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               Il
               voloEsiste un luogo nel
               mondo, un angolo di cielo, una parentesi
               nell'infinità della vita quotidiana, dove il
               tempo dimentica le sue regole o ne "inventa" di nuove
               per respirare.Un luogo dove il
               mondo si può fermare, accarezzare i suoi figli
               e dove realmente lo straordinario prende il posto del
               quotidiano.Mi chiamo Adelmo,
               questo è il nome un po' insolito di uno
               scrittore innamorato.Quello che sto per
               raccontarvi non è una leggenda, né le
               confessioni notturne di un folle, ma bensì solo
               il ricordo di un fine settimana, un ricordo che nel
               suo prender forma mi tiene...e mi terrà
               compagnia per una vita intera.Come dicevo, esiste
               un posto, così narrano vecchie leggende
               Sudamericane, dove il cielo mischia un po' le
               carte.In questo luogo,
               nei giorni con molto vento, nascono gli aironi dalle
               ali fatate!Infatti, in uno
               squarcio di cielo non ben definito, le nuvole regalano
               al mondo questi splendidi e magici
               volatili.Essi raggiungono
               ogni angolo abitato, ogni cuore solitario, triste o
               curiosamente sognante.E poco importa se
               per arrivare a destinazione dovranno affrontare le
               peripezie dei venti, dei mari e delle tempeste
               burrascose, perché mai e poi mai mancheranno il
               loro vitale appuntamento.E così, una
               volta a destinazione, per una parentesi di tempo, una
               parentesi giusto necessaria per assolvere al proprio
               dovere, rinunciano ad ali, piume ed ebbrezza del volo,
               diventando così uomini o donne che hanno perso
               contro la vita o contro se stessi!Chi, nella sua
               vita, non vorrebbe incontrarne uno per almeno cinque
               minuti, e quale scrittore non vorrebbe essere
               testimone di un così straordinario
               evento?Io ho avuto la
               fortuna di vivere questa magica esperienza, e adesso
               ve la racconto dal principio.Era l'inverno del
               novanta, ed attraverso un periodo al quanto
               particolare.Già parecchi
               mesi, per non dire qualche anno, non riuscivo a
               scrivere più niente, tutto ciò che
               buttavo su carta era noioso e scontato e le poche idee
               buone non trovavano respiro.Così decisi
               di rifugiarmi lontano dalle piazze e dai vicoli
               stretti, e avute le chiavi di una casa di montagna da
               vecchi amici di famiglia, mi misi in viaggio alla
               ricerca "fisica" della mia assopita o perduta vena
               artistica.La casa delle
               "speranze", così lo chiamai per i motivi a voi
               oramai noti, era esageratamente lontana dal centro
               abitato, quasi una Rapanuy in piena regione
               toscana.Immaginate per
               tanto strade ripide e non asfaltate, difficili da
               percorrere e da attraversare, ma un "mondo" talmente
               bello e silenzioso che ogni metro era fatto di nuove
               parentesi di mille sorprese.Ma mentre mi
               accingevo a "scalare" l'ennesima salita, ecco che la
               mia Due Cavalli s'azzoppa e termina il suo faticoso
               viaggiare.Furiosamente scesi
               dall'auto bestemmiando quel povero Cristo che tutte le
               colpe poteva avere tranne quelle di una vecchia auto
               immobile sulla strada, e con la classica presunzione
               dell'automobilista, aprii il cofano per tentare di
               localizzare il danno.Tentativo vano,
               ovviamente!Chiusa
               violentemente la "bocca" dell'auto affaticata, le mie
               imprecazioni di cinque minuti, superarono di gran
               lunga quelle di un'intera vita.E fu nel mio
               solitario "vomitare" acidità al mondo e al
               cielo, che una voce sottile mi ha invitato a placare
               la mia collera.Mi voltai...e
               davanti ai miei occhi una ragazza che la semplice
               definizione "bella" s'era già persa nei lunghi
               capelli prima di poterla pensare; figuratevi poi
               cercare chissà quali aggettivi per tentare di
               definire la limpidità dei suoi
               occhi.Realmente non so
               cosa "violentò" i miei sensi, forse tanta
               bellezza o forse tanta semplice grazia.Si avvicinò
               a me, tese la sua mano piccola e pronunciò il
               suo nome: "Irene".Ricordo che ci misi
               un bel po' per scandire il mio di nome, anche se
               corto, e quel suo mezzo sorriso marcava ancora
               più forte la situazione ridicola e
               imbarazzante.Irene aveva una
               casa poco lontana da quella dei Boaga, proprio dove
               avrei dovuto trascorrere le mie parentesi di
               tranquillità e dopo aver rotto il ghiaccio mi
               invitò a tenerle compagnia nel
               cammino."Che fortuna...soli
               in montagna, probabilmente persi, il calar del sole
               che si avvicina, e in tutto questo quadretto
               incontrate una donna che vi porta fino alla meta, e
               per giunta bella e di dolce compagnia!" Questa
               sicuramente è l'affermazione più logica
               che ognuno di voi dentro di sé sta
               maturando.Ma vi assicuro che
               non si tratta assolutamente né di fortuna
               né di casualità, ma bensì solo lo
               strano cammino del destino, che giudicato il momento
               propizio, inizia ad irrompere le proprie
               leggi.Lasciammo la
               macchina proprio dove morì e ci incamminammo
               incontro alle nostre case.La strada da
               percorrere era tanta, ma il tempo volava tra le nostre
               parole e gli interminabili discorsi. Ricordo che
               più volte fermai i fiumi delle mie parole, per
               rassicurarmi che Irene non si stesse annoiando, ma nei
               suoi occhi quelle espressioni così attente, mi
               spingevano a parlare sempre di più. Ovviamente
               i miei discorsi vertevano più sull'arte e su
               quella disperata paura, divenuta oramai ossessione,
               nel non riuscire più a sporcare i
               fogli.Mentre Irene...
               Irene parlava esclusivamente del volo!Il volo, l'ebbrezza
               del vento forte sul volto, le improvvise piogge che
               bagnano le braccia e il calore forte dei primi soli
               estivi.Il volo, le gocce
               salate del mare se plani troppo basso, l'inseguimento
               curioso ma attento delle navi che solcano gli oceani e
               il saluto ingenuo dei bambini dal molo.E lei parlava solo
               di volare, ne parlava con così tanto
               entusiasmo, che era lampante il suo stretto legame con
               l'aria, peccato che non riuscivo assolutamente a
               capire in che modo, peccato che ad ogni mia domanda
               più approfondita, lei riusciva ad ipnotizzarmi
               con la sua carica vitale tanto da non ricordare
               più la domanda fatta.Raggiunte dopo un
               paio di ore le nostre case e vista l'ora tarda e la
               tanta stanchezza, ci salutammo, ovviamente non prima
               di averle strappato un arrivederci
               all'indomani.Entrato in casa non
               riuscivo a trattenere un'inspiegabile forza, che
               sentivo scaturire dalle viscere della mia arte,
               così tolta penna e fogli dalla borsa ecco che
               la mia mano inizia la sua folle corsa sul bianco delle
               pagine immacolate.Non riuscivo a
               capire, pensare o parlare, sentivo solamente la mia
               mano che non più schiava del suo "padrone" e
               quasi autonoma dal resto del corpo, senza i miei
               comandi insisteva nel suo "correre".Ed erano parole,
               frasi che non riuscivo a leggere, insieme di linee,
               punti, curve, tratteggi e aree da colorare che non
               riuscivo a guardare.Il mio corpo
               iniziava a non reggere più tanta tensione e
               quel ritmo così osannato, e mentre sudavo le
               gambe si piegavano e l'aria si faceva sempre
               più pesante.E continuavo a
               sudare, mentre quella mano non più mia, ma
               figlia di se stessa o di chissà quale forza, a
               me estranea e sconosciuta, continuava il suo lungo
               lavoro.E si
               fermò.Il suo arresto
               concise con alcuni secondi di smarrimento dovuti alla
               fatica, e sdraiato a terra in stato confusionale,
               tentavo di riprendere respiro con l'ansia di osservare
               il foglio ancora sul tavolo.Mi rialzai, guardai
               la pagina non più bianca e davanti ai miei
               occhi increduli, le linee e le parole si erano
               intrecciate per dar vita ad un interminabile sequenza
               di illustrazioni che nell'inseguirsi quasi prendevano
               vita!Le sequenze
               raffiguravano una donna su una rupe, che sopra il mare
               si accingeva a tuffarsi. Ma il suo planare verso il
               blu salato non la fece sposare con le onde, in quanto
               le sue braccia si coprivano di piume, fino a quando da
               donna divenne airone e poi il volo verso il
               cielo.Cosa avrei dato in
               quel momento per capire che quell'istante e quei
               disegni, tenevo il foglio fra le dita, lo giravo e lo
               rigiravo, lo scrutavo sempre più da vicino, per
               rendermi conto che più lo osservavo e
               più le illustrazioni si "aprivano" a me, quasi
               come se ad ogni nuovo colpo d'occhio avessero
               l'intenzione di svelarmi nuovi segreti.Ed eccola
               lì!Bella come l'avevo
               conosciuta, bella come miraggio in piena montagna,
               eccola adesso anche tra i miei disegni!Mi coricai tentando
               di spiegare a me stesso che tutto era normale, che
               probabilmente in stato di troppa stanchezza avevo solo
               perso un po' di razionalità.L'indomani mi
               svegliai piuttosto presto ed uscito fuori in veranda,
               Irene era già lì con la colazione che mi
               sorrideva.Era bellissima e
               ubriacato dai suoi bellissimi occhi, tentai di non
               spiegarmi come mai indossava un vestito identico a
               quello che portava la donna del mio
               disegno.Il mistero si
               faceva sempre più complicato, e più
               tentavo di far finta di niente, più quel
               vestito mi sconvolgeva.Irene parlava
               ancora del volo, delle sue leggi e del suo mistero, e
               continuava a parlarne con ancora così tanta
               enfasi, che la dovetti irrompere per capire meglio
               quale fosse la connessione fra lei e così tanta
               conoscenza del cielo.Lei mi
               guardò dritto negli occhi, sorrise ed
               avvicinatasi al mio orecchio mi chiese:"Hai scritto
               stanotte poeta...hai sporcato i tuoi fogli tanto
               bianchi artista?"Lì la
               situazione divenne sempre più assurda, ad occhi
               spalancati osservavo quel fiore di rara bellezza
               mentre il battito del mio cuore non rispondeva
               più a nessuna legge umana.Irene a quel punto
               si avvicinò alle labbra del mio corpo
               paralizzato, e dopo aver appena aperto le sue mi
               baciò.E quel bacio, quel
               bacio aveva il sapore dell'eternità e del non
               terreno, quel bacio aveva tutta quella freschezza che
               solo il vento e il cantare sapeva
               imprigionare.Tentai di muovere
               le braccia per poterla sfiorare, abbracciare,
               trattenere con me, ma il mio corpo immobile era
               paralizzato alla sedia, mentre Irene dopo avermi
               mostrato i suoi occhi umidi piano andava
               via.E io insistevo,
               tentavo di muovermi sempre più, mentre sentivo
               le vene irrigidirsi. Con tutte le mie forze cercavo
               ancora di muovermi, volevo alzarmi, correre per
               poterla raggiungere, perché un colpo di vento
               annunciava la sua partenza per sempre. Alla fine,
               probabilmente qualcuno ha voluto premiare le mie
               fatiche, riuscii ad alzarmi e a correre.Correvo...correvo,
               ma di Irene avevo perso completamente le tracce. Non
               riuscivo a darmi spiegazioni, tentavo di pensare,
               mentre correndo chissà dove, non riuscivo a
               trovarla. Sentii l'odore e il rumore del
               mare.Allora corsi ancora
               più forte, il cielo si aprì ai miei
               occhi e capii che l'avrei trovata
               lì.Ed eccola
               lì, proprio come in quel disegno, dipinta dal
               vento e sfiorata alle sue leggi, lì su quella
               rupe guardando il mare pronta a volar via."No, Irene, non
               andare via" gridavo a squarcia gola mentre tentavo di
               andarle incontro.Lei si
               voltò, per un istante mi fissò negli
               occhi mentre due lacrime, le sue, piano si spaccavano
               violentemente nell'infinità del blu salato...e
               poi si buttò.Io la segui nella
               caduta, e raggiunta la afferrai con tanta forza, tanta
               che lei non poté aprire le braccia.Dio che
               botta!!!Il mare ci avvolse
               e un poco ci tenne nei suoi fondali prima di
               restituirci alla riva.Irene era sdraiata
               priva di sensi, e io affianco a lei tentavo di farla
               rinvenire.E così si
               svegliò, guardò le sue braccia e niente
               piume, niente ali, piangendo mi sorrise, mi
               abbracciò con tutta la forza tanto che
               quell'abbraccio tuttora mi fa compagnia.Esiste la vita,
               fatta di regole e difficoltà, esistono i suoi
               ritmi e il nostro correre forte, a volte disperato e
               scoordinato.Ma esiste anche
               quell'essenza incredibile fatta di sogno, speranza ed
               affetti, esiste quell'insaziabile voglia di esserci a
               qualsiasi costo.E spesso, anche se
               è difficile capire, riusciamo a tenere per noi
               ciò che con tanta intensità abbiamo
               amato, rivoluzionando e attraversando qualsiasi
               impedimento. |