- La
rivincita
-
- Pedalavo. Pedalavo
con tutta la mia forza, con il busto proteso sul
manubrio e la bicicletta che oscillava qua e là
ad ogni pedalata. I libri di scuola, fermati nella
morsa di uno stupido portapacchi concepito sul
davanti, si erano paurosamente spostati su di un lato,
ma io non mi accorgevo più di niente e la
bicicletta, così lanciata nella corsa, aveva
trovato un equilibrio completamente nuovo.
Chissà se le ruote toccavano ancora terra.
Intorno un meraviglioso turbinio di colori: verde,
giallo, rosso...
- Avevo cominciato a
correre per gioco, quando mi ero accorta che dietro di
me stava arrivando un buffo tipo, uno spasimante
respinto che negli ultimi tempi non mi aveva dato
tregua. Più volte era stato garbatamente ma
risolutamente allontanato e non per questo si era
scoraggiato.
- Non avevo
più voglia di discorsi e decisi lì per
lì di cambiare tattica. Perché non
divertirsi un po'... magari giocando al gatto e al
topo? Se avessi deciso di giocare fino in fondo...
davanti a me si snodavano oltre quattro chilometri...
tutta la lunghezza del viale che corre sulle mura...
ne avrei avuto di divertimento! Iniziai con un'aria di
pigra indifferenza, facendo finta di non essermi
accorta di lui, seguendo un'andatura solo
apparentemente costante. Lo lasciavo avvicinare quel
tanto che gli dava l'illusione di raggiungermi ma,
appena con la coda dell'occhio vedevo che era sul
punto di arrivare, cominciavo a pedalare più
forte e lo staccavo. Poi rallentavo di nuovo, con
noncuranza, ricominciando a correre quando lo sentivo
vicino.
- Ci stavo prendendo
gusto e, di tanto in tanto, spiavo divertita i suoi
sforzi maldestri per tenermi dietro. «Corri,
corri ciclista... sei tu che hai vinto delle gare di
ciclismo, no? Sei allenato... e allora
corri».
- Anch'io, all'epoca,
ero ben allenata visto che la bicicletta era il mio
unico ed amato mezzo per spostarmi da un luogo
all'altro e non ci rinunciavo quasi mai. C'è
chi dice che Lucca è una città a misura
d'uomo. Io direi piuttosto che è a misura di
bicicletta. Se ripenso a me stessa, in quegli anni
nella mia città, sono proprio tanti i ricordi
che ci legano insieme ed io la consideravo quasi
più un "essere" che una "cosa".
- C'era poco traffico
sulle mura a quell'ora del mattino. Sul mio cavallo di
ferro mi sentivo la padrona incontrastata del lungo
anello che chiudeva e proteggeva la bella distesa di
tetti rossi, invecchiati, da cui vedevo spuntare i
campanili delle chiese con i piccioni appollaiati fra
colonnine e sporgenze. Quei vicoli, quegli scorci, li
conoscevo tutti, ma non mi soffermavo mai a guardarli.
Il loro fascino silenzioso e sottile faceva solo da
sfondo alla mia vita ed io calcavo la scena con
spavalda incoscienza.
- Il viale che
percorrevo, affiancato da maestosi ippocastani che in
autunno tingono le loro foglie dei colori più
belli, mi si apriva davanti, invitante, con tutta la
dolcezza che le mura sono capaci di offrire in quei
mesi. Per terra c'era già qualche foglia
caduta, ma nemmeno l'ombra di tristezza nell'aria.
Tutte quelle sfumature di giallo e di rosso che
occhieggiavano dai rami e i primi orli bruciati delle
foglie annunciavano una specie di festa, un'altra
stagione, altri incontri.
- Correvo con la
piacevole sensazione del vento sul viso, con i capelli
che ogni tanto mi schiaffeggiavano la fronte e, senza
il minimo senso di colpa, lasciavo riaffiorare, negli
orecchi, l'eco di lontane, insopprimibili
raccomandazioni materne. «Non stare affacciata
così... senti che vento... copriti... ti fa
male tutta quell'aria».
- Ormai, non c'era
voce né memoria di voce che potesse
trattenermi. Insieme al vento respiravo a pieni
polmoni aria di libertà, quasi ubriacata dalla
velocità che riuscivo a raggiungere. Non
guardavo più dietro di me. Spingevo sui pedali
come una forsennata, senza pensare ad altro, fino a
non sentire più i muscoli delle gambe,
consapevole solo in parte degli alberi che mi
sfrecciavano accanto, delle improvvise aperture dei
baluardi, del leggero crepitare che le foglie secche
facevano sotto le ruote della bicicletta. Poi
cominciai a perdere coscienza anche della
strada.
- Quel tunnel di
verde, rosso, giallo, cominciò a farsi confuso;
io vi correvo dentro, anzi vi correvo incontro, quasi
fossi anch'io un colore che potesse stemperarsi,
fondersi con gli altri in un insperato accordo di
armonie. Non esistevo più, ingoiata per qualche
istante da quella strana sensazione che mi avvolgeva
tutta, inaspettatamente trasportata in una dimensione
che non conoscevo, fatta di aria, di luce limpida e
pura. Un distacco dal mondo, quasi un salto in un
altro mondo. Non durò a lungo.
- Lentamente le
foglie riacquistarono colori distinti e contorni, gli
alberi ricominciarono a sfilare rapidi ai miei lati e,
inesorabile, tutta la realtà che mi circondava
si riappropriò gradatamente di me,
finché ripresi l'esatta coscienza della mia
persona e di quella corsa che mi apparve d'un tratto
assurda. Mi resi conto di essere trafelata, bagnata di
sudore e immaginai con disgusto di avere una
capigliatura che solo Proserpina mi avrebbe potuto
invidiare. Ma forse non ero la sola, visto che chi mi
seguiva continuava a resistere.
- Allora rallentai
vistosamente e lasciai infine che l'altro mi
raggiungesse. Mi fermai facendo scivolare un piede per
terra e mi voltai aspettando che anche lui si
arrestasse. La visione di quell'essere stravolto e
sudato contribuì a fugare definitivamente gli
ultimi residui di stupore che quella fantastica fuga
mi aveva lasciato. Mi sentivo di nuovo me stessa,
indignata, perseguitata, pervasa da un sottile
desiderio di vendetta. Per la strada avevo
controllato, con perversa soddisfazione, quanto
arrancasse per tenermi dietro, immaginandomi la sua
espressione, ma la realtà superava di gran
lunga ogni fantasia.
- Lui se ne stava
lì, sbigottito, ingobbito sulla sua bicicletta
sportiva, senza nemmeno il fiato per parlare.
Patetico.
- «Accidenti,
come corri... non sapevo... non avrei mai
sospettato... eppure, sai, io non sono un
dilettante... complimenti...».
- Accennava qualche
frase interrotta dal fiatone che quella corsa
inaspettata gli aveva procurato, ma non riusciva a
finire un discorso.
- "Penoso", pensai
io, guardandolo.
- L'aspetto gracile e
minuto, lo sguardo miope dietro gli occhialini tondi
alla John Lennon non facevano certo pensare al fisico
di uno sportivo. Forse sotto i pantaloni i muscoli dei
polpacci erano un po' più sviluppati... forse.
Ma che cosa voleva? Non era stato abbastanza chiaro il
mio comportamento? Perché insistere quando un
no è definitivo ed inequivocabile? Qualche
tempo prima, in una conversazione strappatami
chissà come, mi aveva confessato: «Io lo
so perché tu sei perplessa. Ho quattordici anni
più di te e tu penserai che sono troppo
vecchio...»
- Non ebbi cuore di
dirgli che il problema non erano i quattordici anni
che ci separavano. Non ci avevo proprio pensato.
Dimostrava più o meno quanto i miei coetanei e,
purtroppo, non aveva nemmeno quel poco di fascino che,
a quell'età, generalmente si attribuisce ai
"più grandi", in quanto tali, indipendentemente
dalle loro reali attrattive.
- "Penoso ed
irriducibile", continuai a pensare osservandolo, ma
più che irritata mi sentivo vagamente
rassegnata. Aspettai in silenzio che cercasse di
spiegarsi mentre, a bocca chiusa, mascheravo
orgogliosamente l'affanno per non far vedere che anche
a me mancava il fiato.
- Con un sorrisetto
incerto, ripiegato su se stesso più di quanto
non fosse necessario, si frugò nella tasca e
prese un pacchetto, una busta bianca, piegata e
sgualcita. Me la porse, con aria quasi di
scusa.
- «Tieni...»,
mi disse,«... sono poesie... per te, ma non so se
le capirai... sono ermetiche... sai cosa vuol dire
emetico?»
- «Certo che lo
so», risposi precipitosa passando velocemente in
rassegna tutte le mie conoscenze letterarie mentre
prendevo la busta.
- Mi aveva colta di
sorpresa. In fondo mi sentivo lusingata per essere
stata l'oggetto di tanta attenzione ed ero curiosa da
morire. Lo guardai mentre si allontanava con tutta la
dignità e la noncuranza che era stato capace di
raccogliere. Io ero rimasta lì, con la busta
nella mano, senza sapere bene cosa fare. Ero tentata
di aprirla subito e, allo stesso tempo, trattenuta,
forse per prolungare, inconsapevolmente, la piacevole
ansia dell'attesa. Decisi di aspettare, di rinviare
l'apertura alla fine della scuola, in un momento di
calma. Così la nascosi fra i libri, ma per
tutta la mattinata non riuscii a pensare ad
altro.
- In un paio di
occasioni fui sul punto di confidarmi con le amiche
perché morivo dalla voglia di ridere di lui
insieme con qualcuno, ma forse anche per ostentare,
con una punta di orgoglio, la prova dei sentimenti che
avevo suscitato. Non lo feci.
- Quando fui a casa,
accoccolata nella poltrona del salotto, con le porte
chiuse e la puntina del giradischi che grattava sul
mio disco preferito, finalmente aprii la busta. Avevo
controllato, per scrupolo, sul dizionario, il
significato della parola "ermetico" e mi accingevo a
decifrare chissà quali strani codici. Mi trovai
di fronte a delicate poesie d'amore di cui non ricordo
più un verso e tutte così comprensibili
che, per un attimo, mi chiesi se non nascondessero
altri significati. Una, due, tre... tante. Le lessi,
le rilessi, meravigliata dal fatto di essere io la
fonte di quell'ispirazione. Non ricordo di aver
provato altro sentimento se non una lusingata
sorpresa. Bruciavo dalla tentazione di mostrarle a
qualcuno, ma pensai alla inevitabile situazione
ridicola in cui lo avrei cacciato e ancora una volta
non ne feci di niente. Credo che sia stato il solo
riguardo che ho avuto nei suoi confronti. Riposi le
lettere lontano da occhi indiscreti e non ci pensai
più.
- Per lungo tempo non
ci ho pensato più. Ho piegato la vita alle mie
scelte e, completamente assorbita, non ho più
avuto tempo per i ricordi, non ho conservato
rimpianti.
- Avevo salutato la
mia città carica di entusiasmo per un futuro
che non conoscevo e con la certezza che non l'avrei
mai dimenticata, anche se mi fossi allontanata per
sempre.
- Il tempo mi ha dato
torto. Anni di lontananza e di forzata trascuratezza
hanno lasciato il segno. Un po' alla volta i ricordi
si sono sfocati, perduti nel mare sempre più
grande che mi porto dentro ed anche se non sono morti
sono irrimediabilmente sommersi.
- Inaspettatamente
l'altro giorno mi è accaduto qualcosa di simile
a quello che successe a Proust davanti alla sua tazza
di "thè". Mi è bastato rivedere la
colorata corona autunnale che corre lungo le mura
della mia vecchia città e sono stata
improvvisamente investita dal ricordo di quella
vertiginosa, pazza corsa in bicicletta.
- Non so
perché. Forse perché guardavo la mia
Lucca con occhi diversi, sorpresa di sentire davanti a
lei una sorta di emozione, una specie di tuffo al
cuore soffocato che non avvertivo più da tanto
tempo e che assomigliava incredibilmente a quello che
provavo nell'incontrare un innamorato. Già,
forse proprio quello che lui avvertiva per
me.
- È stato in
quel momento che, dal mare dei ricordi, è
riaffiorata, prepotente, l'immagine di me ragazzina
che guidavo furiosamente la mia bicicletta lanciata al
massimo della velocità, quasi avesse le ali e
fosse sul punto di spiccare un volo nel verde, nel
giallo, nel rosso... ancora una volta proiettata in
quella dimensione che tanti anni prima mi aveva
risucchiato... quel vortice di luci e di colori...
dietro, un'altra bicicletta che mi
inseguiva...
- Quest'uomo che non
ha mai contato niente per me, che non ha minimamente
influito nella mia vita, aveva trovato di nuovo il
sistema per tornare a farmi visita. Inarrestabile nel
suo inseguimento, con le lettere sgualcite che da
lì a poco mi avrebbe dato... in attesa di una
risposta che non ha mai ricevuto.
- È strano che
insieme a questa immagine non siano ricomparse anche
l'indignazione o la rassegnazione. Al contrario, mi
sono scoperta, quasi intenerita, nei suoi confronti e
mi vergogno con me stessa per essere stata, in
passato, così ottusa e insensibile.
Chissà che cosa gli avrei detto allora che
avessi avuto questa stessa disposizione
d'animo.
- Io che ho sempre
creduto di amare la poesia, non ho riconosciuto un
"poeta". Imperdonabile.
- Mi è rimasta
soltanto l'inquietante sensazione che lui, dopo avere
aspettato tanto, sia tornato di proposito, scavalcando
in qualche maniera la confusa barriera del tempo.
Caparbio, forte di questi anni trascorsi, ancora una
volta ha voluto imporsi alla mia attenzione,
pazientemente consapevole che oggi non l'avrei
ignorato. Una indiscutibile rivincita.
|