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               La
               terza sera Il
               buio ricoprì avidamente il cielo, quella sera.
               Ogni cosa era divenuta tetra, oscura, e la luna
               pallida rendeva triste la notte. Una sola, rarefatta
               nuvola solcava quel tetto di stelle, l'aria era
               fresca. Ricordi, troppi ricordi scorrevano nel fiume,
               troppo freddo l'alito del tempo ormai passato. Le ore
               notturne erano scandite da mille rumori provenienti
               dal bosco. Grilli, rane, uccelli e strani insetti
               estasiati dalla brezza di quella sera. Penelope si
               guardava intorno, scrutava lo spazio, ogni singola
               stella. Poi volgeva lo sguardo al fiume, allo scorrere
               dell'acqua, alla sua irrequieta immagine che vi si
               rifletteva. Quindi portava le delicate mani ai capelli
               neri, riccioluti a formare mille e ancora mille
               boccoli giù per la schiena; li legava con esili
               fili d'erba verde che aveva strappato dal terreno dove
               gli stessi fili si confondevano con coloratissimi
               fiori di ogni forma e grandezza. Allora
               mirava l'acqua e là, la sua immagine. Era bella
               e giovane, dolce e delicata. Stava lì immersa
               nella natura, in un gelido silenzio e sembrava ci
               fosse sempre stata, quasi le sue gambe fossero
               diventate lunghe radici ben piantate nella terra e le
               sue dita leggiadri ramoscelli ricchi di gemme. Chiuse
               gli occhi. Aprì le braccia e con i palmi ben
               distesi sfiorò il letto verde sul quale si era
               seduta. Percepiva una sensazione piacevole,
               rabbrividiva e allo stesso tempo godeva di
               quell'emozione così forte; così la
               trovò il vento, apertamente
               vulnerabile.Le
               accarezzò il soffice collo, lo
               accarezzò, l'avvolse e lo strinse fino a
               soffocarla. Penelope aprì gli occhi,
               d'improvviso. Una luce accecante le impediva di
               guardare, la sua mente offuscata non realizzava quale
               altro fittizio mondo essa stesse esplorando. Non era
               una finzione ma la realtà. Stava distesa sul
               letto, indossava una lunga sottoveste bianca cangiante
               e i suoi capelli, sciolti, si appoggiavano liberamente
               sul cuscino. La finestra era rimasta aperta e l'aria
               della notte entrava invadentemente nella sua stanza.
               Si alzò, raggiunse il balcone e chiuse la
               finestra. Ora si sentiva più protetta, sicura
               anche se ancora stranita dalle primordiali pulsioni
               che le avevano attraversato le membra. Si distese di
               nuovo sul letto, appoggiò il capo e afferrate
               le lenzuola le tirò verso di sé per
               ripararsi dal freddo.Sfiorandone
               i lembi si accorse per la prima volta di quanto
               soffice fosse quel cotone, di quanta delicatezza
               riservasse al suo corpo e con quanto calore
               l'avvolgesse. Arrivarono le prime luci dell'alba, i
               primi raggi si diffondevano timidamente nel cielo e lo
               coloravano di tonalità pastello e di mille
               sfumature. Penelope ripensava alla notte trascorsa,
               ripensava alla sua vita, agli sbagli, alle gioie
               ricevute, ai bei momenti e a quelli brutti. Ben presto
               il sole le raggiunse il volto e rifletté
               nell'iride di quei fantastici occhi. Lacerata dalle
               riflessioni si levò dal materasso con impeto e
               si spinse verso il bagno. Osservò le proprie
               mani, le braccia, il seno. Non si riconosceva in quel
               corpo. Con timore alzò lo sguardo verso lo
               specchio e contemplò a lungo la sua immagine
               riflessa.Faceva
               caso ad ogni piccolo particolare, fino a che, due
               corpose lacrime le squarciarono il viso. Le lacrime
               scendevano lungo le gote e le labbra carnose
               fermandosi qua e là in insolite pieghe della
               pelle. Avvicinò la faccia alla specchiera e
               vide delle rughe. Scrutava attentamente, le lacrime
               scomparvero con il dolore e lei si ritrovò
               assopita in un grande parco, quel giorno molto
               affollato. In una calda giornata di primavera
               canticchiava motivi dell'infanzia e riportava alla
               luce, nella sua mente, ricordi disordinati ma assai
               buffi. Da sola su quel profumato giardino rideva
               spensierata, gioiva della vita e viaggiava con
               l'immaginazione.Il
               silenzio fu interrotto dal cigolio di una bicicletta
               che sembrava essersi fermata proprio alle spalle di
               Penelope. Lei rimase immobile. Un uomo di circa
               quarant'anni, corti capelli neri e occhi profondi, si
               avvicinò alla ragazza. Si sedette sull'erba
               senza proferir parola e si prese le ginocchia tra le
               braccia; le strinse forte quasi avesse paura di cadere
               nel vuoto. "È stupendo, vero?" disse l'uomo.
               Penelope non rispose. "Mi chiamo Malcolm! E tu?"
               Penelope si girò, alzò lo sguardo e lo
               fissò intensamente. "Tu sei sempre stato qui
               vero?" disse la giovane. Mentre gli rivolgeva la
               domanda prese a strappare i fili d'erba, uno dopo
               l'altro e a gettarli qua e là; li strappava con
               insistenza, senza tregua e con una velata rabbia.
               "Perché mi domandi una cosa del genere? Io mi
               trovo qui esattamente da quanto tu ti trovi qui."
               Penelope sembrava turbata, in realtà non
               pensava a quello che l'uomo le aveva detto, e nemmeno
               a quello che avrebbe dovuto rispondergli. Aveva chiuso
               gli occhi. Un'altra volta. Malcolm si distese al suo
               fianco, appoggiò il capo e si mise a fissarla
               senza battere ciglio.La
               guardava attentamente, e contemplava la sua bellezza,
               in silenzio. Di tanto in tanto lei apriva gli occhi e
               notando che la stava fissando si affrettava
               nervosamente a richiuderli. Rimasero insieme a lungo,
               distesi sul prato ad aspettare che il sole, stanco di
               una giornata troppo pesante, si calasse oltre
               l'orizzonte. Arrivò il tramonto, il crepuscolo,
               la sera. I minuti parevano interminabili, le ore
               passavano lente ma la notte, come sempre, sembrava
               arrivare troppo in fretta. Comparve la prima stella,
               Penelope si alzò in piedi, aprì le
               braccia e si gettò tra le braccai di Malcolm.
               Lui le accarezzava i capelli e si perdeva nei suoi
               lunghi boccoli neri. Come era caldo e dolce e
               così profumato, pensava. Il suo abbraccio era
               avvolgente e sicuro ma lei dinanzi all'uomo si sentiva
               debole e confusa. Senza forze si abbandonò tra
               le ali del tempo, cadde a terra come svenuta, senza un
               lamento. Inerme.Con
               il viso chiuso tra le mani si girava e rigirava, non
               trovò pace finché non si alzò,
               scalza sul pavimento di legno orami vecchio, ad ogni
               passo uno scricchiolio. Appena sveglia aveva sentito
               dei rumori provenire dalle scale, quindi si
               accostò alla porta e la aprì con
               cautela.Ascoltava
               le persone che ai piani di sotto parlavano a voce alta
               non curandosi dei vicini, urlavano animatamente senza
               ragione. Discutevano di chissà quale importante
               argomento, tra un piano e l'altro. Penelope non capiva
               le loro parole e richiuse la porta alle sue spalle;
               ogni volta che sveglia si ritrovava in quella vecchia
               stanza, intrisa d'umido non ricordava cosa ci facesse.
               Nulla la legava a quella casa, nulla a quel
               condominio, nulla a quel quartiere. In realtà
               niente giustificava anche il suo vivere, ma questo
               lei, lo aveva sempre saputo. Si guardò intorno,
               guardò fuori dalla finestra. Pioveva.
               Lentamente si vestì, indossò una comoda
               maglia di cotone color indaco che da poco aveva
               acquistato ad un mercatino, mise l'impermeabile e
               afferrato il paracqua lasciò la camera. La
               giornata non era delle migliori, pioveva
               incessantemente. Una pioggerellina fine scendeva dal
               cielo e le riportava alla mente sua madre, quando le
               diceva che quella pioggia erano lacrime di Dio e lei
               quasi si sentiva in colpa per averlo fatto piangere.
               Sorrideva e camminava in piccoli viottoli in cui
               l'odore della pioggia si faceva più intenso,
               incrociava centinaia di persone e come un gioco
               infantile provava ad immaginare la loro storia, la
               loro età. La loro età. Di colpo si
               arrestò, chiuse l'ombrello e rimase "nuda"
               sotto un acquazzone fitto. Si guardò le mani,
               si sfiorò il volto. Così abbassando lo
               sguardo, notò una pozzanghera e si
               incantò mirandosi. Non sapeva chi fosse,
               né perché si trovasse lì, non
               sapeva quanti anni avesse perché non ricordava
               quanti ne fossero passati. Da sempre aveva sentito un
               vuoto dentro di sé, provando una sensazione
               indescrivibile ed unica. Unica come la brezza della
               sera, unica come il rumore dell'acqua sulle rive del
               fiume, unica come i soffici fili d'erba che sfiorano
               il palmo della mano. Unica ed ultima emozione di
               questa sua malinconica esistenza.
               
               
                  
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