- Un
mucchio di giornali
Da questa finestra si gode una vista unica,
irripetibile: una grande strada delimitata da edifici
d'epoca, a sinistra il robusto e fiero volume di
Castel Sant'Angelo che sembra gettare la vista ed
immergersi in un placido e biondo fiume; sulla destra,
stagliata in un cielo più terso del solito, la
imponente e slanciata sagoma di quella cupola simbolo
di un qualcosa che solo la più profonda fede ha
potuto concretizzare con un segno terreno. Due braccia
di interminabili colonne abbracciano uno spazio che
una volta si gremiva di fedeli e che oggi, causa
tragici episodi, langue in un deserto di lignee
barriere che comprimono ed incanalano lunghe e
pazienti file che si snodano lungo un percorso
prestabilito sciamando come laboriose ma distratte
formiche. Nel mezzo un obelisco che, come Giano
bifronte, con una parte sembra scrutare chiunque si
approssima attraverso il largo viale, con l'altra,
guardando l'immensa facciata, sembra trasferire a
qualcuno che dietro di essa si cela, il conto esatto
di quanti entreranno nel suo sacro ventre.
- E
proprio ai piedi di questo è stata allestita da
qualche giorno una sorta di sala parto dotata di tutti
i comfort, camuffata all'esterno come una capanna con
il suo centro fiocamente illuminato come una
mangiatoia e con due imperterriti guardiani uno da un
lato, uno dall'altro.
- Quel
lungo, largo ed anche un po' anonimo viale sembra aver
sostituito quella miriade di viottoli, sentieri,
camminamenti lungo i quali chiunque, in un tempo molto
lontano, poteva incamminarsi spontaneamente per
raggiungere la meta tanto desiderata, celando nel
profondo di se stesso questo profondo desiderio.
- Un
fascio luminoso prodotto da un potente riflettore
simile a quelli che si usano per illuminare la scena
di un qualsiasi film è stato posto in un lato,
neanche troppo nascosto, per indicare, arrivando a
quella minima infinità del cielo che la sua
inane forza può squarciare, la direzione da
seguire a chi ancora non conosce la strada,.
- Di
fronte a tutto ciò, in alto, alle spalle di
questa finestra, mille occhi artificiali ed
artificiosi sono puntati verso quella che vogliono
mistificare nella loro ipocrita falsa
religiosità come divina culla. Questi occhi
coperti da tende poste l'una accanto l'altra e di
forma tale da apparire come un bivacco dal quale
partirà l'assalto mediatico, scrutano, spiano,
inquadrano, zumano tutto ciò che cade sotto il
loro obiettivo: una madre che trascina un
recalcitrante pargolo come un pastore può fare
con una restia pecora o un contadino con un testardo
mulo; un frettoloso passante che con insolita energia
schiva uno, due, tre automezzi che sembrano ignorarlo
come farebbe un mandriano nel mezzo di un branco
impazzito; un capannello di ciarliere persone che
sovrappongono le loro voci l'una all'altra e che con
movimenti e mosse che accompagnano le voci, sembrano
imitare uno starnazzante gruppo di galline od oche.
- Tutto
ciò ai margini di quel lungo oceanico ed
ossessionante fiume in piena che si accalca già
da diversi giorni.
- Mancava
ancora diverso tempo, parecchi giorni a quel rituale
evento e già, in un angolo ben curato ed in
vista della cucina, si cominciava ad ammucchiare un
discreto numero di quotidiani ripiegati con cura come
se fossero stati acquistati in quel momento o che non
fossero mai stati aperti e letti. Più il tempo
passava, più questa pila cresceva.
- Che
strano, ogni giornale aveva sempre rappresentato un
eterno dissidio fra la nonna ed il nonno: lui ogni
mattina lo leggeva con una sacralità che si
riserva di solito ad un testo sacro, lo trattava con
delicatezza e metodicità di gesti fino
all'ultima pagina per poi abbandonarlo in maniera
distratta ovunque capitasse. Raramente lo ricomponeva
e lo ripiegava, ma lo abbandonava su un tavolo, su una
sedia, qualche volta sul letto, era come se tutto
ciò che in esso era scritto fosse stato
travasato nella sua mente e quelle pagine fossero
diventate degli anonimi fogli, senza scritte, senza
immagini, senza interesse, senza nulla. Eppure quelle
volte che noi nipoti ricevevamo il prezioso incarico
di andarlo a comprare, dovevamo trattarlo con ogni
cura, non dovevamo minimamente sfogliarlo, dovevamo
recapitarglielo come se fosse uscito lì per
lì dalla tipografia. Riuscivamo a mala pena a
sbirciare le notizie in prima pagina che a
quell'età, per noi, erano le più noiose
le meno interessanti. Quella maniera sciatta di
abbandonarlo ovunque capitasse irritava soprattutto la
nonna che, dopo aver urlato i soliti rimbrotti, le
solite lamentele verso il nonno, lo prendeva, lo
trattava come carta straccia e lo gettava nel
contenitore della spazzatura, solo qualche volta lo
conservava per avvolgere qualcosa, ma mai un
indumento, un cibo o qualcosa che potesse venire a
contatto con il corpo. Diceva che quelle scritte erano
fatte con il piombo o qualche altro materiale
intensamente nocivo. Spesso nei posti usati come
ripostiglio trovavamo piccoli involti di giornale
contenenti chiodi, viti, qualche piccolo utensile, ma
la cosa più strana erano quegli
appallottolamenti che venivano infilati dentro le
scarpe per tenerle in forma. Nei momenti in cui
riuscivamo a dialogare facevamo presente alla nonna
che così facendo i piedi, una volta calzate le
scarpe, venivano a contatto con la parte in cui il
giornale poteva aver lasciato dei residui nocivi e lei
di tutta risposta, con la sua logica, ci diceva che
per questo motivo era necessario indossare delle calze
o dei calzini.
- E'
per questo che quando vedevamo la nonna cominciare ad
aver cura di tutti quei fogli, raccoglierli, riunirli,
ripiegarli, riporli sapevamo che si stava avvicinando
quel rituale che si ripeteva ogni anno.
- Quel
mucchio che ogni giorno cresceva sempre di più
rappresentava per noi una ambita preda. Sapevamo che
ad un giorno prestabilito, ad una data prefissata il
nonno ci avrebbe invitato a prendere ogni foglio di
ciascun giornale e procedere ad una operazione ben
precisa. Finalmente potevamo dar sfogo alla nostra
vendetta, ogni foglio veniva ben disteso fra le due
mani e poi con puerile sadismo spiegazzato e
appallottolato con le stesse. Più il foglio si
impiccoliva si contorceva in mille pieghe, più
l'operazione raggiungeva il suo scopo. Questi fogli
così trasformati venivano dal nonno
accuratamente scelti e selezionati, qualcuno veniva
ancor più ristretto, qualcuno allungato od
allargato, tutti messi in un determinato posto per
essere trattati con una strana sostanza densa e
trasparente che man mano li irrigidiva e li rendeva
più resistenti e compatti. Alle nostre
richieste di sapere di cosa si trattasse lui ci
rispondeva che era un segreto, un miscuglio che aveva
inventato lui. Che strano ogni volta che in quel
periodo andavamo in casa di un amico vedevamo una
bacinella, un barattolo o qualche altro contenitore
pieno di quella sostanza. Forse il nonno, pensavamo,
la avrà venduta ai vicini, ai conoscenti senza
svelarne la formula! Quando tutti quei fogli avevano
assunto la consistenza desiderata, il nonno iniziava
la sua composizione: in un angolo ben visibile del
salotto e qualche volta anche dello spazioso ingresso
in modo che fosse visibile a chiunque si fosse
affacciato alla nostra porta, poneva un solido
basamento più o meno alto secondo quello che
gli passava per la mente, attaccava questi informi
agglomerati di quello che all'origine era stato un
banale giornale e dalle sue sapienti mani, aiutandosi
con chiodini e martello, cominciava a prender forma un
insieme di scoscese montagne ora più corrugate
ora più lisce ma tutte perfettamente continue
come se il foglio originario fosse stato unico e
completo.
- E'
sempre presente il ricordo della prima volta che
vedendo quell'ammasso di rughe, di canaloni e di dolci
declivi, quasi disilluso e piangente, dissi al nonno
che le montagne non potevano essere di quel colore,
imbrattate di residui di scritte, di lettere e
spezzoni di immagini, e lui con un sorrisetto ironico
mi disse di aver pazienza, ogni cosa al momento
giusto.
- Sapevamo
quindi che dopo aver sistemato tutto quello che
rappresentava lo scheletro di quella imponente catena
montuosa lui sarebbe passato all'operazione più
artistica e delicata. Mescolando una serie di colori
che corrispondessero il più possibile a quelli
delle montagne, cominciava ad investire quell'ammasso
con spruzzi lanciati dalle setole di un ben robusto ed
elastico pennello. Sotto i nostri occhi pieni di
meraviglia ed incanto quelle montagne pian piano
indossavano l'abito voluto, qualcuna molto arida e
spoglia, un'altra con tracce di verde, un'altra ancora
con un effetto di chiaroscuro che l'avvicinava ad un
canalone o ad un dirupo e nei punti dove l'operazione
non aveva completamente raggiunto il suo scopo, il
nonno, con sapienti tocchi di pennello, riportava
tutto a quello che aveva in mente. Il nostro compito
in quel momento era solo quello di esprimere i nostri
desideri: chi voleva quel punto più scuro, chi
più verde, chi non ci voleva alcun colore.
Sembrava che il nonno ascoltasse tutti i nostri
consigli, i nostri suggerimenti, che esaudisse ogni
nostra richiesta, in realtà lui faceva finta,
sapeva che alla fine l'opera la avrebbe realizzata
come la vedeva lui, era così facile farci
creder che quell'angolo, quel pezzo di tenera e finta
pietra era come ognuno di noi lo aveva
voluto.
- Tutto
veniva fatto decantare per qualche giorno, nel
frattempo ognuno si dedicava a raccogliere qualsiasi
materiale fosse adatto allo scopo: si andava nel
piccolo giardino vicino casa o più o meno
lontano, si sceglieva un determinato quantitativo di
brecciolino di adatto diametro, quindi si prendevano
alcuni piccoli ramoscelli di pianticine e poi con
molta cura e religiosità si sceglieva un
piccolo quantitativo di paglia.
- Si
passava così alla fase successiva, le montagne
cominciavano a rivestirsi di alberi ed erba nei punti
più opportuni, si formavano finti ruscelli con
fili di erba artificiale color argento, si disegnavano
sentieri e camminamenti lasciando adeguati spazi fra
le piccole pietre raccolte nei giardini, comparivano
pozze d'acqua e piccoli laghetti prendendo a prestito
specchi da tutti i componenti femminili della
famiglia.
- Il
paesaggio era completo ora aveva bisogno di anima, di
qualcosa che desse l'illusione che esso viveva, che
pulsava, che in esso si svolgeva la vita di tutti i
giorni anche se ogni personaggio, in cuor suo, sapeva
che si avvicinava un evento particolare. Lo si capiva
dall'andamento e dall'espressione dell'immancabile
pastorello, dal gesto di un boscaiolo, dal maglio
sollevato di un modesto fabbro, dalla direzione dello
sguardo di una donna di ritorno da una fontana con la
spalla carica di una colma anfora , da un cane che
sembrava aver interrotto il suo latrare perché
attratto da qualcosa che sfuggiva al suo istinto. Solo
un ingobbito asino continuava nel suo lento procedere
per nulla distratto da ciò che lo circondava.
Chi voleva posizionare quel personaggio in un
determinato luogo, chi lo voleva riparato in un
piccolo anfratto, chi desiderava la pecorella
nell'atto di abbeverarsi al lato di un ruscello, chi
in riva al laghetto. Tutti sapevamo che alla fine
sarebbe stato il nonno a trovare ad ognuno la
posizione più consona.
- Ognuno
sapeva che l'atto conclusivo di quel rito avveniva nel
pieno della notte, in un atmosfera nella quale ogni
luogo, ogni personaggio assumeva un aspetto
particolare e per questo con una certa trepidazione si
attendeva l'atto finale, il posizionamento di una
interminabile catena di piccole luci, delle forme
più varie, quella che ricoperta da un concavo
piatto tentava di assumere la forma di un piccolo
lampione, l'altra che nascosta in un angolo di roccia
illuminava una grotta che sembrava non avere fine,
quella lunga serie di minuscole lanterne che appese
alle casette di sughero indicavano il percorso di una
ipotetica via. Una luce in quel punto che sembrava
troppo oscuro, un'altra in quel punto senza un
perché, anzi perché ci stava
bene.
- Alla
fine un lungo velo color blu con tante piccole forme
argentee veniva steso al disopra di tutto ed in un
punto ben preciso, a perpendicolo su una piccola
costruzione senza muri e senza porta, risplendeva una
luce più intensa di tutte con la sua argentea
coda.
- Si
chiudevano tutte le imposte, la stanza, quell'angolo
erano completamente al buio e ad un cenno di assenso
da parte di tutti il nonno manipolava un piccolo
interruttore. L'emozione che attanagliava ognuno
nascondeva tutti quei piccoli difetti che nei giorni
successivi sarebbero stati eliminati per rendere la
scena più perfetta possibile con l'aggiunta
dell'immancabile neve fatta di soffice farina o di
profumato talco. Qualcuno di noi avrebbe voluto dello
zucchero a velo, ma la nonna lo ha sempre severamente
proibito!
- Dopo
alcuni anni il rituale si ripete, le mani che
così abilmente conformano lo stesso paesaggio
anche se con alcune varianti e con materiali
differenti non sono più quelle del nonno, le
riconosco sono quelle di mio padre, le stelle in cielo
non sono più un disegno sono tante piccole luci
incastonate in un telo di plastica che contiene al suo
interno un intricato intreccio di fili.
- Passano
altri anni il rituale si ripete, le mani che
così abilmente conformano lo stesso paesaggio
anche se con altre varianti e con materiali sempre
più artificiosi e tecnicamente raffinati non
sono più quelle né del nonno né
di mio padre, non ho bisogno di riconoscerle sono le
mie, le stelle in cielo non sono più né
un disegno né tante piccole luci incastonate in
un telo di plastica che contiene al suo interno un
intricato intreccio di fili, ma fanno parte di un
intero meccanismo capace di mettersi in funzione con
la sola pressione di un pulsante su un minuscolo
telecomando.
- Ho
un sussulto, non è possibile che tutto
ciò che ho visto da quella finestra abbia
così imbarbarito l'oggetto dei miei ricordi,
che quei personaggi, quegli animali che ho sempre
amato si siano trasformati in un orda famelica
bisognosa solo di farsi vedere, desiderosa solo di
"esserci". Un freddo e livido brivido mi scorre lungo
la schiena, mi alzo spalanco le imposte e lì
nel mezzo di quella piazza attraversata da lignee
barriere, ai piedi di quell'obelisco dal gianesco
sguardo intravedo, ancora non completata, la sagoma di
una capanna dalle antiche forme che vista da
quassù, ancorché dilatata nelle
dimensioni, sembra quella che mio nonno, mio padre ed
io stesso abbiamo sempre posto ogni anno nel mezzo
della nostra rappresentazione.
- Ormai
è mattino e gli operai che per tutta la notte
hanno scaricato, innalzato, incastonato materiali su
materiali alla luce di improvvisati riflettori ed al
suono di gracchianti radioline, stereo ed altro,
lanciandosi urla e disposizioni senza nulla di umano,
ritorneranno solamente all'inizio della serata per
completare la loro opera.
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