- SEGRETO
INCONFESSABILE
-
- A
sette anni Andrea era la persona più saggia che
Francesca potesse dire di aver mai conosciuto. Di
certo non aveva ereditato da sua madre quella
caratteristica.
- Lei,
saggia non lo era mai stata, finora, e il fatto di
essere una ragazza madre di venticinque anni ne era la
riprova.
- Che
dire del padre? Forse lui sì, forse era stato
saggio ad abbandonarli quando era ancora in tempo,
almeno si era risparmiato un gran bel po' di
preoccupazioni.
- Quest'ultima,
soprattutto.
- Doveva
dirglielo.
- Francesca
doveva trovare il coraggio di prendere il suo bambino,
guardarlo negli occhi e dirgli che stava
morendo.
- Chi
avrebbe mai pensato che si potesse morire di cancro
così giovani? Certamente non lei. Sapeva che
era possibile, questo sì, ma non possibile che
capitasse proprio a lei.
- Una
volta Andrea aveva notato le profonde occhiaie che
circondavano gli occhi della madre e le aveva
domandato se si sentisse bene. Le era sembrato
stranamente consapevole che qualcosa non stava andando
per il verso giusto.
- Invece
Francesca lo aveva abbracciato e
tranquillizzato.
- -
Sono due giorni che non dormo, amore - gli aveva detto
- lo sai che ho tanto lavoro da
sbrigare...
- Era
successo circa un mese prima e quella volta Andrea
pareva averle creduto. Ma adesso? Con che coraggio
adesso poteva metterlo al corrente di una
verità così sovrastante per
lui?
- Quel
bambino era tutta la sua vita e non voleva che gli si
spezzasse il cuore.
- D'altra
parte anche lei era tutto per suo figlio e in un modo
o nell'altro Andrea si sarebbe trovato ad affrontare
un dolore che a sette anni non dovrebbe essere nemmeno
concepibile.
- Doveva
prepararlo, non c'era altro modo.
- Aveva
già pensato alla sua sistemazione. Sarebbe
andato a stare con i suoi genitori, che erano parsi
stranamente più malleabili ora che Francesca
era in procinto di lasciare tutto per sempre di quanto
lo erano stati anni prima, all'annuncio della sua
gravidanza, quando l'unica cosa che si era vista
costretta ad abbandonare era stato l'ultimo anno di
liceo.
- Francesca
se ne stava seduta lì in salotto a rimuginare
sul da farsi quando Andrea entrò nella stanza,
silenzioso come un piccolo fantasma.
- E'
una caratteristica comune ai bambini che si sono
sentiti in qualche modo rifiutati o abbandonati,
quella di rendersi il più possibile
invisibili.
- -
Mamma, a che pensi? - le chiese con un
sussurro.
- Francesca
riemerse dai propri pensieri e si asciugò una
lacrima. Era giunto il momento, lo sapeva.
- Aveva
temporeggiato così a lungo che suo figlio, il
suo piccolo bambino, aveva trovato il coraggio di
precederla.
- -
Vieni, piccolino - lo invitò battendo il palmo
della mano sul divano dov'era seduta - siediti qui
vicino a mamma.
- Andrea
si avvicinò a sua madre, la fissò a
lungo con tutta l'intensità dei sui occhi
d'ebano, poi si sedette.
- -
Mamma ti deve dire una cosa, Andrea, una cosa che non
ti piacerà...
- -
Allora non dirmela, mammina...
- -
Devo. Devo farlo per forza.
- -
Perché sei una mamma? - insistette
Andrea.
- -
Che vuoi dire, amore?
- Il
bambino assunse un'espressione seria e
assorta.
- -
Voglio dire che devi fare per forza questa cosa brutta
perché sei una mamma e le mamme, certe volte,
devono prendere per forza le decisioni
difficili.
- Era
incredibile come quel bambino riuscisse di volta in
volta a stupirla con la sua perspicacia.
- -
Già - annuì la ragazza - intendevo
esattamente questo. Sai, non è facile fare la
mamma.
- -
Io non sarò mai una mamma, però speriamo
che è più facile fare il
papà.
- -
Non te lo saprei dire, amore, ma sono convinta che tu
sarai straordinario in tutto ciò che farai
nella tua vita, perché sei già
straordinario adesso che sei così piccolo. Ma
ora vogliamo riprendere il nostro discorso? - concluse
Francesca contorcendosi nervosamente le mani mentre
cercava di ricacciare indietro lacrime troppo cocenti
per versarle davanti a suo figlio.
- L'avrebbe
fatto più tardi, nella solitudine della sua
camera, come accadeva ormai da tre mesi.
- Andrea
se ne accorse e alzò un dito della sua piccola
mano nel gesto di asciugargliele.
- -
Non voglio vederti piangere, mamma, le mamme sono
grandi e non piangono mai - le
ordinò.
- -
Hai ragione, ma anche le mamme si sentono tristi, ogni
tanto, e allora piangono.
- -
Ma tu non devi essere triste. Ci sono io qui con te.
Solo le mamme che non hanno bambini possono essere
tristi.
- Francesca
sorrise al pensiero sconclusionato di suo figlio.
Però c'era un fondo di verità nelle sue
parole. E pensare che c'era stato un tempo, anni
prima, in cui aveva seriamente considerato
l'eventualità di non permettere ad Andrea di
nascere. O meglio, di non permettere a se stessa di
diventare madre. Pensava che sia lei che suo figlio
sarebbero andati incontro solo ad una grande
sofferenza.
- Invece,
anche adesso che stava morendo, non poteva ricordare
una gioia precedente che fosse superiore all'essere
abbracciata dal suo bambino che le diceva quanto le
volesse bene.
- -
D'accordo, allora - si ricompose - adesso smetto di
essere triste perché non ne ho proprio
motivo.
- -
Mamma, come ci si allaccia le scarpe? - intervenne
inaspettatamente il bambino.
- Improvvisamente,
tutta la tensione che andava accumulando da mesi ebbe
il sopravvento sulla giovane donna.
- -
Andrea, io ti devo dire una cosa importante,
accidenti, la smetti di cambiare discorso, per
favore?
- Francesca
non ce la faceva più, sentiva che stava per
perdere il coraggio necessario per quella dolorosa
rivelazione e capiva che suo figlio stava
deliberatamente tentando di rimandare l'inevitabile.
Ma perché? Di solito l'ascoltava
sempre.
- - E
non ti sembra importante che a sette anni non sono
ancora capace di allacciarmi le scarpe da solo? Sono
quasi adulto, mi prenderanno tutti in giro a scuola! -
insistette Andrea con l'ostinazione propria dei
bambini.
- -
Va bene - cedette Francesca - se adesso mi fai parlare
poi ti prometto che ti insegnerò a
farlo.
- C'era
dell'assurdo in ciò che stava dicendo, se ne
rendeva ben conto. Dopo non ci sarebbe stato tempo che
per piangere. Avrebbero pensato i nonni ad insegnargli
ad allacciarsi le scarpe, a lavarsi le orecchie e a
vestirsi da solo perché lei non avrebbe potuto
farlo. Lei non avrebbe preso parte alla crescita di
suo figlio. Non ci sarebbe più
stata.
- Era
questa consapevolezza che le straziava l'anima, ancor
più di quella di avere ancora così poco
da vivere.
- -
Mamma, mi posso sedere sulle tue
ginocchia?
- -
Vieni e fammi parlare, adesso.
- -
Tanto lo so già che cosa mi devi
dire.
- Il
panico la colse improvvisamente, lasciandola basita,
sconvolta.
- Dunque
sapeva già? No! No, non era possibile che
già lo sapesse, doveva dirglielo lei, con
tatto, con dolcezza, per evitargli ogni inutile
sofferenza...
- -
Che cosa credi di sapere? - trovò infine il
coraggio di chiedergli.
- -
Che hai un nuovo fidanzato, vero? Ma non ti sei ancora
stufata di cercarmi un papà? Io non lo voglio,
io voglio stare solo con te, mamma - disse Andrea
guardandola negli occhi per un tempo che parve
interminabile ad entrambi.
- Francesca
comprese improvvisamente che quello non era proprio il
momento per parlare a suo figlio della sua malattia,
per confessargli che presto se ne sarebbe andata.
D'altra parte, quale può essere quel momento,
per una madre?
- Decise
che voleva soltanto rimanere lì, seduta, col
suo piccolo bimbo tra le braccia, sperando che
quell'istante durasse in eterno.
- E
sembrò durarlo, in effetti, quando
all'improvviso il bambino parlò con quella sua
vocina tanto saggia quanto infantile.
- -
Non ti preoccupare se devi morire, mamma. Io me la
caverò. Imparerò da solo ad allacciarmi
le scarpe...
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