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               NON
               È VERO, NORA? Le
               fauci nere si erano già spalancate sulla
               città dalle prime ore del mattino. Le nuvole si
               gonfiavano come mucose impazzite di una bocca affamata
               e silenziosa. L'urlo era atteso. L'urlo profondo, che
               avrebbe vomitato tra le strade una pioggia mai tanto
               implorata. Desiderata, bramata, richiesta ad alta voce
               nelle torridi giornate e nelle notti appiccicose di
               un'estate racchiusa per intero in una bolla d'aria
               afosa, mai sotto i trenta gradi. Già le sentivi
               prima ancora che arrivassero sull'asfalto, prima che
               l'odore di erba si mescolasse ai fumi delle auto in
               panne, le avvertivi dentro di te, prima che si
               schiantassero sul parabrezza della Panda. Le sentivi
               nel soffio di vento che attraversava i finestrini
               dell'abitacolo, nel loro mescolarsi alle gocce di
               sudore che ti colavano sempre più rare e
               finalmente fresche dalla fronte e giù dal collo
               nell'incavo del seno.Cosa
               ti passava per la mente, Nora? Di uscire e
               volteggiare, non è vero? Bocca e braccia aperte
               al centro della strada, gli occhi al cielo a
               raccogliere i petali rigeneranti di questo temporale,
               così come facevi da bambina; indovino, vero?
               Così come desideravi fare tutte le volte, prima
               che tuo padre ti cercasse perché l'aiutassi a
               radunare le nocciole, quando l'agitazione insieme al
               vento e alle nuvole nere lo attraversava da testa a
               piedi, e allora si doveva lavorare, e senza sosta, di
               pale e di rastrelli, ammonticchiarle al centro
               dell'aia sotto il tendone verde militare, e poi
               fissarlo a terra, china alla ricerca di sassi e
               mattonelle, che il vento non lasciasse passar l'acqua
               né qualcuna potesse trovar spazio per
               scivolarne fuori. Ma neanche dopo volteggiavi, te lo
               ricordi, Nora? Non ne avevi più la forza, dopo.
               Alla fine rimaneva solo il volteggio dei tuoi
               desideri, nel fumo della cucina a legna, nell'alone
               del vetro a cui restavi col naso appiccicato, tra le
               bestemmie di tuo padre, i lamenti di tua madre: quante
               ne avrebbe portato quella maledetta pioggia? Al
               secondo squarcio di cielo hai fermato la Panda. Lo
               sapevi che la calotta si sarebbe bagnata. Ma non hai
               avuto paura, Nora, mica ti spaventa un temporale? Cosa
               vuoi che sia questo fiume d'acqua che cresce lungo la
               strada, cosa può mai fare alle tue caviglie,
               alle gambe forti e senza calze, ma credi che il
               barista lo comprenderebbe mai il tuo coraggio? - Venga
               dentro signora, qui si allaga tutto, salga al piano
               interno, che mettiamo sacchi e sabbia dietro la porta
               -. Non lo ascolti. Resti con lo sguardo dietro ai
               vetri, ti piace osservare quel fiume d'acqua che vien
               giù dai Pennini e allaga Via Tagliamento, che
               del resto si porta già nel nome il suo destino.
               Ci stai pensando, non è così? E non
               trovi buffa tutta questa gente che abbassa
               saracinesche e porte, che prova a rimettere in corsia
               le auto sorprese dalla furia, auto rincorse dai bidoni
               dell'immondizia, da un lato all'altro della strada. La
               borsa è asciutta, la tua mano non ha pace.
               C'è mai stato un attimo di pace per quelle
               mani? Rispondimi, Nora. Invece di frugare dentro,
               cercando le mazzette, le conti con le dita, poi le
               conti ancora. La pioggia passerà. La Banca
               è lì di fronte. - Vuole bere qualcosa di
               caldo, signora? Credo che non smetterà tanto
               presto, e in fondo ce la meritiamo questa pioggia. Lo
               prende un caffè? - Quante nocciole scorrono
               nell'acqua, galleggiano, spariscono, riaffiorano,
               ormai sono sopra al marciapiede, le senti picchiettare
               contro il vetro della porta; pensi ti abbiano
               riconosciuto, come se aveste appuntamento. È
               per quello che sorridi, non è vero, Nora? Non
               pensi che il cameriere potrebbe riderne con te?
               "Aunate e camminate" La senti questa voce,
               Nora, la riconosci, non è vero? "Aunate e
               camminate", sembra più dolce nei ricordi,
               oppure è soltanto un'impressione? Si cominciava
               di mattina presto, tua madre ti buttava giù dal
               letto. Chissà cosa sognavi. Si sogna tanto al
               mattino presto. Te lo sei mai chiesta quali sogni
               interrompeva lo scampanellio di tuo padre, Nora?
               Oppure non ne avevi tempo, che c'era da spandere le
               nocciole, col sole che cominciava ad alzarsi, ma tu
               neanche ci facevi caso al sole, china sulla vanga e
               sui rastrelli, mentre a piedi scalzi giravi ancora ad
               occhi chiusi e col pigiama, piccola farfalla goffa,
               lungo i solchi di un'enorme chiocciola color nocciola
               distesa per l'intera aia? Olga e Maria erano
               già arrivate e sorseggiavano il caffè
               con tua madre. Poi indossavano gli abiti da lavoro e
               aspettavano Marisa, faceva due chilometri a piedi ma
               non era mai stanca, te la ricordi, non è vero?
               Aveva la tua stessa età, ma ti faceva invidia,
               perché era leggera come una piuma e a lei
               toccava raccogliere le nocciole lungo i bordi delle
               chiane, lungo i lemmeti, le pareti
               scoscese tenute da radici che non avrebbero retto il
               peso delle tue gambe. Almeno, così dicevano.
               "Aunate e camminate" ripeteva Genuino, e
               neanche erano passate le otto di mattina; te lo
               ricordi Genuino, non è vero Nora? Quando si
               partiva tutti in fila, Olga e Maria vicine che
               parlavano dei figli e delle nuore, tua nipote con i
               guanti per ripararsi le unghie da pianista, tua madre
               mai vista una volta sola inginocchiata, senza paniere
               e col grembiule arrotolato da riempire mentre tu ti
               trascinavi il sacco sotto alle ginocchia e le sentivi
               fredde e indolenzite. Sarà forse per quello che
               ti lamenti ancora quando cambia il tempo. Ne hai
               parlato col dottore, Nora? "Aunate e camminate"
               ripeteva Genuino mentre con il maglio colpiva i pali
               più robusti e la pioggia di nocciole cadeva
               tintinnante, con le foglie e i rami recisi che ti
               sporcavano i capelli. E con le nocciole a volte
               cadevano le natele... te li ricordi quegli
               esserini nudi che precipitavano dal nido e che tuo
               padre correva a calpestare, rischiando di ferire le
               tue dita, perché ogni buco in un frutto era per
               lui una lira in meno di guadagno? Ti ricordi il loro
               lamento strozzato, lo scricchiolio di quelle ossa
               morbide sotto la punta del bastone e il richiamo
               lontano della madre? Provasti a salvarne una...
               sicuramente ricordi ancora il nome che le desti. La
               nutrivi con una siringa priva d'ago, con acqua e
               latte. Per lei ti alzavi anche di notte. Ma
               sopravvisse poco, al tacco di tuo padre. Di che
               qualità sono queste nocciole che vedi scorrere
               nel fango? Sapresti ancora distinguerle? Eri diventata
               proprio brava, te lo ricordi?: le primitive, le
               mortarelle, piccole e tondeggianti, le
               Sangiovanni, robuste e affusolate, le
               n'dose che cadevano già sbucciate e
               risparmiavano la fatica di scugnuliarle. E ti
               ricordi ancora quelle due, tre piante di
               sanguinelle, sotto al lemmete della
               chiana grossa, che quando le aprivi luccicavano
               della corteccia interna, rossa più del sangue.
               Il sangue che ogni volta ti ricordava il dito punto
               della mamma di Biancaneve. Te la ricordi ancora quella
               storia? Ricordi se tua madre te l'aveva raccontata
               mai? E ricordi, Nora, se invece l'hai mai raccontata
               tu a qualcuno? Ti divertivi a catturare i ragni che si
               arrampicavano sul sacco. Li afferravi per una zampa e
               lasciavi che penzolassero dal filo di saliva in cui
               cercavano la fuga. Gli strappavi le zampe ad una ad
               una e se ti sentivi buona gliene lasciavi un paio.
               Capitava proprio in quei giorni che Marisa non si
               presentava, e i lemmeti toccavano a te, quando
               eri felice di dimostrare come anche tu sapevi scendere
               e salire tra felci e rovi, senza sgarrupare;
               oppure lo facevi in quei giorni in cui tua madre dava
               lavoro a qualche giovane di passaggio e ti sentivi
               finalmente in compagnia. Rimanevi indietro, aspettando
               come sfida che il ragno facesse un passo senza zampe,
               o era soltanto una scusa nell'attesa che il giovane
               riempisse il paniere e poi correvi ad aiutarlo, a
               tenergli il sacco aperto mentre lui vi rovesciava le
               nocciole. Ti piaceva rimanere per un poco fuori della
               fila, indugiare tra le zampe del ragno e le smorfie
               dei ragazzi finché sentivi alla base del collo
               la punta fredda del bastone di tuo padre, non una
               parola ti diceva, ti sfido a ricordarne una, Nora,
               soltanto una, prima che col bastone ti indicasse tutti
               i frutti che lasciavi indietro, da recuperare ad uno
               ad uno mentre si accendeva un'altra sigaretta.
               "Aunat e camminate" ripeteva Genuino, e
               interrompeva i discorsi sui figli di Olga e di Maria,
               le barzellette del giovane moro e le risate di Marisa,
               interrompeva i tuoi pensieri, e allineava pure loro
               accanto al sacco che cominciava a darti male alle
               ginocchia; il dolore non fa pensare. Ma in fondo era
               meglio così, non è vero, Nora? Alle
               dieci e mezzo puntuale arrivava Lucio, tuo fratello,
               con le buste della spesa e dovevi correre a casa,
               preparare la tavola, disporre i piatti e le posate,
               riempire l'acqua e tagliare il pane. Era il momento
               della colazione, ma tu non la sopportavi quella
               colazione di pomodori e cipolle, di profumi di
               basilico, di olio allungato con l'acqua, di pane
               inzuppato e di unghie sporche di terra che si
               affollavano nella zuppiera fresca della frutta. Poi si
               ricominciava, pulivi e correvi, prima che il fischio
               di tuo padre ti richiamasse al posto tuo. Dopo il
               fischio sarebbe stato il turno del bastone. Ma
               qual'era il posto tuo, Nora, qualcuno si era mai
               premurato di spiegarti che esisteva un posto anche per
               te, oltre quel buco nella fila di raccolta? Qual era
               il tuo posto, quello che disegnavano i tuoi desideri,
               quello che pretendeva il tuo corpo che si formava,
               quello che reclamavano i tuoi sedici
               anni...?Chi
               avrebbe potuto dirtelo? Chi poteva aiutarti a
               cercarlo? Nascesti che tuo padre aveva sessant'anni,
               tua madre quarantacinque. Dopo 5 maschi troppo grandi
               per esserti fratelli. Ci pensavi sempre a tutto
               questo, non è così? A come ti sentivi
               fuori posto con due genitori che le tue compagne
               scambiavano per nonni, con cinque fratelli e cinque
               cognate, che sembravano ridessero all'unisono di te,
               quando portavi i piatti in tavola così che ti
               rifugiavi a mangiar da sola sotto al glicine, insieme
               ai gatti, perché in quelle occasioni, che poi
               erano i giorni di festa, neanche a tavola c'era posto
               per te. Eppure, quando Berardino era partito militare
               e tutti infine ti avevano lasciato sola con i tuoi,
               avevi pianto per notti intere. Questo è certo,
               lo ricordi. Ed io neanche te lo chiedo. La sera ti
               scopriva col volto stanco ma sereno, coi vestiti che
               profumavano di sapone di Marsiglia, quando si
               accendevano le luci sull'aia e si svuotavano i sacchi
               delle nocciole di giornata: si cominciava a
               scugnuliare. E intorno al tavolo c'era posto
               per tutti, anche per te, stavolta non si stava troppo
               stretti. Qualcuno trovava due nocciole gemelle, e
               urlava dalla gioia, era segno di fortuna. Una volta ne
               avevi trovato quattro unite, quattro nocciole siamesi,
               ma ancora sei in credito di quella fortuna. L'aspetti
               ancora, Nora? Oppure ci hai messo una pietra sopra? Le
               nocciole da un lato e le bucce dall'altra, sembrava
               tutto così bello in quel chiaro di luna, ma
               presto sarebbero spariti anche quei momenti: prima ci
               fu l'anno in cui tuo padre decise di far raccogliere
               le nocciole già pulite, e poi quell'altro anno
               ancora che avevano preso in fitto la macchina pulente:
               si raccoglieva tutto, abbandonato il sacco alle
               ginocchia si passava alle scope e alle pale: ci
               pensava poi la macchina nei suoi turbinii di polvere a
               separare bucce e frutti, terra, foglie e pietre. Poi
               neanche rastrelli e scope sarebbero servite, i lunghi
               tubi della nuova macchina arrivavano come colli di
               draghi onnivori oltre la chiana grossa, fino a
               "dint'o core" o fino alla chiana del
               pino e facevano il lavoro della fila intera,
               raccoglievano, pulivano e insaccavano. Tutto in una
               giornata sola. Ma quella sera tutto questo neanche si
               immaginava. Ridevate a scugnuliare in compagnia
               del vino, dei grilli e delle cicale. Poi si era
               fermata un'auto gialla ed era scesa una coppia di
               mezza età. Dal buio era comparsa lei, bionda,
               più alta del marito. Tua madre ci aveva
               scambiato due parole, poi era corsa a chiudersi
               dentro, urlando a squarciagola. Lei dietro la porta,
               tuo padre fuori, la gente che si alzava dal tavolo, le
               farfalle che scappavano impaurite, le cicale zittivano
               di colpo. Ti ricordi come ti venne vicino tuo padre
               con quelle ventimila lire? - Falle fare un giro per la
               città - ti aveva detto - e dille di andar via.
               Lo sapevi, Nora, che avevi una sorella che abitava a
               Birmingham? te ne avevano mai parlato? e ti avevano
               mai detto che era tanto bella e tanto dolce, proprio
               come la sorella che sognavi? Joanna. Si chiamava
               così, un po' sembrava il nome di tuo padre. Era
               venuta apposta per conoscere suo padre, che aveva
               visto solo in foto. In una foto che stringeva
               ingiallita tra le dita. Tuo padre era in divisa. Non
               ci potevi credere di avere una sorella, non è
               vero, Nora? eppure non era stato difficile capirsi,
               molto più difficile mostrarle la città.
               Cosa pensavi le importasse della città e delle
               ventimila lire che stringevi in mano?Te
               lo aveva raccontato tuo fratello Salvatore l'anno
               dopo, avevi saputo che tuo padre prima di congedarsi
               era stato trasferito ad Amalfi. Gli appartamenti della
               caserma non erano pronti e i tuoi avevano preso in
               affitto due stanze da un pescatore. Tu non eri ancora
               nata. Tuo padre passava le giornate intere tra i monti
               e la caserma, ma quando tua madre lo aveva cercato
               perché Alberto aveva ingoiato una biglia di
               vetro tuo padre in caserma non c'era e neanche in
               missione coi colleghi. Lo aveva visto infine uscire da
               un portone e salutare con un bacio una turista. Non ci
               credesti subito, non è vero? Neanche tua madre
               ci voleva credere mentre il volto di tuo fratello
               diventava nero... Adesso invece è tutto
               più chiaro, non ti sembra, Nora? Invece il
               cielo resta scuro, stamattina.-
               Credo proprio che dovremmo chiamare i vigili del fuoco
               - dice il barista alla ragazza della cassa. L'acqua ha
               cominciato a passare sotto alla porta, al centro della
               strada sarà alta quasi un metro. Anche quel
               pomeriggio era venuto a piovere all'improvviso, te lo
               ricordi? Fosse stato ancora vivo tuo padre avrebbe
               saputo anticiparne l'arrivo, gli bastava vedere la
               forma delle nuvole e tastare la direzione del vento
               per dire quanto mancava alle prime gocce. Ma il male
               che gli aveva corroso i polmoni non gli aveva lasciato
               tempo di spiegare il suo segreto alla tua mamma. Lei
               era corsa senza ombrello e con due secchi, quella
               volta, le nocciole erano tutte a terra in attesa
               dellaseconda
               passata e la pioggia le avrebbe spinte nella
               strada, tra le ruote delle macchine e dei camion,
               oppure giù al ruscello. Stavolta ti aveva
               lasciato riposare. Forse era stato il regalo per il
               diploma. La porta la lasciava sempre aperta. Sul
               tavolo la bottiglia sempre piena: Genuino passava e
               non bussava. Entrava, riempiva i suoi bicchieri e se
               ne andava. Lo avevi sentito entrare, Nora ma non era
               tipo da far paura, Genuino. Avevi sentito i suoi
               passi, l'ombrello chiuso e riaperto sulla soglia,
               avevi contato i bicchieri che aveva riempito e poi
               svuotato. Ci avresti mai creduto che in un bottiglione
               solo ci stessero tanti bicchieri, Nora? E avresti mai
               previsto che quei passi anziché allontanarsi
               adesso si avvicinavano, pesanti, alla tua stanza, alla
               sdraio su cui fingevi di dormire? Sentivi l'odore
               dell'alcol calare su di te come una nuvola scura, il
               calore del suo naso poggiarsi sulla tua pelle. Ti
               spaventava quel naso, te lo ricordi ancora? Rosso e
               pieno di bitorzoli, eppure proprio Genuino ti aveva
               insegnato ad andare in bicicletta, ti aveva insegnato
               il nome dei fiori e come si catturavano le
               lucertole... e col suo naso ci scherzavi, lui ti
               prendeva in giro e ti convinceva come fosse assai
               più bello del tuo, che appena cominciava a
               distinguere la menta dalla salvia, l'origano dal
               finocchietto. Ora sentivi i calli delle sue mani sulle
               tue braccia, il suo respiro pesante bloccava il tuo,
               alla mano che ti sfiorò la bocca reagisti
               infine con un calcio. La sdraio si rovesciò e
               Genuino corse via; barcollando, corse via. Dalla
               finestra lo scorgesti senza ombrello che aspettava la
               filovia. Ti sorrise, ricordi Nora, come ti sorrise?
               Avevi voglia di urlare Nora, voglia di vomitare,
               corresti al lavandino e passasti il sapone asciutto
               sulle braccia per rimuovere il senso di quel contatto
               che ti sembrava non passare. Avevi voglia di parlarne
               con tua madre, maledire la sua porta aperta, quel vino
               scuro e denso di cui ti sentivi la puzza addosso. Ma
               già sapevi cosa ti avrebbe detto, non è
               vero, Nora? La stessa cosa che ti avevano detto i tuoi
               fratelli quando eri tornata a casa infangata per
               essere caduta nella pila. Dalle fronde era
               comparso Guido. Pensavi volesse solo tenerti
               compagnia, mentre ti abbassavi a riempir la brocca, ma
               avevi sentito il suo corpo strofinarsi al tuo. Non ci
               avevi creduto fino allora, eppure te l'avevano detto
               che cosa avesse fatto l'anno di servizio militare alla
               fragile mente di Guido. Eppure prima di partire
               qualche volta ti aveva letto una poesia. - La solita
               imbranata - ti avevan detto - e non metter più
               quelle gonne strette - Genuino era ancora lì
               quando tornasti alla finestra, chissà se
               davvero aspettava un passaggio, può darsi che
               aspettava soltanto che ti affacciassi ancora. Il
               sorriso era lo stesso che hai rivisto sabato
               pomeriggio, sulla foto della lapide. Il sole picchiava
               forte, sentivi l'acqua ribollire mentre gli mettevi
               fiori veri. Soltanto che era in bianco e nero, appena
               un po' sfumato. Il direttore delle Poste ti aveva
               telefonato, era già da un po' che ti cercava.
               Davvero non immaginavi cosa poteva voler da te, Nora?
               I buoni cointestati, decine di buoni a nome tuo e di
               Genuino. Ma Genuino era morto da più di un
               anno, e non aveva nessun parente. - Li può
               incassare quando vuole, basta solo che ci avverta un
               giorno prima - ti aveva detto il direttore. I risparmi
               di una vita, la liquidazione della Svizzera e poi
               pezzi di pensione, le giornate passate a
               zappare per i campi, a scutuliare nocciole, a
               potare e vendemmiare. I trattori andavano a nafta, le
               auto a benzina e lui camminava a vino, per quello la
               porta era sempre aperta, non è vero, Nora? Ed
               ora che guardavi in quella foto, quel naso bianco e
               nero vedevi quanto vicino fosse al tuo, assai
               più vicino di quel pomeriggio piovoso di cinque
               anni prima. Dopo aver parlato col direttore eri corsa
               da tua madre, stavolta senza urlare e senza desiderio
               di vomitare, soltanto col desiderio di sapere. Ma
               sapere cosa, Nora? Valeva la pena sapere infine che
               cos'eri e qual'era il posto tuo?, sapere della
               vendetta di tua madre per quel figlio lasciato
               affogare dalle bugie di tuo padre? capire
               perché per tuo padre eri stata solo un fischio
               o l'appoggio di un bastone? E capire, Nora, capire
               cosa c'era sotto quei calli e quella puzza di vino,
               sotto quella ruvida e coraggiosa carezza che mai
               pensava di turbarti il sonno... La pioggia è
               quasi finita, le nocciole sembrano abbiano steso un
               tappeto per farti attraversare la strada, mentre tieni
               la borsetta stretta. E quasi non vorresti staccare la
               mano per toglierti dal viso quella goccia che non
               distingui più tra pioggia o
               lacrima."Aunate
               e camminate"... ti abbassi, ne raccogli una
               manciata e te le metti in tasca. Le porterai insieme a
               te, sulle note di quell'invito dolce che ti
               risuonerà per sempre nelle orecchie. Non
               è vero Nora? 
               
               
                  Note:Aunate
                  e camminate: raccogliete e
                  camminateChiane:
                  appezzamenti di terra pianeggiantiLemmeti:
                  appezzamenti di terra scoscesi, delimitano una
                  "chiana" dall'altraNatele:
                  Moscardini, piccoli roditoriScugnuliare:
                  togliere le nocciole dal guscio
                  verdeSgarrupare:
                  lasciar franareDint'
                  o core: appezzamento di terreno detto
                  così perché interno alla
                  proprietàSeconda
                  passata: la seconda volta che si raccolgono le
                  nocciole nello stesso punto in quanto non tutte
                  maturano contemporaneamenteScutuliare:
                  scuotere i rami dei noccioli a mano per far
                  cadere i frutti. Per quelli più robusti si
                  usa il maglio, attrezzo di legno a forma di
                  martello |