| 
               Signor
               D.
 "Tu non vieni più a dormire?" La voce suonava
               timida e stanca.
"Lasciami
               stare, che cavolo, non vedi quanto lavoro ho ancora da
               fare? Tu vai a letto, io resto qui.""Va
               bene, allora vieni quando avrai finito. Buona
               notte!" Brontolava
               indisposto, seppellito in un mare di carte
               sparpagliate sulla scrivania, cadute sul tappeto,
               mischiate tra le pagine dei libri aperti, con i fogli
               usati dallo sfogliare in continuazione.D'estate
               o d'inverno, l'appartamento puzzava sempre di aglio e
               di fumo di sigaretta. I bambini erano andati a letto
               da parecchio tempo, il chiasso dei vicini aveva
               cessato di farsi sentire tra i muri sottili. Non gli
               rimaneva nient'altro da fare che uscire sul balcone,
               con gli occhi alle stelle, con il beretto di lana in
               testa, per fumare l'ultimo mozzicone prima di
               coricarsi. Con i gomiti appoggiati alla ringhiera
               arrugginita, dove i piccoli appena arrivavano col
               mento, seguiva il suo rito giornaliero, studiava il
               cielo, tossiva, guardava a destra, poi a sinistra, in
               giù, verso il tiglio tra i cui rami le
               cornacchie si erano fatte il nido con quello che era
               rimasto da un maglia di cotone e i frammenti di una
               busta di plastica strappata dal vento.
               Le
               cose erano abbastanza semplici per il Signor D. Doveva
               scoprire il meccanismo di questa equazione, vincere
               l'aspettata borsa di studi a Parigi, guadagnare un
               po'meglio, finire di zappare il pezzo di giardino
               dalla periferia della città, il terreno che
               aveva acquistato impulsivamente per l'amore dei figli,
               nel caso dovessero rimanere in questo paese. Come  si
               impostavano le cose ora, non era più facile
               vivere. Il natale non era più natale, la pasqua
               non era più pasqua, la macchina vecchia ormai
               da quattordici anni le creava problemi, le vacanze
               trascorse al mare costavano più che le bollette
               della luce per un anno. Anche la salute iniziava a
               guastarsi, il cuore batteva più raro,
               estenuato, si stancava di colpo e il naso aveva
               iniziato ad assottigliarsi verso la punta. I capelli
               erano diventati più bianchi in un anno che non
               nei cinque di prima, sembrava gonfio, teso, sempre
               pronto a prendersela con tutti. Bastava un infime
               pretesto per farlo innervosire e si scaricava con
               tutti quelli che gli stavano accanto: "
               Dove mi avete messo le penne che avevo sopra la
               scrivania? Non riesco a trovare più niente in
               questa casa! Ma quante volte vi devo dire di badare
               alle vostre cose e di non toccare più le
               mie!""
               Lascia stare per questa volta, prendine una dalla mia
               borsa", rispondeva Emilia, attenta ai compiti che
               doveva correggere."
               Non si può andare avanti così,
               perché ti rifiuti di capire?" gridava. "Se li
               lasci giocare tutta la giornata e di mettere mano su
               cose che non sono loro, li rovinerai completamente!
               Questi non hanno già nessun rispetto per me,
               che sono loro padre! Che diavolo, li stai insegnando a
               mettersi contro di me! A diavolo con questa
               democrazia, che le è salita in testa! Io quando
               avevo la loro età, non osavo alzare lo sguardo
               di fronte al babbo, figuriamoci frugare tra le cose
               che non erano mie...  E
               questo era vero. Da giovane era cosi premuroso a non
               toccare cose che non erano sue, personali, che da
               quando aveva iniziato a portare i cavalli a pascolare
               non si prendeva il bastone del vecchio, anche se forse
               con questo gli sarebbe venuto più facile
               frenare la corsa delle bestie, mettendolo di fronte al
               petto e sbarrandole la via quando se la davano a
               gambe, gridandole nelle orecchie di fermarsi. Invece
               li lasciava liberi di andarsene ovunque volevano ed i
               cavalli sapevano apprezzarlo, tornavano correndo con
               le code al vento la sera, quando finivano di giocare e
               di mangiare. Venivano con lo stomaco pieno, gonfiato
               dall'erba, e lo trovavano chinato su se stesso,
               graffiando la terra con una verga, intento a risolvere
               alcuni problemi di matematica dal grosso libro che
               portava sempre con sé. Anche da allora non
               sapeva nient'altro all'infuori della scuola e scappava
               ogni tanto in città per passare di nascosto gli
               esami, con la paura che il vecchio l'avrebbe scoperto
               un giorno. Quando
               l'ho conosciuto io, gli occhi gli brillavano
               già come la superficie di una provetta nella
               luce artificiale del laboratorio. Aveva incominciato a
               tacere più a lungo, si era rifugiato nel suo
               mondo. Parlava con se stesso a voce bassa, mormorava
               delle formule, controllava che fossero corrette, si
               incrociava gli occhi con la concentrazione durante gli
               esperimenti. Raramente poteva essere portato via dai
               commutatori e dagli schemi elettrici. Era diventato
               anche lui quasi un'onda magnetica, attirava solo dei
               commenti maliziosi.
               "Una vita sprecata", dicevano tutti che lo conoscevano
               e ad un certo punto avevo cominciato pure io a
               crederci. Dove erano i risultati straordinari, le
               scoperte tanto attese, il genio mostrato quanto aveva
               vinto tutte le olimpiadi internazionali, dove era la
               speranza dei vecchi professori dall'università,
               che gli avevano predetto un futuro d'oro quando si era
               laureato magna cum laudae ventiquattro anni
               addietro? Quando
               aveva abbandonato l'insegnamento a favore della
               ricerca, Emilia l'aveva sostenuto con tutte le sue
               forze. Ma adesso, le cose non andavano così
               bene a casa. Con lo stipendio di insegnante, che aveva
               lei, appena arrivavano a fine mese. I vicini
               mostravano più rispetto a N., il proprietario
               di un panificio, con appartamento nella loro stessa
               scala, al secondo piano e con una macchina dell'ultimo
               modello nel parcheggio. Nessuno lo interpellava
               più con 'Egregio professore'. Da quando
               spendeva la maggior parte del tempo nel laboratorio
               anche gli studenti facevano finta di non conoscerlo,
               vendicandosi così per la fama di persecutore
               che si era costruito anni prima, bocciandoli agli
               esami con la sua caratteristica severità se non
               erano abbastanza preparati. Era
               primavera e sui rami degli alberi sbocciavano le prime
               foglie. L'aria era carica in attesa di un rovescio
               veloce, di inizio aprile. L'avevo visto attraversando
               il cortile della facoltà, diretto verso
               l'ingresso di dietro. Camminava con grandi passi e in
               qualche modo appesantito. Nella mano sinistra teneva
               la solita borsa vecchia, scoppiando di carte e che
               dondolava toccandogli il cappotto, al quale non aveva
               ancora rinunciato nonostante la temperatura mite. Da
               sotto il berretto logoro, indossato per nascondere una
               bizzarra cicatrice sulla tempia destra, alzò
               verso di me uno sguardo indifferente, dove intravidi
               però una breve scintilla quando mi
               riconobbe. 
               "Ehi, come sta, è da tanto che non ci siamo
               incontrati! Come va con la 'scuola'?A
               quel tempo mi preparavo il dottorato in fisica
               quantica a Bucarest."A
               posto, prof, non mi posso lamentare. Lei?""Al
               solito, ci sto provando, ho avuto delle
               difficoltà, ma penso che finalmente sono sulla
               buona strada. Lo sai, le mie equazioni... Sto dando il
               meglio, forse riesco a prendere finalmente la borsa a
               Parigi... l'eterna storia senza fine! Almeno lo faccio
               per i bimbi, forse loro potranno godersi questa vita
               meglio, avere altre possibilità. Che ti posso
               dire?""Andiamo,
               le possibilità ci saranno, non può
               andare tutto storto", mentivo.Alzò
               la mano, seccato, per interrompermi, cominciò a
               parlarmi di alcuni progetti iniziati tempo fa e
               abbandonati, ora ripresi con nuove forze. Mi sforzavo
               di seguirlo, mi affascinava il modo in cui narrava,
               come i processi che descriveva seguivano un filo
               logico, impossibile da comprendere per altri. Mentre
               parlava, aveva iniziato a muovere le mani, le braccia
               si ruotavano in aria descrivendo semicerchi,
               tagliandola, le palme cadevano in cadenza su una
               superficie immaginaria, parlavano nel loro stesso
               linguaggio con una grazia difficile da indovinare in
               un corpo così ponderoso come il suo. Mi
               lasciavo impressionare di nuovo, come ogni volta
               prima, dalla timidezza che la sua presenza imponeva su
               di me, intimorito e cosciente della mia
               inferiorità, dal fatto che non avevo e non
               avrei mai ottenuto la chiave che D. possedeva senza
               rendersene conto. La sua straordinaria intuizione
               faceva sì che anche i più complicati
               enigmi della scienza sembrassero delle bagattelle, un
               semplice gioco da bambini. Si
               fermò bruscamente e mi guardo dritto negli
               occhi:"Guarda,
               vuole sapere una cosa? Lei mi piace. E' da tempo che
               non ho incontrato qualcuno che riesca a seguire
               ciò che dico io. Mi sembra che mi capisca.
               Forse qualche volta potrebbe venire a trovarmi, le
               mostrerò il giardino.""Il
               giardino?" Mi ero distratto per un istante e adesso,
               sconcertato, ricevevo una proposta che mi sembrava
               assurda."Sissignore,
               un paio di mesi fa ho comprato un terreno in collina a
               poca distanza da qui, penso a sette chilometri. Non
               è un granché, ma adesso che il tempo
               migliora... Sa come è, io sono cresciuto in
               campagna. L'abbiamo acquistato con i soldi che ci ha
               lasciato una zia di mia moglie, mi è sembrato
               un buon investimento. Non si sa mai. Qualche volta mi
               rilasso a stare un po' nella natura. Ho piantato anche
               qualche cosa, due- tre prugni. La sera, quando sono
               lì, guardo le stelle. Mi faccia sapere prima se
               viene, così mi prendo il telescopio, vediamo le
               costellazioni per come si deve. Non cambierei questo
               per niente al mondo! Lei adesso è impegnato col
               dottorato, io non esco più dal laboratorio,
               penso che non ci farebbe male, non è
               vero?" "Sicuramente
               no, signore. Accetto con piacere il suo invito.
               Però, per adesso ho alcuni capitoli che devo
               assolutamente finire, forse dopo la consegna...
               ""Certo,
               l'aspetto con tanto piacere. Ma non si deve
               dimenticare di chiamare prima. Mi fa piacere che lei
               è una persona di parola. La saluto, tante
               cose!"Che
               cosa l'aveva spinto a invitarmi adesso, mi sforzavo a
               capire. Avevo tanto lavoro, studiavo giorno e notte,
               mi preparavo per l'esame finale. Mi ero quasi scordato
               della promessa fatta, ma l'invito non ha, comunque,
               trovato l'occasione per materializzarsi. A
               fine maggio stavo mettendo in ordine alcuni scaffali
               impolverati nella sezione di fisica atomica della
               facoltà. Stavo scegliendo delle riviste di
               specialità che dovevano essere cestinate, in
               quanto non più attuali. Una di queste
               attirò la mi attenzione. Penso fosse una delle
               prime ad aver pubblicato alcuni articoli di D. Mi
               capitò semplicemente tra le mani e, senza
               capire il perché, non mi veniva di metterla da
               parte.Avevo
               iniziato a sfogliarla, ero completamente assorto nel
               leggere uno schema su una pagina quando, dalle pagine
               ingiallite, una busta intestata cadde sul tappeto. La
               presi e, aprendola, sentii il cuore che iniziava a
               battermi più forte. Era indirizzata a
               D.In
               corsivo, c'era scritto, tra altro: "Per
               i risultati eccezionali ottenuti nella Sua ricerca e
               per il valore e l'unicità delle pubblicazioni
               inviateci, così come mostrato dalla abbondante
               documentazione che avete allegato alla lettera in cui
               ci richiedevate il posto, siamo onorati ad invitarvi a
               far parte dello staff di ricerca del nostro istituto.
               In allegato vi inviamo i moduli riguardanti il
               rimborso delle spese di viaggio, l'alloggio e tutti
               gli altri aspetti finanziari assieme alle previsioni
               del suo contratto, che pregasi compilare e ritornare
               al più presto per conferma definitiva...
               ". Tanti
               saluti, eccetera... La borsa di studi a Parigi si era
               trasformata in un impiego approvato tanti anni prima.
               Perché non l'aveva accettata e che cosa gli
               aveva impedito di trasferirsi, di aprire una strada
               per se e per la sua famiglia? Perché aveva
               mentito se stesso per tanto tempo?Il
               terreno era l'unica spiegazione che mi veniva in
               mente. La terra sulla quale si stendeva, con la mano
               sotto la testa, a seguire il cammino delle
               stelle. Non
               mi ricordo che cosa ho fatto per il resto del
               pomeriggio. Non mi ricordo l'estate successiva. In
               autunno, ho ottenuto il titolo di dottore. Ma non ho
               rivisto mai il Sig. D.Penso
               che non avrò mai un risposta
               concreta.Lo
               abbiamo perso in una giornata piovosa di settembre. Si
               era sentito male ultimamente, sembrava di aver
               avvertito qualcosa. Si stancava ancora più
               spesso, non vedeva bene. Sono venuto a sapere, tramite
               un conoscente, che si era riconciliato con persone con
               le quali aveva litigato da anni, due giorni prima di
               quello che sarebbe accaduto.Quella
               mattina, tutto era strano. Emilia stava preparando il
               caffé dentro la cucina, quando notò che
               i fogli del piccolo ibisco che D. aveva curato per due
               anni si erano di colpo ingiallite ed erano
               incominciate a cadere come delle ali fredde nel vaso
               dove questo era piantato. Si era voltata parlando
               stupefatta a voce alta per svegliarlo e raccontargli
               il fatto, ma lui già non c'era più. Il
               viso tirato e impallidito da una sofferenza che gli
               aveva fatto esplodere i vasi delicati del cuore in
               mille pezzi assomigliava uno di quei fogli
               stropicciati, appassiti prematuramente. 
               Non sono andato al funerale, ma mi è stato
               detto cha al cimitero quella espressione gli si era
               cancellata dal viso. Mostrava invece un' incanto e una
               serenità con le quali sorrideva alla terra che
               inghiottiva affamata e accogliente l'uomo che una
               volta le aveva incrostato sulla superficie le sue
               equazioni con una verga. Da qualche parte, anche i
               cavalli e il vecchio, andati tanto tempo prima, lo
               aspettavano. Ulteriormente
               la famiglia si è trasferita in un'altra
               città. Emilia ha venduto il
               terreno. Ogni
               qual volta passo dalla periferia, accanto al cimitero,
               è sera. Sul cielo scuro le stelle brillano.
 
 |