- Novella
erotion
-
- A
te babbo, a te mamma, Frontone, Flaccilla,
confido
- questa
povera bimba, boccuccia e gioia
mia.
- Cara
piccina! Che Erotion non abbia terrore
dell'Ombre
- né
delle orrende gole di Cerbero
infernale.
- Avrebbe
ora compiuto il sesto suo gelido inverno
- s'ella
fosse vissuta altri sei giorni
ancora.
- Oh
che giochi fra i suoi buoni vecchi e
rifaccia i capricci,
- e
il mio nome balbetti con la bocca
infantile!
- Le
molli ossa ricopra la tenera zolla, ed a
lei
- tu
sia leggera, o terra: ch'ella ti fu
leggera.
-
- (Marziale)
-
- Tutto
finì nella tenera ora della
primavera.
- Quel
giorno il cielo, d'un timido azzurro, sembrava
specchiarsi nei suoi occhi sofferenti, mentre i
morbidi capelli desideravano tingersi proprio di quel
pallido sole. Il suo nome non aveva importanza,
così come non ne aveva nemmeno la sua
età scandita dal fumo di poche sigarette: era
bella e la sua felicità si nascondeva tra le
note depresse di una canzone dei Joy
Division.
- Come
tutte le mattine si stava avviando verso la scuola ma,
diversamente da tutti gli altri giorni, sperava ancora
in una remota possibilità di guarigione della
sua unica amica. La stessa atmosfera irreale di cui
era imbevuto quel giorno il suo piccolo paese, uno di
quelli dimenticati da tutti, persino dalle carte
geografiche, era colpevole dei suoi ingenui ma
fiduciosi pensieri: un venticello tiepido si divertiva
a sussurrarle parole misteriose, le colline
sorridevano di vita e nulla di malinconico avrebbe
potuto insinuarsi in quel giorno rubato alle fiabe.
"Oggi è una bella giornata. Oggi non
morirà". Lentamente trascinava la sua pallida
bellezza tentando di convincersi che anche la natura
benevola le stesse mandando un tacito messaggio di
speranza: "Non succederà: non oggi!". Sembrava
quasi che ora per lei l'importante fosse non essere
tradita dall'armonia del mondo e dalla sua stessa
anima che di tali pensieri si era imbevuta: in
qualsiasi altro giorno sì ma oggi non è
possibile. In realtà, stava solo cercando un
disperato pretesto che le permettesse di non piangere
almeno fino a sera e di continuare a pensare che il
suo cuore avrebbe ancora continuato a tenerla in vita,
o almeno fino a sera: "Se succede oggi Dio non esiste!
Dio non esiste se succede oggi!".
- La
scuola era ancora lontana e lei, violetta smarrita tra
infiniti campi, disperdeva le sue energie meditando su
problemi che mai, né ora né secoli prima
avevano trovato una soluzione: il destino che sembra
penetrare in ogni cosa, Dio e la morte. Oramai da
molto tempo la sua mente era in quotidiana ricerca di
risposte ma né la sua stoica fermezza né
la sua vacillante fede erano riuscite ad assaporare la
gioia di una seppur minima comprensione di qualsiasi
cosa fosse in grado di comprendere. Anzi, più
cercava di immergersi nel mistero inafferrabile,
più era circondata da istantanee sofferenti
scattate in un momento traditore raffiguranti il volto
scheletrico della sua grande amica e del suo sangue
malato che ancora si rifiutava di circolare. Era
difficile stabilire quando fosse cominciata ogni cosa
ma soprattutto perché mai avesse dovuto
cominciare: "Non c'è nessuna ragione segreta e
indicibile ma solo l'unica legge alla quale siamo
chiamati tutti noi esseri viventi: l'unica che sia in
grado di tenerci svegli la notte e l'unica vera fonte
di ispirazione per qualsiasi artista. Non c'è
nulla di affascinante ma solo questa stupida legge di
mortalità". Si ricordava ancora del modo in cui
si erano incontrate e della forza con la quale si
erano aiutate a vivere; sembrava davvero che il tempo
fosse circolare: in un momento di pianto si erano
conosciute e in un momento di dolore ineffabile si
sarebbero dette addio. Era triste pensare
all'esistenza di qualcosa che realmente avrebbe potuto
dividere, che realmente avrebbe potuto rompere per
sempre il loro legame che nemmeno le dolci promesse
dell'amore erano riuscite a spezzare.
- Improvvisamente
le sembrò che gli uccelli cantassero il nome
dell'amica sventurata e si sentì meno sola:
"Forse anche loro si accorgono della sua assenza o
forse hanno semplicemente nostalgia di quei codini
rossicci sui quali avrebbero voluto fare il nido molte
volte" Ma poi si sentì ridicola e si
vergognò. Si vergognò soprattutto di se
stessa che da qualche giorno non aveva più il
coraggio di andarla a trovare in ospedale, che da un
po' non picchiava più scherzosa sul vetro della
sua stanza e che da troppo tempo non le alleggeriva
l'anima dal pressante pensiero. Era difficile
ritrovare il coraggio dopo averlo perso e i suoi
numerosi sensi di colpa non rendevano più
veloce il suo passo. L'aveva lasciata sola per un puro
atto di egoismo e aveva tradito la loro amicizia
perché, per risparmiarsi un po' di dolore aveva
aumentato quello dell'altra: non sopportava l'idea di
vederla soffrire sempre più, ecco tutto. Tutto
ciò non aveva senso. Mille volte si era
svegliata nel cuore della notte credendo di sentire la
sua voce che la chiamava implorante, molte volte aveva
sognato l'amica malata che chiedeva di lei, sola, e
mille volte ancora aveva pianto per gli occhioni
ignari di quella. Persino ora, mentre camminava sul
sentiero che spesso le aveva viste sognare insieme, le
sembrava di percepire la sua presenza e la sua calda
mano carezzarle la guancia: "È solo illusione".
Altre volte, poi, aveva cercato di quietare i suoi
sensi di colpa promettendosi falsamente di andarla a
trovare dopo la scuola: e così i giorni
passarono, circondati da una malinconica illusione.
Anche ora avrebbe voluto mentire a se stessa con
facilità ma, in quel giorno di leggiadre
utopie, non ne era proprio capace: "Dopo andrò
veramente a trovarla. C'è ancora tempo per
rimediare: c'è sempre tempo per farsi
perdonare!". Sì, dopo sarebbe andata da lei
piangendo, ancora l'avrebbe aiutata a ingoiare l'amaro
destino e ancora le avrebbe parlato della sua prossima
guarigione. C'era tempo perché il suo istinto
non l'aveva mai tradita e perché era
impossibile che lei se ne andasse senza che si
dicessero nemmeno una parola, un'ultima
parola...
- Erano
quasi le otto e finalmente giunse davanti al cancello
della scuola: si accese una sigaretta. Solitamente
c'era sempre qualche gruppetto di studenti che
attendeva l'ultimo suono della campanella prima di
entrare ma quel giorno a tenerle compagnia c'erano
solo i suoi pensieri affollati. Fumava languidamente
seguendo con gli occhi il corso del fumo che si
disperdeva nel cielo: le sembrava di sentirsi
più libera, più leggera. Avrebbe voluto
farsi ispirare dalla natura gioiosa di quel giorno e
avrebbe voluto raccogliere tutti i raggi di quel
pallido sole: "Sì, oggi è proprio la
giornata giusta per chiederle perdono: sento che oggi
capirà!". Improvvisamente il suono del
cellulare la riportò alla realtà:
abitualmente lo teneva spento la mattina ma per quel
giorno aveva deciso di fare un'eccezione. Era un
messaggio. Lo lesse. Le sue mani cominciarono a
tremare e nervosamente tirò le ultime boccate
di fumo. Erano solo poche parole: non ricordava
nemmeno il mittente." Non so come dirlo: è
morta. Sapevamo tutti che sarebbe successo: non
piangere". Non piangere: è morta; è
morta: non piangere. Non disse una parola e non
pensò più all'armonia del mondo. Avrebbe
potuto urlare la sua disperazione, avrebbe voluto
scoppiare a piangere ma la sua mente si rifiutava di
agire: tutto si era azzerato, tutto era
finito.
- Spense
la sigaretta e col volto impassibile entrò in
classe: tutti erano già entrati ma lei non vide
nessuno. Non salutò e si mise a sedere nel suo
banco: non piangere, è morta; è morta,
non piangere. Da lontano le giungeva la voce
dell'insegnante e lei non pensava a nulla. "Oggi
ragazzi leggeremo un epigramma di Marziale: "La
piccola Erotion". Tu, Giulia, che sei entrata in
ritardo, comincia pure a leggere!". Aprì il
libro e iniziò la lettura ma non riconosceva
nemmeno la sua voce: le sembrava che qualcun altro in
quel momento stesse leggendo, non lei. "A te babbo, a
te mamma, Frontone, Flaccilla, confido questa povera
bimba, boccuccia e gioia mia..."
- E
gli occhi le si velarono di lacrime.
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