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               Il
               trattato dei sogni Il vento scuoteva
               dal loro torpore le fronde dei platani al limitare del
               bosco. La luce, evanescente e striata di rame di un
               tramonto primaverile, dava alla scena una parvenza
               irreale, soporosa, quasi magica.Ed il sentore di
               magia non si fermava al limitare, passava al di
               là degli ultimi arbusti, a lato dei cespi di
               agrifoglio, oltre le mure di spessa pietra del piccolo
               maniero e si spingeva fin nelle stanze più buie
               di Hermes l'alchimista.Il sole prendeva la
               sua ripida discesa proprio dietro i tetti ed il
               campanile del villaggio, appena visibili dalla torre
               del piccolo maniero.Hermes si
               affacciò alla finestra che dava ad est,
               contemplando l'azzurro intenso che caratterizza la
               parte di cielo che quasi nessuno osserva quando
               c'è il tramonto. È un colore
               antagonista, pur conscio dell'inutilità della
               competizione in atto, un azzurro come mai, in altri
               momenti della giornata, si può osservare. Uno
               che non si arrende.L'attenzione di
               Hermes fu distolta dal rumore di un carretto che
               passava velocemente sul vialetto, in direzione del
               bosco.Tutti passavano
               velocemente, quando erano costretti ad avvicinarsi
               alle sue mura.Era la paura. Loro
               non conoscevano, non potevano capire e di conseguenza
               avevano paura.Lo temevano, non
               osavano nemmeno rivolgergli la parola.Eppure nei primi
               anni correvano da lui. Non appena cominciò a
               spargersi la voce dei suoi miracolosi medicamenti, si
               stupì di trovare la fila alla sua
               porta.Gotta, colpi della
               strega, malanni di stagione: ne aveva viste e curate
               di tutti i colori.Anni d'esperienza e
               studi sulle erbe medicinali avevano fatto di lui un
               esperto in materia e al tempo stesso, lo avevano fatto
               apparire agli occhi dei villici come un
               mago.Si vociferava dei
               suoi presunti "poteri" nelle botteghe e nelle taverne,
               tra ceste di pane nero e otri di sidro. E, prima o
               poi, tutti arrivavano dinanzi al suo studio: si
               ammalavano e si aggrappavano all'ultima speranza, che
               stava di casa nel piccolo maniero dopo il limitare del
               bosco. Verso est.Hermes riprese ad
               osservare il cielo che, in pochi minuti, aveva assunto
               una tonalità di blu più consona ad
               accogliere l'arrivo della notte.Si tirò su
               il bavero per scacciare la sensazione di freddo che
               gli si era insinuata fin nelle ossa e
               s'incamminò per le scale ripide che portavano
               giù dalla torre.Proprio davanti
               alla porta del suo studio, aspettava Giorgio, quel che
               si poteva definire il suo assistente
               tuttofare.Se ne stava
               immobile, in piedi, con in mano un lume acceso che
               porse al padrone senza dire una parola. Ad Hermes
               bastò un rapido sguardo per cogliere
               l'apprensione e la preoccupazione che stagnavano nei
               suoi occhi.Giorgio si
               allontanò, sempre in silenzio, zoppicando
               vistosamente.Era così che
               l'aveva conosciuto. Ancora ai tempi in cui gestiva
               quella piccola bottega d'erboristeria in una contea
               lontana.Aveva rischiato
               grosso per lui. E neppure lo conosceva.L'unica colpa di
               Giorgio era l'essere zoppo.I suoi vecchi
               l'avevano nascosto agli sguardi del popolo:
               l'avrebbero accusato d'avere "il piede caprino",
               inconfondibile segno demoniaco.L'avrebbero
               strappato al loro affetto e, ancor peggio, alla vita
               che meritava comunque di vivere.Poi, un bel giorno,
               i due vecchi muoiono in un incidente al fiume ed ecco
               arrivare al villaggio un carretto con le salme
               trainato da uno zoppo.Giorgio era sempre
               vissuto in aperta campagna, forse perfino ignorava
               l'esistenza di altre persone ma, più forte del
               suo timore, fu il desiderio di cercare aiuto per i
               suoi genitori. Per quelli che, fino a quel momento,
               gli avevano garantito un'esistenza
               dignitosa.Agli occhi della
               gente, ubriacata dalle deviazioni del cristianesimo,
               la scena si prestava ad un'unica interpretazione: un
               emissario diabolico che trasportava due cadaveri gonfi
               e bluastri non meritava alcuna
               pietà.L'ignoranza andava
               ben al di là dell'umana comprensione, a tutto
               vantaggio di predicatori senza scrupoli. I soldi
               muovevano il mondo, la convenienza faceva genuflettere
               i potenti sotto una croce e la follia ardeva negli
               animi degli inquisitori più
               incalliti.Nemmeno un processo
               sommario spettò a Giorgio, tanto evidente fu
               considerata la sua flagranza di reato e l'efferatezza
               del suo delitto.Hermes lo
               salvò mischiando alle fascine del rogo alcune
               sostanze di sua preparazione che scatenarono una nube
               densa ed impenetrabile, una nebbia improvvisa e
               fittissima.I popolani si
               limitarono a gridare e fuggire in ogni direzione,
               considerando l'accaduto come un'ulteriore prova che il
               diavolo camminasse tra loro.L'erborista si
               avvicinò alla vittima di quel rito tragico e
               ridicolo, lo liberò e lo condusse nel suo
               angusto scantinato.Hermes divenne la
               nuova famiglia di Giorgio, lo accudì come
               avrebbe dovuto fare con un bambino e gl'insegnò
               tutto quel gli riuscì di far entrare in quella
               zucca abituata al solo lavoro manuale, fino a che
               imparò a parlare correttamente e a far di
               calcolo.Poi venne il
               viaggio verso i margini del regno.I sospetti sui suoi
               rimedi naturali e sulle sue pozioni, convinsero Hermes
               a cercare casa in luoghi per cui, regnanti e
               predicatori, mostravano poco interesse.Ma anche il piccolo
               maniero al limitare del bosco non era più
               sicuro.Hermes aprì
               la pesante porta del suo laboratorio, poggiò il
               lume sul vecchio tavolo ricavato da mezzo tronco di
               quercia e diede un'occhiata ai suoi ultimi
               appunti.Poi aprì un
               cassetto ed estrasse un volume dal peso non
               indifferente che aveva letto mille, forse un milione
               di volte.Il suo trattato.
               L'insieme della sapienza di diversi studiosi,
               alchimisti, filosofi e letterati del mondo intero. Su
               quelle pagine ingiallite, le parole erano scritte col
               sudore, col sangue e col sacrificio di menti
               illuminate. Hermes aveva approfondito e continuato gli
               esperimenti di chi, prima di lui, aveva impegnato la
               vita alla scoperta dei segreti della fisica,
               dell'anatomia e della chimica.Aveva riletto quei
               passaggi tanto da impararli a memoria e vi aveva
               aggiunto perfezionamenti fondamentali e
               preziosi.Ora era al termine.
               Il trattato che insegnava all'uomo come realizzare uno
               dei suoi sogni più antichi era finalmente
               completato.«Quante volte
               ancora pensi di riguardarlo?»La voce di una
               donna lo fece sussultare. Elena stava sulla soglia
               della porta spalancata nelle sue vesti preziose e con
               i capelli biondi sciolti sulle spalle.«Lo riguardo
               per soddisfazione personale. Lo sai che manca solo
               l'esperimento finale».«È
               proprio questo che mi preoccupa. Per quanto ancora
               credi che riuscirò a proteggerti? Per quanto
               ancora credi che mio marito tollererà la tua
               presenza sulla sua terra? Quel monaco maledetto non fa
               che tacciarti di stregoneria in giro per il villaggio.
               Le sue parole sembrano aver fatto dimenticare alla
               gente tutto quel che hai fatto per
               loro».Mentre parlava,
               cominciò ad avvicinarsi. I suoi occhi verdi
               parevano gemme e la sua pelle candida contrastava con
               quelle zone brulle e selvatiche.Suo marito, signore
               di quelle terre, era un uomo abbastanza
               accondiscendente e schiavo del fascino della moglie.
               Elena lo guidava come una marionetta ed era grazie
               alla sua intercessione, se Hermes non era ancora stato
               catturato per comparire davanti al tribunale
               dell'inquisizione.Al momento, il
               signorotto lo considerava inoffensivo e indegno della
               sua attenzione, ma l'idillio non sarebbe durato a
               lungo. Le prediche accorate del monaco sconosciuto
               stavano sortendo il loro ipnotico effetto e la gente
               gli si stava rivoltando contro.«Devi
               andartene», sentenziò Elena. «Non
               puoi star qui ad aspettare che vengano a
               prenderti».«Verrebbero
               dovunque. Il mondo intero è sotto
               quell'influsso maledetto. Non c'è un solo posto
               che sia sicuro per degli uomini di scienza o per uno
               zoppo ritardato».Era la
               verità, quello dei vagabondi era il futuro che
               li aspettava.Ma lui aveva la
               soluzione. Il trattato del sogno dell'uomo, la sua
               più promettente creatura, la sua arma
               segreta.«Questo!»,
               esclamò battendo la mano sulla copertina in
               pelle del tomo «Questo sarà la mia
               salvezza e la mia via di fuga».«Quello
               è una sciocchezza», ribadì Elena
               senza scomporsi. «Come puoi essere sicuro che
               possa funzionare? Come puoi sperare di riuscire dove
               altri hanno fallito nel corso dei
               secoli?»«Ho raccolto
               tutto il loro sapere e corretto tutti i loro errori di
               valutazione. Nessuno avrà il piacere di
               arrostirmi su di un rogo».Elena non rispose;
               la cocciutaggine di quell'uomo era pari solo alla sua
               intelligenza e alla sua bontà
               d'animo.Non poteva
               nascondere la sua preoccupazione per un esperimento
               tanto pericoloso ma, una voce dentro di lei le diceva
               di fidarsi, di concedere almeno il beneficio del
               dubbio alle sue folli teorie.«Allora hai
               deciso?», gli domandò sinteticamente e con
               la voce leggermente tremante.«So cos'hai
               sempre pensato del trattato, ma devi credermi.
               Farò di un sogno realtà e
               ridicolizzerò tutti quelli che spacciano
               fandonie per dogmi e vie di salvezza. Andrò
               più in là di quanto non si sia mai
               spinto un essere umano».«Spero che, da
               dove ti spingerai, tu possa far
               ritorno».Detto questo si
               voltò e s'incamminò verso l'uscita. Non
               si aspettava di riuscire a farlo desistere ma nemmeno
               si aspettava una così sincera ed orgogliosa
               difesa delle sue idee. Quanti prima di lui erano
               periti nel tentativo di mettere in pratica gli
               insegnamenti di quel volume? Quanto le sue modifiche
               gli avrebbero garantito il successo?Si soffermò
               a guardarlo un'ultima volta. Mentre una lacrima le
               solcava il viso pulito, cercò di mostrargli uno
               sguardo fiero ed intenso. In fondo aveva fiducia in
               lui e non poteva che augurargli il successo e la
               realizzazione del suo sogno. In ogni caso l'avrebbe
               perso e non le riuscì di dirgli
               addio. La notte
               portò con sé una brezza del sapore
               ancora invernale che dondolava le fronde ma raggelava
               le membra.Hermes bussò
               forte all'uscio della stanza di Giorgio. Il ragazzone
               venne ad aprire già vestito.Sapeva quello che
               stava per accadere e sapeva quel che il suo protettore
               aveva programmato per la sua
               incolumità.«È
               l'ora Giorgio. Il cavallo che ha portato Elena
               è sul retro con le sacche già piene di
               viveri ed acqua. Ti ricordi tutto?»«Sì.
               Credo».«Non è
               difficile. Devi sempre scappare verso est,
               oltrepassare i confini del regno e rintracciare
               Homertio l'alchimista. Ricorda di non scendere mai da
               cavallo se non è strettamente necessario o se
               qualcuno ti può vedere. Fino a che sarai nel
               regno sei in pericolo per via del tuo difetto.
               Chiaro?»«E voi?»,
               chiese abbassando lo sguardo, Giorgio.«Applicherò
               per la prima volta il trattato. Ho già pronte
               tutte le pozioni e presto comincerò gli
               esercizi mentali e fisici. Non aver paura per me.
               Probabilmente arriverò da Homertio prima di te.
               Sarò là ad aspettarti davanti ad una
               bella tisana bollente e pronto a descriverti le facce
               stupite di quei quattro bigotti che avranno avuto il
               coraggio di venire a prendermi».«Io vi credo.
               Ma credo anche che avreste fatto bene a fuggire con
               me».«No. Questa
               è l'occasione per dimostrare a quei venditori
               di fumo l'importanza della scienza. Devo mostrare loro
               cosa posso fare adoperando il mio cervello e le
               nozioni tramandate dai grandi del passato. Non possono
               cancellare tutta la conoscenza dei nostri avi con la
               scusa della "semplicità d'animo" e
               approfittando di menti plasmabili al loro volere. Io
               lo impedirò e con il mio esperimento
               segnerò la prima, grandiosa vittoria a favore
               dei miei studi e della libertà di
               sognare».Il discorso
               terminò lì: Giorgio sapeva benissimo
               che, per nessuna ragione al mondo, il suo protettore
               avrebbe rinunciato alla sua idea e mai sarebbe tornato
               sui suoi passi.Se non c'era
               riuscita Elena, figurarsi come poteva pretendere lui
               d'avere voce in capitolo.I due scesero
               insieme, in perfetto silenzio, le scale che portavano
               al retro del piccolo maniero dove un bellissimo
               cavallo sauro stava placidamente legato ad un paletto
               conficcato nel terreno. Elena doveva aver fatto
               sparire quel magnifico destriero dalle stalle del
               marito perché, i villici, era praticamente
               impossibile che possedessero una così splendida
               bestia.«Stringi i
               denti!», rincarò la dose Hermes,
               «cavalca più che puoi ed evita i villaggi
               troppo popolati. Non ti ho salvato la prima volta per
               poi vederti finire al rogo per una stupida
               leggerezza».Giorgio, per tutta
               risposta, gli gettò le braccia al collo,
               cingendolo in una stretta che significava molto di
               più di quello che avrebbe mai potuto dire. Quel
               pazzo era per lui un padre, un fratello maggiore, uno
               da seguire per la sincera bontà dei suoi
               ideali.Quante volte
               l'aveva visto pentirsi per aver aiutato gente ingrata
               e quante volte ancora era ricaduto nel suo errore?
               Quante notti l'aveva visto insonne a rimuginare sulle
               pagine del trattato per non ipotizzare che fosse nel
               giusto?Una volta in sella,
               il ragazzone zoppo, era normale. Nessuno lo avrebbe
               mai accusato di "piede caprino" e nessuno gli avrebbe
               negato il saluto sulla via che conduceva fuori dal
               regno.«Tutto ad
               est!», gridò e partì al galoppo
               verso una meta sconosciuta, lasciandosi alle spalle
               l'unico uomo che gli aveva concesso una
               possibilità senza giudicarlo per il suo
               aspetto. Sapeva che
               sarebbero arrivati presto.Forse già
               con le prime luci dell'alba. Da quanto si diceva,
               facevano sempre così: nessun avvertimento
               specifico e poi, di sorpresa, si presentavano in un
               numero spropositato (manco dovessero combattere una
               guerra) alla porta del cosiddetto "emissario del
               demonio".Fu un'intuizione,
               una specie di sesto senso che gli aveva consigliato di
               anticipare la fuga di Giorgio e che gli suggeriva di
               cominciare a prepararsi per l'esperimento.Aprì il
               solito cassetto e ne trasse il volume che già
               migliaia di volte era passato tra le sue
               mani.Ripassò
               l'ordine degli esercizi mentali e cominciò a
               praticare quelli fisici per sciogliere la
               muscolatura.Poi si
               lasciò cadere sul letto, ripensando a tutti gli
               anni spesi in ricerche, a tutto il sapere che era
               contenuto in quel tomo.Qualcosa più
               grande di lui, qualcosa che stava cercando di
               manipolare ben conscio che, forse, le sue forze non
               sarebbero state sufficienti.In fondo, era
               spaventato. Spaventato dalla sua cocciutaggine, dalla
               sua ostentata sicurezza e dalla sua incondizionata
               fiducia nelle sue capacità.Tutto sembrava
               perfetto, i calcoli erano esatti e ogni teoria
               combaciava con l'altra.Avrebbe mai
               più rivisto Elena? E Giorgio?S'immaginò
               piombare dal cielo a cavallo di un destriero alato,
               bello e tremendo come la più terribile
               punizione che i monaci potessero mai aspettarsi
               arrivare da lassù, un messaggero di luce e
               verità.Perso tra i suoi
               pensieri, non si accorse che un flebile chiarore
               penetrava dalla sua finestra rischiarandogli un poco
               il viso.Si destò
               completamente quando udì uno sferragliare in
               lontananza. E poi voci, canti e passi sempre
               più vicini.Guardando da una
               fessura riuscì a scorgere le fiaccole dei
               popolani che venivano a prenderlo per giustiziarlo.
               Guidava la carovana il monaco senza nome che tanto
               aveva propagandato contro di lui e la sua arte
               medica.Era giunto il
               momento. Non avrebbe più potuto tirarsi
               indietro.Le prime voci si
               facevano grosse al limitare del bosco: erano in molti,
               e questo bastava a non far temere nemmeno il diavolo
               in persona. Pensare che erano quelle stesse persone,
               che a lui si erano rivolti per la febbre del
               figlioletto e le stesse che, giorni prima, passavano a
               tutta velocità pur di non sostare accanto alle
               sue mura.Cominciarono i
               primi insulti, i primi richiami al pentimento e le
               intimidazioni ad uscire senza fare uso delle arti
               demoniache. Il Signore era con loro.
               Dicevano.Intanto il
               cinguettio dei passerotti si mischiava alle voci
               esalate mentre la luce del sole mortificava quella
               delle torce e veniva ad illuminare l'atto
               finale.Hermes si
               legò alla schiena una sacca di tela nera, vi
               infilò il tomo del trattato e salì di
               corsa le scale che portavano alla sommità della
               torre.«Se
               confesserai avrai una morte veloce!», intimavano
               dal basso.«Bruciamolo
               qui, prima che possa scomparire nel nulla!»,
               incalzava qualcun altro.Ed Hermes si
               affacciò.Si portò in
               piedi sulla merlatura della torre cosicché, tra
               lui ed i suoi giustizieri, ci fosse solo un salto di
               una quindicina di metri.Non sentiva
               più alcun rumore, ma poteva vedere le loro
               facce storpiate dalla foga e da smorfie di sdegno e
               terrore. Tutto intorno a lui si era fatto
               silenzio.La concentrazione
               che aveva raggiunto, seguendo gli insegnamenti dei
               saggi orientali, era totale, ermetica.I primi villici
               cominciarono a darsi da fare per sfondare la porta e
               qualcuno improvvisò un'improbabile lapidazione
               dal basso verso l'alto, senza mai
               colpirlo.Hermes era
               indifferente ad ogni provocazione: non si curava delle
               pietre che, in qualche caso arrivavano a sfiorarlo, ma
               pensava solo a raggiungere lo stadio di preparazione
               necessario a compiere il grande passo.Con uno schianto
               tremendo la porta d'ingresso
               crollò.Non si poteva
               attendere oltre.«Ora
               vedrete!», urlò Hermes con quanto fiato
               aveva in gola.Sotto, tutti si
               bloccarono un po' per lo spavento, un po' per vedere
               che mai avrebbe potuto escogitare quel demonio per
               levarsi dai guai e da una fine certa.«Voi siete
               ciechi!», continuò con voce forte Hermes,
               «io sono la stessa persona che vi ha curato, che
               ha mangiato al vostro stesso tavolo e bevuto alla
               vostra stessa fonte. Non mi riconoscete più
               forse? Ora non merito più la vostra miserabile
               fiducia? Se volete seguire la via della prostrazione a
               chi vi comanda e del terrore per chi giudica la vostra
               moralità, fate pure. Io ho aperto gli occhi e
               non ho mai abbassato la guardia. Io ho la conoscenza!
               Sono il novello Icaro! State per assistere alla
               realizzazione del più grande sogno dell'uomo.
               Io volerò! Volerò perché
               sarà la scienza e non la magia a permettermi di
               farlo. Restate pure in balia di infondate credenze e
               di uomini senza scrupoli. Io volerò via,
               cercando un luogo dove le diversità saranno
               interpretate come ricchezza e le menti aperte al
               rispetto della vita. Io VOLERÒ
               VIA!»E detto questo,
               spiccò un aggraziato balzo nel
               vuoto. |