Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Giovanni Carullo
Con questo racconto ha vinto il quinto premio al concorso
Marguerite Yourcenar 2004, sezione narrativa
e ha vinto il sesto premio ex aequo all'edizione 2004 del Premio
Angela Starace.

NON È VERO, NORA?
 
Le fauci nere si erano già spalancate sulla città dalle prime ore del mattino. Le nuvole si gonfiavano come mucose impazzite di una bocca affamata e silenziosa. L'urlo era atteso. L'urlo profondo, che avrebbe vomitato tra le strade una pioggia mai tanto implorata. Desiderata, bramata, richiesta ad alta voce nelle torridi giornate e nelle notti appiccicose di un'estate racchiusa per intero in una bolla d'aria afosa, mai sotto i trenta gradi. Già le sentivi prima ancora che arrivassero sull'asfalto, prima che l'odore di erba si mescolasse ai fumi delle auto in panne, le avvertivi dentro di te, prima che si schiantassero sul parabrezza della Panda. Le sentivi nel soffio di vento che attraversava i finestrini dell'abitacolo, nel loro mescolarsi alle gocce di sudore che ti colavano sempre più rare e finalmente fresche dalla fronte e giù dal collo nell'incavo del seno.
Cosa ti passava per la mente, Nora? Di uscire e volteggiare, non è vero? Bocca e braccia aperte al centro della strada, gli occhi al cielo a raccogliere i petali rigeneranti di questo temporale, così come facevi da bambina; indovino, vero? Così come desideravi fare tutte le volte, prima che tuo padre ti cercasse perché l'aiutassi a radunare le nocciole, quando l'agitazione insieme al vento e alle nuvole nere lo attraversava da testa a piedi, e allora si doveva lavorare, e senza sosta, di pale e di rastrelli, ammonticchiarle al centro dell'aia sotto il tendone verde militare, e poi fissarlo a terra, china alla ricerca di sassi e mattonelle, che il vento non lasciasse passar l'acqua né qualcuna potesse trovar spazio per scivolarne fuori. Ma neanche dopo volteggiavi, te lo ricordi, Nora? Non ne avevi più la forza, dopo. Alla fine rimaneva solo il volteggio dei tuoi desideri, nel fumo della cucina a legna, nell'alone del vetro a cui restavi col naso appiccicato, tra le bestemmie di tuo padre, i lamenti di tua madre: quante ne avrebbe portato quella maledetta pioggia? Al secondo squarcio di cielo hai fermato la Panda. Lo sapevi che la calotta si sarebbe bagnata. Ma non hai avuto paura, Nora, mica ti spaventa un temporale? Cosa vuoi che sia questo fiume d'acqua che cresce lungo la strada, cosa può mai fare alle tue caviglie, alle gambe forti e senza calze, ma credi che il barista lo comprenderebbe mai il tuo coraggio? - Venga dentro signora, qui si allaga tutto, salga al piano interno, che mettiamo sacchi e sabbia dietro la porta -. Non lo ascolti. Resti con lo sguardo dietro ai vetri, ti piace osservare quel fiume d'acqua che vien giù dai Pennini e allaga Via Tagliamento, che del resto si porta già nel nome il suo destino. Ci stai pensando, non è così? E non trovi buffa tutta questa gente che abbassa saracinesche e porte, che prova a rimettere in corsia le auto sorprese dalla furia, auto rincorse dai bidoni dell'immondizia, da un lato all'altro della strada. La borsa è asciutta, la tua mano non ha pace. C'è mai stato un attimo di pace per quelle mani? Rispondimi, Nora. Invece di frugare dentro, cercando le mazzette, le conti con le dita, poi le conti ancora. La pioggia passerà. La Banca è lì di fronte. - Vuole bere qualcosa di caldo, signora? Credo che non smetterà tanto presto, e in fondo ce la meritiamo questa pioggia. Lo prende un caffè? - Quante nocciole scorrono nell'acqua, galleggiano, spariscono, riaffiorano, ormai sono sopra al marciapiede, le senti picchiettare contro il vetro della porta; pensi ti abbiano riconosciuto, come se aveste appuntamento. È per quello che sorridi, non è vero, Nora? Non pensi che il cameriere potrebbe riderne con te? "Aunate e camminate" La senti questa voce, Nora, la riconosci, non è vero? "Aunate e camminate", sembra più dolce nei ricordi, oppure è soltanto un'impressione? Si cominciava di mattina presto, tua madre ti buttava giù dal letto. Chissà cosa sognavi. Si sogna tanto al mattino presto. Te lo sei mai chiesta quali sogni interrompeva lo scampanellio di tuo padre, Nora? Oppure non ne avevi tempo, che c'era da spandere le nocciole, col sole che cominciava ad alzarsi, ma tu neanche ci facevi caso al sole, china sulla vanga e sui rastrelli, mentre a piedi scalzi giravi ancora ad occhi chiusi e col pigiama, piccola farfalla goffa, lungo i solchi di un'enorme chiocciola color nocciola distesa per l'intera aia? Olga e Maria erano già arrivate e sorseggiavano il caffè con tua madre. Poi indossavano gli abiti da lavoro e aspettavano Marisa, faceva due chilometri a piedi ma non era mai stanca, te la ricordi, non è vero? Aveva la tua stessa età, ma ti faceva invidia, perché era leggera come una piuma e a lei toccava raccogliere le nocciole lungo i bordi delle chiane, lungo i lemmeti, le pareti scoscese tenute da radici che non avrebbero retto il peso delle tue gambe. Almeno, così dicevano. "Aunate e camminate" ripeteva Genuino, e neanche erano passate le otto di mattina; te lo ricordi Genuino, non è vero Nora? Quando si partiva tutti in fila, Olga e Maria vicine che parlavano dei figli e delle nuore, tua nipote con i guanti per ripararsi le unghie da pianista, tua madre mai vista una volta sola inginocchiata, senza paniere e col grembiule arrotolato da riempire mentre tu ti trascinavi il sacco sotto alle ginocchia e le sentivi fredde e indolenzite. Sarà forse per quello che ti lamenti ancora quando cambia il tempo. Ne hai parlato col dottore, Nora? "Aunate e camminate" ripeteva Genuino mentre con il maglio colpiva i pali più robusti e la pioggia di nocciole cadeva tintinnante, con le foglie e i rami recisi che ti sporcavano i capelli. E con le nocciole a volte cadevano le natele... te li ricordi quegli esserini nudi che precipitavano dal nido e che tuo padre correva a calpestare, rischiando di ferire le tue dita, perché ogni buco in un frutto era per lui una lira in meno di guadagno? Ti ricordi il loro lamento strozzato, lo scricchiolio di quelle ossa morbide sotto la punta del bastone e il richiamo lontano della madre? Provasti a salvarne una... sicuramente ricordi ancora il nome che le desti. La nutrivi con una siringa priva d'ago, con acqua e latte. Per lei ti alzavi anche di notte. Ma sopravvisse poco, al tacco di tuo padre. Di che qualità sono queste nocciole che vedi scorrere nel fango? Sapresti ancora distinguerle? Eri diventata proprio brava, te lo ricordi?: le primitive, le mortarelle, piccole e tondeggianti, le Sangiovanni, robuste e affusolate, le n'dose che cadevano già sbucciate e risparmiavano la fatica di scugnuliarle. E ti ricordi ancora quelle due, tre piante di sanguinelle, sotto al lemmete della chiana grossa, che quando le aprivi luccicavano della corteccia interna, rossa più del sangue. Il sangue che ogni volta ti ricordava il dito punto della mamma di Biancaneve. Te la ricordi ancora quella storia? Ricordi se tua madre te l'aveva raccontata mai? E ricordi, Nora, se invece l'hai mai raccontata tu a qualcuno? Ti divertivi a catturare i ragni che si arrampicavano sul sacco. Li afferravi per una zampa e lasciavi che penzolassero dal filo di saliva in cui cercavano la fuga. Gli strappavi le zampe ad una ad una e se ti sentivi buona gliene lasciavi un paio. Capitava proprio in quei giorni che Marisa non si presentava, e i lemmeti toccavano a te, quando eri felice di dimostrare come anche tu sapevi scendere e salire tra felci e rovi, senza sgarrupare; oppure lo facevi in quei giorni in cui tua madre dava lavoro a qualche giovane di passaggio e ti sentivi finalmente in compagnia. Rimanevi indietro, aspettando come sfida che il ragno facesse un passo senza zampe, o era soltanto una scusa nell'attesa che il giovane riempisse il paniere e poi correvi ad aiutarlo, a tenergli il sacco aperto mentre lui vi rovesciava le nocciole. Ti piaceva rimanere per un poco fuori della fila, indugiare tra le zampe del ragno e le smorfie dei ragazzi finché sentivi alla base del collo la punta fredda del bastone di tuo padre, non una parola ti diceva, ti sfido a ricordarne una, Nora, soltanto una, prima che col bastone ti indicasse tutti i frutti che lasciavi indietro, da recuperare ad uno ad uno mentre si accendeva un'altra sigaretta. "Aunat e camminate" ripeteva Genuino, e interrompeva i discorsi sui figli di Olga e di Maria, le barzellette del giovane moro e le risate di Marisa, interrompeva i tuoi pensieri, e allineava pure loro accanto al sacco che cominciava a darti male alle ginocchia; il dolore non fa pensare. Ma in fondo era meglio così, non è vero, Nora? Alle dieci e mezzo puntuale arrivava Lucio, tuo fratello, con le buste della spesa e dovevi correre a casa, preparare la tavola, disporre i piatti e le posate, riempire l'acqua e tagliare il pane. Era il momento della colazione, ma tu non la sopportavi quella colazione di pomodori e cipolle, di profumi di basilico, di olio allungato con l'acqua, di pane inzuppato e di unghie sporche di terra che si affollavano nella zuppiera fresca della frutta. Poi si ricominciava, pulivi e correvi, prima che il fischio di tuo padre ti richiamasse al posto tuo. Dopo il fischio sarebbe stato il turno del bastone. Ma qual'era il posto tuo, Nora, qualcuno si era mai premurato di spiegarti che esisteva un posto anche per te, oltre quel buco nella fila di raccolta? Qual era il tuo posto, quello che disegnavano i tuoi desideri, quello che pretendeva il tuo corpo che si formava, quello che reclamavano i tuoi sedici anni...?
Chi avrebbe potuto dirtelo? Chi poteva aiutarti a cercarlo? Nascesti che tuo padre aveva sessant'anni, tua madre quarantacinque. Dopo 5 maschi troppo grandi per esserti fratelli. Ci pensavi sempre a tutto questo, non è così? A come ti sentivi fuori posto con due genitori che le tue compagne scambiavano per nonni, con cinque fratelli e cinque cognate, che sembravano ridessero all'unisono di te, quando portavi i piatti in tavola così che ti rifugiavi a mangiar da sola sotto al glicine, insieme ai gatti, perché in quelle occasioni, che poi erano i giorni di festa, neanche a tavola c'era posto per te. Eppure, quando Berardino era partito militare e tutti infine ti avevano lasciato sola con i tuoi, avevi pianto per notti intere. Questo è certo, lo ricordi. Ed io neanche te lo chiedo. La sera ti scopriva col volto stanco ma sereno, coi vestiti che profumavano di sapone di Marsiglia, quando si accendevano le luci sull'aia e si svuotavano i sacchi delle nocciole di giornata: si cominciava a scugnuliare. E intorno al tavolo c'era posto per tutti, anche per te, stavolta non si stava troppo stretti. Qualcuno trovava due nocciole gemelle, e urlava dalla gioia, era segno di fortuna. Una volta ne avevi trovato quattro unite, quattro nocciole siamesi, ma ancora sei in credito di quella fortuna. L'aspetti ancora, Nora? Oppure ci hai messo una pietra sopra? Le nocciole da un lato e le bucce dall'altra, sembrava tutto così bello in quel chiaro di luna, ma presto sarebbero spariti anche quei momenti: prima ci fu l'anno in cui tuo padre decise di far raccogliere le nocciole già pulite, e poi quell'altro anno ancora che avevano preso in fitto la macchina pulente: si raccoglieva tutto, abbandonato il sacco alle ginocchia si passava alle scope e alle pale: ci pensava poi la macchina nei suoi turbinii di polvere a separare bucce e frutti, terra, foglie e pietre. Poi neanche rastrelli e scope sarebbero servite, i lunghi tubi della nuova macchina arrivavano come colli di draghi onnivori oltre la chiana grossa, fino a "dint'o core" o fino alla chiana del pino e facevano il lavoro della fila intera, raccoglievano, pulivano e insaccavano. Tutto in una giornata sola. Ma quella sera tutto questo neanche si immaginava. Ridevate a scugnuliare in compagnia del vino, dei grilli e delle cicale. Poi si era fermata un'auto gialla ed era scesa una coppia di mezza età. Dal buio era comparsa lei, bionda, più alta del marito. Tua madre ci aveva scambiato due parole, poi era corsa a chiudersi dentro, urlando a squarciagola. Lei dietro la porta, tuo padre fuori, la gente che si alzava dal tavolo, le farfalle che scappavano impaurite, le cicale zittivano di colpo. Ti ricordi come ti venne vicino tuo padre con quelle ventimila lire? - Falle fare un giro per la città - ti aveva detto - e dille di andar via. Lo sapevi, Nora, che avevi una sorella che abitava a Birmingham? te ne avevano mai parlato? e ti avevano mai detto che era tanto bella e tanto dolce, proprio come la sorella che sognavi? Joanna. Si chiamava così, un po' sembrava il nome di tuo padre. Era venuta apposta per conoscere suo padre, che aveva visto solo in foto. In una foto che stringeva ingiallita tra le dita. Tuo padre era in divisa. Non ci potevi credere di avere una sorella, non è vero, Nora? eppure non era stato difficile capirsi, molto più difficile mostrarle la città. Cosa pensavi le importasse della città e delle ventimila lire che stringevi in mano?
Te lo aveva raccontato tuo fratello Salvatore l'anno dopo, avevi saputo che tuo padre prima di congedarsi era stato trasferito ad Amalfi. Gli appartamenti della caserma non erano pronti e i tuoi avevano preso in affitto due stanze da un pescatore. Tu non eri ancora nata. Tuo padre passava le giornate intere tra i monti e la caserma, ma quando tua madre lo aveva cercato perché Alberto aveva ingoiato una biglia di vetro tuo padre in caserma non c'era e neanche in missione coi colleghi. Lo aveva visto infine uscire da un portone e salutare con un bacio una turista. Non ci credesti subito, non è vero? Neanche tua madre ci voleva credere mentre il volto di tuo fratello diventava nero... Adesso invece è tutto più chiaro, non ti sembra, Nora? Invece il cielo resta scuro, stamattina.
- Credo proprio che dovremmo chiamare i vigili del fuoco - dice il barista alla ragazza della cassa. L'acqua ha cominciato a passare sotto alla porta, al centro della strada sarà alta quasi un metro. Anche quel pomeriggio era venuto a piovere all'improvviso, te lo ricordi? Fosse stato ancora vivo tuo padre avrebbe saputo anticiparne l'arrivo, gli bastava vedere la forma delle nuvole e tastare la direzione del vento per dire quanto mancava alle prime gocce. Ma il male che gli aveva corroso i polmoni non gli aveva lasciato tempo di spiegare il suo segreto alla tua mamma. Lei era corsa senza ombrello e con due secchi, quella volta, le nocciole erano tutte a terra in attesa della
seconda passata e la pioggia le avrebbe spinte nella strada, tra le ruote delle macchine e dei camion, oppure giù al ruscello. Stavolta ti aveva lasciato riposare. Forse era stato il regalo per il diploma. La porta la lasciava sempre aperta. Sul tavolo la bottiglia sempre piena: Genuino passava e non bussava. Entrava, riempiva i suoi bicchieri e se ne andava. Lo avevi sentito entrare, Nora ma non era tipo da far paura, Genuino. Avevi sentito i suoi passi, l'ombrello chiuso e riaperto sulla soglia, avevi contato i bicchieri che aveva riempito e poi svuotato. Ci avresti mai creduto che in un bottiglione solo ci stessero tanti bicchieri, Nora? E avresti mai previsto che quei passi anziché allontanarsi adesso si avvicinavano, pesanti, alla tua stanza, alla sdraio su cui fingevi di dormire? Sentivi l'odore dell'alcol calare su di te come una nuvola scura, il calore del suo naso poggiarsi sulla tua pelle. Ti spaventava quel naso, te lo ricordi ancora? Rosso e pieno di bitorzoli, eppure proprio Genuino ti aveva insegnato ad andare in bicicletta, ti aveva insegnato il nome dei fiori e come si catturavano le lucertole... e col suo naso ci scherzavi, lui ti prendeva in giro e ti convinceva come fosse assai più bello del tuo, che appena cominciava a distinguere la menta dalla salvia, l'origano dal finocchietto. Ora sentivi i calli delle sue mani sulle tue braccia, il suo respiro pesante bloccava il tuo, alla mano che ti sfiorò la bocca reagisti infine con un calcio. La sdraio si rovesciò e Genuino corse via; barcollando, corse via. Dalla finestra lo scorgesti senza ombrello che aspettava la filovia. Ti sorrise, ricordi Nora, come ti sorrise? Avevi voglia di urlare Nora, voglia di vomitare, corresti al lavandino e passasti il sapone asciutto sulle braccia per rimuovere il senso di quel contatto che ti sembrava non passare. Avevi voglia di parlarne con tua madre, maledire la sua porta aperta, quel vino scuro e denso di cui ti sentivi la puzza addosso. Ma già sapevi cosa ti avrebbe detto, non è vero, Nora? La stessa cosa che ti avevano detto i tuoi fratelli quando eri tornata a casa infangata per essere caduta nella pila. Dalle fronde era comparso Guido. Pensavi volesse solo tenerti compagnia, mentre ti abbassavi a riempir la brocca, ma avevi sentito il suo corpo strofinarsi al tuo. Non ci avevi creduto fino allora, eppure te l'avevano detto che cosa avesse fatto l'anno di servizio militare alla fragile mente di Guido. Eppure prima di partire qualche volta ti aveva letto una poesia. - La solita imbranata - ti avevan detto - e non metter più quelle gonne strette - Genuino era ancora lì quando tornasti alla finestra, chissà se davvero aspettava un passaggio, può darsi che aspettava soltanto che ti affacciassi ancora. Il sorriso era lo stesso che hai rivisto sabato pomeriggio, sulla foto della lapide. Il sole picchiava forte, sentivi l'acqua ribollire mentre gli mettevi fiori veri. Soltanto che era in bianco e nero, appena un po' sfumato. Il direttore delle Poste ti aveva telefonato, era già da un po' che ti cercava. Davvero non immaginavi cosa poteva voler da te, Nora? I buoni cointestati, decine di buoni a nome tuo e di Genuino. Ma Genuino era morto da più di un anno, e non aveva nessun parente. - Li può incassare quando vuole, basta solo che ci avverta un giorno prima - ti aveva detto il direttore. I risparmi di una vita, la liquidazione della Svizzera e poi pezzi di pensione, le giornate passate a zappare per i campi, a scutuliare nocciole, a potare e vendemmiare. I trattori andavano a nafta, le auto a benzina e lui camminava a vino, per quello la porta era sempre aperta, non è vero, Nora? Ed ora che guardavi in quella foto, quel naso bianco e nero vedevi quanto vicino fosse al tuo, assai più vicino di quel pomeriggio piovoso di cinque anni prima. Dopo aver parlato col direttore eri corsa da tua madre, stavolta senza urlare e senza desiderio di vomitare, soltanto col desiderio di sapere. Ma sapere cosa, Nora? Valeva la pena sapere infine che cos'eri e qual'era il posto tuo?, sapere della vendetta di tua madre per quel figlio lasciato affogare dalle bugie di tuo padre? capire perché per tuo padre eri stata solo un fischio o l'appoggio di un bastone? E capire, Nora, capire cosa c'era sotto quei calli e quella puzza di vino, sotto quella ruvida e coraggiosa carezza che mai pensava di turbarti il sonno... La pioggia è quasi finita, le nocciole sembrano abbiano steso un tappeto per farti attraversare la strada, mentre tieni la borsetta stretta. E quasi non vorresti staccare la mano per toglierti dal viso quella goccia che non distingui più tra pioggia o lacrima.
"Aunate e camminate"... ti abbassi, ne raccogli una manciata e te le metti in tasca. Le porterai insieme a te, sulle note di quell'invito dolce che ti risuonerà per sempre nelle orecchie. Non è vero Nora?
 

Note:
Aunate e camminate: raccogliete e camminate
Chiane: appezzamenti di terra pianeggianti
Lemmeti: appezzamenti di terra scoscesi, delimitano una "chiana" dall'altra
Natele: Moscardini, piccoli roditori
Scugnuliare: togliere le nocciole dal guscio verde
Sgarrupare: lasciar franare
Dint' o core: appezzamento di terreno detto così perché interno alla proprietà
Seconda passata: la seconda volta che si raccolgono le nocciole nello stesso punto in quanto non tutte maturano contemporaneamente
Scutuliare: scuotere i rami dei noccioli a mano per far cadere i frutti. Per quelli più robusti si usa il maglio, attrezzo di legno a forma di martello

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 Agg. 14-02-2005