la scorza del capopopolo, sebbene
sia testardo e abbia una certa
personalità.
- Gli
effetti non si lasciano attendere, perché nella
pagella del primo trimestre, appare un "sette" nel
primo rigo, quello riservato alla condotta. Significa
essere bocciato a fine anno, e se non riesco a
rimediare, la questione diventerà quantomeno
imbarazzante. Non si è mai visto un alunno
essere bocciato per la condotta, non vorrai essere tu
il primo in Italia.
- <Certo
che no, mamma>, le dico senza nemmeno troppa
convinzione. Non si è mai vista una bocciatura
per motivi banali, ma tutto sommato per noi
importanti. È giusto lottare per una stufa,
quindi al momento opportuno anche il segretario
accetterà la bontà delle mie lotte. Da
allora non ho più perso il "vizio" di stare in
prima linea quando le circostanze me lo hanno chiesto,
né di lottare anche per gli altri, quelli che
distrattamente ti dicono di stare con le tue ragioni e
poi, anche molto cautamente, si girano dall'altra
parte. Di gente così ne ho conosciuta a
bizzeffe, e ancora oggi continuo a fare gli stessi
errori, a fidarmi incondizionatamente di loro, ad
essere ancora testardo, come diceva mio
padre.
-
- A
giugno arriva la resa dei conti.
- E
vince il segretario Cipriani. Ha semplicemente
schiacciato come un moscerino quel piccolo alunno reo
di stare in prima fila, sulle spalle di Furnari. Chi
impugna il coltello dalla parte del manico non ha
scampo: vince sempre, e senza nemmeno troppa
fatica.
- Mia
madre diceva, nella sua saggezza, che chi mangia fa
molliche, e questa è una delle verità in
cui trovo spesso consolazione.
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