- Le
crete del tempo
-
- "Ciao.
- Sto
cercando di trasformare un pensiero in parole, e non
è facile. Sto cercando di mutare forma
all'anima dentro ad un corpo: il corpo che mi è
apparso solo pochi minuti fa attraverso un mojito
liscio e medicinale solo come può esserlo un
infuso di rum cubano alla yierba buena, stroncante e
misterioso esattamente alla maniera del sorriso di una
donna che ti guarda fisso negli occhi.
- Ero
in un locale nuovo e bianco sulla strada che porta
alla casa dove sono stato concepito e nato: nell'aria
galleggiava la mia essenza, la mia tradizione ed il
mio passato.
- Ho
attraversato a precipizio la città lungo questa
strada, non cambiando mai velocità, lanciato
verso il nulla; mentre il motore rombava e ronzava
nelle mie orecchie, l'unico fine, l'unica fretta, era
quella di arrivare a casa, dove avrei potuto congelare
i miei pensieri per te all'infinito. Quei pensieri
poetici e patetici che mi hanno colto questa sera dopo
una Biere du Demon, una Labbat's Ice e un mojiito
immotivato. Non so se ti amo, come tutte le volte mi
sembra la prima volta e mi si confonde dentro la
consapevolezza dell'amore, il desiderio della passione
e l'istinto debole e lontano, eppure presente. Come
uno spirito nel vento cerco di essere trascinato dove
il destino vorrei mi trascinasse, ma non riesco a
deciderlo da solo, dove andare. Ondeggio, e mentre il
rollio della mia povera barca mi pare l'andatura di un
transatlantico semiaffondato, vorrei affrontare coi
miei fragili remi l'oceano intero solo per te... ma
poi mi pento e poi ritorno in mare e mi pento ancora e
ancora risalpo.
- Il
mio mare e il tuo mare sono vicini: sono fatti della
stessa acqua e dello stesso sale come tutti gli oceani
del mondo, ma vorrei sapere, e se ci fosse un dio solo
a lui lo chiederei, se i nostri mari sono fatti anche
delle stesse onde e se la dinamica segue l'essenza.
Insistiamo piano, troppo piano, io e te, con lo stesso
becchettio sulle crete del tempo... Io sono di
sì, ma non solo sogno: lo vedo anche... Ho
dimenticato il tuo viso da sogno, vedo invece il tuo
viso reale, continuo, la tua anima coerente col mio
spirito e i tuoi difetti che ballano coi miei difetti.
Mai forse sono riuscito a trovare chi mi entrasse
dentro volando nel plasma del mio sangue sapendo bene
dove trovare il mio cuore e, soprattutto, correre sui
miei nervi come vento teso, come fai tu con la tua
intelligenza; tu che raggiungi il nucleo del mio
pensiero e spezzi il mio isolamento.
- Una
pazzia, questa lettera, scritta così come
nessuno vorrebbe riceverla: una follia da serial
killer, un vaneggio di pazzo, una cosa di cui avere
paura. Forse ne avrai, o forse riderai... non
so.
- Il
mio non sapere riflette il mistero di una sensazione
regalata dal destino e che il fato stesso, lo sento,
mi porterà via prestissimo".
-
- Non
so che sapore hanno le notti, quando si è
innamorati. Non l'ho ancora capito. Le notti piovose
di lacrimi fini e fitte, che precipitano davanti ai
palazzoni e, se la serata lo prevede, magari davanti
alle torri gemelle della stazione Garibaldi, tra
ponteggi eterni e cantieri inevasi da millenni. Lo
sferragliare di un tram notturno non basta a far
rivivere la notte. Non so perché pensassi
quelle cose, tornando a casa, lontano, ma non troppo,
da Milano, dove lei, insospettabile, magari poteva
anche pensare a me, e magari sentirmi col pensiero,
sempre che il vento soffiasse verso sud.
- Le
ultime parole di quella lettera esaurirono
l'inchiostro della pennaccia di plastica rosicchiata
che stavo usando. La firma rimase un solco trasparente
sulla carta.
- Ore
3: 27. "Buio di primavera nel paese dei balocchi
rotti". Tutte le case dormivano sommesse sotto il
ticchettio della pioggia fine. Il vento spazzava
l'ondulare delle gocce. Uscii con la lettera in mano
senza ombrello, protetto solo da una fida maglietta
con le maniche corte. Non bastò il trance
agonistico per evitare la pelle d'oca e i peli degli
avambracci rigidi e ribelli alla brezza. Ma non si
può aspettare che l'acqua cancelli
l'inchiostro, sciolga la carta, che il tempo distrugga
l'ansia d'amore.
- Ripresi
il bolide, rifacendo a ritroso tutte le mille rotonde
inutili ed enormi che mi separavano dall'autostrada,
proprio quella lingua grigia che mi portava tutte le
mattine al lavoro a venti all'ora, prigioniero della
vita quotidiana, fermo coi miei centotto cavalli tra
piazzisti che si facevano la barba, colletti bianche
che leggevano "La Gazzetta" e studenti automuniti che
dormivano sotto gli occhiali da sole. Ma quella notte
no: il mondo, e Lei, mi aspettavano. Vidi passare i
cartelloni grandi e verdi delle uscite uno ad uno:
Castellanza, Legnano, Lainate e poi il casello,
varcato a manetta col sibilo del telepass. La
pioggerellina si era fatta fitta, a goccioloni. E il
lunotto ne disturbava la caduta tranciandola prima che
toccasse l'asfalto. Sul vetro un tambureggiare di
charleston e grancassa, e grossi schiaffi di
tergicristalli. Che bella l'autostrada
vuota.
- Ore
3: 52. "Osservo i cristalli verdi dell'orologio, si
fondono uno sull'altro e creano una sfera rotante e
ruotano e ruotano. Ho il cervello in pappa.
Freno".
- Il
muro era troppo vicino, molto vicino, accarezzato. Mi
fermai un attimo per osservare lo sfregio. Lo
specchietto destro sradicato e le rughe del cemento
stampate sulla guancia della mia macchina.
- <Chi
se ne frega!>, dissi. <Ho una missione da
compiere. Vale di più>. Risalii in auto.
Entrai a Milano, ma piano piano. Vialoni, transessuali
che smontavano il turno di guardia sotto la pioggia e
mille banchetti di panini e porchetta, che uno si
chiede come fanno.
- Il
centro di Milano alle 4.17 merita una visita
più attenta, con i suoi palazzoni
liberty-neoclassici-razionalisti e chi più ne
ha più ne metta. Illuminati bene o male e
massicci. La lettera, in lacrime, era ancora
lì, piegata, in tasca. La rilessi, fermo sotto
casa sua. Che difficile, che bella. Giusta per lei,
difficile e bella come quelle parole in
cascata.
- Il
suo nido, il nostro nido era proprio lì, tra
alberi di cemento dritti e larghi, tra filari di
finestre della case di rappresentanza ormai
cannibalizzate dalle banche. Resisteva solo casa sua,
la sua piccola e bella casa, preziosa e inarrivabile
per i comuni mortali. La casa di una donna
indipendente con un padre ricco. La casa delle
contraddizioni, dove ci stringemmo per la prima
volta.
- Ore
5.00. "Il nulla è arrivato, il vuoto".
Aspettare seduti su un marciapiede sotto la pioggia
può essere lunghissimo. Ma aspettare cosa? Mi
guardai nella pozzanghera in cui avevo immerso le
scarpacce da tennis che mi conducevano ovunque. Avrei
voluto vedere un uomo coi capelli bianchi, radi,
vecchio, che annaspava verso l'ultimo amore della sua
vita. Ma così non era. Ero, sono giovane. Le
increspature concentriche della pioggia nella
pozzanghera mi restituirono deformato il mio volto di
ragazzo non più ragazzo, i miei capelli neri
impastati sulla fronte. Non lasciate mai il vostro
amore in un giorno che piove. Affidatevi al sole, alla
primavera. Cambierete idea, se ne vale la
pena.
- Le
mie scarpe si trasformarono presto, disciolte
dall'acqua. I miei piedi nudi e sordi divennero
grinzosi.
-
- Ore
5.01. "Non sono più quello di una volta:
l'asfalto freddo sul culo mi rende triste, e mi fa
male la schiena. I miei piedi sono ora coperti di
pelle, il miglior cuoio. Il migliore. Il marciapiede,
Milano, la notte, sono rimasti uguali. Non ho
più amato nessuno così. Come trent'anni
fa. Mi sono sposato e ho litigato ancora. Ma non
è mai stato così. Di quella sera ricordo
tutto, e c'è ancora tutto, esattamente nella
posizione di allora. Piove come quella notte, le
lancette segnano la stessa ora. Siedo sullo stesso
selciato. Qualche facciata è più pulita,
ma le luci sono fatte degli stessi fatoni ballerini di
allora. Le mie basette e i miei capelli sono ormai
bianchi, ho sessant'anni. Li vedo stampati nell'acqua
della pozzanghera tremula, i miei sessant'anni.
Ripenso a quella notte che passai qua sotto, inerme di
fronte all'amore che sfumava.
- Ieri
ho saputo che lei se n'è andata. Per sempre.
Non l'ho più rivista da allora e non penso che
sia vissuta ancora qui, suonando gli anni sul suo
violino, in questo palazzone del padre che ora non
è più di nessuno. Non le diedi mai la
lettera. Quella lettera... in quella lettera lei
è iniziata e finita. Eppure quella carta
c'è ancor: oggi l'ho ripescata da una scatola,
l'ho rimessa in tasca e sono venuta qui. Adesso
galleggia nella pozzanghera, sul pelo dell'acqua.
Forse lei, dal vento dove vola, ora la vedrà,
in fondo anche quelle parole saranno sempre
vento.
- Io
sono ancora pioggia che ricorda pioggia.
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