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               Il
               ritorno La stanza era sempre la
               stessa, come l'aveva lasciata: uguale la disposizione
               dei mobili, degli oggetti sui ripiani, delle stampe
               alle pareti. Appoggiò la valigia sul letto e
               spalancò la finestra, soffermandosi a guardare
               la distesa dei vigneti, superbamente smaglianti sotto
               il caldo sole di luglio. Il vento leggero gli
               portò alle narici gli odori acri e intensi
               della campagna e provò una dolce sensazione di
               benessere.Erano trascorsi cinque anni
               dalla sua partenza per Milano, dove aveva frequentato
               la facoltà di Scienze Bancarie, tornando a casa
               soltanto durante le festività. Ormai non
               avrebbe più respirato l'aria malsana della
               metropoli, muovendosi sotto la cappa di un cielo
               plumbeo e opprimente e non sarebbe stato costretto a
               regolare i propri ritmi di vita secondo il frenetico
               attivismo che coinvolgeva tutti gli abitanti: piccole
               formiche laboriose, ormai rassegnate a chinare lo
               sguardo a terra, senza più la forza di
               sollevarlo in alto. "Giovanni, il bagno è
               pronto." La voce della madre lo distolse dalle sue
               riflessioni, si slacciò la cravatta e si tolse
               la giacca, avviandosi nello stretto camerino in cui
               trovavano a stento posto i vecchi sanitari. Immerso
               nella vasca, osservò le piastrelle un po'
               scrostate, perdendosi nei ghirigori dei loro disegni
               in cui il bianco e l'azzurro sbiadito si alternavano.
               Da bambino si smarriva in quegli intrecci,
               individuandovi immagini di volti, figure strane,
               animali bizzarri, con lo stesso procedimento mentale
               che consente alla fantasia dell'osservatore di
               individuare forme precise nelle nuvole che veleggiano
               nel cielo.Quando scese dabbasso,
               nell'ampia cucina rustica, la tavola era già
               apparecchiata e prese posto accanto al padre che lo
               accolse col suo sorriso onesto e schietto. Il volto
               segnato dal sole e dall'aria aperta, lo sguardo franco
               e i folti baffi ingialliti dal fumo della pipa gli
               facevano venire alla mente l'immagine dell'uomo che
               pubblicizzava una birra italiana. Il padre non
               portava, invece, alle labbra un enorme boccale
               spumeggiante, ma un calice colmo di vino.Giovanni ricordò che
               da sempre la loro mensa offriva l'allegro e bizzarro
               spettacolo del contrasto fra i piatti spaiati e la
               sontuosa eleganza dei bicchieri di purissimo
               cristallo. La loro trasparenza consentiva di ammirare
               il fantasmagorico balenare dei riflessi paglierini o
               il rosseggiare della bevanda nelle sue sfumature
               dall'amaranto al vivace rubino.Tonio, il fratello
               quindicenne, diede il via al pasto arrotolando
               velocemente con la forchetta gli spaghetti al
               ragù e trangugiandoli con sano appetito, il
               viso lentigginoso e splendente di salute chino sul
               piatto. Giovanni lo guardò, osservando che si
               era irrobustito e sarebbe stato difficile ormai
               buttarlo a terra, tenendolo immobilizzato fino a
               quando non avesse urlato: "Mi arrendo! Mi arrendo!".
               Aveva completato la scuola dell'obbligo senza
               particolare entusiasmo per lo studio e certamente
               avrebbe sostituito un giorno il padre nella conduzione
               dell'azienda vinicola.Improvvisamente pensò
               al colloquio che avrebbe dovuto sostenere l'indomani
               mattina presso un importante istituto di credito,
               nella vicina città. Avvertì una
               fastidiosa stretta alla bocca dello stomaco, come gli
               succedeva prima di ogni esame universitario. La posta
               in gioco era la sicurezza di un lavoro, dignitoso e
               ben remunerato. Ricacciò in fondo la spiacevole
               emozione e si versò da bere, gustando l'ottima
               qualità del vino di produzione paterna. Il
               sapore robusto e asciutto gli conferiva una gioiosa
               irruenza, ma soltanto lui sapeva quanto l'apparente
               facilità del prodotto contrastasse con i
               lentissimi stadi della sua elaborazione, maturazione,
               evoluzione. "Il vino buono si fa in vigna", gli
               ripeteva sempre il padre e, da bravo vignaiolo, aveva
               scelto le migliori condizioni per crearlo: un terreno
               con un ottimo drenaggio, ventilato, luminoso e bene
               esposto. Nella parte più elevata, aveva fatto
               costruire la casa e, più in là, un
               enorme locale adibito alla produzione del vino. In
               quella terra promettente e feconda aveva condotto la
               moglie e lì erano nati lui e suo
               fratello.Un odore stuzzicante si
               diffuse nell'aria quando la madre servì il
               secondo: costolette di maiale e patate ben rosolate.
               Giovanni assaporò il piacere
               dell'impareggiabile cucina materna, ancora memore dei
               cibi congelati e dei panini divorati frettolosamente
               nel piccolo appartamento di Milano. Mangiò
               lentamente, intercalando i bocconi con piccoli sorsi
               di vino. "Ottimi, vero?", osservò il padre, "Il
               segreto è tutto nella potatura. Don Vincenzo,
               quando viene a trovarmi, rimane senza parole notando i
               grappoli tagliati e lasciati a terra. Dice che
               è una vera offesa alla natura. Non trova il
               coraggio di eliminare dai suoi vigneti l'uva giunta a
               maturazione."Rise rumorosamente e
               alzò il calice, ammirandone controluce il
               colore sanguigno. "Pochi grappoli perfettamente sani
               riescono ad utilizzare meglio la linfa della pianta.
               Questo don Vincenzo non lo vuole proprio capire. Forse
               rischia l'infarto quando mi vede eseguire una seconda
               potatura, più energica della prima. Quello che
               io ottengo è la qualità in bottiglia,
               attraverso un raccolto selezionato, mentre lui
               realizza un vino meno che mediocre, soltanto per la
               cocciutaggine di puntare semplicemente sulla
               quantità della produzione!"Giovanni aveva sempre
               ammirato lo spirito innovativo e geniale del padre il
               quale, nonostante fosse un uomo semplice e, pur non
               possedendo una specifica cultura enologica, aveva
               compreso che l'obiettivo da raggiungere era quello di
               esaltare l'anima e la personalità del vino.
               Probabilmente persisteva in lui qualche atavico
               retaggio della millenaria sacralità di questa
               bevanda e, in tal senso, la sua immagine si
               trasfigurava in quella di Noè, il primo a
               piantare una vite e a berne gli inebrianti succhi,
               fino ad ubriacarsi. Tuttavia, Giovanni non temeva di
               trovarsi, come Cam, di fronte allo spettacolo di un
               genitore ebbro ed esposto alla vista altrui nella sua
               disinibita nudità e non sarebbe stato
               maledetto, insieme alla sua discendenza, per avere
               violato l'intimità di colui che lo aveva
               generato! Mai, infatti, il padre aveva abusato di
               quella bevanda, consumandola secondo tipiche
               modalità quasi rituali, atte a modularne e a
               controllarne la pericolosità degli effetti
               fisici e psichici.La giornata trascorse
               serenamente ma troppo in fretta. Il giorno successivo,
               Giovanni si recò con la macchina nella vicina
               città, per sostenere il colloquio. Quando
               giunse nella piazza in cui si stagliava l'opera di
               Salvatore Fiume, la "Fontana del vino", provò
               l'impulso di tornare ai suoi campi e si sentì
               impacciato per l'ansia e per il caldo, accentuato dal
               vestito e dalla cravatta che lo soffocava.
               Trovò la forza di non disertare l'appuntamento
               ricordando gli occhi fiduciosi dei genitori, che si
               erano sacrificati per concedergli l'opportunità
               di studiare. Tutto si svolse meglio di quanto pensasse
               e da quel momento cercò di adeguarsi
               mentalmente all'idea di una vita scandita da regole e
               orari ben precisi. D'altra parte, aveva programmato il
               suo destino in tal senso e non poteva tornare
               più indietro.Dopo una settimana circa,
               iniziò il suo breve e abitudinario pendolarismo
               fra la città e la contrada in cui viveva. Il
               corpo si adattò al nuovo ritmo, ma l'anima
               sembrò affievolirsi nel grigiore monotono della
               banca. Il contatto con i colleghi si risolse in un
               rapporto di formale diffidenza reciproca,
               perché l'arrivismo più sfrenato
               aleggiava nell'aria come un demone perfido. Soltanto i
               vivaci colori e i suoni amici della campagna, di cui
               godeva pienamente nel fine settimana, ridonavano
               serenità e calma alla sua mente
               inaridita.Quella mattina, la concitata
               telefonata che gli giunse dai genitori sul posto di
               lavoro sortì l'effetto di un pugno violento:
               Tonio aveva avuto un incidente con il trattore ed era
               stato ricoverato d'urgenza nell'ospedale cittadino. Vi
               si precipitò col cuore in gola, ma già
               il fratello era spirato, le gambe e il torace
               spappolati. Quello che successe dopo non avrebbe
               saputo rievocarlo con senso logico.Tutto si confondeva e si
               frapponeva nel ricordo: il semplice corteo funebre che
               aveva seguito a piedi il feretro fino al piccolo
               cimitero, lo strazio della madre e, soprattutto, il
               silenzio agghiacciante del padre. Non una lacrima, non
               un gesto di ribellione, non un lamento.Sembrava una statua
               pietrificata dal tempo, insensibile al caldo, al
               freddo, alla fame, al sonno. Rimase in quella
               condizione di straniato mutismo e indifferenza, senza
               che alcuno osasse scuoterlo perché invalicabile
               appariva la linea di demarcazione che aveva segnato
               fra sé e il mondo. Il via vai dei parenti e
               degli amici, la desolazione della casa e dei campi, la
               disperazione della moglie non lo distolsero
               dall'atteggiamento di quieta follia, resa più
               allucinante dalla mancanza di qualsiasi
               reazione.La sera del quarto giorno,
               nella cucina silenziosa, Giovanni esplose in
               un'irrefrenabile crisi di pianto. Poi subentrò
               in lui una rabbia cieca e violenta che lo spinse a
               scagliare a terra gli antichi piatti di ceramica,
               allineati in bell'ordine sopra il camino annerito. La
               voce ferma della madre lo riportò alla calma:
               "Faresti meglio a tornare al lavoro, domani. Ti
               sarà utile per ritrovare un po' di pace. Non
               avrai tempo per pensare e pian piano tutto
               passerà.La guardò a lungo, poi
               si volse verso il padre, seduto su una seggiola
               impagliata. Gli si accoccolò ai piedi e,
               appoggiando la testa sulle sue ginocchia, disse: "Non
               tornerò più in banca. Il mio posto
               è qui, accanto a voi. C'è tanto da fare
               in questo periodo nella campagna. Domani si
               comincia."Il padre gli carezzò e
               scompigliò con dolcezza i capelli con la grande
               e ruvida mano, poi si alzò in piedi, aiutando
               Giovanni a risollevarsi. Osservò il volto
               bianco e ingentilito del figlio come fosse la prima
               volta: gli era sempre apparso così lontano e
               ormai appartenente ad un mondo diverso. L'orgoglio per
               la sua istruzione aveva inibito la spontaneità
               dell'affetto, trasformandone l'impulsività in
               una forma di rispettosa soggezione nei confronti di
               chi era in grado di muoversi, con disinvoltura, fra le
               difficoltà del mondo moderno. Lo
               abbracciò a lungo, ritrovando in lui il bambino
               di sempre. La rigidità che aveva imprigionato
               il suo corpo e la sua anima si sciolse e finalmente
               lacrime purificatorie bagnarono le sue
               guance. |