Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Angela Rizzo
Con questo racconto ha vinto il secondo premio del concorso Club Poeti 2002, sezione narrativa
Il ritorno
 
La stanza era sempre la stessa, come l'aveva lasciata: uguale la disposizione dei mobili, degli oggetti sui ripiani, delle stampe alle pareti. Appoggiò la valigia sul letto e spalancò la finestra, soffermandosi a guardare la distesa dei vigneti, superbamente smaglianti sotto il caldo sole di luglio. Il vento leggero gli portò alle narici gli odori acri e intensi della campagna e provò una dolce sensazione di benessere.
Erano trascorsi cinque anni dalla sua partenza per Milano, dove aveva frequentato la facoltà di Scienze Bancarie, tornando a casa soltanto durante le festività. Ormai non avrebbe più respirato l'aria malsana della metropoli, muovendosi sotto la cappa di un cielo plumbeo e opprimente e non sarebbe stato costretto a regolare i propri ritmi di vita secondo il frenetico attivismo che coinvolgeva tutti gli abitanti: piccole formiche laboriose, ormai rassegnate a chinare lo sguardo a terra, senza più la forza di sollevarlo in alto. "Giovanni, il bagno è pronto." La voce della madre lo distolse dalle sue riflessioni, si slacciò la cravatta e si tolse la giacca, avviandosi nello stretto camerino in cui trovavano a stento posto i vecchi sanitari. Immerso nella vasca, osservò le piastrelle un po' scrostate, perdendosi nei ghirigori dei loro disegni in cui il bianco e l'azzurro sbiadito si alternavano. Da bambino si smarriva in quegli intrecci, individuandovi immagini di volti, figure strane, animali bizzarri, con lo stesso procedimento mentale che consente alla fantasia dell'osservatore di individuare forme precise nelle nuvole che veleggiano nel cielo.
Quando scese dabbasso, nell'ampia cucina rustica, la tavola era già apparecchiata e prese posto accanto al padre che lo accolse col suo sorriso onesto e schietto. Il volto segnato dal sole e dall'aria aperta, lo sguardo franco e i folti baffi ingialliti dal fumo della pipa gli facevano venire alla mente l'immagine dell'uomo che pubblicizzava una birra italiana. Il padre non portava, invece, alle labbra un enorme boccale spumeggiante, ma un calice colmo di vino.
Giovanni ricordò che da sempre la loro mensa offriva l'allegro e bizzarro spettacolo del contrasto fra i piatti spaiati e la sontuosa eleganza dei bicchieri di purissimo cristallo. La loro trasparenza consentiva di ammirare il fantasmagorico balenare dei riflessi paglierini o il rosseggiare della bevanda nelle sue sfumature dall'amaranto al vivace rubino.
Tonio, il fratello quindicenne, diede il via al pasto arrotolando velocemente con la forchetta gli spaghetti al ragù e trangugiandoli con sano appetito, il viso lentigginoso e splendente di salute chino sul piatto. Giovanni lo guardò, osservando che si era irrobustito e sarebbe stato difficile ormai buttarlo a terra, tenendolo immobilizzato fino a quando non avesse urlato: "Mi arrendo! Mi arrendo!". Aveva completato la scuola dell'obbligo senza particolare entusiasmo per lo studio e certamente avrebbe sostituito un giorno il padre nella conduzione dell'azienda vinicola.
Improvvisamente pensò al colloquio che avrebbe dovuto sostenere l'indomani mattina presso un importante istituto di credito, nella vicina città. Avvertì una fastidiosa stretta alla bocca dello stomaco, come gli succedeva prima di ogni esame universitario. La posta in gioco era la sicurezza di un lavoro, dignitoso e ben remunerato. Ricacciò in fondo la spiacevole emozione e si versò da bere, gustando l'ottima qualità del vino di produzione paterna. Il sapore robusto e asciutto gli conferiva una gioiosa irruenza, ma soltanto lui sapeva quanto l'apparente facilità del prodotto contrastasse con i lentissimi stadi della sua elaborazione, maturazione, evoluzione. "Il vino buono si fa in vigna", gli ripeteva sempre il padre e, da bravo vignaiolo, aveva scelto le migliori condizioni per crearlo: un terreno con un ottimo drenaggio, ventilato, luminoso e bene esposto. Nella parte più elevata, aveva fatto costruire la casa e, più in là, un enorme locale adibito alla produzione del vino. In quella terra promettente e feconda aveva condotto la moglie e lì erano nati lui e suo fratello.
Un odore stuzzicante si diffuse nell'aria quando la madre servì il secondo: costolette di maiale e patate ben rosolate. Giovanni assaporò il piacere dell'impareggiabile cucina materna, ancora memore dei cibi congelati e dei panini divorati frettolosamente nel piccolo appartamento di Milano. Mangiò lentamente, intercalando i bocconi con piccoli sorsi di vino. "Ottimi, vero?", osservò il padre, "Il segreto è tutto nella potatura. Don Vincenzo, quando viene a trovarmi, rimane senza parole notando i grappoli tagliati e lasciati a terra. Dice che è una vera offesa alla natura. Non trova il coraggio di eliminare dai suoi vigneti l'uva giunta a maturazione."
Rise rumorosamente e alzò il calice, ammirandone controluce il colore sanguigno. "Pochi grappoli perfettamente sani riescono ad utilizzare meglio la linfa della pianta. Questo don Vincenzo non lo vuole proprio capire. Forse rischia l'infarto quando mi vede eseguire una seconda potatura, più energica della prima. Quello che io ottengo è la qualità in bottiglia, attraverso un raccolto selezionato, mentre lui realizza un vino meno che mediocre, soltanto per la cocciutaggine di puntare semplicemente sulla quantità della produzione!"
Giovanni aveva sempre ammirato lo spirito innovativo e geniale del padre il quale, nonostante fosse un uomo semplice e, pur non possedendo una specifica cultura enologica, aveva compreso che l'obiettivo da raggiungere era quello di esaltare l'anima e la personalità del vino. Probabilmente persisteva in lui qualche atavico retaggio della millenaria sacralità di questa bevanda e, in tal senso, la sua immagine si trasfigurava in quella di Noè, il primo a piantare una vite e a berne gli inebrianti succhi, fino ad ubriacarsi. Tuttavia, Giovanni non temeva di trovarsi, come Cam, di fronte allo spettacolo di un genitore ebbro ed esposto alla vista altrui nella sua disinibita nudità e non sarebbe stato maledetto, insieme alla sua discendenza, per avere violato l'intimità di colui che lo aveva generato! Mai, infatti, il padre aveva abusato di quella bevanda, consumandola secondo tipiche modalità quasi rituali, atte a modularne e a controllarne la pericolosità degli effetti fisici e psichici.
La giornata trascorse serenamente ma troppo in fretta. Il giorno successivo, Giovanni si recò con la macchina nella vicina città, per sostenere il colloquio. Quando giunse nella piazza in cui si stagliava l'opera di Salvatore Fiume, la "Fontana del vino", provò l'impulso di tornare ai suoi campi e si sentì impacciato per l'ansia e per il caldo, accentuato dal vestito e dalla cravatta che lo soffocava. Trovò la forza di non disertare l'appuntamento ricordando gli occhi fiduciosi dei genitori, che si erano sacrificati per concedergli l'opportunità di studiare. Tutto si svolse meglio di quanto pensasse e da quel momento cercò di adeguarsi mentalmente all'idea di una vita scandita da regole e orari ben precisi. D'altra parte, aveva programmato il suo destino in tal senso e non poteva tornare più indietro.
Dopo una settimana circa, iniziò il suo breve e abitudinario pendolarismo fra la città e la contrada in cui viveva. Il corpo si adattò al nuovo ritmo, ma l'anima sembrò affievolirsi nel grigiore monotono della banca. Il contatto con i colleghi si risolse in un rapporto di formale diffidenza reciproca, perché l'arrivismo più sfrenato aleggiava nell'aria come un demone perfido. Soltanto i vivaci colori e i suoni amici della campagna, di cui godeva pienamente nel fine settimana, ridonavano serenità e calma alla sua mente inaridita.
Quella mattina, la concitata telefonata che gli giunse dai genitori sul posto di lavoro sortì l'effetto di un pugno violento: Tonio aveva avuto un incidente con il trattore ed era stato ricoverato d'urgenza nell'ospedale cittadino. Vi si precipitò col cuore in gola, ma già il fratello era spirato, le gambe e il torace spappolati. Quello che successe dopo non avrebbe saputo rievocarlo con senso logico.
Tutto si confondeva e si frapponeva nel ricordo: il semplice corteo funebre che aveva seguito a piedi il feretro fino al piccolo cimitero, lo strazio della madre e, soprattutto, il silenzio agghiacciante del padre. Non una lacrima, non un gesto di ribellione, non un lamento.
Sembrava una statua pietrificata dal tempo, insensibile al caldo, al freddo, alla fame, al sonno. Rimase in quella condizione di straniato mutismo e indifferenza, senza che alcuno osasse scuoterlo perché invalicabile appariva la linea di demarcazione che aveva segnato fra sé e il mondo. Il via vai dei parenti e degli amici, la desolazione della casa e dei campi, la disperazione della moglie non lo distolsero dall'atteggiamento di quieta follia, resa più allucinante dalla mancanza di qualsiasi reazione.
La sera del quarto giorno, nella cucina silenziosa, Giovanni esplose in un'irrefrenabile crisi di pianto. Poi subentrò in lui una rabbia cieca e violenta che lo spinse a scagliare a terra gli antichi piatti di ceramica, allineati in bell'ordine sopra il camino annerito. La voce ferma della madre lo riportò alla calma: "Faresti meglio a tornare al lavoro, domani. Ti sarà utile per ritrovare un po' di pace. Non avrai tempo per pensare e pian piano tutto passerà.
La guardò a lungo, poi si volse verso il padre, seduto su una seggiola impagliata. Gli si accoccolò ai piedi e, appoggiando la testa sulle sue ginocchia, disse: "Non tornerò più in banca. Il mio posto è qui, accanto a voi. C'è tanto da fare in questo periodo nella campagna. Domani si comincia."
Il padre gli carezzò e scompigliò con dolcezza i capelli con la grande e ruvida mano, poi si alzò in piedi, aiutando Giovanni a risollevarsi. Osservò il volto bianco e ingentilito del figlio come fosse la prima volta: gli era sempre apparso così lontano e ormai appartenente ad un mondo diverso. L'orgoglio per la sua istruzione aveva inibito la spontaneità dell'affetto, trasformandone l'impulsività in una forma di rispettosa soggezione nei confronti di chi era in grado di muoversi, con disinvoltura, fra le difficoltà del mondo moderno. Lo abbracciò a lungo, ritrovando in lui il bambino di sempre. La rigidità che aveva imprigionato il suo corpo e la sua anima si sciolse e finalmente lacrime purificatorie bagnarono le sue guance.
 Classifica Concorso Club poeti 2002 sezione narrativa
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