- Solo
un pappagallo
-
- L'insegna quasi non
si scorgeva, oppressa e ridimensionata,
dall'appariscenza di quelle dei negozi vicino. Era
modesta e dal colore dimesso che si scostava appena da
quello dell'intonaco sulla quale pareva vincolata in
equilibri nascosti. Portava scritto: "StrarngeZoo",
tutto attaccato. A dire il vero la Zeta era
leggermente pendente sulla destra a causa del
cedimento di qualche vite di sostegno.
- Il negozietto,
aperto da molti anni, appariva modesto ma di cospicue
dimensioni. Aveva la peculiarità di proporre in
vendita animali non comuni, esotici o particolari.
Voleva soddisfare le richieste di un pubblico
specifico, ristretto, ma disposto a pagare bene per
vedere concretizzate le sue
eccentricità.
- Così
all'interno, potevi trovare ragni grossi come un
pugno, serpenti lunghi dieci metri, rane piccole come
cavallette, e millepiedi africani grossi come conigli.
Quello che non aveva disponibile, era scritto su un
cartello all'entrata, si impegnava a procurarlo da
qualsiasi parte del mondo.
- Pierfrancesco, era
transitato per quella traversa decine di volte,
perché, al termine si trovava la banca con la
quale trattava, ma non aveva mai notato quello strano
negozio dall'aspetto piuttosto malcurato e ricolmo di
prodotti accatastati a sfruttare al massimo il poco
spazio disponibile.
- Quel pomeriggio,
procedeva con particolare lentezza, perché
sapeva di essere in anticipo sull'orario di sportello
della banca. Fu così che si fermò ad
osservare l'interno di quel negozietto attraverso la
vetrina.
- Incuriosito, si
fece strada all'interno. Il passaggio della porta su
una giostra di farfalle in coccio appesa all'ingresso,
produsse un suono armonico, lievemente
orientaleggiante. Stranamente, non fu aggredito dal
fastidioso odore di animali che, solitamente,
accoglieva i clienti di quel genere di
negozi.
- Le pareti che
fiancheggiavano l'ingresso erano costituite d'acquari
di fauna tropicale. Pierfrancesco, li guardò
distrattamente: non se ne capiva di pesci e, per lui,
non faceva differenza l'esemplare pregiato e raro, dal
carasso più comune.
- Trasversalmente al
locale d'ingresso, stava un corridoio che immetteva in
un secondo vano, più ampio, che conteneva gli
altri animali. Al centro di questo corridoio, su di un
trespolo di acciaio cromato, imponente e
coloratissimo, stava un pappagallo.
- Mai visto un
esemplare, di quella specie, così bello. Non
era questione di dimensioni e di colori soltanto,
quanto, piuttosto, dalla perfetta armonia delle sue
forme. Pierfrancesco ne era rimasto affascinato, e gli
si avvicinò, con cautela, per osservarlo da
vicino, senza neppure più notare gli altri
animali presenti in negozio.
- Il pappagallo
sembrò rendersi conto dell'interesse dell'uomo
e, con i movimenti un poco ondeggianti e goffi,
traslò nel suo trespolo avvicinandosi a lui.
Sorprendentemente, o forse fu solo suggestione, gli
occhi dell'animale parevano fissarlo con interesse e
curiosità, assumendo un'intensità quasi
umana. Piefrancesco, rendendosi conto che pure lui
doveva aver assunto una postura simile, si chiese se,
per il pappagallo, non fosse solo una reazione
naturale e spontanea di imitazione.
- Lentamente,
trascorsero i minuti, intanto che le distanze si
riducevano e la confidenza tra i due aumentava:
silenziosa e discreta, fatta di sguardi e null'altro,
con le teste che si piegavano, alternativamente, da un
lato e dall'altro.
- D'istinto,
Pierfrancesco si diresse verso la cassa e chiese
quanto volessero. Mille e trecento Euro. Rimase
interdetto. Non si aspettava una cifra così
elevata ma, il proprietario, gliela motivò,
attribuendo un nome altisonante all'animale
(Pltycercus elegans) ed una provenienza addirittura
Australiana. Per rincarare la dose gli propinò
una parentela d'alto rango molto
selezionata.
- <Ma non era
vietata l'importazione di animali
esotici?>
- <Ha ragione
lei>, gli rispose il negoziante. E continuò:
<Ma la legge è in vigore solo da cinque
anni, il pappagallo in questione ha già
quindici anni, dodici dei quali trascorsi in Italia.
Come vede, è tutto regolare>.
- Pierfrancesco
assentì col capo, ma già da quando aveva
sentito il prezzo, si era distratto, facendo dei conti
mentali, pensando alle spese più prossime ed ai
suoi risparmi, per poi rassegnarsi a considerare
quell'importo, come gli era parso inizialmente,
eccessivamente cospicuo.
- Uscì dal
negozio dando un'ultima occhiata all'animale
variopinto. Si sorprese a trovarne lo sguardo fisso su
di lui.
- Il pappagallo,
rimasto in silenzio sino ad allora, prese, proprio in
quel momento a gridare a squarcia gola, e per quanto
il proprietario del negozio lo scongiurasse, con tutti
i toni di voce, di smettere, prolungò i suoi
versi per molto ancora.
- Pierfrancesco era
passato in banca, quel giorno, poi era tornato a casa,
aveva mangiato, era nuovamente uscito ed era rientrato
per la cena ma ora, a letto, nel buio della sua
camera, stava ad occhi spalancati con il pensiero di
quel pappagallo dallo sguardo arguto che gli impediva
il sonno.
- A rendere ancora
più atipica la cosa, stava il fatto che non era
mai stato un amante degli animali. Li rispettava, gli
piacevano, ma non aveva mai avuto la necessità
di possederne uno; aveva sempre ritenuto i fastidi
superiori ai vantaggi. Eppure adesso, si era invaghito
di quell'esemplare esotico, neppure tanto comodo da
gestire, ingombrante ed esigente.
- Viveva da solo. Non
poteva neppure chiedere un suggerimento all'eventuale
compagna ed il peso della scelta, economica e di
sacrificio, era tutto sulle sue spalle. Era già
un segno, comunque che, dopo tante ore, ci pensasse
ancora. Aveva previsto, infatti, che, riprendendo la
vita di sempre, l'idea del pappagallo si sarebbe
diluita sino ad essere ricondotta a livello di
stranezza momentanea mentre, a distanza di diverse
ore, era ancora viva e vegeta, tanto da sottrargli il
sonno.
- Poteva permettersi
di spendere milioni per uno sfizio? Sarebbe riuscito a
gestire la presenza di un essere vivente, con le sue
abitudini e le sue esigenze, che si sarebbero,
inesorabilmente, scontrate con le sue?
- Queste due domande
si alternavano ciclicamente senza che riuscisse a
darvi una risposta definitiva.
- Si destò al
suono della sveglia, da un sonno insoddisfacente ed
agitato.
- Uscì di casa
per recarsi al Bar di Piero.
- <Ti vedo bene
questa mattina>, lo accolse il proprietario, sempre
ricco di ironia e con la battuta pronta.
- <Accontentati di
vedermi. Sono talmente incavolato che ero indeciso se
fosse il caso o meno di assumere anche della
caffeina!>, rispose Pierfrancesco con poca voglia
di sorridere.
- <Devi stare
più calmo, lasciare scorrere la vita senza
sforzarti di viverla sempre contro corrente. Dammi
retta, rilassa le rughe sulla fronte e gustati una
delle mie ottime brioche: sono ancora calde di
forno>.
- Non capì se
furono le parole sagge dell'amico, oppure l'effettiva
bontà del dolce, o l'energica aggressione del
caffè, sta di fatto che uscì dal locale
dirigendosi, con passi decisi, verso il negozio
d'animali.
- <Buongiorno,
sono venuto per il pappagallo>, chiese al
proprietario.
- <Mi dispiace, mi
ricordo di lei, ma l'animale che ha visto ieri, l'ho
venduto proprio pochi minuti dopo che era uscito dal
negozio. È strano. Erano mesi che nessuno mi
chiedeva neppure il suo costo e poi, nel giro di
alcune ore, due persone si sono interessate al punto
d'acquistarlo. Accade anche questo nel mio lavoro>,
concluse il proprietario assentendo soddisfatto al
pensiero dell'affare concluso da poco.
- Pierfrancesco si
sentì sconfitto. Uscì dal negozio senza
neppure accostare la porta ed andò al lavoro
con la sensazione di aver perso l'attimo. Ancora una
volta, l'indugiare, lo aveva privato di una
gioia.
- Trascorsero tre
mesi, ed il tempo aveva ridimensionato anche quegli
affanni.
- Pierfrancesco aveva
ripreso le sue abitudini, casa e lavoro, la ricerca di
una compagna nei fine settimana, qualche sera con i
pochi amici che riusciva a frequentare, ed i pensieri
di sempre che avevano ripreso il loro posto di
supremazia nella sua testa.
- Un martedì
mattina andò in banca, ed al ritorno, diede
un'occhiata distratta al negozio
d'animali.
- Il pappagallo era
di nuovo lì. Non ebbe dubbi. Neppure un attimo
di esitazione per la possibilità di confonderlo
con un altro della stessa razza: no, era proprio
lui.
- <Buon
giorno>, lo accolse il proprietario. <Sono due
settimane che penso a lei, ma non mi ha lasciato
nessun recapito dove rintracciarla...>
- <Mi dica,
è Lui, vero?>
- <Certo, è
rientrato due settimane fa>.
- <Come
mai?>
- <Il
proprietario, mi ha pregato di riprenderlo
perché non faceva che urlare tutto il giorno e,
talvolta, pure la notte. Non resisteva più, e
come lui, neppure il vicinato>.
- <Capisco> e
Pierfrancesco fu accolto dalla preoccupazione di
subire anche lui una simile tortura. Ma, subito,
voltandosi a guardare l'animale, scorse in lui quello
sguardo d'intesa e di complicità che,
già la prima volta, l'aveva
conquistato.
- <Senta, vorrei
acquistarlo io. Per il pagamento mi viene un po'
incontro?>
- <Ma certamente.
Considerando che il proprietario di prima ha preteso
indietro solo una parte della somma pagata, posso
ridurre un poco le mie pretese. E, poi, si po' sempre
rateizzare...>
- Pierfrancesco
cercò il cellulare nella tasca per avvisare in
ufficio che, per quel giorno, non sarebbe rientrato,
poi mise mano al portafoglio e concluse la
trattativa.
- Il negoziante
chiuse l'animale in una gabbia piuttosto stretta,
adatta per il trasporto, e la coprì con un
panno scuro. Predispose di seguito anche il trespolo,
smontandolo e assiemandolo a comporre un collo meno
ingombrante.
- Alla fine,
Pierfrancesco, uscì da "StrarngeZoo" carico di
pacchi, e con la mente ancora sottosopra per
l'acquisto così azzardato. Si sforzava di
vedere in positivo, di coltivare la gioia del nuovo
acquisto, relegando i dubbi per la spesa in un angolo
meno accessibile.
- Andò (e come
avrebbe potuto fare altrimenti?) direttamente a casa.
Interponendo molteplici pause per riprendere fiato.
Ogni tanto sentiva l'animale muoversi tra le sbarre,
ma lui faceva molta attenzione a non sballottarlo
più del dovuto.
- Dove l'avrebbe
messo? Ed il cibo? Avrebbe dovuto chiedere al
negoziante maggiori spiegazioni, acquistare un
libretto per la cura di questi volatili. Aveva con
sé solo un sacco di mangime misto. Gli era
stato garantito che sarebbe stato gradito, anzi, il
venditore gli aveva raccomandato di non esagerare col
cibi, di non diventare succube delle richieste della
bestiola, ma avrebbe dovuto comunque imparare quale
sarebbe stata la dieta migliore e quale alimento,
invece, evitare.
- Arrivò dal
portone con i vestiti zuppi di sudore. Dall'ascensore
si fermò a riprendere fiato, gustandosi il
piacere offerto dalla frescura dell'atrio.
- Trascorse meno di
un'ora e, accanto alla finestra, ma posto in modo che
non fosse raggiunto direttamente dalla luce del sole,
faceva bella mostra di sé, uno stupendo
pappagallo dal piumaggio dai contrasti vivaci, che si
guardava intorno con espressione colma di
curiosità.
- <Sei a casa,
adesso, quella vera, quella definitiva. Vedi di
ambientarti in fretta e di sentirti a tuo agio,
così che ti possa togliere quell'antipatico
bracciale che ti vincola alla sbarra. Mi da fastidio
avere un compagno di stanza che si trattenga contro la
sua volontà>.
- Il pappagallo,
ovviamente, non rispose, ma restava immobile ruotando
la testa in ogni direzione come a prendere confidenza
col luogo.
- Pierfrancesco,
provava più fastidio di quanto dava a vedere,
per la catenella che, alla zampa, imprigionava
l'animale.
- <Ti ho comprato,
non perché eri un pappagallo, e, neppure,
perché sentivo il bisogno di compagnia, l'ho
fatto perché mi ha conquistato il tuo sguardo.
È stata l'espressione che hai assunto dalla
prima volta che ci siamo visti a fare la differenza.
Non ho visto un animale, ma un essere intelligente
dietro quegli occhi, altrimenti non saresti qui,
adesso. Se avessi voluto un oggetto d'arredo, avrei
acquistato un quadro, non te. Ed allora, così
non va proprio. Contrariamente alle raccomandazioni
del proprietario del negozio che ti ha venduto, ti
libero, e sia quel che sia>.
- E così fece,
immediatamente. Afferrò la piccola chiave che
apriva il bracciale e si avvicinò cautamente al
volatile. Il quale, dal canto suo, non pareva aver
afferrato il dramma comportamentale
dell'uomo.
- Continuava,
infatti, a guardarsi in giro, apparentemente
inconsapevole della situazione.
- Lestamente lo
liberò e si tirò indietro.
Pierfrancesco, non sapeva nulla di pappagalli, e
temeva una possibile
- reazione
cruenta.
- <Finalmente, mi
chiedevo quanto tempo avresti impiegato per avere
coscienza della mia condizione di
sottomissione!>.
- L'uomo senza
parole, restò impietrito, con la mandibola che
gli sfiorava la gola.
- <Come... come
hai detto?>
- E il pappagallo
ripeté quanto appena pronunciato.
- A Pierfrancesco,
non parve ancora credibile che una frase così
complessa ed appropriata provenisse da un animale.
Suppose però, che fosse stato addestrato a
pronunciarla qualora si fossero verificate delle
condizioni particolari: come appunto la sua
liberazione dalla catena.
- <Allora? Se ti
vedessi non andresti fiero della tua espressione. Non
denota certamente un'intelligenza
folgorante!>.
- <Ma tu
parli!>
- <Mi pare di
capire che soffri di una limitata disponibilità
di vocaboli per esprimere ciò che pensi.
Altrimenti, e sarebbe peggio, dovrei desumere che la
ristrettezza risiederebbe proprio nelle poche idee. Ma
dai, lasciati andare, esprimiti come
puoi!>
- <Eh, sì,
parli proprio, non lo sto immaginando, e lo fai anche
meglio di me!>.
- <La modestia non
è il tuo forte se utilizzi te stesso come metro
di paragone, il mondo è colmo di persone che,
probabilmente, farebbero impallidire anche la mia di
eloquenza>.
- E la conversazione
proseguì, con gli inevitabili alti e bassi e
sui più svariati argomenti, per tutto il
pomeriggio e parte della sera.
- <Ma come fai a
sapere tanto di così tante cose? Dalle
esperienze che puoi vantare pare abbia vissuto dieci
vite, non una sola>.
- <Sono molto
più vecchio di quanto credesse quel negoziante,
ottuso ed incapace, che non aveva neppure compreso di
avere tra le mani una rarità come il
sottoscritto. Del resto, non è neppure troppo
comune che mi riveli come è successo oggi. Solo
poche altre persone hanno conquistato la mia fiducia
al punto da meritarsi un dialogo paritario con
me!>
- <Poi ero io
quello modesto!>.
- <Se non fossi
discreto nel manifestarmi, sarei già caduto
vittima di qualche criminale che gestisce certi vostri
laboratori di biologia. Eppoi, tutto sommato, per
quello che frequentemente si dice, conviene mantenere
un decoroso silenzio>.
- <Certo che hai
un bel caratterino! Sei molto prevenuto verso il
genere umano. Hai conosciuto, invece, altri pappagalli
intelligenti e dotati quanto te?>
- <Ora che ci
penso... neppure uno. Del resto, non ho neppure
cercato molto>.
- <Quindi, per
quanto ne sai, sei unico al mondo>.
- <Mi parrebbe
tristemente strano ed improbabile, ma è
possibile. Questo, comunque, mi renderebbe ancora
più prezioso, pensa quanto sarei
eccezionale!>
- <Sono ore che
sto parlando con te, ma ancora non mi
capacito>.
- <E ti stupisci
che mi ritenga un essere superiore? Io, del resto non
mi sovvengo sul perché tutti, e dico tutti, gli
esseri umani abbiano questo dono, quando, invece siano
così pochi ad avere effettivamente qualcosa di
interessante da dire. Siete gli unici a sapervi
esprimere con tanta facoltà, e come vi
relazionate? Esprimendo in maggioranza ovvietà
che potrebbero essere sottintese da uno sguardo
intenso, e utilizzando una quantità di vocaboli
miserrima rispetto alle possibilità della
vostra lingua. Non comprendo ancora, se non riuscite
ad esprimere agevolmente i pensieri più
complessi perché non siete in possesso di un
bagaglio di termini adeguato, oppure se sono proprio
le idee che difettano. E non c'è facile ironia
nelle mie parole>.
- <Di fatto, per
consentire una vita di relazione soddisfacente, sono
sufficienti poche parole chiave, assiemate in modo
differente a formare diverse frasi. È
più raro dover esprimere concetti così
ricercati da necessitare di termini più
consoni, specifici. Del resto, tu che sembri avere una
proprietà dialettica non comune, per tua stessa
ammissione, hai trascorso lunghi periodi senza
parlare>.
- L'animale
restò muto. Non perché preso in difetto,
piuttosto perché non aveva voglia di proseguire
un dialogo che non lo interessava più.
Comprensivo, ed ancora sconvolto, Pierfrancesco lo
lasciò solo e si preparò per la
notte.
- Non dormì
granché, e quel poco, male. Si agitò tra
le lenzuola con pensieri di incredulità e di
stupore che gli occupavano la mente ed invadevano,
prepotenti, i sogni.
- Era da poco
spuntato il sole, che lo trovò seduto di fronte
al pappagallo. Lui, almeno, dormiva ancora. In
apparenza pareva del tutto sereno e rilassato,
indifferente alle preoccupazioni
dell'uomo.
- Non lo
svegliò. Restò seduto quasi un'ora ad
osservarlo. Era proprio un bell'esemplare. Aveva il
capo, ora reclinato in prossimità di un'ala, di
un rosso vivo che scriva al blu-violetto sulla
sommità, a formare una specie di cresta che
innalzava quando era irritato. La coda, poi,
riprendeva queste tonalità ma si estendeva
prepotente verso il basso, ricca di un piumaggio
copioso e folto; una gioia per lo sguardo.
- Pierfrancesco,
però, adesso si sentiva un poco a disagio a
nutrire questa ammirazione per un animale così
intelligente. Se fosse rimasto l'animale-icona,
l'essere bello, l'oggetto ornamentale, con un suo
spazio esistenziale che si manifestava solo nel piano
estetico, allora sarebbe stato semplice ridurre i suoi
sentimenti a quello, all'apprezzamento visivo. Avrebbe
potuto, in seguito, soggettivare l'animale ad un suo
ideale e manifestargli dell'affetto. Ma così
era più difficile. Da bi era diventato
tridimensionale. Alla sua componente visiva, si era
aggiunto tutta la profondità di un carattere e
di una razionalità che ne impedivano la
costrizione individuale, personale. Subentravano i
parametri che costringevano a prendere atto dell'altro
a tutto tondo, se l'amava doveva amare tutto di lui;
ma non l'aveva scelto su queste basi. Era un poco,
come sposare una donna per procura, scegliendola
solamente su un catalogo fotografico, accorgendosi di
lei, di cosa era veramente, solo dopo averle messo
l'anello al dito.
- Pierfrancesco,
adesso, sentiva il peso della responsabilità di
dover occuparsi di un'intelligenza raffinata, alla
quale non poteva bastare un poco di granone, al limite
dei semi di girasole ogni tanto. All'animale che aveva
davanti, avrebbe dovuto elargire anche comprensione e
cibo per la mente. Avrebbe inoltre dovuto garantire
premure, rispetto, se non affetto, necessario a farlo
vivere in modo decoroso.
- Ma lui aveva
comprato solo un pappagallo.
- Trascorsa una
settimana, il pappagallo aveva compreso che qualcosa
era cambiato nel comportamento dell'uomo. Era divenuto
più freddo. Lo accudiva con dovizia e non gli
faceva mancare nulla ma trascurava di osservarlo con
l'insistenza di prima, quando trascorreva tanto tempo
ad ammirare i colori del suo piumaggio variopinto.
Sembrava che non fosse più capace di trarre
piacere da quel piccolo rito. Eppure lui era sempre lo
stesso. Ma non gli chiedeva nulla, non voleva turbarlo
con una sua ingerenza troppo spiccata nei suoi
sentimenti.
- Ultimamente
parlavano meno. E, spesso solo dei programmi
televisivi: commentavano un film o discutevano su
quale guardare. Il pappagallo, si rese lentamente
conto che la sua personalità destava soggezione
nell'uomo. Fu un sabato mattina, circa due settimane
dopo il suo inserimento in quella casa, che, dallo
sguardo sfuggente dell'uomo al momento di porgergli la
prima colazione, fu consapevole della
cosa.
- Comprese tutto. Si
accorse che avvertiva la sua presenza come un fardello
pesante e non come un compagno con cui dividere
l'appartamento, a cui confidare i problemi o chiedere
un consiglio.
- Il pappagallo
sapeva di essere bello, e voleva essere ammirato,
perché per lui, l'elargire piacere visivo,
estetico, rappresentava l'unica moneta di scambio con
l'ospite. Tu mi sfami ed io mi faccio ammirare da te,
questo era il concetto. Se poi si instaurava un
dialogo proficuo, meglio per entrambi.
- Per l'umano invece,
questo rapporto non era soddisfacente o, meglio era
sovrabbondante.
- Aveva compreso che
la concorrenza intellettuale che aveva costituito in
quella casa, gli stava stretta e lo metteva a disagio.
Per compensare, stava riducendo i rapporti, ma
all'animale le conseguenze della cosa parvero subito
palesi.
- La domenica,
Pierfrancesco si alzò un poco più tardi
del solito. Si era costretto a letto più a
lungo per recuperare un po' di sonno
perduto.
- <Buongiorno>,
disse distrattamente giunto in cucina.
- <Buongiorno>,
ripeté a voce più alta non avendo
ricevuto risposta.
- Il pappagallo
tacque ancora.
- <Sei di cattivo
umore stamani?>
- Silenzio.
Pierfrancesco, allora, mise il caffè sul fuoco
e si accomodò davanti all'animale che lo
guardava piegando il capo di lato, un po' a desta e un
poco a sinistra.
- <Senti, cosa
c'è stamattina che non va? Sei offeso o dormi
ancora?>
- Silenzio.
- <Io cerco di
essere paziente, ma non vedo nulla di ridicolo nel tuo
silenzio. Vuoi farmi incavolare? Vuoi prendermi in
giro? Se non vuoi parlarmi, almeno fammi un cenno col
capo!>
- Silenzio. Allora
anche Pierfrancesco restò muto. Bevve il suo
caffè, rassettò la cucina, uscì a
comprare il giornale, preparò da mangiare, ne
diede al pappagallo, lavò i piatti ed
uscì di nuovo, tutto in silenzio.
- Tornò a casa
e si risedette di fronte all'animale.
- <Ma tu hai
creduto veramente, dal più profondo di te, che
io parlassi e ragionassi veramente? Hai realmente
accettato che un animale da compagnia come me potesse
avere queste facoltà e, come il genio della
lampada, renderne te partecipe? Mai, neppure per un
attimo, hai pensato di essere diventato pazzo? Di
esserti suggestionato, di esserti inventato
tutto?>, gli chiese l'animale a bruciapelo e
continuò: <Perché è questo che
è accaduto. Anche adesso, non sono io che sto
parlando, sei tu. Hai elevato la mia presenza
attribuendogli la facoltà di esprimersi, di
relazionare, ma non era altro che uno sdoppiamento
della tua personalità. Attraverso di me
esprimevi una parte di te più sicura e decisa,
più consapevole e determinata, ma, in ogni
momento, non eri che te stesso che dialogavi con te
stesso. Ora è il momento di finire questa
commedia. È il momento di decidere se
raggiungere il baratro della pazzia o divenire
consapevole della commedia. Viverla come un gioco e
goderne delle sfumature, o farlo divenire una
deviazione patologica, oppure scegliere l'ultima
alternativa: stare zitti. O, meglio, che tu stia
zitto>.
- Pierfrancesco,
digerì la cosa con sorprendente facilità
e predisposizione. Si sentì immediatamente
più rasserenato. Ora tutto appariva più
logico e normale. Troppo lavoro, in aggiunta a tutte
le ansie che si era fatto per l'acquisto di quella
bestia, avevano portato il suo sistema nervoso al
limite. Adesso che aveva compreso tutto si chiedeva
come avesse potuto, solo per un momento, credere a
quell'assurdità del pappagallo intelligente e,
ancora di più, di aver protratto il gioco per
tutto quel tempo. Avvicinò allora, lentamente,
la mano alla bestiola, e la passò con
delicatezza sulla sua testa.
- Era veramente un
esemplare notevole.
- <Sei veramente
bellissimo, se fossi stato anche intelligente non ci
sarebbe stata giustizia a questo
mondo!>
- <Hai ragione. Io
mi accontento di essere apprezzato da te per quello
che sembro, e poi, non sono neppure troppo
esigente>, fece il pappagallo. Pierfrancesco
restò un attimo interdetto. Poi proruppe in una
fragorosa risata e riempì, lestamente, la
ciotola della bestiola con doppia razione di semi di
girasole.
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