Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Giuliana Rosini
Con questo racconto ha vinto il settimo premio al concorso
Città di Melegnano 2003, sezione narrativa

Clementino
 
Valleverde: una tranquilla città tra la campagna umbra. Piccola, silenziosa,non conosce la fretta del tempo che passa per cui bisogna darsi da fare, correre. Nessuno è turbato dall'ansia che coinvolge chi cerca soluzioni rapide. Ogni cosa al momento giusto, con calma,senza bruciare le tappe: un incendio dannoso per la salute e la buona riuscita di tutto. L'aria che si respira è quella dell'attesa pacata, dei sogni a lunga scadenza. C'è solo un periodo in cui gli abitanti sembrano a un tratto ravvivati da una energia nuova, eccitante. E sono i giorni del Carnevale in cui è ammesso quello che prima è proibito, o consentito con moderazione: balli, feste, l'uso del vino, effusioni eccessive tra innamorati. E bisogna sbrigarsi, perché il giorno delle "Ceneri" le teste saranno spruzzate di polvere, simbolo di penitenza e di rinuncia agli svaghi inutili della terra.
Valleverde ha un teatro che concentra i divertimenti carnevaleschi: il "Teatro degli Illuminati" che, per tradizione, è simbolo del lume che diffondono la cultura e il sapere, ma anche la gioia dell'evasione dalle pene quotidiane.
 
E per l'appunto, feste da ballo, recite allegre, i famosi "veglioni" che si protraggono fino alle luci dell'alba, predispongono l'animo dei valleverdesi a una maggiore conciliazione con una vita spesso desolata, soprattutto quando la miseria e la cattiveria incombono oltre misura.
La novità che più li incuriosisce, è l'arrivo delle "commedianti" alle cui recite si divertono come non mai. Non sono certo artiste di grido, ma hanno la capacità di sollevare gli umori depressi, di provocare risate a crepapelle. Ballano, cantano, dicono battute salaci, interpretano personaggi ridicoli, mettono in risalto gli aspetti comici della vita. Fanno di tutto, sopportando i lazzi volgari degli uomini, di cui non disdegnano gli inviti del dopo-spettacolo. Un modo sicuro per arrotondare paghe risicate.
All'inizio di ogni Carnevale arrivano puntuali,per lo più belle e disponibili. I maschi di Villaverde le aspettano, curiosi e ansiosi. Quest'anno si sparge la voce di una "commediante" particolarmente brava, vivace, allegrissima. Appena compare sul palcoscenico, piovono urla, fischi di approvazione,commenti ad alta voce, efficaci e coloriti.
Il nome è comune: Antonia, ma la donna è eccezionale non tanto per la bellezza, quanto per quel brio che mette in ogni parola, in ogni mossa. Sgambetta, piroetta, finge cadute clamorose, si rialza con una agilità sorprendente. E', fuor di dubbio,una di quelle donne che ti mettono addosso il buon umore non appena le guardi e se aggiungono spirito e disinvoltura,sanno dare il massimo di sé.
 
Il teatro non è mai stato così affollato. I biglietti vanno a ruba, la corsa ai posti di miglior veduta, a volte creano discussioni e litigi. E tutto sarebbe perfetto, se i valleverdesi non avessero protestato per i costumi troppo sobri di Antonia.
"Spogliati" le urlano in malo modo e le parolacce arrivano anche alle orecchie dei sordi.
L'impresario interviene. Antonia si scopre di più, ma sempre con misura.
"Non basta", gridano gli incontentabili, finché la "commediante" è costretta a superare quasi i limiti della decenza.
E qui cominciano i guai. L'entusiasmo per Antonia comincia a spegnersi, l'attesa si fa meno esaltante. C'è qualcosa che non va, qualcosa che nelle serate precedenti era stato sapientemente camuffato. L' artista ha un corpo grasso, almeno agli occhi dei "gaudenti". Una pesantezza che non impedisce la rapidità e la leggerezza delle piroette, delle danze sfrenate, ma poco gradevole a vedersi. L'occhio vuole la sua parte e le sue forme, adesso ben visibili, non hanno il fascino della magrezza, dell'attraente figura longilinea.
Antonia ne ha ben d'onde e la sua storia si sparge in un baleno: ha partorito un bambino. Un bambino piccolissimo che la "commediante" ha consegnato a Giuditta, una balia prosperosa dei dintorni, per uno "scudo" al mese.
La sosta a Valleverde si protrarrà oltre il Carnevale. Pare che qualcuno le abbia offerto un altro lavoro, forse ancor meno redditizio e più avvilente, ma non ha scelta. La figura appesantita non le consente gli applausi a cui era abituata; il marito,rimasto a Urbino dove si erano regolarmente sposati, ignora lei e il bambino. Anzi, per non avere impicci di sorta, ha deciso di partire per ignota destinazione.
 
Giuditta diventa così la seconda mamma di Clementino, tanto è l'amore che riversa su di lui. Quando Antonia glielo consegna, dicendole:
"Si chiama Clemente", la sua reazione è immediata:
"Vorrai dire "Clementino", tanto lo vede minuscolo e patito.
Un esserino che pare seguire con occhi impauriti la madre che se ne va:
"Non mi lasciare".
"Non posso".
"Non mi lasciare".
"Non ho soldi".
Giacinta lo accarezza, lo coccola, gli offre il seno turgido a cui "Clementino" si attacca con avidità. E' debole, denutrito.
La balia lo guarda con infinita tenerezza. Hanno in comune una storia dolorosa. Anche lei era stata abbandonata da una madre che era stata costretta, per fame, a prostituirsi. E questo piccolino sembra sostituire il figlio mai nato. Il marito non è scomparso, ma la maltratta, beve, la picchia.
Tra la donna e il bambino, nasce così un rapporto di amore intenso che giova alla serenità dell'una e al rifiorire dell'altro.
Antonia praticamente non esiste. Occupata tra spettacoli deludenti, non si fa più vedere. D'altra parte Giacinta, alla scadenza del mese, deve ritirare la sua paga di cui farebbe anche a meno, se il marito, sempre più annebbiato dai fumi dell'alcool, non le urlasse:
"E' ora che ti faccia pagare"!
 
La balia va a bussare alla porta di Antonia, che viveva in una camera d'affitto, in un povero rione di Villaverde. Un locale buio, squallido, l'unico che potesse permettersi. E forse per questo avrà progettato per "Clementino" un brefotrofio triste quanto si vuole, ma sempre meglio del luridume in cui era immersa: nella casa, nel lavoro, nella sua sporcizia di vita.
Giacinta bussa inutilmente. Nessuno risponde né apre la finestrucola che dava sul vicolo maleodorante.
Giacinta torna indietro, delusa, amareggiata non tanto per quello "scudo" non riscosso, quanto per le botte del marito che l'aspettano al rientro, senza la paga dovuta.
Il giorno dopo riprova e bussa, bussa ancora. Finalmente dalla casa accanto si affaccia una donna infreddolita, infastidita da quei colpi fuori d'ora:
"Ma che vuoi"?, le chiede sgarbatamente.
"Cerco Antonia".
"Non c'è".
"E dov'è"?
"Che ne so? Ma va al diavolo"...
"Antonia, Antonia", continua a gridare la balia che non si vuole arrendere.
Ed ecco che un'altra finestra si apre, un'altra donna le domanda, più garbatamente:
"Chi cerchi"?
"Antonia, non lo senti"?
"E' andata via".
"Dove posso trovarla"?, insiste Giacinta che la pensa magari a teatro per le prove.
"Questo proprio non lo so".
Essere gentili va bene, ma impicciarsi dei fatti di certa gente può essere rischioso, quanto meno imprudente.
Ormai tutto il rione s'è affacciato e un uomo, meno pauroso, le urla:
"Disgraziata, vattene via. La "commediante" è partita per la Toscana. Raggiungila a piedi, se vuoi", e con una risata sguaiata, sbatte i vetri già incrinati.
Giuditta vorrebbe sparire, ma il pensiero di Clementino che ha bisogno della "poppata", la fa tornare a casa pronta ad affrontare le ire del marito.
"Dammi i soldi".
"E' partita".
"Dammi i soldi" e l'uomo urla come un ossesso. Un demonio sembra essersi impadronito di lui, stravolgendolo nel volto, nella voce. Giacinta alza le braccia per parare la violenza del marito che, invece, sparisce di colpo.
Un attimo, si guarda intorno, gli occhi terrorizzati dalla culla vuota. Luigi,quel marito che un giorno le aveva promesso di proteggerla nella buona e nella cattiva sorte, lo aveva preso per portarlo nella "Ruota" dell'Ospedale di Villaverde. Una "Ruota" buia, quasi nascosta agli occhi della gente, squallida, gelida, eppure generosa se accoglie qualunque creatura anonima: i piccoli avvolti tra cenci di lana logora,per lo più non battezzati. La fretta di sbarazzarsene, cancella ogni altro pensiero.
L'uomo appoggia il "fagotto" su quel poco spazio polveroso e scappa. E corre, corre al punto da dimenticare la sosta in osteria. Stasera ritiro in casa, senza gli strilli di Giacinta bastonata. Una sera di quiete, per modo di dire, perché a ogni rumore, l'uomo guarda impaurito l'uscio sgangherato. Non è ubriaco, "una tantum"... Ha consegnato Clementino alla "Ruota", sicuro di farla franca, ma la paura rimane. La paura della galera per chi "deposita" un neonato "legittimo" e il piccolo ha due genitori, regolarmente sposati, anche se balordi quanto si vuole.
La giustizia infatti fa il suo corso. La città è piccola: è difficile non vedersi e qualcuno ha incrociato Luigi mentre correva come una lepre con un pacco sotto il braccio, un involto strano: Clementino piangeva. E il giorno dopo, finalmente, piange anche lui in una prigione maleodorante, tra gli escrementi dei topi e il tanfo di un giaciglio preabitato dai pidocchi, con le cimici sorelle.
"Era ora"!, commentano i vicini: il vicolo s'è ripulito"...
 
Per Clementino, in ogni modo, non cambia niente, tranne una balia diversa, Margherita, scelta tra il personale del Brefotrofio, la sua nuova casa.
Le ricerche su Antonia, la madre "commediante",non approdano a niente. Neppure un indizio, una supposizione, che conducano alla sua attuale vita, casa, lavoro. E il padre si è letteralmente dileguato, finito chissà dove, magari anche morto. Chi lo sa?
 
Il "Brefotrofio": residenza, senza alternativa, di Clementino. Balie, suore "serve" lo guardano con particolare curiosità. E' fuor di dubbio un piccolino strano. Un insieme di tratti asimmetrici che lo rendono del tutto diverso dagli altri neonati.
Ha un visino tondo a cui disdice il mento lungo. Un visino pallido, di un pallore accentuato dagli occhi neri e da una cuffietta bianca-avorio, per le scarse lavature. I capelli biondi, poi, sfumano ogni segno di eventuale rossore.Non ha traccia di colore, né se piange, né se fatica a pronunciare i primi suoni.Non si direbbe di certo un bambino sano, tanto appare minuto e scolorito oltre la norma. E quello che, soprattutto, attira l'attenzione di chi lo guarda con malcelata compassione, è "uno strano ossicino sulla tempia sinistra, simile a un chicco di granturco". Una malformazione evidente destinata a crescere, un infallibile segno di riconoscimento. Dovunque la "commediante" lo avesse cercato, lo avrebbe riconosciuto.
 
Clementino cresce. Nella somma dei suoi tratti irregolari il corpicino, comunque ,si irrobustisce e il suo gesto usuale diventa quello della mano sinistra che con frequenza tocca la fronte nel punto dell'ossicino sporgente.
Arrivano i primi passi, le parole, la consapevolezza dei compagni: l'infanzia fa il suo corso.
Una sera , prima di addormentarsi, chiede a un bambino, vicino di letto:
"Tu non ce l'hai »
"Cosa"?, risponde il bambino che si vantava di portare un bel nome: "Angelo".
"Sei bello come un angelo", gli dicevano ed era vero. Biondo, roseo, occhi celesti, capelli ricci,lo ammiravano e si lasciava ammirare. Era piccolo, eppure già affiorava la vanità, l'auto-compiacimento.
Clementino lo guardava incantato ma , soprattutto, per la sua fronte liscia, levigata.
"Beato te!
E insiste:
"Tu non ce l'hai".
«Ma che cosa» ?, replica il compagno, impaziente.
"Questa cosa qui", e si tocca la fronte con pudore, con il timore di sentirla, insieme alla speranza che non ci sia più. Era la sua vergogna.
Il compagno "bello" si gira dall'altra parte, seccato.
"Lasciami dormire in pace".
Clementino tira su la coperta consunta fino a quel "chicco di granturco". Almeno la notte, è uno come gli altri.
Al risveglio, corre dalla suora:
"Suor Maria, prendi le forbici, lo puoi tagliare".
"Clementino, che dici: hai fatto un brutto sogno", e continua, noncurante,a preparare le colazioni.
E' vero. Clementino tutte le notti fa brutti sogni. Il chicco si ingrandisce come un animale i compagni ridono e gridano:
"Nocciolino" e per la strada tutti lo indicano dicendo:
"Ma guarda quanto è buffo" o, peggio:
"Ma guarda quanto è brutto".
 
Ogni domenica, alla Messa, seguiva con attenzione il sermone di don Guido, il Parroco. Fermo, l'espressione concentrata, sembrava non perdere una sillaba delle prediche fin troppo lunghe. In realtà teneva la testa dritta e immobile, perché un qualunque movimento non rendesse più visibile la sua menomazione. Per il resto, ascoltava e non ascoltava: il pensiero fisso era il "nocciolino, finché un giorno qualcosa lo colpisce , nel cuore e nella fantasia.
Don Guido, nella Messa di Pasqua, parla degli Angeli che si fanno attorno a Gesù nel momento della Resurrezione. Angeli grandi, più piccoli, tutti azzurri. Aureole luminose, che sembravano riflettere la luce del cielo, il brillio delle stelle, la potenza del sole e qualcuno suonava delle trombe affusolate, dorate. Un coro di suoni, di voci, che portavano in Paradiso, accompagnando il Figlio di Dio da cui erano stati cancellati i segni della Croce: la sfinitezza dell'agonia, le ferite dei chiodi, le tracce degli sputi.
Gli Angeli: non tutti sono con Gesù. Tanti abitano sulla terra, accanto ai bambini. Ogni bambino ha vicino a sé un Angelo, il "suo" Angelo.
Clementino rimane perplesso:
"Ma dov'è? Io non lo vedo" e corre a cercare suor Maria:
"Suor Maria, dov'è il mio Angelo"?
"Accanto a te".
"Anche la notte"?
"Soprattutto".
 
Quella sera, Clementino lascia la fronte scoperta, nel timore di non vedere l'Angelo.
Gli occhi aperti, fissi nel buio, aspetta. La veglia si prolunga finché il sonno sta per vincerlo, appena in tempo per vedere un Angelo dalle grandi ali azzurre su cui si rifrange la luce delle stelle. Le serpi dei sogni cattivi strisciano altrove. Clementino alza le mani per nascondere l'ossicino inopportuno. Una voce lo raggiunge, dolcissima, il canto del cielo:
"Clementino, quanto sei bello"!
E il bambino si apre a un largo sorriso che ridimensiona l'irregolarità delle fattezze, annulla la pena di sempre.
"Ti prego: non andar via"...

 Clicca qui per leggere la classifica del Premio
Città di Melegnano 2003

Torna alla sua
Home Page

PER COMUNICARE CON L'AUTORE mandare msg a clubaut@club.it
Se ha una casella Email gliela inoltreremo.
Se non ha casella Email te lo diremo e se vuoi potrai spedirgli una lettera presso «Il Club degli autori - Cas. Post. 68 - 20077 MELEGNANO (MI)» inserendola in una busta già affrancata. Noi scriveremo l'indirizzo e provvederemo a inoltrarla.
Non chiederci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©2004 Il club degli autori, Giuliana Rosini
Per comunicare con il Club degli autori:
info@club.it
Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit
 
IL SERVER PIÚ UTILE PER POETI E SCRITTORI ESORDIENTI ED EMERGENTI
Home club | Bandi concorsi (elenco dei mesi) | I Concorsi del Club | Risultati di concorsi |Poeti e scrittori (elenco generale degli autori presenti sul web) | Consigli editoriali | Indice server | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Racconti | Arts club | Photo Club | InternetBookShop |
 Ins. 20-01-2004