Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Anna Caldara
Con questo racconto ha vinto il sesto premio all'edizione 2004 del Premio Fonopoli parole in movimento.

Novella erotion
 
A te babbo, a te mamma, Frontone, Flaccilla, confido
questa povera bimba, boccuccia e gioia mia.
Cara piccina! Che Erotion non abbia terrore dell'Ombre
né delle orrende gole di Cerbero infernale.
Avrebbe ora compiuto il sesto suo gelido inverno
s'ella fosse vissuta altri sei giorni ancora.
Oh che giochi fra i suoi buoni vecchi e rifaccia i capricci,
e il mio nome balbetti con la bocca infantile!
Le molli ossa ricopra la tenera zolla, ed a lei
tu sia leggera, o terra: ch'ella ti fu leggera.
 
(Marziale)
 
Tutto finì nella tenera ora della primavera.
Quel giorno il cielo, d'un timido azzurro, sembrava specchiarsi nei suoi occhi sofferenti, mentre i morbidi capelli desideravano tingersi proprio di quel pallido sole. Il suo nome non aveva importanza, così come non ne aveva nemmeno la sua età scandita dal fumo di poche sigarette: era bella e la sua felicità si nascondeva tra le note depresse di una canzone dei Joy Division.
Come tutte le mattine si stava avviando verso la scuola ma, diversamente da tutti gli altri giorni, sperava ancora in una remota possibilità di guarigione della sua unica amica. La stessa atmosfera irreale di cui era imbevuto quel giorno il suo piccolo paese, uno di quelli dimenticati da tutti, persino dalle carte geografiche, era colpevole dei suoi ingenui ma fiduciosi pensieri: un venticello tiepido si divertiva a sussurrarle parole misteriose, le colline sorridevano di vita e nulla di malinconico avrebbe potuto insinuarsi in quel giorno rubato alle fiabe. "Oggi è una bella giornata. Oggi non morirà". Lentamente trascinava la sua pallida bellezza tentando di convincersi che anche la natura benevola le stesse mandando un tacito messaggio di speranza: "Non succederà: non oggi!". Sembrava quasi che ora per lei l'importante fosse non essere tradita dall'armonia del mondo e dalla sua stessa anima che di tali pensieri si era imbevuta: in qualsiasi altro giorno sì ma oggi non è possibile. In realtà, stava solo cercando un disperato pretesto che le permettesse di non piangere almeno fino a sera e di continuare a pensare che il suo cuore avrebbe ancora continuato a tenerla in vita, o almeno fino a sera: "Se succede oggi Dio non esiste! Dio non esiste se succede oggi!".
La scuola era ancora lontana e lei, violetta smarrita tra infiniti campi, disperdeva le sue energie meditando su problemi che mai, né ora né secoli prima avevano trovato una soluzione: il destino che sembra penetrare in ogni cosa, Dio e la morte. Oramai da molto tempo la sua mente era in quotidiana ricerca di risposte ma né la sua stoica fermezza né la sua vacillante fede erano riuscite ad assaporare la gioia di una seppur minima comprensione di qualsiasi cosa fosse in grado di comprendere. Anzi, più cercava di immergersi nel mistero inafferrabile, più era circondata da istantanee sofferenti scattate in un momento traditore raffiguranti il volto scheletrico della sua grande amica e del suo sangue malato che ancora si rifiutava di circolare. Era difficile stabilire quando fosse cominciata ogni cosa ma soprattutto perché mai avesse dovuto cominciare: "Non c'è nessuna ragione segreta e indicibile ma solo l'unica legge alla quale siamo chiamati tutti noi esseri viventi: l'unica che sia in grado di tenerci svegli la notte e l'unica vera fonte di ispirazione per qualsiasi artista. Non c'è nulla di affascinante ma solo questa stupida legge di mortalità". Si ricordava ancora del modo in cui si erano incontrate e della forza con la quale si erano aiutate a vivere; sembrava davvero che il tempo fosse circolare: in un momento di pianto si erano conosciute e in un momento di dolore ineffabile si sarebbero dette addio. Era triste pensare all'esistenza di qualcosa che realmente avrebbe potuto dividere, che realmente avrebbe potuto rompere per sempre il loro legame che nemmeno le dolci promesse dell'amore erano riuscite a spezzare.
Improvvisamente le sembrò che gli uccelli cantassero il nome dell'amica sventurata e si sentì meno sola: "Forse anche loro si accorgono della sua assenza o forse hanno semplicemente nostalgia di quei codini rossicci sui quali avrebbero voluto fare il nido molte volte" Ma poi si sentì ridicola e si vergognò. Si vergognò soprattutto di se stessa che da qualche giorno non aveva più il coraggio di andarla a trovare in ospedale, che da un po' non picchiava più scherzosa sul vetro della sua stanza e che da troppo tempo non le alleggeriva l'anima dal pressante pensiero. Era difficile ritrovare il coraggio dopo averlo perso e i suoi numerosi sensi di colpa non rendevano più veloce il suo passo. L'aveva lasciata sola per un puro atto di egoismo e aveva tradito la loro amicizia perché, per risparmiarsi un po' di dolore aveva aumentato quello dell'altra: non sopportava l'idea di vederla soffrire sempre più, ecco tutto. Tutto ciò non aveva senso. Mille volte si era svegliata nel cuore della notte credendo di sentire la sua voce che la chiamava implorante, molte volte aveva sognato l'amica malata che chiedeva di lei, sola, e mille volte ancora aveva pianto per gli occhioni ignari di quella. Persino ora, mentre camminava sul sentiero che spesso le aveva viste sognare insieme, le sembrava di percepire la sua presenza e la sua calda mano carezzarle la guancia: "È solo illusione". Altre volte, poi, aveva cercato di quietare i suoi sensi di colpa promettendosi falsamente di andarla a trovare dopo la scuola: e così i giorni passarono, circondati da una malinconica illusione. Anche ora avrebbe voluto mentire a se stessa con facilità ma, in quel giorno di leggiadre utopie, non ne era proprio capace: "Dopo andrò veramente a trovarla. C'è ancora tempo per rimediare: c'è sempre tempo per farsi perdonare!". Sì, dopo sarebbe andata da lei piangendo, ancora l'avrebbe aiutata a ingoiare l'amaro destino e ancora le avrebbe parlato della sua prossima guarigione. C'era tempo perché il suo istinto non l'aveva mai tradita e perché era impossibile che lei se ne andasse senza che si dicessero nemmeno una parola, un'ultima parola...
Erano quasi le otto e finalmente giunse davanti al cancello della scuola: si accese una sigaretta. Solitamente c'era sempre qualche gruppetto di studenti che attendeva l'ultimo suono della campanella prima di entrare ma quel giorno a tenerle compagnia c'erano solo i suoi pensieri affollati. Fumava languidamente seguendo con gli occhi il corso del fumo che si disperdeva nel cielo: le sembrava di sentirsi più libera, più leggera. Avrebbe voluto farsi ispirare dalla natura gioiosa di quel giorno e avrebbe voluto raccogliere tutti i raggi di quel pallido sole: "Sì, oggi è proprio la giornata giusta per chiederle perdono: sento che oggi capirà!". Improvvisamente il suono del cellulare la riportò alla realtà: abitualmente lo teneva spento la mattina ma per quel giorno aveva deciso di fare un'eccezione. Era un messaggio. Lo lesse. Le sue mani cominciarono a tremare e nervosamente tirò le ultime boccate di fumo. Erano solo poche parole: non ricordava nemmeno il mittente." Non so come dirlo: è morta. Sapevamo tutti che sarebbe successo: non piangere". Non piangere: è morta; è morta: non piangere. Non disse una parola e non pensò più all'armonia del mondo. Avrebbe potuto urlare la sua disperazione, avrebbe voluto scoppiare a piangere ma la sua mente si rifiutava di agire: tutto si era azzerato, tutto era finito.
Spense la sigaretta e col volto impassibile entrò in classe: tutti erano già entrati ma lei non vide nessuno. Non salutò e si mise a sedere nel suo banco: non piangere, è morta; è morta, non piangere. Da lontano le giungeva la voce dell'insegnante e lei non pensava a nulla. "Oggi ragazzi leggeremo un epigramma di Marziale: "La piccola Erotion". Tu, Giulia, che sei entrata in ritardo, comincia pure a leggere!". Aprì il libro e iniziò la lettura ma non riconosceva nemmeno la sua voce: le sembrava che qualcun altro in quel momento stesse leggendo, non lei. "A te babbo, a te mamma, Frontone, Flaccilla, confido questa povera bimba, boccuccia e gioia mia..."
E gli occhi le si velarono di lacrime.

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Premio Fonopoli parole in movimento 2004

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 Ins. 14-02-2005