Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Fabio Pistone
Con questo racconto ha vinto il nono premio al concorso
Città di Melegnano 2003, sezione narrativa

SOGNO
 
E' la terza sera che passo in questa valle, siamo accampati nel bosco perché i tedeschi sono ancora in giro, quei dannati mi sono stati alle costole fin dal mio arrivo ad Altare. Ho dovuto aspettare tutto un giorno per raggiungere la colonna all'appuntamento previsto ed ho anche rischiato parecchio subito dopo il colle di Cadibona.
Lì mi sono stati dietro senza respiro, prima attraverso le "tagliate" e poi oltre fino alle rocche bianche ma, per fortuna, hanno perso le mie tracce poco dopo ed sono riuscito ad incontrare i partigiani a S. Giacomo.
Ora siamo accampati in un posto chiamato bosco del "Mescion" poco oltre il paese di Bormida, in una piccola radura attorniata da un bosco di castagni su cui, a quanto mi dicono, sorgeva un'antica chiesa.
Stiamo seduti in cerchio davanti al fuoco, un calore diffuso sulle pieghe di ogni volto, il fumo di qualche pessima sigaretta che sale verso l'alto in volute più o meno scomposte. Alle spalle, la notte fresca e sconosciuta, solcata dai passi leggeri di qualche animale in caccia e dalla civetta che sembra quasi salutare le nostre innumerevoli paure.
Abbiamo aspettato tutto il giorno arroccati a Pian dei Corsi poi, solo verso sera, siamo discesi dalla Madonna della neve. Da lì abbiamo seguito il crinale, attraverso le "tagliate rosse", e siamo giunti fino a questa radura preparando la cena senza troppa voglia. Subito dopo ci siamo accomodati davanti al fuoco, fumando a turno, facendo il programma per domani, e ripassando le informazioni che ho portato dalla colonna cevasca.
Il brodo che abbiamo preparato per scaldare la serata è un toccasana contro la stanchezza che ci attanaglia in una morsa silenziosa. Anche se siamo diventati, per il poco tempo passato insieme, un gruppo abbastanza omogeneo ed affiatato, qualcosa non c'è, manca la voglia di conversazione, non c'è nessuna necessità di comunicazione, c'è il vuoto, soltanto un vuoto in cui la notte si cala per aggredire la nostra anima.
Dalla radio arrivava la voce di una pattuglia notturna che pare non abbia nessuna voglia di continuare il suo giro, poche parole trascinate, qualche teutonica risata gutturale come se questo fosse l'unico rimedio contro l'apatia e la noia di una guerra che si pensava diversa.
Bormida in lontananza si lascia rischiarare dalla luna pallida che si è alzata nel cielo. Scendendo ho visto la sagoma della chiesa in lontananza, una vela bianca in un oceano di verdi tonalità. Mi sono fermato solo un istante per bere, senza staccare gli occhi da quella visione serena, quasi a voler esorcizzare questa sporca guerra. Bormida e la sua chiesa erano perfette, fuori dal mondo e fuori anche da ogni tempo.
Ma in questo momento quella visione di pace mi lampeggia nel capo come qualcosa di lugubre, qualcosa che va molto al di là del semplice candore della chiesa illuminata dal sole. E' una stregoneria che viaggia sulla brezza leggera che si sta alzando, un incantesimo che raggiunge il bosco, ed oltre, il mare con il suo orizzonte offuscato, ed oltre ancora, il mondo delle ombre.
Perso in queste mie riflessioni vengo riportato alla realtà dal Megu che si è sdraiato su un fianco lasciandosi avvolgere dal vapore della sua tazza, ha voglia di parlare, il troppo silenzio sta diventando pesante e questa atmosfera consiglia a tutti di tirare fuori dalle vene delle vere e proprie confessioni.
"Stanotte ho sognato, un sogno strano, molto strano... Ho perfino un po' di paura a raccontarlo". Il Megu accende la sigaretta prendendo un mozzicone di brace dal fuoco, il bosco e le nostre facce illuminate dal bagliore che proviene dal centro del cerchio che abbiamo stretto intorno, le ombre continuano ad allungarsi ed a restringersi senza posa dando l'impressione di movimento che tutti cerchiamo di evitare.
Nessuno, probabilmente, vuole farci caso, ma è strano come poche parole dette a bassa voce, in certi momenti, siano più efficaci, per attirare l'attenzione, di qualsiasi urlo lanciato in mezzo al caos. E' come se ogni parola detta nel tono giusto raggiunga più facilmente il bersaglio, forse è questo il vero segreto.
"Mi sembrava di essermi perso in un bosco simile a questo, il vento era freddo, molto più freddo di come è adesso e non capivo da che parte spirasse perché il cielo era uniforme, senza sole, senza stelle, un unico velo che si stendeva sopra i miei occhi.
Non riuscivo proprio ad orizzontarmi in mezzo a tutte quelle piante alte e gli arbusti che nascondevano il terreno, ma riuscivo ad intravedere oltre a loro una spianata completamente brulla e sapevo, senza conoscerne il motivo, che solo da quella posizione avrei potuto uscire fuori da quella situazione. Camminando faticosamente riuscii a raggiungere il centro di quella desolazione che mi circondava completamente, sopra di me c'era un solo colore grigiastro, indefinibile, spazzato appena, qua e là, da nuvole fumose che sembravano dover esplodere in una pioggia fragorosa.
Sul terreno brullo si ergevano alcune rocce nude che sembravano muoversi lentamente, ma ero quasi sicuro che fosse solamente un effetto ottico dovuto al movimento delle foglie. Era troppo inconsueto vedere muovere le pietre per cui mi convinsi che non fosse possibile!
Pensavo che fosse sera ma non chiedetemi in che modo lo sapessi, era solo una sensazione che mi nasceva da dentro, una specie di sesto senso che si manifesta solo nei casi di assoluta necessità e pensavo che avrei dovuto muovermi in fretta per ritrovarvi e per non dover passare la notte in quell'umidità devastante. Perciò mi sono messo a camminare per uscire dal bosco e fare il punto della situazione, mi veniva da sorridere e da piangere allo stesso tempo finché non feci tutte e due le cose. I miei piedi sembravano sempre più pesanti come se si stessero radicando al suolo per scaricare ogni emozione, quando mi sono reso conto di questo, incredibilmente, ho capito di non provare più nulla, né preoccupazione, né disagio, né ansia, e neppure paura, un'assenza totale di pensieri che non era coraggio, era semplicemente un deserto di sensazioni, un vuoto assoluto che mi accompagnava passo dopo passo.
Il paesaggio, mano a mano, cambiava e diventava sempre più tetro, più contorto, più inquietante, adesso che lo devo descrivere a parole sembra tutto più fosco e difficile. Mi sembrava che tutto fosse pericoloso, addirittura potevo sentire la maledizione del luogo senza neppure rimanerne scosso, una specie di patina umida sulla pelle.
Continuavo ad andare avanti in quella situazione paradossale fino a quando raggiunsi l'arido terreno che si stendeva a perdita d'occhio davanti a me." A quel punto smetto di concentrarmi per un istante, il Megu prende una sorsata dalla sua tazza, è incredibile come un pessimo oratore come lui riesca a farci restare tutti in attesa, come se i suoi gesti e le sue pause fossero studiate. Lo osservo distrattamente ma c'è qualcosa che attira il mio sguardo proprio dietro di lui, sembra un'ombra che si delinea sempre più mano a mano che focalizzo la vista oltre le sue spalle.
Si, non c'è dubbio, può essere un effetto ottico dovuto al bagliore delle fiamme ma senza dubbio sembra la figura di una donna che diventa sempre più visibile ad ogni secondo che passa. E' silenziosa e la sua mano accarezza i capelli del Megu con dolcezza, devo ammettere che ho la pelle d'oca e non riesco più a muovermi.
La pausa del nostro oratore dura solo pochi istanti ma io rimango concentrato sulla figura alle sue spalle, gli occhi bassi, accovacciata sull'erba umida, mi volto per vedere se anche qualcun altro si è accorto della sua presenza ma mi rendo conto che non è così.
L'unica cosa che mi colpisce è l'incredibile immobilità apparente dei miei compagni, solo pochi movimenti impercettibili che colpiscono il mio sguardo, solo in questo momento comprendo come troppe volte sfuggano i particolari che delineano lo stato d'animo delle persone con cui abbiamo rapporti.
Il Megu ha ripreso il suo racconto, torno a concentrarmi sulle sue parole senza perdere di vista la creatura d'ombra alle sue spalle.
"Non c'erano segni di vita, nessun animale, soltanto quelle strane formazioni di roccia che sembravano pietre tombali antichissime, ero arrivato alla conclusione di trovarmi in un vecchio cimitero e cominciava a farsi strada dentro di me una domanda inquietante: come sono arrivato fino a qui?. Ad un tratto sento il mio corpo percorso da brividi come fossi stato attaccato da una qualche febbre istantanea che mi portava sull'orlo del collasso per il caldo e subito dopo mi faceva gelare il sudore sulla pelle. Io continuavo ad andare avanti lo stesso perché sapevo, dentro di me, che dovevo superare quel terreno e quelle tombe. Non sono mai stato tanto convinto in vita mia di qualche cosa!
La luce rimaneva sempre la stessa, non accennava né a diminuire né ad aumentare come se in quel luogo non fosse stato mai giorno né notte. Sapevo di essere lontano dal campo e da tutti voi e, nel frattempo, cominciava a darmi fastidio il fatto di non sentire alcun suono umano o animale mentre i miei pensieri erano sempre più lenti a causa della febbre. Ricordo che gridai ad uno ad uno i vostri nomi, più che per la consapevolezza di non essere solo, semplicemente per il fatto di sapere se, per caso, non fossi diventato improvvisamente sordo. Ma non era così! Infatti un rumore mi fece voltare di scatto, era la figura di una donna quella che mi trovai di fronte, molto bella anche se non più giovane, che mi guardava dall'alto di una collinetta del terreno."
La figura che sta dietro il Megu si può distinguere molto nitidamente, posso osservarne il viso fresco e giovane ma triste, di una tristezza malinconica che opprime la mente mentre la sua mano non smette di accarezzare il capo del piccolo soldato.
"I suoi occhi, fissi su di me, mi dicevano di seguirla pur non sentendola pronunciare una parola, così cambiai direzione e mi misi alle sue spalle cercando di raggiungerla ma, non appena mi avvicinavo a lei più di tanto, lei accelerava il passo ed io, con il fiato corto, ero costretto a rallentare. Alla fine le avevo gridato di dirmi dove ero e come fare per tornare al campo ma mi rispose soltanto l'ululato di un lupo che mi aveva seguito senza farsi notare. Mi fermai a guardarlo meglio e mi sembrava che i suoi occhi fossero gli stessi della donna che avevo seguito.
Quando mi voltai lei era sparita e ne rimanevano solo poche braci fumanti che si stagliavano contro l'orizzonte monocromo, a quel punto capii di essere sull'orlo di una abisso profondo che veniva direttamente da dentro di me ma non riuscivo a capire comunque come vi fossi arrivato, né come avrei potuto uscirne.
Raggiunte le braci mi accorsi che anche il lupo era sparito senza lasciare traccia, ero quasi in preda al panico anche se da quella posizione potevo vedere la mia città, la mia casa senza alcuna luce, lontana, tanto lontana da risultarmi subito irraggiungibile. Mi sedetti e cominciai ad avere veramente paura, non riuscivo più a capire se era realtà, sogno, o un qualche altro strano incantesimo.
Mi fermai sotto una pietra tombale lì a fianco e cominciai a pensare ad un qualsiasi modo per venirne fuori, intanto, constatai che la febbre era passata e che mi sentivo un'incredibile forza nelle gambe, il vento si era alzato ma era diventato più caldo e la pietra su cui poggiavo stava diventando sempre più comoda, per cui mi voltai a guardarla meglio finche non scorsi sulla sua superficie un nome scolpito in caratteri antichi."
Mi scuote un brivido, i volti dei miei compagni, compreso il Megu si voltano verso di me, le rughe dei volti accentuate dai chiarori di un fuoco che tende a spegnersi, mi fanno paura ma, in realtà, sembrano solo più stanchi ed invecchiati che pericolosi. Sorrido un po' forzatamente, mentre mi volto verso la figura di donna accovacciata oltre il soldato, ma lei non c'è più, la vedo in lontananza che si staglia contro l'orizzonte dominato dagli abeti più alti, vorrei fermarla ma so che nessuno potrebbe capire, mi limito a bere un sorso di brodo senza staccarle gli occhi di dosso, voglio veramente sapere in che modo svanirà.
Semplicemente non svanisce, diventa nebbia, una nebbiolina sottile che si stende bassa sul terreno, senza lasciare traccia di sé, una nebbia che svanirà ai primi raggi di sole, o forse, alle prime parole che il Megu userà per riprendere il discorso.
"Fu in quel momento che mi resi conto che i peli mi si stavano drizzando sulla nuca, un colpo al basso ventre, ed un urlo che mi saliva in gola strozzandomi, era il mio nome ed il mio cognome quello che stava scolpito sulla pietra e, sotto di esso, stava scritta la data di oggi, era la data della mia morte.
Mi voltai urlando proprio mentre una mano, prima invisibile, poi sempre più concreta, passava sulla data cancellandola, e fu
così che mi svegliai, scrollato per le spalle dalle mani del Pcitt che mi aveva visto agitato." Il silenzio che segue il racconto è indicativo dello stato d'animo in cui tutti siamo caduti. Restiamo veramente immobili, schiacciati dal peso delle parole del ragazzo, specialmente il Pcitt che, solo poche ore prima, ha risvegliato il Megu durante la sosta a Pian dei Corsi. Sembra impietrito, senza sguardo, mentre dalla radio si augura stupidamente alla pattuglia la buona notte in maniera forse un po' troppo macabra.
"Buona notte e attenti alla pelle…." L'eco di quelle parole riempie quell'ultimo tratto di boscaglia, mi viene in mente una vecchia canzone con dedica, dedicata semplicemente ad una "bellissima anonima".
Non so se è una beffa della mia immaginazione o uno scherzo del destino, oppure una delle coincidenze strane di ogni esistenza, fatto sta che mi metto a canticchiare il pezzo infantile chiudendo gli occhi ed alzando la testa al cielo.
Qualcuno accende l'ultima sigaretta, getta una pentola d'acqua sul fuoco e dice buonanotte.
Ma chi lo sa che cosa è una buona notte? Quanti e quali mondi misteriosi si agitano dentro di noi, e quanti e quali esseri da dimensioni sconosciute entrano in contatto con noi proprio nelle "buone notti"?
"E' meglio se domani cerchiamo di dormire in qualche casa di Bormida o l'umidità ci ucciderà..." Alle mie parole il Pcitt si alza e mi saluta con un gesto eloquente.
"Già... E' Proprio così, maledetta umidità!".

 Clicca qui per leggere la classifica del Premio
Città di Melegnano 2003

Torna alla sua
Home Page

PER COMUNICARE CON L'AUTORE mandare msg a clubaut@club.it
Se ha una casella Email gliela inoltreremo.
Se non ha casella Email te lo diremo e se vuoi potrai spedirgli una lettera presso «Il Club degli autori - Cas. Post. 68 - 20077 MELEGNANO (MI)» inserendola in una busta già affrancata. Noi scriveremo l'indirizzo e provvederemo a inoltrarla.
Non chiederci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©2004 Il club degli autori, Fabio Pistone
Per comunicare con il Club degli autori:
info@club.it
Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit
 
IL SERVER PIÚ UTILE PER POETI E SCRITTORI ESORDIENTI ED EMERGENTI
Home club | Bandi concorsi (elenco dei mesi) | I Concorsi del Club | Risultati di concorsi |Poeti e scrittori (elenco generale degli autori presenti sul web) | Consigli editoriali | Indice server | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Racconti | Arts club | Photo Club | InternetBookShop |
 Ins. 20-01-2004