| 
               Il
               guscio Sospeso nell'aria,
               Stefano contemplava dall'alto il proprio corpo. Non si
               era mai accorto della profondità delle rughe
               intorno alle sue labbra e di quanto fosse angusto il
               torace.       Si
               abbassò goffamente per analizzare più
               accuratamente i particolari di quel fantoccio che
               giaceva scompostamente sul letto: i radi capelli
               brizzolati sulle tempie, la bocca semiaperta che
               lasciava intravedere i denti ingialliti, la
               fissità degli occhi vitrei e spenti.
               Sul comodino le
               tracce del tentativo di alleviare il forte dolore allo
               stomaco che lo aveva colto prima in modo subdolo, poi
               sempre più violento: il bicchiere dell'acqua
               rovesciato e il flacone di compresse digestive che non
               era riuscito ad aprire.	Ondeggiò a
               lungo in preda allo stupore e all'incredulità
               cercando di ricostruire quanto era accaduto, mentre
               un'alba spietata cominciava a penetrare dalle fessure
               della persiana, mettendo a nudo senza pudore la
               squallida realtà.	Sulla sedia era
               accuratamente disposto l'abito indossato la sera
               prima; sul ripiano del comò il sigaro quasi
               intero abbandonato nel posacenere e la bottiglia di
               whisky di cui si era servito abbondantemente mentre si
               spogliava.	Si rese conto che
               poteva vedere tutto contemporaneamente: sopra, sotto,
               intorno. In un punto della
               parete, la tappezzeria era leggermente scollata, una
               ragnatela ondeggiava e brillava malignamente sul
               lampadario, il parquet esibiva l'usura del tempo in
               vari punti, ma soprattutto quell'involucro vuoto e
               grottesco ingravidava l'aria d'inquietudine e
               testimoniava un evento incredibile e osceno nella sua
               normalità.	Cercò di
               ricordare minuziosamente i particolari della giornata
               precedente e di analizzarli uno per uno, praticando
               l'usuale esercizio mentale cui ricorreva la sera,
               quando spegneva la luce, per favorire il
               sonno.  	Si era svegliato
               alle 6.30, come tutte le mattine, si era recato in
               cucina per consumare la colazione, aveva acceso il
               sigaro e si era avviato nel bagno per la quotidiana
               toilette. Dopo il lavoro in
               banca, l'avrebbe atteso una serata con Elena, per cui
               scelse il vestito che avrebbe indossato per
               l'occasione, perdendosi nell'indecisione della
               cravatta da abbinare.         Alla fine
               propense per un colore vivace, che probabilmente
               avrebbe contribuito a renderlo più disinvolto e
               risoluto nel caso in cui la conversazione fosse
               scivolata verso argomenti fastidiosi.	Stefano difendeva
               fermamente la propria posizione di scapolo e non
               avrebbe mai concesso ad alcuno di sconvolgere una
               tranquilla routine scandita da gesti abitudinari e
               metodici, che gli infondevano calma e
               rilassamento.	Aveva da poco
               superato i cinquant'anni e non si era mai pentito
               della sua scelta, godendo del piacere di dipendere
               unicamente da se stesso.	Selezionava le
               amicizie e gli amori con una certa freddezza, sulla
               base di calcoli opportunistici, essendo incapace di
               slanci e di spontaneità. Amava programmare il
               tempo libero con una minuziosità e precisione
               che sfioravano la mania.	Stefano si
               vestì con l'abito che ordinariamente indossava
               per il lavoro ed uscì da casa, consegnò
               le chiavi al portiere per consentire alla signora
               Antonia di riordinare l'appartamento e si avviò
               verso il parcheggio dove l'attendeva la vecchia ma
               dignitosa Ford.	La città
               era pulsante di vita nella luminosa giornata di
               ottobre, che regalava i residui del calore della
               trascorsa estate. I bambini
               appesantiti e piegati dagli zaini stracolmi di libri
               si avviavano a scuola, le donne vestite con abiti
               ancora leggeri si muovevano tra i passanti, alcune
               cariche dei sacchetti della spesa, altre scattanti sui
               tacchi nervosi e proiettate verso la monotonia
               implacabile di una giornata lavorativa tra le mura
               impassibili di un ufficio, di un negozio, di una
               fabbrica.	Un vecchio signore
               aspettava, con espressione paziente e rassegnata, che
               il proprio setter spelacchiato trovasse l'ispirazione
               per innaffiare un elegante fanale della via.  Dalle
               insegne balenavano messaggi pubblicitari suadenti o
               apertamente imperiosi.	 Stefano
               posteggiò nei pressi dell'Istituto di Credito
               presso cui lavorava da quando, conseguito il diploma
               di laurea in Scienze Bancarie, si era avventurato
               nella grande città abbandonando definitivamente
               il piccolo centro di provincia, ormai asfissiante e
               privo di prospettive.	Solo raramente
               trascorreva il fine settimana in famiglia, sentendosi
               fortemente a disagio nella vecchia casa paterna e
               vergognandosi dei fratelli, dediti alla conduzione di
               una piccola impresa vinicola. La madre non
               mancava in alcuna occasione di esternare il vivo
               desiderio di vederlo sistemato accanto ad una moglie
               che lo curasse e lo amasse, considerandolo ancora un
               bambino incapace di provvedere a se
               stesso.	Quando
               entrò nel proprio ufficio, iniziò la
               serie standardizzata dei gesti quotidiani e si
               preparò a completare delle pratiche lasciate in
               sospeso.	Dalla finestra del
               secondo piano, posta di fronte alla scrivania, si
               vedeva il pullulare dei dipendenti di un'impresa di
               pubblicità, che aveva sede nel palazzo di
               fronte. Si muovevano dietro
               i vetri come pesci in un acquario, aprendo e chiudendo
               le bocche e annaspando freneticamente dietro i tavoli
               di lavoro. 	Avrebbero
               consumato gran parte della loro esistenza fra quelle
               pareti di cristallo, logorando la fantasia nella
               ricerca di slogans sempre più intriganti e
               persuasivi con i quali incensare il dio Consumismo.
               Il profumo della
               primavera non sarebbe mai penetrato in quei locali
               asettici, in cui la fatica dell'alternarsi delle
               stagioni veniva sistematicamente vanificata dalla
               regolazione artificiale della temperatura.	Stefano fu
               distolto dalle sue riflessioni dalla visita di un
               cliente, l'anziano professore in pensione Marco
               Corsini. Chiuse con
               rassegnazione gli incartamenti che aveva sistemato
               davanti a sé e si predispose pazientemente ad
               ascoltare le consuete argomentazioni logorroiche del
               vecchio signore, eternamente indeciso sul tipo di
               operazione finanziaria da effettuare.	Per l'ennesima
               volta, illustrò le caratteristiche dei vari
               tipi di investimento, offrendo una descrizione
               dettagliata di fondi comuni, titoli di Stato,
               certificati di deposito, prestiti obbligazionari, non
               tralasciando di precisare i rischi che ciascuna di
               tali operazioni avrebbe comportato.   	La giornata
               trascorse normalmente, interrotta dal breve intervallo
               del pasto consumato nella solita trattoria, in
               compagnia di alcuni colleghi.	Poi il ritorno a
               casa, la preparazione alla serata che lo attendeva,
               l'immersione nella città scintillante di luci,
               l'attesa dietro la porta dell'abitazione di
               Elena.	Il ricordo del
               suono del campanello che aveva premuto con insistenza
               lo riscosse bruscamente, perché un analogo
               squillo riecheggiava nel silenzio del suo
               appartamento.	Stefano
               avvertì per la prima volta la consapevolezza
               della nuova condizione del proprio essere,
               osservò l'irreparabilità della morte
               corporale impudicamente esibita sul letto,
               ondeggiò a disagio e provò una strana e
               profonda vergogna.	Si
               rincantucciò più in alto, nell'angolo
               più nascosto della stanza, stupito dalla strana
               luminescenza che emanava da sé. Un movimento
               più brusco gli fece superare con
               facilità la parete, per cui si ritrovò
               nella camera attigua, ma rapidamente rientrò
               per collocarsi nella vecchia posizione: l'angoscia lo
               attanagliava all'idea di allontanarsi dal proprio
               corpo, pur nella certezza che i lacci che lo tenevano
               avvinto ad esso erano irrimediabilmente
               sciolti.	La luce del
               mattino penetrava più decisamente dall'esterno,
               un altro squillo echeggiò più a lungo,
               poi un rumore di passi si allontanò
               velocemente.	Sentì il
               bisogno di aggrapparsi nuovamente al ricordo. Elena
               era già pronta e si erano recati nel ristorante
               di cui erano abituali clienti. Si erano conosciuti
               in occasione di un pranzo offerto da amici comuni, due
               anni prima, ed avevano instaurato un rapporto
               tranquillo e maturo che consentiva loro di mantenere
               inalterato l'equilibrio esistenziale raggiunto tanto
               faticosamente.	Elena proveniva da
               un matrimonio fallito, ma era riuscita a riconquistare
               la fiducia in se stessa e nel prossimo impegnandosi
               con tenacia nel lavoro di insegnante, coltivando le
               amicizie, proiettandosi nell'impegno
               sociale.	Aveva in tal modo
               spezzato nettamente i pericolosi tentacoli
               dell'isolamento e dell'abbandono, riempiendo
               scrupolosamente ogni ritaglio del proprio
               tempo.	Efficiente e
               dinamica, diffondeva intorno a sé entusiasmo ed
               energia, elettrizzando l'atmosfera di una forte carica
               positiva.  La dolcezza e la
               perfezione dei lineamenti del volto, il corpo minuto
               ed agile non tradivano i suoi
               quarant'anni.	Stefano si sentiva
               completo in sua compagnia, in quanto vampirescamente
               risucchiava da lei la vitalità e la
               spiritualità di cui era privo. Da alcuni mesi,
               però, aveva avvertito negli atteggiamenti e nei
               discorsi di Elena un desiderio, seppure discreto e mai
               esplicitamente espresso, di consolidare la loro
               relazione con una convivenza stabile.	D'altra parte, il
               loro legame non era dissimile da un rapporto
               matrimoniale, avendo contratto le abitudini tipiche di
               due vecchi coniugi, salvo il fatto di vivere in
               abitazioni diverse e dormire insieme per tutta la
               notte soltanto il fine settimana.	Stefano ostentava
               un comportamento evasivo, deciso a difendere
               ostinatamente la propria scelta di vita.	Consumarono una
               cena abbondante, resa più importante da un
               ottimo vino d'annata. Fra una portata e l'altra,
               Stefano fumava il sigaro con voluttà, godendo
               della vista delle volute che fluttuavano pigramente
               nell'aria, infittendosi in una cortina che lo
               avvolgeva in una beata sensazione di
               benessere	L'indomani sarebbe
               stata una giornata impegnativa, per cui si
               fermò a casa di Elena soltanto il tempo
               necessario a bere un po' insieme e a consumare un
               amore frettoloso.	Fu mentre si
               allacciava le scarpe che Elena, guardandolo con
               un'espressione insolitamente grave e severa,
               cominciò a parlargli della loro situazione,
               invitandolo a riflettere sull'opportunità di
               vivere stabilmente insieme.Aveva riflettuto a
               lungo, disse, e ormai le appariva banale e puerile
               vivere un rapporto caratterizzato da un senso di
               trasgressione puramente esteriore.         Anche sotto
               il profilo pratico, entrambi avrebbero ricavato molti
               vantaggi e la loro esistenza si sarebbe arricchita di
               una maggiore serenità e sicurezza. 	Stefano fu colto
               dal disagio e dall'insofferenza. Si sentì come
               quando il padre gli sciorinava le sue prediche,
               scrutandolo con gli occhi socchiusi dietro il fumo
               della pipa. 	Annodò con
               indifferenza la cravatta e si ravviò i capelli,
               osservando che non era l'ora adatta per certe
               discussioni. Si congedò, dopo averla baciata
               con freddezza.	Nel guscio
               confortevole del suo appartamento, si aggirò
               nel breve spazio da lui arredato con cura amorevole in
               ogni particolare e provò una viscerale passione
               per quel microcosmo protettivo e fetale nel quale si
               allentava ogni tensione ed emergeva l'esaltante
               piacere di essere solo con se stesso, lontano dalle
               formalità imposte dalla
               società.	Si versò
               generosamente del whisky e portò la bottiglia
               nella stanza da letto, accese il sigaro e
               cominciò a spogliarsi lentamente, riponendo con
               cura ogni indumento sulla sedia. Non trascurò
               l'abituale toilette, anzi adoperò una diligenza
               più meticolosa nell'esecuzione di tutti quei
               gesti che costituivano il rito preparatorio al sonno.
               Una sottile e
               subdola inquietudine lo pervadeva, per cui si
               versò ancora da bere con la speranza di
               favorire il rilassamento che gli avrebbe consentito un
               riposo ristoratore.Quando si
               sistemò sotto le lenzuola, si addormentò
               facilmente ma fu risvegliato dopo breve tempo da un
               senso di oppressione all'altezza dello sterno.
                      
               Cercò di respirare profondamente e
               regolarmente, cambiò posizione, ma il dolore
               divenne più sempre più forte, mentre
               un'abbondante sudorazione fredda gli incollava il
               pigiama al corpo.Stefano
               pensò che la cena abbondante e soprattutto
               l'eccesso di alcool gli avessero provocato una
               spiacevole indigestione. A tastoni
               aprì il cassetto del comodino e trovò il
               flacone delle compresse digestive che teneva a portata
               di mano per simili eventualità, accese la luce
               e versò dell'acqua nel bicchiere.Una morsa violenta
               al petto lo fece sussultare e ricadde riverso sul
               guanciale. La stretta
               schiacciante si estese fino alla gola e al braccio,
               causandogli intensa nausea ed una sensazione
               terrificante di strangolamento.Poi la vista e la
               coscienza si ottenebrarono gradualmente, come se si
               spegnessero. Il dolore cessò, sostituito da una
               sgradevole percezione di caduta.Nuovamente il suono
               del campanello rimbalzò violentemente
               nell'appartamento.         In una
               frazione di secondo, Stefano rivide le rughe profonde
               che solcavano il volto contadino della madre;
               sentì il profumo e la fragranza del grano in
               cui si tuffava, madido di sudore e rosso per la corsa,
               con i fratelli; avvertì vividamente l'imbarazzo
               provato davanti ai colleghi, il giorno del
               conferimento del diploma di laurea, per la presenza
               dei familiari, maggiormente involgariti dall'abito
               buono della festa; gli balenò l'immagine delle
               povere, callose, enormi mani del padre, mortificate
               dal lavoro nei campi, che cincischiavano nervosamente
               il cappello nuovo; e ancora ricordò l'amore di
               Elena, da lui degradato e svilito con egocentrismo
               miope.	Lo squillo del
               campanello divenne più prolungato ed
               insistente. Fra poco avrebbero sfondato la
               porta  |