- Clementino
-
- Valleverde: una
tranquilla città tra la campagna umbra.
Piccola, silenziosa,non conosce la fretta del tempo
che passa per cui bisogna darsi da fare, correre.
Nessuno è turbato dall'ansia che coinvolge chi
cerca soluzioni rapide. Ogni cosa al momento giusto,
con calma,senza bruciare le tappe: un incendio dannoso
per la salute e la buona riuscita di tutto. L'aria che
si respira è quella dell'attesa pacata, dei
sogni a lunga scadenza. C'è solo un periodo in
cui gli abitanti sembrano a un tratto ravvivati da una
energia nuova, eccitante. E sono i giorni del
Carnevale in cui è ammesso quello che prima
è proibito, o consentito con moderazione:
balli, feste, l'uso del vino, effusioni eccessive tra
innamorati. E bisogna sbrigarsi, perché il
giorno delle "Ceneri" le teste saranno spruzzate di
polvere, simbolo di penitenza e di rinuncia agli
svaghi inutili della terra.
- Valleverde ha un
teatro che concentra i divertimenti carnevaleschi: il
"Teatro degli Illuminati" che, per tradizione,
è simbolo del lume che diffondono la cultura e
il sapere, ma anche la gioia dell'evasione dalle pene
quotidiane.
-
- E per l'appunto,
feste da ballo, recite allegre, i famosi "veglioni"
che si protraggono fino alle luci dell'alba,
predispongono l'animo dei valleverdesi a una maggiore
conciliazione con una vita spesso desolata,
soprattutto quando la miseria e la cattiveria
incombono oltre misura.
- La novità
che più li incuriosisce, è l'arrivo
delle "commedianti" alle cui recite si divertono come
non mai. Non sono certo artiste di grido, ma hanno la
capacità di sollevare gli umori depressi, di
provocare risate a crepapelle. Ballano, cantano,
dicono battute salaci, interpretano personaggi
ridicoli, mettono in risalto gli aspetti comici della
vita. Fanno di tutto, sopportando i lazzi volgari
degli uomini, di cui non disdegnano gli inviti del
dopo-spettacolo. Un modo sicuro per arrotondare paghe
risicate.
- All'inizio di ogni
Carnevale arrivano puntuali,per lo più belle e
disponibili. I maschi di Villaverde le aspettano,
curiosi e ansiosi. Quest'anno si sparge la voce di una
"commediante" particolarmente brava, vivace,
allegrissima. Appena compare sul palcoscenico, piovono
urla, fischi di approvazione,commenti ad alta voce,
efficaci e coloriti.
- Il nome è
comune: Antonia, ma la donna è eccezionale non
tanto per la bellezza, quanto per quel brio che mette
in ogni parola, in ogni mossa. Sgambetta, piroetta,
finge cadute clamorose, si rialza con una
agilità sorprendente. E', fuor di dubbio,una di
quelle donne che ti mettono addosso il buon umore non
appena le guardi e se aggiungono spirito e
disinvoltura,sanno dare il massimo di
sé.
-
- Il teatro non
è mai stato così affollato. I biglietti
vanno a ruba, la corsa ai posti di miglior veduta, a
volte creano discussioni e litigi. E tutto sarebbe
perfetto, se i valleverdesi non avessero protestato
per i costumi troppo sobri di Antonia.
- "Spogliati" le
urlano in malo modo e le parolacce arrivano anche alle
orecchie dei sordi.
- L'impresario
interviene. Antonia si scopre di più, ma sempre
con misura.
- "Non basta",
gridano gli incontentabili, finché la
"commediante" è costretta a superare quasi i
limiti della decenza.
- E qui cominciano i
guai. L'entusiasmo per Antonia comincia a spegnersi,
l'attesa si fa meno esaltante. C'è qualcosa che
non va, qualcosa che nelle serate precedenti era stato
sapientemente camuffato. L' artista ha un corpo
grasso, almeno agli occhi dei "gaudenti". Una
pesantezza che non impedisce la rapidità e la
leggerezza delle piroette, delle danze sfrenate, ma
poco gradevole a vedersi. L'occhio vuole la sua parte
e le sue forme, adesso ben visibili, non hanno il
fascino della magrezza, dell'attraente figura
longilinea.
- Antonia ne ha ben
d'onde e la sua storia si sparge in un baleno: ha
partorito un bambino. Un bambino piccolissimo che la
"commediante" ha consegnato a Giuditta, una balia
prosperosa dei dintorni, per uno "scudo" al
mese.
- La sosta a
Valleverde si protrarrà oltre il Carnevale.
Pare che qualcuno le abbia offerto un altro lavoro,
forse ancor meno redditizio e più avvilente, ma
non ha scelta. La figura appesantita non le consente
gli applausi a cui era abituata; il marito,rimasto a
Urbino dove si erano regolarmente sposati, ignora lei
e il bambino. Anzi, per non avere impicci di sorta, ha
deciso di partire per ignota destinazione.
-
- Giuditta diventa
così la seconda mamma di Clementino, tanto
è l'amore che riversa su di lui. Quando Antonia
glielo consegna, dicendole:
- "Si chiama
Clemente", la sua reazione è
immediata:
- "Vorrai dire
"Clementino", tanto lo vede minuscolo e
patito.
- Un esserino che
pare seguire con occhi impauriti la madre che se ne
va:
- "Non mi
lasciare".
- "Non
posso".
- "Non mi
lasciare".
- "Non ho
soldi".
- Giacinta lo
accarezza, lo coccola, gli offre il seno turgido a cui
"Clementino" si attacca con avidità. E' debole,
denutrito.
- La balia lo guarda
con infinita tenerezza. Hanno in comune una storia
dolorosa. Anche lei era stata abbandonata da una madre
che era stata costretta, per fame, a prostituirsi. E
questo piccolino sembra sostituire il figlio mai nato.
Il marito non è scomparso, ma la maltratta,
beve, la picchia.
- Tra la donna e il
bambino, nasce così un rapporto di amore
intenso che giova alla serenità dell'una e al
rifiorire dell'altro.
- Antonia
praticamente non esiste. Occupata tra spettacoli
deludenti, non si fa più vedere. D'altra parte
Giacinta, alla scadenza del mese, deve ritirare la sua
paga di cui farebbe anche a meno, se il marito, sempre
più annebbiato dai fumi dell'alcool, non le
urlasse:
- "E' ora che ti
faccia pagare"!
-
- La balia va a
bussare alla porta di Antonia, che viveva in una
camera d'affitto, in un povero rione di Villaverde. Un
locale buio, squallido, l'unico che potesse
permettersi. E forse per questo avrà progettato
per "Clementino" un brefotrofio triste quanto si
vuole, ma sempre meglio del luridume in cui era
immersa: nella casa, nel lavoro, nella sua sporcizia
di vita.
- Giacinta bussa
inutilmente. Nessuno risponde né apre la
finestrucola che dava sul vicolo
maleodorante.
- Giacinta torna
indietro, delusa, amareggiata non tanto per quello
"scudo" non riscosso, quanto per le botte del marito
che l'aspettano al rientro, senza la paga
dovuta.
- Il giorno dopo
riprova e bussa, bussa ancora. Finalmente dalla casa
accanto si affaccia una donna infreddolita,
infastidita da quei colpi fuori d'ora:
- "Ma che vuoi"?, le
chiede sgarbatamente.
- "Cerco Antonia".
- "Non
c'è".
- "E
dov'è"?
- "Che ne so? Ma va
al diavolo"...
- "Antonia, Antonia",
continua a gridare la balia che non si vuole
arrendere.
- Ed ecco che
un'altra finestra si apre, un'altra donna le domanda,
più garbatamente:
- "Chi
cerchi"?
- "Antonia, non lo
senti"?
- "E' andata
via".
- "Dove posso
trovarla"?, insiste Giacinta che la pensa magari a
teatro per le prove.
- "Questo proprio non
lo so".
- Essere gentili va
bene, ma impicciarsi dei fatti di certa gente
può essere rischioso, quanto meno
imprudente.
- Ormai tutto il
rione s'è affacciato e un uomo, meno pauroso,
le urla:
- "Disgraziata,
vattene via. La "commediante" è partita per la
Toscana. Raggiungila a piedi, se vuoi", e con una
risata sguaiata, sbatte i vetri già
incrinati.
- Giuditta vorrebbe
sparire, ma il pensiero di Clementino che ha bisogno
della "poppata", la fa tornare a casa pronta ad
affrontare le ire del marito.
- "Dammi i
soldi".
- "E'
partita".
- "Dammi i soldi" e
l'uomo urla come un ossesso. Un demonio sembra essersi
impadronito di lui, stravolgendolo nel volto, nella
voce. Giacinta alza le braccia per parare la violenza
del marito che, invece, sparisce di colpo.
- Un attimo, si
guarda intorno, gli occhi terrorizzati dalla culla
vuota. Luigi,quel marito che un giorno le aveva
promesso di proteggerla nella buona e nella cattiva
sorte, lo aveva preso per portarlo nella "Ruota"
dell'Ospedale di Villaverde. Una "Ruota" buia, quasi
nascosta agli occhi della gente, squallida, gelida,
eppure generosa se accoglie qualunque creatura
anonima: i piccoli avvolti tra cenci di lana
logora,per lo più non battezzati. La fretta di
sbarazzarsene, cancella ogni altro
pensiero.
- L'uomo appoggia il
"fagotto" su quel poco spazio polveroso e scappa. E
corre, corre al punto da dimenticare la sosta in
osteria. Stasera ritiro in casa, senza gli strilli di
Giacinta bastonata. Una sera di quiete, per modo di
dire, perché a ogni rumore, l'uomo guarda
impaurito l'uscio sgangherato. Non è ubriaco,
"una tantum"... Ha consegnato Clementino alla "Ruota",
sicuro di farla franca, ma la paura rimane. La paura
della galera per chi "deposita" un neonato "legittimo"
e il piccolo ha due genitori, regolarmente sposati,
anche se balordi quanto si vuole.
- La giustizia
infatti fa il suo corso. La città è
piccola: è difficile non vedersi e qualcuno ha
incrociato Luigi mentre correva come una lepre con un
pacco sotto il braccio, un involto strano: Clementino
piangeva. E il giorno dopo, finalmente, piange anche
lui in una prigione maleodorante, tra gli escrementi
dei topi e il tanfo di un giaciglio preabitato dai
pidocchi, con le cimici sorelle.
- "Era ora"!,
commentano i vicini: il vicolo s'è
ripulito"...
-
- Per Clementino, in
ogni modo, non cambia niente, tranne una balia
diversa, Margherita, scelta tra il personale del
Brefotrofio, la sua nuova casa.
- Le ricerche su
Antonia, la madre "commediante",non approdano a
niente. Neppure un indizio, una supposizione, che
conducano alla sua attuale vita, casa, lavoro. E il
padre si è letteralmente dileguato, finito
chissà dove, magari anche morto. Chi lo sa?
-
- Il "Brefotrofio":
residenza, senza alternativa, di Clementino. Balie,
suore "serve" lo guardano con particolare
curiosità. E' fuor di dubbio un piccolino
strano. Un insieme di tratti asimmetrici che lo
rendono del tutto diverso dagli altri
neonati.
- Ha un visino tondo
a cui disdice il mento lungo. Un visino pallido, di un
pallore accentuato dagli occhi neri e da una cuffietta
bianca-avorio, per le scarse lavature. I capelli
biondi, poi, sfumano ogni segno di eventuale
rossore.Non ha traccia di colore, né se piange,
né se fatica a pronunciare i primi suoni.Non si
direbbe di certo un bambino sano, tanto appare minuto
e scolorito oltre la norma. E quello che, soprattutto,
attira l'attenzione di chi lo guarda con malcelata
compassione, è "uno strano ossicino sulla
tempia sinistra, simile a un chicco di granturco". Una
malformazione evidente destinata a crescere, un
infallibile segno di riconoscimento. Dovunque la
"commediante" lo avesse cercato, lo avrebbe
riconosciuto.
-
- Clementino cresce.
Nella somma dei suoi tratti irregolari il corpicino,
comunque ,si irrobustisce e il suo gesto usuale
diventa quello della mano sinistra che con frequenza
tocca la fronte nel punto dell'ossicino
sporgente.
- Arrivano i primi
passi, le parole, la consapevolezza dei compagni:
l'infanzia fa il suo corso.
- Una sera , prima di
addormentarsi, chiede a un bambino, vicino di
letto:
- "Tu non ce l'hai
»
- "Cosa"?, risponde
il bambino che si vantava di portare un bel nome:
"Angelo".
- "Sei bello come un
angelo", gli dicevano ed era vero. Biondo, roseo,
occhi celesti, capelli ricci,lo ammiravano e si
lasciava ammirare. Era piccolo, eppure già
affiorava la vanità,
l'auto-compiacimento.
- Clementino lo
guardava incantato ma , soprattutto, per la sua fronte
liscia, levigata.
- "Beato
te!
- E
insiste:
- "Tu non ce
l'hai".
- «Ma che
cosa» ?, replica il compagno,
impaziente.
- "Questa cosa qui",
e si tocca la fronte con pudore, con il timore di
sentirla, insieme alla speranza che non ci sia
più. Era la sua vergogna.
- Il compagno "bello"
si gira dall'altra parte, seccato.
- "Lasciami dormire
in pace".
- Clementino tira su
la coperta consunta fino a quel "chicco di granturco".
Almeno la notte, è uno come gli
altri.
- Al risveglio, corre
dalla suora:
- "Suor Maria, prendi
le forbici, lo puoi tagliare".
- "Clementino, che
dici: hai fatto un brutto sogno", e continua,
noncurante,a preparare le colazioni.
- E' vero. Clementino
tutte le notti fa brutti sogni. Il chicco si
ingrandisce come un animale i compagni ridono e
gridano:
- "Nocciolino" e per
la strada tutti lo indicano dicendo:
- "Ma guarda quanto
è buffo" o, peggio:
- "Ma guarda quanto
è brutto".
-
- Ogni domenica, alla
Messa, seguiva con attenzione il sermone di don Guido,
il Parroco. Fermo, l'espressione concentrata, sembrava
non perdere una sillaba delle prediche fin troppo
lunghe. In realtà teneva la testa dritta e
immobile, perché un qualunque movimento non
rendesse più visibile la sua menomazione. Per
il resto, ascoltava e non ascoltava: il pensiero fisso
era il "nocciolino, finché un giorno qualcosa
lo colpisce , nel cuore e nella fantasia.
- Don Guido, nella
Messa di Pasqua, parla degli Angeli che si fanno
attorno a Gesù nel momento della Resurrezione.
Angeli grandi, più piccoli, tutti azzurri.
Aureole luminose, che sembravano riflettere la luce
del cielo, il brillio delle stelle, la potenza del
sole e qualcuno suonava delle trombe affusolate,
dorate. Un coro di suoni, di voci, che portavano in
Paradiso, accompagnando il Figlio di Dio da cui erano
stati cancellati i segni della Croce: la sfinitezza
dell'agonia, le ferite dei chiodi, le tracce degli
sputi.
- Gli Angeli: non
tutti sono con Gesù. Tanti abitano sulla terra,
accanto ai bambini. Ogni bambino ha vicino a sé
un Angelo, il "suo" Angelo.
- Clementino rimane
perplesso:
- "Ma dov'è?
Io non lo vedo" e corre a cercare suor
Maria:
- "Suor Maria,
dov'è il mio Angelo"?
- "Accanto a
te".
- "Anche la
notte"?
- "Soprattutto".
-
- Quella sera,
Clementino lascia la fronte scoperta, nel timore di
non vedere l'Angelo.
- Gli occhi aperti,
fissi nel buio, aspetta. La veglia si prolunga
finché il sonno sta per vincerlo, appena in
tempo per vedere un Angelo dalle grandi ali azzurre su
cui si rifrange la luce delle stelle. Le serpi dei
sogni cattivi strisciano altrove. Clementino alza le
mani per nascondere l'ossicino inopportuno. Una voce
lo raggiunge, dolcissima, il canto del
cielo:
- "Clementino, quanto
sei bello"!
- E il bambino si
apre a un largo sorriso che ridimensiona
l'irregolarità delle fattezze, annulla la pena
di sempre.
- "Ti prego: non
andar via"...
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