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               La
               rivincita Pedalavo. Pedalavo
               con tutta la mia forza, con il busto proteso sul
               manubrio e la bicicletta che oscillava qua e là
               ad ogni pedalata. I libri di scuola, fermati nella
               morsa di uno stupido portapacchi concepito sul
               davanti, si erano paurosamente spostati su di un lato,
               ma io non mi accorgevo più di niente e la
               bicicletta, così lanciata nella corsa, aveva
               trovato un equilibrio completamente nuovo.
               Chissà se le ruote toccavano ancora terra.
               Intorno un meraviglioso turbinio di colori: verde,
               giallo, rosso...Avevo cominciato a
               correre per gioco, quando mi ero accorta che dietro di
               me stava arrivando un buffo tipo, uno spasimante
               respinto che negli ultimi tempi non mi aveva dato
               tregua. Più volte era stato garbatamente ma
               risolutamente allontanato e non per questo si era
               scoraggiato.Non avevo
               più voglia di discorsi e decisi lì per
               lì di cambiare tattica. Perché non
               divertirsi un po'... magari giocando al gatto e al
               topo? Se avessi deciso di giocare fino in fondo...
               davanti a me si snodavano oltre quattro chilometri...
               tutta la lunghezza del viale che corre sulle mura...
               ne avrei avuto di divertimento! Iniziai con un'aria di
               pigra indifferenza, facendo finta di non essermi
               accorta di lui, seguendo un'andatura solo
               apparentemente costante. Lo lasciavo avvicinare quel
               tanto che gli dava l'illusione di raggiungermi ma,
               appena con la coda dell'occhio vedevo che era sul
               punto di arrivare, cominciavo a pedalare più
               forte e lo staccavo. Poi rallentavo di nuovo, con
               noncuranza, ricominciando a correre quando lo sentivo
               vicino.Ci stavo prendendo
               gusto e, di tanto in tanto, spiavo divertita i suoi
               sforzi maldestri per tenermi dietro. «Corri,
               corri ciclista... sei tu che hai vinto delle gare di
               ciclismo, no? Sei allenato... e allora
               corri».Anch'io, all'epoca,
               ero ben allenata visto che la bicicletta era il mio
               unico ed amato mezzo per spostarmi da un luogo
               all'altro e non ci rinunciavo quasi mai. C'è
               chi dice che Lucca è una città a misura
               d'uomo. Io direi piuttosto che è a misura di
               bicicletta. Se ripenso a me stessa, in quegli anni
               nella mia città, sono proprio tanti i ricordi
               che ci legano insieme ed io la consideravo quasi
               più un "essere" che una "cosa".C'era poco traffico
               sulle mura a quell'ora del mattino. Sul mio cavallo di
               ferro mi sentivo la padrona incontrastata del lungo
               anello che chiudeva e proteggeva la bella distesa di
               tetti rossi, invecchiati, da cui vedevo spuntare i
               campanili delle chiese con i piccioni appollaiati fra
               colonnine e sporgenze. Quei vicoli, quegli scorci, li
               conoscevo tutti, ma non mi soffermavo mai a guardarli.
               Il loro fascino silenzioso e sottile faceva solo da
               sfondo alla mia vita ed io calcavo la scena con
               spavalda incoscienza.Il viale che
               percorrevo, affiancato da maestosi ippocastani che in
               autunno tingono le loro foglie dei colori più
               belli, mi si apriva davanti, invitante, con tutta la
               dolcezza che le mura sono capaci di offrire in quei
               mesi. Per terra c'era già qualche foglia
               caduta, ma nemmeno l'ombra di tristezza nell'aria.
               Tutte quelle sfumature di giallo e di rosso che
               occhieggiavano dai rami e i primi orli bruciati delle
               foglie annunciavano una specie di festa, un'altra
               stagione, altri incontri.Correvo con la
               piacevole sensazione del vento sul viso, con i capelli
               che ogni tanto mi schiaffeggiavano la fronte e, senza
               il minimo senso di colpa, lasciavo riaffiorare, negli
               orecchi, l'eco di lontane, insopprimibili
               raccomandazioni materne. «Non stare affacciata
               così... senti che vento... copriti... ti fa
               male tutta quell'aria».Ormai, non c'era
               voce né memoria di voce che potesse
               trattenermi. Insieme al vento respiravo a pieni
               polmoni aria di libertà, quasi ubriacata dalla
               velocità che riuscivo a raggiungere. Non
               guardavo più dietro di me. Spingevo sui pedali
               come una forsennata, senza pensare ad altro, fino a
               non sentire più i muscoli delle gambe,
               consapevole solo in parte degli alberi che mi
               sfrecciavano accanto, delle improvvise aperture dei
               baluardi, del leggero crepitare che le foglie secche
               facevano sotto le ruote della bicicletta. Poi
               cominciai a perdere coscienza anche della
               strada.Quel tunnel di
               verde, rosso, giallo, cominciò a farsi confuso;
               io vi correvo dentro, anzi vi correvo incontro, quasi
               fossi anch'io un colore che potesse stemperarsi,
               fondersi con gli altri in un insperato accordo di
               armonie. Non esistevo più, ingoiata per qualche
               istante da quella strana sensazione che mi avvolgeva
               tutta, inaspettatamente trasportata in una dimensione
               che non conoscevo, fatta di aria, di luce limpida e
               pura. Un distacco dal mondo, quasi un salto in un
               altro mondo. Non durò a lungo.Lentamente le
               foglie riacquistarono colori distinti e contorni, gli
               alberi ricominciarono a sfilare rapidi ai miei lati e,
               inesorabile, tutta la realtà che mi circondava
               si riappropriò gradatamente di me,
               finché ripresi l'esatta coscienza della mia
               persona e di quella corsa che mi apparve d'un tratto
               assurda. Mi resi conto di essere trafelata, bagnata di
               sudore e immaginai con disgusto di avere una
               capigliatura che solo Proserpina mi avrebbe potuto
               invidiare. Ma forse non ero la sola, visto che chi mi
               seguiva continuava a resistere.Allora rallentai
               vistosamente e lasciai infine che l'altro mi
               raggiungesse. Mi fermai facendo scivolare un piede per
               terra e mi voltai aspettando che anche lui si
               arrestasse. La visione di quell'essere stravolto e
               sudato contribuì a fugare definitivamente gli
               ultimi residui di stupore che quella fantastica fuga
               mi aveva lasciato. Mi sentivo di nuovo me stessa,
               indignata, perseguitata, pervasa da un sottile
               desiderio di vendetta. Per la strada avevo
               controllato, con perversa soddisfazione, quanto
               arrancasse per tenermi dietro, immaginandomi la sua
               espressione, ma la realtà superava di gran
               lunga ogni fantasia.Lui se ne stava
               lì, sbigottito, ingobbito sulla sua bicicletta
               sportiva, senza nemmeno il fiato per parlare.
               Patetico.«Accidenti,
               come corri... non sapevo... non avrei mai
               sospettato... eppure, sai, io non sono un
               dilettante... complimenti...».Accennava qualche
               frase interrotta dal fiatone che quella corsa
               inaspettata gli aveva procurato, ma non riusciva a
               finire un discorso."Penoso", pensai
               io, guardandolo.L'aspetto gracile e
               minuto, lo sguardo miope dietro gli occhialini tondi
               alla John Lennon non facevano certo pensare al fisico
               di uno sportivo. Forse sotto i pantaloni i muscoli dei
               polpacci erano un po' più sviluppati... forse.
               Ma che cosa voleva? Non era stato abbastanza chiaro il
               mio comportamento? Perché insistere quando un
               no è definitivo ed inequivocabile? Qualche
               tempo prima, in una conversazione strappatami
               chissà come, mi aveva confessato: «Io lo
               so perché tu sei perplessa. Ho quattordici anni
               più di te e tu penserai che sono troppo
               vecchio...»Non ebbi cuore di
               dirgli che il problema non erano i quattordici anni
               che ci separavano. Non ci avevo proprio pensato.
               Dimostrava più o meno quanto i miei coetanei e,
               purtroppo, non aveva nemmeno quel poco di fascino che,
               a quell'età, generalmente si attribuisce ai
               "più grandi", in quanto tali, indipendentemente
               dalle loro reali attrattive."Penoso ed
               irriducibile", continuai a pensare osservandolo, ma
               più che irritata mi sentivo vagamente
               rassegnata. Aspettai in silenzio che cercasse di
               spiegarsi mentre, a bocca chiusa, mascheravo
               orgogliosamente l'affanno per non far vedere che anche
               a me mancava il fiato.Con un sorrisetto
               incerto, ripiegato su se stesso più di quanto
               non fosse necessario, si frugò nella tasca e
               prese un pacchetto, una busta bianca, piegata e
               sgualcita. Me la porse, con aria quasi di
               scusa.«Tieni...»,
               mi disse,«... sono poesie... per te, ma non so se
               le capirai... sono ermetiche... sai cosa vuol dire
               emetico?»«Certo che lo
               so», risposi precipitosa passando velocemente in
               rassegna tutte le mie conoscenze letterarie mentre
               prendevo la busta.Mi aveva colta di
               sorpresa. In fondo mi sentivo lusingata per essere
               stata l'oggetto di tanta attenzione ed ero curiosa da
               morire. Lo guardai mentre si allontanava con tutta la
               dignità e la noncuranza che era stato capace di
               raccogliere. Io ero rimasta lì, con la busta
               nella mano, senza sapere bene cosa fare. Ero tentata
               di aprirla subito e, allo stesso tempo, trattenuta,
               forse per prolungare, inconsapevolmente, la piacevole
               ansia dell'attesa. Decisi di aspettare, di rinviare
               l'apertura alla fine della scuola, in un momento di
               calma. Così la nascosi fra i libri, ma per
               tutta la mattinata non riuscii a pensare ad
               altro.In un paio di
               occasioni fui sul punto di confidarmi con le amiche
               perché morivo dalla voglia di ridere di lui
               insieme con qualcuno, ma forse anche per ostentare,
               con una punta di orgoglio, la prova dei sentimenti che
               avevo suscitato. Non lo feci.Quando fui a casa,
               accoccolata nella poltrona del salotto, con le porte
               chiuse e la puntina del giradischi che grattava sul
               mio disco preferito, finalmente aprii la busta. Avevo
               controllato, per scrupolo, sul dizionario, il
               significato della parola "ermetico" e mi accingevo a
               decifrare chissà quali strani codici. Mi trovai
               di fronte a delicate poesie d'amore di cui non ricordo
               più un verso e tutte così comprensibili
               che, per un attimo, mi chiesi se non nascondessero
               altri significati. Una, due, tre... tante. Le lessi,
               le rilessi, meravigliata dal fatto di essere io la
               fonte di quell'ispirazione. Non ricordo di aver
               provato altro sentimento se non una lusingata
               sorpresa. Bruciavo dalla tentazione di mostrarle a
               qualcuno, ma pensai alla inevitabile situazione
               ridicola in cui lo avrei cacciato e ancora una volta
               non ne feci di niente. Credo che sia stato il solo
               riguardo che ho avuto nei suoi confronti. Riposi le
               lettere lontano da occhi indiscreti e non ci pensai
               più.Per lungo tempo non
               ci ho pensato più. Ho piegato la vita alle mie
               scelte e, completamente assorbita, non ho più
               avuto tempo per i ricordi, non ho conservato
               rimpianti.Avevo salutato la
               mia città carica di entusiasmo per un futuro
               che non conoscevo e con la certezza che non l'avrei
               mai dimenticata, anche se mi fossi allontanata per
               sempre.Il tempo mi ha dato
               torto. Anni di lontananza e di forzata trascuratezza
               hanno lasciato il segno. Un po' alla volta i ricordi
               si sono sfocati, perduti nel mare sempre più
               grande che mi porto dentro ed anche se non sono morti
               sono irrimediabilmente sommersi.Inaspettatamente
               l'altro giorno mi è accaduto qualcosa di simile
               a quello che successe a Proust davanti alla sua tazza
               di "thè".  Mi è bastato rivedere la
               colorata corona autunnale che corre lungo le mura
               della mia vecchia città e sono stata
               improvvisamente investita dal ricordo di quella
               vertiginosa, pazza corsa in bicicletta.Non so
               perché. Forse perché guardavo la mia
               Lucca con occhi diversi, sorpresa di sentire davanti a
               lei una sorta di emozione, una specie di tuffo al
               cuore soffocato che non avvertivo più da tanto
               tempo e che assomigliava incredibilmente a quello che
               provavo nell'incontrare un innamorato. Già,
               forse proprio quello che lui avvertiva per
               me.È stato in
               quel momento che, dal mare dei ricordi, è
               riaffiorata, prepotente, l'immagine di me ragazzina
               che guidavo furiosamente la mia bicicletta lanciata al
               massimo della velocità, quasi avesse le ali e
               fosse sul punto di spiccare un volo nel verde, nel
               giallo, nel rosso... ancora una volta proiettata in
               quella dimensione che tanti anni prima mi aveva
               risucchiato... quel vortice di luci e di colori...
               dietro, un'altra bicicletta che mi
               inseguiva...Quest'uomo che non
               ha mai contato niente per me, che non ha minimamente
               influito nella mia vita, aveva trovato di nuovo il
               sistema per tornare a farmi visita. Inarrestabile nel
               suo inseguimento, con le lettere sgualcite che da
               lì a poco mi avrebbe dato... in attesa di una
               risposta che non ha mai ricevuto.È strano che
               insieme a questa immagine non siano ricomparse anche
               l'indignazione o la rassegnazione. Al contrario, mi
               sono scoperta, quasi intenerita, nei suoi confronti e
               mi vergogno con me stessa per essere stata, in
               passato, così ottusa e insensibile.
               Chissà che cosa gli avrei detto allora che
               avessi avuto questa stessa disposizione
               d'animo.Io che ho sempre
               creduto di amare la poesia, non ho riconosciuto un
               "poeta". Imperdonabile.Mi è rimasta
               soltanto l'inquietante sensazione che lui, dopo avere
               aspettato tanto, sia tornato di proposito, scavalcando
               in qualche maniera la confusa barriera del tempo.
               Caparbio, forte di questi anni trascorsi, ancora una
               volta ha voluto imporsi alla mia attenzione,
               pazientemente consapevole che oggi non l'avrei
               ignorato. Una indiscutibile rivincita. |