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               IL
               VECCHIO JACK New York era
               così bella in autunno. Una leggera brezza
               ripuliva l'aria dall'odore pesante degli scarichi
               automobilistici, portando con sé il profumo
               delle montagne; le foglie rosse cadevano come fiocchi
               di neve trasportati dal vento; tingevano l'asfalto di
               un bel colore carminio, colorando la città
               altrimenti grigia. Il vento rigido e asciutto feriva
               il viso, ma era piacevole per chi era abituato
               soltanto allo smog; Charles lo respirava da anni. Era
               passata da poco l'alba e la città si
               risvegliava pigramente. Un poliziotto, decisamente
               obeso, sedeva nella sua volante e ingurgitava delle
               ciambelle glassate; affondava una mano grassoccia
               nella confezione di cartone colorato e ne afferrava
               una  tra il pollice e l'indice, portandosela alla
               bocca avida; nell'altra mano stringeva un enorme
               bicchiere di caffè. Osservava distrattamente i
               passanti, inconsapevole delle piccole macchie di crema
               rosa che punteggiavano la sua cravatta scura. Charly
               l'osservò per un attimo, e l'agente lo
               ricambiò con uno sguardo distratto, quasi un
               atto dovuto. L'uomo riprese a camminare
               frettolosamente, quasi correndo; la fronte imperlata
               di sudore, il nervosismo quasi palpabile. Quella notte
               si era destato di soprassalto, abbandonando quello
               stato di leggero torpore che separa il sonno dalla
               veglia tanto velocemente che impiegò diversi
               istanti a focalizzare l'ambiente che lo circondava; si
               accorse subito che il vecchio Jack era scomparso.
               Com'era potuto accadere? La sera precedente avevano
               passeggiato insieme per le strade e i vicoli della
               città, come amavano fare spesso; adesso era
               scomparso, volatilizzato. Solitamente terminavano le
               loro serate sedendosi su di una panchina nel parco; si
               tenevano compagnia così, lasciando che il tempo
               scivolasse via, come l'acqua di un ruscello. In quella
               stagione le giornate erano piuttosto rigide ma Jack
               era un ascoltatore paziente; l'amicizia riscaldava
               l'anima e le membra intirizzite. Charles gli confidava
               i suoi segreti, le sue esperienze, le gioie e le
               vicissitudini. Gli confessava l'emozione che aveva
               provato nello sposare, molti anni prima, quella
               ragazzina allegra; non molto bella forse, ma dal
               sorriso radioso e dal carattere solare. Non
               passò nemmeno un anno che nacque la loro
               figlia. I problemi non mancavano, chi non ne aveva del
               resto? Eppure avevano superato ogni ostacolo, insieme;
               erano profondamente legati da un sentimento forte,
               saldo, che il tempo non aveva ancora intaccato.
               Ricordava con nostalgia le domeniche passate al
               Central Park, mangiando sandwich su una tovaglia a
               scacchi bianchi e rossi. Non riusciva a trattenere un
               sorriso ogni volta che raccontava all'amico un
               episodio particolare; era primavera e  tutta la
               famiglia si era recata nel parco per fare una
               passeggiata; non volevano farsi sfuggire i primi raggi
               caldi del sole che si affacciava timidamente, quasi
               schernendo il lungo inverno appena terminato. Sua
               figlia si era avvicinata ad un poliziotto a cavallo
               che pattugliava i sentieri del parco, e aveva
               strattonato la coda dell'animale. L'agente aveva
               mantenuto l'equilibrio per pura fortuna, riuscendo a
               contrastare l'animale che s'impennava e scalciava
               furiosamente. Non appena recuperato il controllo della
               cavalcatura, il poliziotto s'infuriò e non
               risparmiò al padre della monella una solenne
               ramanzina, mentre lui tentava disperatamente di
               trattenere le risa. La famiglia di Charles si era
               trasferita due volte; in entrambe le occasioni avevano
               preso in affitto appartamenti da cui si potesse
               ammirare il parco, un'isola verde in un mare di
               cemento. Era  trascorso molto tempo da quel fatidico
               venerdì pomeriggio, quando il sorriso scomparve
               per sempre dalle sue labbra; Charles si stava
               preparando per uscire dall'ufficio, quando il telefono
               squillò. L'uomo sollevò la cornetta e
               rispose con la leggerezza di chi si sta dedicando
               all'ultimo dovere della giornata, per poi potersi
               rilassare durante il fine settimana di meritato
               riposo. All'altro capo dell'apparecchio una voce
               femminile ruppe il silenzio dei suoi pensieri: <Il
               signor Charles Hanson?>; la donna tentava di essere
               dolce, ma riusciva soltanto ad apparire melliflua e
               fastidiosa. Era un agente di polizia; gli
               annunciò che la moglie e la figlia erano state
               investite da un'auto pirata mentre attraversavano la
               quinta strada, a Manhattan. Erano morte sul colpo.
               Pronunciò quest'ultima frase con particolare
               serietà, come se avesse veramente a cuore la
               sorte di quel perfetto sconosciuto. La donna
               continuò: Charles si sarebbe dovuto recare al
               più presto in ospedale per il riconoscimento.
               Il conducente dell'automobile era stato arrestato, e
               dai primi controlli risultava in evidente stato di
               ebbrezza. L'agente sembrava decisamente compiaciuta
               mentre raccontava questo particolare, come se questo
               potesse restituire all'uomo ciò che aveva
               perso. Charles non riusciva a ricordare molto altro
               circa quella conversazione; rammentava di aver fermato
               un taxi e di essersi recato in ospedale in stato quasi
               catatonico; lo portarono all'obitorio, un'enorme
               stanza, fredda e sterile; un impiegato dallo sguardo
               distaccato spalancò due sportelli ed estrasse
               due lettighe, su cui giacevano i resti mortali della
               sua famiglia. A quel punto qualcosa si spezzò;
               la visione di quel triste spettacolo fu troppo per la
               sua mente già provata.  Erano passati molti
               anni ormai, ma i suoi ricordi erano ancora nebulosi.
               Quando tentava di tornare con la memoria a quei
               giorni, aveva l'impressione di essere lo spettatore di
               un vecchio film in bianco e nero, pieno di righe e di
               spazi vuoti. Seguì la depressione; un baratro
               buio, senza speranza. I primi incontri con Jack si
               risolsero, essenzialmente, con uno scambio di sguardi
               diffidenti; azzurro quello di Charles, scuro quello
               dell'amico. Dopo alcuni incontri fugaci e occasionali,
               i rapporti si fecero più intensi; divennero
               amici, stringendo un legame che andava oltre il
               semplice affetto. Jack sviluppò una brama quasi
               morbosa; sentiva il bisogno fisico dell'amico, una
               vera e propria ossessione. Quante serate passate a
               girovagare senza meta nella notte newyorchese: un
               coacervo di luci, suoni e odori. Amavano osservare la
               gente, le persone che si affaccendavano, che correvano
               di qua e di là come formiche impazzite. Charles
               era stato uno di loro un tempo, ma ne era passata di
               acqua sotto i ponti ormai. Anni? Secoli? Il tempo non
               aveva più significato; era  soltanto una
               scalinata buia senza ringhiere, ogni passo un incerto
               salto nel buio. Stava divagando, dov'era Jack? Ormai
               non riusciva più a concentrarsi, forse era la
               vecchiaia. Se almeno si fosse ricordato con esattezza
               dove si erano recati la sera precedente. Soffriva di
               vuoti di memoria e di allucinazioni. Dov'erano andati?
               Dannazione. La rabbia lo invase come un'ondata di
               marea, tanto che sferrò un calcio a una
               cassetta delle lettere. I passanti si voltarono; lo
               fissavano per qualche secondo, poi distoglievano lo
               sguardo. Doveva calmarsi; perché quelle
               espressioni? Evidentemente non aveva un bell'aspetto.
               Studiò la sua immagine riflessa nello
               specchietto retrovisore di un'utilitaria blu,
               parcheggiata lì accanto. Effettivamente non
               aveva un'ottima cera. La barba lunga, gli abiti
               logori, i capelli spettinati e sporchi. Maledetta
               città, ricopriva ogni cosa di un velo grigio e
               polveroso: macchine, edifici, persone, sentimenti.
               Riprese il suo vagabondaggio; aveva visitato senza
               successo quasi tutti i luoghi in cui si recavano
               solitamente. Si concentrò ancora una volta; si
               premette con forza i palmi delle mani sulle tempie,
               quasi dovesse spremerne fuori dei pensieri coerenti.
               Qualcosa scattò nella sua mente, finalmente
               ricordava. La sera precedente lui e Jack si erano
               recati lungo le rive dell'Hudson. Charly aveva
               scoperto un posticino appartato, da cui era possibile
               ammirare il ponte di Brooklyn e le luci della
               città mentre i rumori della Grande Mela
               giungevano attutiti. Era divertente contemplare il
               flusso di macchine ininterrotto che circolava sul
               ponte, un serpente di metallo senza testa né
               coda. Purtroppo le luci della città offuscavano
               in parte quella delle stelle, ma lo spettacolo era
               ugualmente emozionante. Non si recavano spesso in quel
               luogo, lo riservavano ad occasioni particolari; la
               sera precedente, in effetti, rappresentava la perfetta
               conclusione di una giornata speciale, ed andava
               festeggiata; decisero così di recarsi nel loro
               "posto segreto". Preso dall'emozione, Charly
               cominciò a correre disperatamente; soltanto
               pochi isolati lo separavano dalla riva del fiume. Al
               suo passaggio la gente si scansava. Continuavano a
               fissarlo, posandogli addosso i loro sguardi curiosi.
               Maledetti, inutili insetti, che si togliessero di
               torno almeno. Finalmente giunse nelle vicinanze del
               fiume. Era pomeriggio inoltrato e le ombre si
               allungavano come artigli scuri lungo le pareti dei
               grattacieli. S'infilò nella boscaglia al lato
               della strada, sbucando dall'altra parte in una
               manciata di secondi. Cominciò a ruotare
               velocemente la testa da destra a sinistra stringendo
               le palpebre, lasciando che gli occhi divenissero due
               fessure. Jack doveva essere ancora lì.
               Finalmente lo vide poggiato alla panchina; non
               potè fermare una lacrima che scivolò
               lungo il viso sporco dell'uomo, lasciando una riga
               chiara sulla guancia. Si avvicinò al vecchio
               amico protendendo le mani, in stato catatonico; gli
               occhi sbarrati e la bocca aperta. Si chinò e
               raccolse la bottiglia di Whisky da terra. La
               sollevò, la stappò e ne bevve una lunga
               sorsata. Quando allontanò le labbra dal collo
               di vetro del recipiente, un rivolo di liquore gli
               scese da un lato della bocca e lungo la gola. Si
               asciugò le labbra umide con il palmo della
               mano. Un sorriso soddisfatto si dipinse sulle sue
               labbra; finalmente parlò: <Vecchio Jack, ma
               dove ti eri cacciato? Mi sono preoccupato sai? Ti ho
               cercato per tutto il giorno; ho temuto che qualcuno ti
               avesse portato via>. In mano stringeva una
               bottiglia di Whisky di ottima marca. La sera
               precedente un passante gli aveva regalato venti
               dollari e lui li aveva immediatamente investiti in
               alcol. Beveva tutto ciò che gli capitava a
               tiro: vino, birra e liquori di ogni genere, ma quando
               aveva una bottiglia di vecchio Jack tra le mani, il
               mondo sembrava decisamente migliore. Erano passati
               cinque anni dall'incidente che gli aveva portato via
               la sua famiglia. Dopo i funerali era rientrato nella
               casa vuota  e aveva scorto quella bottiglia ancora
               sigillata, destinata agli ospiti. Charles non beveva
               mai, tranne poche gocce in occasioni speciali. La foto
               della moglie e della figlia  sorridenti, in una
               cornice d'argento poggiata accanto ad un vaso cinese
               in salotto, lo convinse che quello era il giorno
               adatto per stapparla. In pochi mesi perse il lavoro,
               la casa, gli amici, gli affetti; ormai si aggirava
               quotidianamente tra le case del quartiere di Brooklyn,
               mendicando. Alla sera spendeva tutto quello che aveva
               ricavato in alcol, stordendo la sua mente provata. I
               momenti di lucidità erano sempre più
               rari. Charly non pensava a tutto questo; ammirava la
               città attraverso il vetro scuro della
               bottiglia, che ne distorceva l'immagine. Un'altra
               lunga sorsata e le luci si fecero indistinte, i suoni
               attutiti e lontani. Scivolava lentamente nell'oblio e
               continuava ad osservare la città; le luci nelle
               strade si accendevano una dietro l'altra e si facevano
               sempre più sfocate, rade paillettes su di un
               vestito di raso nero. Il ricordo della moglie e della
               figlia si fecero vivi, immagini solide tra i fumi
               inconsistenti dell'alcol; Charles si commosse, ma il
               vecchio Jack era lì per aiutarlo; un'altra
               robusta sorsata gli scaldò le viscere e gli
               annebbiò la mente. Tutto divenne indistinto; un
               vortice di lampi, luci indistinte, colori e suoni.
               Charly sussurrò: <Buonanotte Jack>, poi
               l'oblio. |